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Milano, i bamboccioni non abitano qui

Nella capitale lombarda la maggior parte dei giovani tra i 18 e i 30 anni lavora mentre studia e solamente 33 ragazzi su 100 affermano di dedicarsi esclusivamente all’università. E i famosi Neet? Solo il 3% degli intervistati rientra nella categoria, secondo la ricerca svolta da Francesco Marcaletti, professore dell'università Cattolica [nella foto a destra], presentata venerdì scorso al convegno «Bamboccioni: giovani e lavoro nell'era della flessibilità».L’indagine svolta dai volontari dell'Azione Cattolica ambrosiana si basa sulla diocesi di Milano (comprese anche Varese, Lecco e Monza). Il campione di quasi 600 ragazzi non è rappresentativo di tutta la realtà cittadina (le donne sono leggermente più degli uomini, tutti sono italiani e 1 su 2 ha almeno una laurea triennale), ma i risultati sono comunque interessanti.È vero che il 33% del campione decide di non avere alcuna esperienza lavorativa per potersi concentrare sullo studio. È vero che quasi tutti gli intervistati tra i 18 e i 24 anni vivono ancora in famiglia ma la percentuale scende tra i 25 e i 30, quando le ragazze tendono ad andare a vivere da sole mentre i maschi, se escono di casa, vanno a convivere con amici. È vero anche solo un giovane milanese su venti aiuta in casa, e la percentuale scende ancora tra chi ha un impiego. Però il 42% lavora oltre a frequentare l’università, soprattutto le ragazze. Una volta finiti gli studi, però, a fronte di questo impegno maggiore da parte delle donne sono invece gli uomini a trovare più facilmente un’occupazione, contratti migliori (il 53% ottiene il tempo indeterminato contro il 22% delle ragazze) e salari più alti (quasi uno su cinque guadagna più di 1500 a superare questa soglia è invece solo una donna su venti). Come sottolinea Ida Regalia, professoressa della Statale: «Si è socializzati alla vita in modo diverso a seconda che si nasca uomini o donne».Sfatato invece il mito dell’importanza delle conoscenze per trovare lavoro dato che in tre casi su cinque la raccomandazione porta sì a un impiego, ma senza contratto. Frutta di più autocandidarsi presso un’impresa, in questo modo infatti un neoassunto su quattro ottiene un posto a tempo determinato. Nell’area milanese per fortuna questo non è un caso raro: l’ha ottenuto il 14% degli intervistati, mentre addirittura il 37% è impiegato a tempo indeterminato. Ma in un campione che va dai 18 ai 30 anni non è specificato quanto tempo ci è voluto per arrivare a un buon contratto.L’indagine si occupa anche di chi un lavoro proprio non ce l’ha e scopre come i milanesi disoccupati siano abbastanza schizzinosi, tanto da rifiutare un posto che li porti in un’altra città o in un altro paese. Mammoni o abbastanza realisti da non voler traslocare per un contratto a progetto? Secondo Marcaletti ed Emiliano Novelli, vicepresidente del Gruppo Giovani imprenditori Assolombarda, molti ragazzi preferiscono stare a casa piuttosto che fare lavori considerati umili, mentre all’estero pur di non vivere con mamma e papà gli studenti fanno le pulizie negli uffici, raccolgono frutta nei campi o servono hamburger nei fast-food. Eppure, nonostante stiano attenti a scegliersi l’occupazione, solo il 7% degli intervistati ha risposto di fare qualcosa che gli piace.  Quindi sono bamboccioni o no i giovani lombardi? In definitiva, dalla ricerca dell’Azione Cattolica emerge il ritratto di una generazione molto legata al nido, ma più per necessità che per scelta: spesso questi ragazzi hanno stipendi così bassi che senza il supporto dei genitori non riuscirebbero a sopravvivere.Valentina NavonePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Non solo bamboccioni: i giovani hanno voglia di riscatto». La testimonianza di un'ex stagista di Chiesi.- E se Steve Jobs fosse nato a Napoli? Essere «affamati e folli» a volte non basta- «Non è un paese per bamboccioni», un libro per chi è stufo di piangersi addosso

Ottanta tirocini alla Nato pagati 800 euro al mese, bando aperto fino al 30 aprile

Un tirocinio pagato 800 euro (lordi) al mese in una delle organizzazioni internazionali più importanti al mondo. Si tratta del programma di traineeship offerto dalla Nato, ente con circa 1.300 dipendenti che ogni anno recluta decine di giovani laureati di diverse nazionalità desiderosi di farsi le ossa in uno dei suoi dipartimenti. Dalla sicurezza agli affari politici, passando per il settore legale e la difesa (la scelta può cadere al massimo su tre opzioni). La deadline per partecipare a questa edizione, che si svilupperà in due fasi con inizio a marzo e settembre 2013, è fissata al 30 aprile entro la mezzanotte. Superata questa data occorrerà aspettare l'anno prossimo per candidarsi perchè viene pubblicato un solo bando all'anno. La buona notizia è che, oltre a un emolumento più che dignitoso, i tirocinanti possono anche percepire rimborsi per borse di studio e per spese di viaggio fino a 1.200 euro. Inoltre, il numero indicativo di candidati ammessi al progetto è di circa 40 per ogni semestre, ma la cifra totale può variare anche per il flusso di stagisti provenienti da altri programmi di internship nazionali o scolastici. Per il 2012, come spiega alla Repubblica degli Stagisti Céline Shakouri-Dias del dipartimento risorse umane Nato, «sono stati scelti circa 80 interns su 3.200 candidati», lo stesso numero del 2010. Età media: attorno ai 23 anni. Peraltro gli italiani rappresentano una fetta consistente delle candidature: l'anno scorso sono stati ben 800 i connazionali che si sono fatti avanti, circa un quarto del totale.La notizia meno incoraggiante è invece che non ci sono possibilità di assunzione: «Non c'è un metodo per convertire lo stage in un lavoro vero e proprio» specifica Shakouri-Dias, «esistono dei casi in cui si fanno dei contratti bimestrali per permettere al candidato di terminare il suo progetto, così come altri in cui è possibile che i nostri interns si candidino a nostri concorsi pubblici, ma sta a loro riuscire a superarli. Per quanto ci compete, il programma di traineeship termina dopo i 6 mesi». Ma sulle faq del sito la situazione è descritta in maniera un po' più ottimista e viene spiegato che, pur non essendovi un collegamento diretto tra lo stage e l'assunzione, «questa possibilità può essere vagliata una volta terminato il programma di tirocinio e sempre che si siano rispettate tutte le regole previste per le selezioni di un determinato impiego». I requisiti. Per candidarsi bisogna avere più di 21 anni, essere originario di un paese Nato o suo partner, conoscere bene il francese o l'inglese e infine essere uno studente universitario al terzo anno o con una laurea conseguita da non più di 12 mesi. Non c'è un filtro per le tipologie di laurea, anche se sul sito si fa riferimento ad alcune facoltà come scienze politiche, relazioni internazionali, giornalismo, ma anche ingegneria o grafica.Application form: per compilarlo è necessario registrarsi al sito e inviare il curriculum più una lettera motivazionale di 500 parole sul perchè della propria candidatura.Il processo di selezione. Per questa tornata inizierà a luglio, mentre i traineeship avranno inizio a marzo o a settembre del 2013, per una durata di sei mesi (tranne eccezioni per motivi accademici che consentono un impegno più breve, ma mai sotto i tre mesi). Tutti i candidati saranno comunque avvisati dell'esito tramite una mail che arriverà tra settembre e ottobre. Per i vincitori sarà inoltre obbligatoria la sottoscrizione di una security clearance, ovvero un nulla osta per la sicurezza rilasciato dal paese d'origine e dall'ufficio di sicurezza della Nato.Criteri di selezione, la short list si costruisce in base al curriculum in relazione alla compatibilità con il dipartimento prescelto dal candidato. Ma contribuisce anche il nationality and gender balance, ovvero un sistema di riequilibrio dei vincitori in base alla provenienza geografica e al genere.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Cento tirocini ben pagati all’Agenzia per i diritti fondamentali, alla Nato e all’Agenzia per i medicinali- Erasmus Placement: per gli studenti universitari tirocini da 600 euro al mese in tutta Europa. Ecco come funzionano i bandiE anche:- Fuggi-fuggi dall'Italia: sono almeno 2 milioni i giovani all'estero

Medici specializzandi, allarme rientrato: sparisce l'emendamento sull'Irpef per le borse di studio

Allarme rientrato per i 22mila medici specializzandi a rischio tassazione Irpef. Mentre i camici bianchi "scioperavano" in tutta Italia astenendosi dal lavoro in corsia, la commissione Finanze della Camera ha approvato un emendamento abrogativo della norma che mirava ad introdurre sul reddito dei medici in formazione l'imposta sulle persone fisiche per la parte eccedente gli 11.500 euro di retribuzione lorda annuale. «È stata una vittoria di tutti» è il commento a caldo di Carmine Cerullo, delegato del comitato nazionale che questa mattina ha incontrato i vertici della commissione parlamentare. Presente anche il sottosegretario alle Finanze Vieri Ceriani «che ha dato parere positivo perché l'emendamento sia tolto e ridiscusso in seguito in sede di delega fiscale» spiega Cerullo. Approvati il 4 aprile scorso al Senato, i commi incriminati sono il 16 ter e quarter dell'articolo 3 della legge di conversione del decreto "crescitalia" che minacciavano di colpire, insieme ai camici bianchi, tutti i titolari «di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale». In parole povere la stragrande maggioranza dei giovani precari che fanno ricerca all'interno di università e istituti pubblici o privati, in tutti i settori disciplinari. «La ratio dell'emendamento era quella di fare un po' di cassa, non c'è dubbio» osserva l'onorevole Tea Albini (Pd), una delle promotrici della correzione che ha assicurato il ritorno allo status quo. «La situazione dei dottorandi e dei borsisti è probabilmente anche peggiore della nostra» ammette Demo Dugoni (nella foto insieme a Valentina Romeo), membro del direttivo di Federspecializzandi che, insieme al Segretariato italiano dei giovani medici (SIGM), ha lanciato nei giorni scorsi l'allarme. Per gli specializzandi il salasso sarebbe stato di circa 300 euro mensili, su una busta paga di 1.750 euro. Una retribuzione che pone la categoria altamente al di sopra della media dei titolari di borse e assegni di ricerca. Ma il vantaggio appare comunque molto relativo considerate le responsabilità e l'impegno richiesto agli specializzandi, che possono arrivare a lavorare anche 70 ore settimanali. Per non parlare del faticoso cursus honorum che si deve affrontare per arrivare in reparto. «Ci sono scuole di specializzazione che hanno attese di 4 o 5 anni» racconta ancora Dugoni che fortunatamente è riuscito a vincere al primo tentativo il concorso per la scuola di specializzazione in neurochirurgia all'Umberto I di Roma. «Non siamo lavoratori dipendenti e non ha alcun senso tassarci come tali» spiega Valentina Romeo, anche lei specializzanda al policlinico romano ma in chirurgia generale. «Per la scuola di specializzazione paghiamo già le tasse universitarie (circa 3.000 euro annuali ndr); poi ci sono l'assicurazione e i contributi Inps ed Enpam. Il 70% degli specializzandi sono inoltre dei fuorisede e devono affrontare ingenti spese aggiuntive per completare la propria formazione».Ovvio che dinanzi alla prospettiva di un'ulteriore decurtazione dello stipendio i futuri specialisti siano insorti in massa. Lo sciopero indetto per oggi «ha avuto un'adesione altissima in tutte le cliniche universitarie del paese: siamo intorno all'80%» racconta Dugoni «non era mai accaduto prima». E considerato il fattivo apporto dato dagli specializzandi ai vari reparti si può essere certi che il disagio sia stato avvertito nitidamente in moltissimi ospedali. Nonostante che per medici e borsisti l'allarme sia ufficialmente rientrato, «la manifestazione nazionale prevista per domani davanti a Montecitorio resta confermata», assicura Carmine Cerullo, «per chiarire che siamo pronti alla mobilitazione qualora un testo del genere venga ripresentato in futuro». In corsia si torna solo mercoledì.Ilaria CostantiniPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Medici specializzandi e tirocinanti psicologi, la lunga gavetta delle professioni sanitarie

Congedo di paternità obbligatorio, passo in avanti verso l’Europa

La riforma del lavoro, approvata dal governo lo scorso 23 marzo, introduce tra le varie novità per la prima volta nel nostro Paese il congedo di paternità obbligatorio. Il testo del provvedimento presentato due settimane dopo stabilisce infatti, all'articolo 56, che «il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di tre giorni, anche continuativi». Cosa significa? Se la riforma dovesse passare, tutti i lavoratori dipendenti avrebbero diritto a tre giorni continuativi di assenza dal lavoro nei cinque mesi successivi alla nascita del proprio figlio, regolarmente retribuiti. Ma,  chiarisce il provvedimento, di questi tre giorni, due sono «in sostituzione della madre e con un riconoscimento di un’indennità giornaliera a carico dell’Inps pari al cento per cento della retribuzione e il restante giorno in aggiunta all’obbligo di astensione della madre con un riconoscimento di un’indennità giornaliera pari al cento per cento della retribuzione». Inoltre, «il padre lavoratore è tenuto a fornire preventiva comunicazione in forma scritta al datore di lavoro dei giorni prescelti per astenersi dal lavoro, almeno quindici giorni prima dei medesimi».Questo significa che due dei tre giorni obbligatori per i padri vengono sottratti a quelli a disposizione per la madre. È utile ricordare che le madri italiane possono già avere cinque mesi di congedo retribuito all'80% e un numero indefinito opzionale di mesi al 30% dello stipendio, fino al compimento del primo anno di età del bambino. Il congedo di paternità va distinto da quello parentale, che già esiste in Italia, anche se facoltativo. Fino all’ottavo anno di età del bambino il padre può assentarsi dal lavoro per un periodo di tempo, continuativo o frazionato, pari a cinque mesi, percependo una retribuzione pari al 30% di quella normale. Tuttavia le astensioni dal lavoro, se utilizzate da entrambi i genitori, non possono superare il limite massimo complessivo di 11 mesi.L'introduzione del congedo di paternità comporta un cambiamento significativo: oggi esso esiste ma è una (rara) agevolazione che le aziende possono concedere ai propri dipendenti, sulla base di specifici accordi contrattuali o come una specie di «benefit» individuale. Rendendolo universale il governo allinea finalmente il nostro Paese al panorama europeo, dove invece è già ampiamente diffuso e dove già esistono benefici significativi sia per il padre che per la madre.In ambito istituzionale è tuttora in corso un dibattito: un anno e mezzo fa il Parlamento europeo ha adottato in prima lettura le revisione della direttiva sul congedo parentale che prevede l’estensione nei paesi Ue del congedo di maternità a 20 settimane totalmente retribuite e un congedo di paternità di due settimane. Oggi il provvedimento è in attesa della reazione del Consiglio prima di passare alla seconda lettura. Qual è la situazione attuale in Europa? A portare il buon esempio sono, come spesso accade in materia di welfare, i paesi scandinavi. Secondo le rilevazioni dell’Eiro (European industrial relations observatory online), osservatorio europeo del lavoro, in Norvegia i neopapà possono godere di sei settimane di congedo retribuito al 100% e di 45 settimane, da dividere con la madre, all’80%. In Finlandia i padri hanno diritto a un congedo retribuito di quattro settimane, in Danimarca a due. Tutti e tre i paesi presentano tassi di natalità più elevati rispetto all’Italia: nel primo caso è 12 ogni mille abitanti; nel secondo e nel terzo 11,2 (dati Onu 2010). Il nostro Paese, secondo le ultime rilevazioni Istat, si attesta su 9,1 ogni mille abitanti.  La differenza è evidente. Ma è sufficiente anche solo spostarsi oltralpe per trovare una situazione migliore della nostra: in Francia i papà beneficiano di un congedo retribuito di due settimane, di cui undici giorni di paternità e tre per «motivi familiari». Lo stesso per il Regno Unito: il periodo di assenza dal lavoro, completamente pagato, è pari a due settimane, da sfruttare in qualsiasi momento fino a otto settimane dopo la nascita. Nei due paesi il tasso di natalità registrato è pari, rispettivamente, al 12,2 e al 12%. Anche in stati con un tasso di natalità appena poco più alto del nostro, come nel caso del Portogallo (10,5 nati ogni mille abitanti) è in vigore il congedo di paternità: l’astensione dal lavoro può arrivare fino a cinque giorni, con una retribuzione al 100%.Si passa invece da cinque a due giorni di astensione retribuita dal lavoro in Spagna (tasso di natalità di 10,8 su mille abitanti), Paesi Bassi (11,1 nati ogni mille abitanti), e Grecia (9,3 ogni mille abitanti).Ma l'Italia non è sola: anche in altri paesi Ue invece non esiste ancora un congedo di paternità obbligatorio. È il caso di Austria, Germania (dove il padre però può dividere con la madre fino a 12 mesi di astensione dal lavoro,al 67% della retribuzione) e Irlanda, dove a marzo 2007 è stato stabilito un congedo retribuito per le madri di 26 settimane, al 75% dello stipendio, mentre per i papà non esiste alcuna formula che consenta di usufruire della retribuzione piena (o quasi piena) per accudire per un periodo i propri figli.Recenti anche le decisioni in materia di tutela dei padri lavoratori adottate oltreoceano: negli Stati Uniti parlare di congedo di paternità retribuito è quasi un’utopia. Attualmente non esiste neppure un congedo di maternità completamente pagato; dal 2003 neomamme e neopapà possono richiedere 12 settimane tra congedi per malattia e parentali. Per beneficiarne però è indispensabile aver lavorato almeno 1.250 ore nel corso dell’ultimo anno per un datore di lavoro con più di 50 dipendenti. Negli anni successivi, le legislazioni di alcuni stati hanno iniziato ad adottare provvedimenti che vanno incontro alle esigenze del lavoratore: dal 2004 in California è possibile ottenere sei settimane di congedo parentale parzialmente retribuito. Anche negli stati di Washington e del New Jersey si stanno seguendo politiche simili, ma tuttora la maggior parte dei neopapà americani continua a prendere giorni di permesso non pagati o di malattia per stare con i propri figli nei primi mesi di vita.In ogni caso, per arrivare anche in Italia a una «maggiore condivisione nella gestione dei figli da parte di entrambi i genitori e una maggiore conciliazione tra i tempi del lavoro e quelli della famiglia», così come auspicato dal ministro del Lavoro Elsa Fornero, bisognerebbe fermarsi e pensare ad alcune integrazioni. Innanzitutto, sarebbe opportuno che nel passaggio in Parlamento il testo della riforma cambiasse, e venisse sensibilmente aumentato il numero – finora francamente aneddotico – di giorni di congedo per i neopapà. E soprattutto che il congedo di paternità non sia considerato un beneficio da concedere al padre, privando le madri del tempo per stare con i propri figli, ma come un pieno diritto per entrambi i genitori, in modo da stare vicino al bambino nelle fasi iniziali della crescita.Chiara Del PriorePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Donne e libere professioni, un binomio ancora difficile- Riforma del lavoro, ecco punto per punto cosa riguarda i giovani- Riforma del lavoro, il ministro Fornero: «Non andrà in vigore prima del 2013»

Fair trade come opportunità di lavoro, ai giovani piace «fare la cosa giusta»

Giovani imprenditori a caccia di nuove idee. La nona edizione di Fà la cosa giusta!, che dal 30 marzo al 1 aprile ha visto 700 espositori e migliaia di visitatori invadere gli spazi di Fieramilanocity, ha riconfermato questa fiera come il  riferimento italiano per «tutto ciò che viene consumato con il cervello» - definizione cara a Fausto Trucillo di Terre di mezzo, associazione organizzatrice dell’evento. A partecipare è da sempre un pubblico trasversale di cultura medio-alta, dai super esperti desiderosi di conoscere le ultime novità del consumo critico ai semplici curiosi. Tra venditori in coloratissimi abiti africani che propongono i libri e le riviste di Terre di mezzo e code per prendere l’acqua del rubinetto (vietato vendere bottigliette), si può assistere a un concerto etnico comodamente seduti su cassette della frutta riciclate o partecipare a presentazioni di libri - per esempio quella di Alice senza niente, romanzo di Pietro de Viola sulla precarietà giovanile. Trucillo, responsabile della sezione turismo, spiega che la tematica dell'occupazione dei giovani è fondamentale per Terre di mezzo ed è trasversale a tutte le attività della fiera, anche se non c’è una sezione dedicata.Camminando attraverso le 11 sezioni (turismo consapevole – il tema speciale di quest’anno – e poi cibo, critical fashion, cosmesi, abitare green, mobilità sostenibile, bambini, commercio equo e solidale, pace e partecipazione, servizi per la sostenibilità e spazio narrativa), si nota come la manifestazione richiami sempre più aziende del sud Italia. E a settembre Palermo dovrebbe ospitare una nuova edizione dell’evento. Ci sono anche ditte straniere - dal Brasile, dall'Armenia, dalla Svizzera - e uno degli obiettivi dei prossimi anni è far conoscere sempre più Fà la cosa giusta! anche all’estero. La realtà economica attuale pesa nel settore del consumo consapevole: «Questo non è un anno come gli altri» spiega Trucillo, «la crisi ha inciso sui produttori e sui consumatori. I numero di visitatori a occhio, senza numeri ufficiali, sembra simile alle precedenti edizioni. Ma hanno meno soldi da spendere quindi cercano soluzioni più economiche o più puntuali, investendo in un oggetto che duri nel tempo».I giovani tra il pubblico sono molti, e secondo Trucillo costituiscono anche una fetta importante degli espositori: «Sono presenti soprattutto nell’agricoltura, che cerca di superare le difficoltà del momento eliminando gli intermediari, o nel critical fashion, dove usando elementi riciclati si può risparmiare sugli altissimi costi delle materie prime e allo stesso tempo fare qualcosa per l’ambiente».  «Quando è nata, Fà la cosa giusta! era una festa: ora è l’espressione di un ambito economico» riassume Trucillo: «Espositori e visitatori vengono qui a cercare stimoli, che si trasformano in progetti imprenditoriali». Fiere come questa diventano quindi anche incubatori importanti per nuovi progetti, in un periodo nel quale i ragazzi più che trovare lavoro devono inventarselo.Valentina NavonePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Alice senza niente», in un romanzo la vita nuda e cruda dei giovani squattrinati precari italiani- Regione Piemonte, un milione di euro per chi sostiene i giovani imprenditori- Imprenditoria giovanile, ecco chi la sostiene

Stage, il ddl Fornero punta a introdurre rimborso spese obbligatorio e sanzioni per chi sfrutta

Poco meno di due settimane fa il ministro Elsa Fornero e il premier Mario Monti avevano illustrato i contenuti della riforma del lavoro che intendono realizzare. I punti erano poi stati resi disponibili alla stampa e ai cittadini attraverso un testo per cosi dire "programmatico", un documento di 26 pagine che spiegava argomento per argomento le intenzioni del governo. Ma quel testo non era ancora definito, non aveva la forma di un atto normativo. Ora ce l'ha. Dopo 12 giorni di lavoro - e di ultime trattative - Monti e Fornero si sono ritrovati ieri pomeriggio di nuovo fianco a fianco, di nuovo in conferenza stampa, per presentare il dettato definitivo che il governo propone ai due rami del Parlamento - in prima battuta al Senato. Il «Disegno di legge recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita» si articola lungo 79 pagine [scarica qui il pdf], che la Repubblica degli Stagisti nei prossimi giorni approfondirà e presenterà ai suoi lettori per capire appieno la portata dei cambiamenti proposti e gli effetti sull'occupazione giovanile. Il primo focus, oggi, è sull'articolo 12 e riguarda il tema dei tirocini formativi.Cosa diceva il testo programmatico rispetto agli stageIl testo del 23 marzo era molto generico in proposito: al punto 2.10 diceva che «nel rispetto dei profili di competenza regionale» sarebbero state individuate, «unitamente alle regioni stesse», alcune non meglio precisate «misure rivolte a delineare un quadro più razionale ed efficiente dei tirocini formativi e di orientamento, al fine di valorizzarne le potenzialità in termini di occupabilità dei giovani e prevenire gli abusi, nonché l’utilizzo distorto dell’istituto, in concorrenza con il contratto di apprendistato». Il governo si riprometteva cioè di elaborare alcune «linee guida per la definizione di standard minimi di uniformità della disciplina sul territorio nazionale», riservandosi peraltro (un po' fumosamente) di prevedere anche  «misure, riconducibili alla esclusiva competenza dello Stato, volte a disciplinare i periodi di attività lavorativa che non costituiscono momenti del percorso di tirocinio formativo, ad evitare un uso strumentale e distorto delle attività esclusivamente lavorative svolte nel tirocinio». Niente veniva detto però rispetto al contenuto delle linee guida. Cosa prevede il disegno di leggeOra l'articolo 12 del ddl qualcosa lo precisa, quantomeno nelle intenzioni. Promette che, all'indomani dell'applicazione definitiva della riforma - ipotizzabile per l'estate - partirà un conto alla rovescia che, nel giro di massimo 6 mesi, dovrebbe portare all'approvazione di «uno o più decreti legislativi finalizzati ad individuare principi fondamentali e requisiti minimi dei tirocini formativi e di orientamento». Questo decreto verrà elaborato «dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano».Disciplina da rivedere interamente per frenare gli abusiE conterrà disposizioni coerenti con quattro «princìpi e criteri direttivi». Il primo: «revisione della disciplina dei tirocini formativi, anche in relazione alla valorizzazione di altre forme contrattuali a contenuto formativo». Cioè la normativa verrà rimodellata per rendere lo stage meno intercambiabile con l'apprendistato, in modo che cessi di esserne un concorrente sleale. Il secondo: «previsione di azioni e interventi volti a prevenire e contrastare un uso distorto dell’istituto, anche attraverso la puntuale individuazione delle modalità con cui il tirocinante presta la propria attività». Qui si può evincere che il governo abbia intenzione di porre paletti più stringenti per quanto riguarda la durata massima, le garanzie di qualità formativa, il raggio di possibile applicazione degli stage, con l'obiettivo di rendere più difficile ai datori di lavoro il malcostume di utilizzare i tirocinanti come se fossero dipendenti, lasciandoli soli dopo qualche giorno di formazione sommaria, e richiedendo loro prestazioni e autonomia e gravandoli di responsabilità. Si pensi qui solo all'enorme bacino degli stagisti utilizzati come commessi nei supermercati, come baristi e camerieri nei locali, come receptionist negli alberghi. Sanzioni per chi abusa dello stage e rimborso spese obbligatorioMa sono senz'altro il terzo e il quarto dei punti messi nero su bianco da Monti e Fornero a suscitare le migliori speranze. Il terzo prevede infatti la «individuazione degli elementi qualificanti del tirocinio e degli effetti conseguenti alla loro assenza, anche attraverso la previsione di sanzioni amministrative, in misura variabile da mille a seimila euro». Finalmente cioè la normativa sugli stage smetterebbe di essere sine sanctione - al pari una sorta di mero suggerimento, senza alcuna possibilità di punire il trasgressore - e si introdurrebbe un deterrente monetario. Infine, il quarto «criterio e principio» è quello per il quale la Repubblica degli Stagisti si batte fin dalla sua nascita: la «previsione di non assoluta gratuità del tirocinio, attraverso il riconoscimento di una indennità, anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta». Stop agli stage gratuiti dunque. Non viene specificato se il divieto di gratuità andrà applicato a tutti i tirocini, oppure solo a quelli extracurriculari (questa via, più soft, è stata quella utilizzata dalla Regione Toscana e dalla Regione Abruzzo che per prime hanno legiferato introducendo l'obbligatorietà di un rimborso spese minimo). Ma si tratta comunque di un principio di portata rivoluzionaria per l'Italia: che anche la prestazione di uno stagista, benché non esperto, benché in formazione, è meritevole di riconoscimento economico.Ora si vedrà l'iter parlamentare di questo ddl: ma il primo giudizio della Repubblica degli Stagisti su questo articolo 12 è sicuramente positivo.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Riforma del lavoro, ecco punto per punto cosa riguarda i giovani- Riforma del lavoro, il testo apre a nuove linee guida nazionali sugli stageE anche:- Riforma Fornero, cosa non va secondo i sindacalisti esperti di precariato- Abolire gli stage post formazione: buona idea ministro, ma a queste condizioni

Abolire il valore legale del titolo di studio? Il ministero lancia un sondaggio

Sul tema del valore legale del titolo di studio il dibattito sembra essere giunto a una fase di stallo. C’è chi propone di abolirlo per liberalizzare il mercato del lavoro, e chi ritiene invece opportuno mantenerlo quale garanzia fondamentale del diritto allo studio. Ogni parte schiera in campo esperti di rilievo con motivazioni complesse e ragionate. Ecco allora che il governo Monti, alla fine di gennaio, ha proposto una soluzione per uscire dall’impasse: indire una consultazione pubblica online che raccolga spunti, opinioni e pareri direttamente dai cittadini. Il sondaggio è composto da quindici quesiti ed è stato avviato il 22 marzo; nel giro dei primi quattro giorni hanno risposto ben 20mila persone. Prima di partecipare, però, è bene approfondire l’oggetto della consultazione. A partire dalla definizione del valore del titolo legale di studi, come recentemente espressa dal Servizio studi del Senato: si tratta di un istituto giuridico che va «desunto dal complesso di disposizioni che ricollegano un qualche effetto al conseguimento di un certo titolo scolastico o accademico». Cosa vuol dire? Che oggi le lauree e i diplomi hanno una rilevanza giuridica per poter accedere ad alcune professioni, per lavorare nel settore pubblico e per avanzare nella carriera accademica all’interno di scuole e università. Le autorità che possono emettere titoli di studio con valore legale, quindi, sono esclusivamente le amministrazioni pubbliche incaricate dalla legge o gli istituti privati riconosciuti legalmente dal Miur. I titoli di studio conseguiti all’estero non hanno valore legale a meno che non siano considerati equipollenti a quelli italiani sulla base di convenzioni internazionali o leggi nazionali. A complicare la questione vi è il fatto che il valore legale non è regolato da una normativa unica, ma da un insieme di norme e leggi che si sono andate stratificando nel tempo. La consultazione, comunque, non interesserà gli effetti del valore legale sui percorsi di carriera accademici, ma esclusivamente le ricadute sul mercato del lavoro.Quali sono le principali ragioni di chi è in favore dell'abolizione del valore legale? Sicuramente instaurare una competizione tra le università; ma anche prevenire fenomeni come quello dei dipendenti pubblici (o aspiranti tali) che, per poter partecipare ai concorsi che hanno come prerequisito un determinato titolo di studi, si rivolgono a università private compiacenti che, in cambio della retta, forniscono lauree di dubbia qualità. «La finalità è bloccare i diplomifici» chiarisce in un intervento Marco Meloni [nella foto], responsabile università del Partito Democratico «che da un lato mortificano il sistema universitario, dall’altro sottraggono impegno al lavoro dei pubblici dipendenti orientandoli verso l’acquisizione di titoli di studio fittizi». Chi è contrario, invece, ritiene che proprio il valore legale del titolo di studio sia una garanzia imprescindibile di uguaglianza per i cittadini, sia in termini di diritto alla formazione, sia in termini di possibilità di accesso al mondo del lavoro. In una lettera aperta ai parlamentari abruzzesi, il rettore dell'università dell'Aquila Ferdinando di Orio commenta: «In un sistema di generale precarizzazione del mondo lavoro, [il valore legale] rappresenta la migliore ed unica garanzia in grado di assicurare reali condizioni di uguaglianza per tutti i cittadini nell’accesso al mondo delle professioni. Il che non esclude che, oltre il titolo di studio, possano essere effettuate le opportune valutazioni sul curriculum dei candidati al concorso e/o alla progressione di carriera». Alla consultazione online tutti possono partecipare direttamente dal sito web del ministero dell’Istruzione: il termine per rispondere al questionario è il 24 aprile, dopodichè i contributi ricevuti verranno resi pubblici (in forma anonima) e sintetizzati in un documento riepilogativo. I risultati della consultazione saranno oggetto di seminari e soprattutto costituiranno il cuore delle proposte da sottoporre al Consiglio dei Ministri e di tutti i provvedimenti in materia da parte del Miur. Certo, c’è da dire che non si tratta di un vero e proprio sondaggio popolare: già la complessità della tematica e il fatto che la consultazione sia effettuata esclusivamente tramite il canale online esclude dal quadro una buona fetta della popolazione italiana. L’obiettivo del governo, comunque, consiste espressamente nel coinvolgere nel dibattito in particolar modo i giovani, che saranno in fondo i diretti interessati da un’eventuale riforma.di Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Quanto vale la laurea nei concorsi? Bandi poco chiari sulle equipollenze tra i titoli, arriva una guida dal ministero- Riforma del lavoro, ecco punto per punto cosa riguarda i giovani- Università come agenzie per il lavoro a costo zero: una deriva da scongiurare- Tutti geni i neolaureati italiani? Nuovi dati Almalaurea: alla specialistica il voto medio è 108, con punte di 111 per le facoltà letterarie

Confindustria a Varese finanzia 50 stage: «Puntiamo al 100% di assunzioni»

L'Unione industriali della provincia di Varese lancia What's next?, un progetto che prevede l'attivazione di 50 stage trimestrali nelle aziende associate. Tirocini che Univa punta a trasformare tutti in veri e propri posti di lavoro.Traguardo ambizioso, dunque, quello posto da Giovanni Brugnoli [nella foto], presidente dell'associazione di categoria del varesotto. 42enne originario di Busto Arsizio, titolare di un'impresa tessile attiva nel settore dello sport e dell'arredamento, Bugnoli è stato eletto alla guida degli industriali varesini nel maggio scorso, dopo essere stato per quattro anni vicepresidente. Nel suo curriculum c'è anche la presidenza dei giovani imprenditori di Confindustria Lombardia. «Noi puntiamo al 100%, a dare un lavoro a tutti e 50 gli stagisti. Questo è l'obiettivo e su questo stiamo lavorando, contiamo di riuscirci o quantomeno di avvicinarci il più possibile alla meta». Tanto ottimismo si basa sul fatto che «le stesse imprese che hanno aderito al progetto lo hanno fatto proprio con l'intenzione di avviare degli stage con la prospettiva di incrementare il proprio organico».Per questo progetto l'Unione industriali ha stanziato 100mila euro: l'obiettivo è quello di garantire 50 borse lavoro trimestrali, con un rimborso di 500 euro mensili per ogni tirocinante. In totale gli emolumenti per gli stagisti costeranno ad Univa 75mila euro. Gli altri 25mila - ben un quarto dello stanziamento totale - serviranno per pagare la promozione e l'attivazione dei tirocini: ma dato che l'associazione di categoria per legge non può far incontrare domanda e offerta, ha dovuto appoggiarsi a 4stars. Questa realtà, che sul proprio sito si definisce  «società senza scopo di lucro», svolgerà dunque il ruolo di soggetto promotore. Quando la Repubblica degli Stagisti ha chiesto agli industriali quanti di questi 25mila euro andranno all'agenzia e quanti a coprire le altre spese promozionali, la risposta è stata però evasiva: «Si tratta di un contratto tra privati». È stata poi 4stars a confermare che tutti i 25mila euro andranno a lei: la presidente Chiara Grosso ha infatti spiegato che la cifra rappresenta «un forfait che ci permette di sostenere Univa nella realizzazione di tutte le fasi del progetto, dalla ideazione e progettazione, alla comunicazione, reclutamento, selezione, informazione, pratiche stage in tutte le loro fasi, monitoraggio, sostituzioni e adempimenti amministrativi».Ora, perché Univa ha scelto di appoggiarsi ad una realtà privata invece di coinvolgere i nove centri per l'impiego attivi sul territorio provinciale? Ragioni operative, spiegano dall'associazione: i cpi non offrirebbero la possibilità di assessment di gruppo e di colloqui individuali preliminari, elementi alla base del processo di selezione dei candidati previsto nel bando. Servizi che invece 4stars è in grado di erogare. L'agenzia si occuperà infatti di tutti gli aspetti relativi alla selezione: sceglierà dunque direttamente le persone da inviare nelle aziende, che non si vedranno sottoporre una rosa di candidati tra i quali scegliere il tirocinante, ma accoglieranno "a scatola chiusa" lo stagista scelto per loro dall'agenzia.All'iniziativa, che non ha un termine preciso di chiusura ma scadrà non appena verranno attivati tutti i progetti, possono prendere parte esclusivamente i disoccupati e gli inoccupati residenti in provincia di Varese. È previsto un limite di età di 25 anni per i diplomati, che sale a 28 per i laureati. Le figure richieste sono ragionieri, periti tecnici, meccanici e chimici, così come laureati in economia, marketing, scienze della comunicazione, chimica, ingegneria gestionale, meccanica ed elettronica.Quali sono però le attività che potranno essere svolte nell'ambito di What's next? Il progetto è suddiviso in cinque i settori di impresa, per ognuno dei quali sono previste dieci borse. Il primo è quello commerciale, con particolare riferimento all'analisi del mercato e all'avvio di progetti di e-marketing. C'è poi la sezione amministrativa, che impiegherà i tirocinanti nella contabilità generale, e quella logistica, che coinvolgerà i giovani nella gestione dei magazzini e nei rapporti con i fornitori. I dieci progetti legati all'assistenza tecnica impegneranno gli stagisti nel collaudo di macchinari utensili. L'ultimo ambito è quello della progettazione, nel settore della lavorazione di plastica e metallo, che accompagnerà il tirocinante dalla fase di ricerca fino a quella dello sviluppo del prodotto. In totale, sono 42 le aziende coinvolte, tutte sono associate Univa: alcune attiveranno più di un tirocinio.Ogni progetto prevede una borsa mensile di 500 euro: la prima tranche verrà erogata al termine dei primi due mesi di tirocinio. Ma è bene sapere che in caso di conclusione del rapporto prima di questa scadenza l'emolumento scomparirà. Per quale motivo? «Vogliamo evitare l'abbandono del primo mese», spiega Brugnoli. «L'obiettivo è quello di affrontare un periodo di formazione di tre mesi, durante il quale l'azienda si mette a disposizione degli stagisti per insegnare loro il lavoro». Per questo, lasciare prima dei sessanta giorni «sarebbe un danno per l'azienda, ma anche per quei ragazzi che non hanno superato la selezione», rimanendo esclusi dai tirocini. Questi ultimi, in caso di abbandono prima dei due mesi, verrebbero ripescati. E proprio grazie al "risparmio" della borsa di chi ha abbandonato potrebbero usufruire di un tirocinio trimestrale con rimborso spese pieno.La candidatura può essere effettuata solo via Internet, collegandosi al sito di 4stars, compilando la modulistica e allegando una copia del curriculum. Dopo aver verificato i profili dei candidati, l'agenzia svolgerà dei colloqui con quelli papabili, quindi proporrà ai selezionati l'attivazione del tirocinio. Con l'auspicio che l'ottimismo di Brugnoli possa tradursi in realtà, trasformando i 50 stage in altrettanti posti di lavoro.Riccardo SaporitiPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Stage in fabbrica raccontati in un libro al vetriolo: «Mi sento già molto inserito» di Mauro Orletti- Rapporto Excelsior 2009: sempre più stagisti nelle imprese italiane, sempre meno assunzioni dopo lo stage- Tirocinio: una parola, tanti significati

Regione Piemonte, un milione di euro per chi sostiene i giovani imprenditori

Prende il via questa settimana la misura 2 del Piano giovani 2011/2013 che, con un milione di euro messo a disposizione dalla Regione Piemonte, intende sostenere le strutture che aiutano i giovani a fare impresa. Imprenditori per i giovani sul territorio: questo il nome dato al nuovo bando che dovrebbe permettere, grazie ai consigli di “esperti”, di dare avvio a iniziative imprenditoriali dal potenziale risultato positivo.Il finanziamento però non è destinato direttamente ai giovani che in prima persona vorrebbero provare a creare un’attività, bensì agli intermediari: cioè gli incubatori piemontesi di imprese, Piemontech, le fondazioni promosse da enti locali e le associazioni no profit del territorio. Sono questi i beneficiari diretti della misura: la Regione li sosterrà economicamente affinché aiutino gli under 35, nel bando definiti «destinatari finali». Come? Con attività di scouting per individuare l’idea imprenditoriale e di primo accompagnamento delle imprese. Sia quelle già attive nel registro della Camera di Commercio, sia quelle imprese non ancora costituite alla data di presentazione della domanda - in quel caso all’impresa “incubatrice” basterà indicare i nomi delle persone fisiche responsabili della nuova attività imprenditoriale da sostenere. L’importo iniziale di un milione di euro potrebbe poi anche aumentare «in relazione all’andamento delle richieste, soprattutto se, come speriamo, arriveranno numerose», come ha commentato l’assessore regionale allo sviluppo economico Massimo Giordano.  L’intervento, però, ha alcuni punti critici. Le cifre innanzitutto non sono cumulabili con altre forme di finanziamento e permettono una copertura dei costi di scouting e di primo accompagnamento fino a un massimo di soli 10mila euro. Una somma estremamente contenuta che tra l'altro - è bene ricordarlo - non andrà direttamente agli aspiranti imprenditori, ma agli intermediari. Il bando prevede, poi, 2mila euro aggiuntivi nel caso di «perfezionamento dell’investimento», cioè nel caso di intervento ufficiale da parte degli investitori istituzionali una volta concluse le attività di scouting e di primo accompagnamento, con la messa in attività dell’iniziativa imprenditoriale proposta nella domanda. Ma anche in questo caso la cifra è molto bassa, quasi impercettibile per l’avvio di un’impresa. Tra l’altro, se nella domanda di sostegno finanziario  non si indica l’obiettivo di perfezionamento dell’investimento, si rischia anche di non usufruire di quest'ultima tranche.Per partecipare è necessario che gli intermediari vadano sul sito di Finpiemonte e compilino il modulo telematico. Prima di fare questo si può anche scaricare, sempre dal sito di Finpiemonte, il manuale di presentazione della domanda  per avere un aiuto passo dopo passo nella compilazione dei documenti.Una volta riempiti i moduli online è necessario stampare il file testo, firmarlo e spedirlo tramite raccomandata o corriere espresso alla Finpiemonte entro cinque giorni lavorativi dall’invio telematico. Le domande saranno esaminate in ordine cronologico di presentazione sulla base dei criteri di ricevibilità, ammissibilità e merito, sui tempi di consegna e sulla completezza della documentazione, sul possesso dei requisiti previsti e sul cronoprogramma di realizzazione dell’intervento compatibile con i termini fissati dal bando, sulla congruità e pertinenza dei costi dell’intervento. Una volta ricevuto il finanziamento, i beneficiari hanno l’obbligo di concludere il progetto nei tempi previsti dal bando, di comunicare eventuali variazioni rispetto all’intervento approvato, di fornire le informazioni necessarie per il monitoraggio finanziario, fisico e procedurale e di consentire i controlli e le ispezioni che Finpiemonte può effettuare per verificare lo stato di attuazione, il rispetto degli obblighi previsti dalla normativa e la veridicità delle dichiarazioni rilasciate.La misura Imprenditori per i giovani sul territorio rientra tra le dieci idee del Piano Giovani approvate dalla Regione nel luglio 2011 con l’obiettivo di combattere la disoccupazione giovanile e aumentare le opportunità lavorative e formative: il Piemonte, infatti, è tra le regioni maggiormente industrializzate quella che più ha subito l’aumento della disoccupazione giovanile passata, secondo dati Istat, dal 15% del 2008 al 24% del 2009. Proprio per far fronte a questi  numeri allarmanti, a luglio del 2011 il presidente Roberto Cota [nella foto] ha presentato il Piano Giovani che con uno stanziamento iniziale di undici milioni, attraverso lo sviluppo di dieci punti fondamentali, intende favorire un «nuovo patto generazionale» con l’obiettivo di «difendere i diritti di chi non ha nessun diritto». Lo scopo, annunciato da Cota a luglio, è quello di «contrastare la disoccupazione giovanile, perché per un giovane non avere lavoro vuol dire non programmare il futuro e questo semina incertezza e disagio in tutte le famiglie».Per ora però, a quasi un anno di distanza dall'annuncio, dei dieci punti del Piano giovani è stata approvata solamente - a metà dicembre - l’attribuzione delle risorse alle province per l’attivazione di tirocini formativi e di orientamento. Quasi 400mila euro a favore delle province per favorire l’occupabilità dei giovani neodiplomati e neolaureati attraverso l’attivazione di tirocini formativi e di orientamento. Il 50% delle risorse saranno attribuite alle province, come acconto, dopo la presentazione di un programma di attività e spesa, mentre la cifra a saldo arriverà dopo la presentazione del rapporto conclusivo delle attività e del rendiconto contabile. A breve poi - il bando dovrebbe uscire il 2 aprile - partirà la misura Incubatori non tecnologici, un sostegno finanziario per iniziative imprenditoriali giovanili a basso contenuto tecnologico.Da ieri intanto è attiva l'azione Imprenditori per i giovani sul territorio: peccato che la Regione non abbia direttamente coinvolto i suoi cittadini under 35 realizzando un piano che facesse riferimento a loro, senza passare attraverso terze persone.Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Imprenditoria giovanile, ecco chi la sostiene- Ricerca e start-up, centinaia di opportunità di lavoro per giovani imprenditori e ricercatori - Fondo Mecenati, 40 milioni di euro per la valorizzazione dei giovani talenti E anche:- Il ministro Giorgia Meloni: «Per investire sui giovani è necessario un cambio di mentalità»- Lavoro e giovani: ce l'abbiamo un'idea? L'associazione Rena mette pepe al dibattito

Stage in Sicilia, primo passo verso la legge di iniziativa popolare

«Io firmo gli stage», la proposta di legge di iniziativa popolare per garantire tirocini di qualità ai giovani siciliani muove un primo, importante passo. Lunedì 19 marzo, infatti, la commissione regionale per gli affari elettorali e referendari ha completato l'esame delle oltre 12mila firme raccolte dai giovani della Cgil Sicilia a sostegno della norma. Ed ha dato il via libera alla discussione del testo in consiglio regionale.«Un migliaio di firme è stato annullato ma, con 11mila sigle valide, abbiamo superato ampiamente il quorum», racconta Andrea Gattuso [nella foto sotto]. 26 anni, una laurea in scienze politiche con indirizzo in relazioni internazionali, dal 2009 al 2011 ha fatto parte dell'esecutivo nazionale dell'Unione degli universitari. E oggi è uno dei responsabili del Dipartimento politiche giovanili della Cgil Sicilia. Ora, il testo che regola le modalità di presentazione di leggi di iniziativa popolare all'Assemblea regionale siciliana richiede la sottoscrizione di almeno 10mila persone e dunque l'obiettivo è stato raggiunto. Quello di lunedì non è stato però un mero «passaggio burocratico»: ha riconosciuto la correttezza formale del lavoro svolto dalle tante associazioni studentesche e dalle formazioni giovanili dei partiti di centrosinistra che hanno collaborato con il sindacato, ma rappresenta sopratutto l'avvio di un percorso che, nelle intenzioni dei promotori, dovrebbe fare della proposta «Io firmo gli stage» una norma regionale.«Entro un paio di settimane avremo un parere sulla legittimità del nostro documento, sapremo cioè se l'argomento è tra quelli che possono essere regolamentati da una legge di iniziativa popolare», precisa un'ottimista Gattuso: «Ci è già stato assicurato,informalmente che non dovrebbero esserci problemi». Superato questo secondo scoglio, inizierà la discussione politica vera e propria sulla proposta. Ma quali sono le richieste contenute nel testo?Intanto c'è quella di fissare in sei mesi la durata massima dei tirocini, specificando che dovranno essere attivati al massimo entro un anno dal conseguimento della laurea o del diploma. Viene inoltre richiesto di vietare il ricorso agli stage per quelle professioni che non richiedano periodi di formazione articolati. Grande attenzione viene posta anche sul tema del monitoraggio dei progetti, ritenuto fondamentale per contrastare sul nascere eventuali abusi. Non poteva mancare, poi, l'aspetto economico. La campagna della Cgil mira ad istituire uno stanziamento, all'interno del bilancio regionale, da 10 milioni di euro. Di questi, 4 serviranno per un «Fondo per i tirocini formativi», che finanzierà le borse per gli stagisti. In particolare, la proposta di legge chiede che sia fissato un rimborso minimo di 400 euro mensili, metà a carico della regione, attraverso questo fondo, metà versati dall'azienda che ospita il tirocinio. Gli altri 6 dovranno invece essere utilizzati per incentivare le imprese a trasformare i tirocini in rapporti di lavoro veri e propri. In particolare, alle attività dovrebbe andare un contributo una tantum di 8mila euro per ogni giovane di età compresa tra i 18 ed i 30 anni inserito in organico, somma che salirebbe a 10mila euro se il lavoratore appartenesse ad una categoria protetta.«Tenteremo di inserire questa nostra ultima proposta all'interno del piano Barca, un progetto da 500 milioni di euro a sostegno dell'occupazione giovanile in Sicilia proposto dal ministero per la Coesione territoriale», sottolinea Gattuso, «visto che tra i vari interventi previsti da questo progetto c'è anche quello relativo agli stage retribuiti». Proposta che, se accolta, rimuoverebbe l'ostacolo economico, quello cioè legato allo stanziamento da 10 milioni, dal cammino verso l'approvazione della legge.Il 1 aprile il testo arriverà sul tavolo di Francesco Cascio [nella foto a destra], presidente dell'Ars che, entro 30 giorni, dovrà trasmetterlo alla commissione Lavoro di Palazzo dei Normanni. Quest'ultima avrà a disposizione sei mesi per discutere la proposta, eventualmente modificandola, per poi portarla in aula. Scaduto questo termine, la norma verrebbe comunque inserita all'ordine del giorno della prima seduta utile. E a quel punto i partiti dovranno decidere da che parte stare. Al momento, solo le organizzazioni giovanili di Pd e Sel hanno aderito all'iniziativa. «In questo momento non abbiamo adesioni ufficiali, abbiamo atteso che si pronunciasse la commissione elettorale prima di incontrare le segreterie regionali delle forze politiche», spiega Gattuso: «Ora vogliamo capire come si muoverà il governo sulla riforma del lavoro, che inciderà anche sui tirocini, dopodiché inizieremo un confronto con i partiti». Chiedendo loro un sostegno alla proposta di legge «Io firmo gli stage».Riccardo SaporitiPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Sicilia, 12mila firme per una legge sui tirocini di qualità- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio- La Carta dei diritti dello stagista ispira Regioni, associazioni politiche e siti web a tutelare gli stagisti. A cominciare dal rimborso speseE anche:- Provincia di Padova, la giunta detta le linee guida: stop agli stage gratuiti e niente stagisti nelle imprese non virtuose- Ancora lontana in Emilia la legge regionale sugli stage, la Cgil: «Entro febbraio? Ma se non esiste nemmeno una prima bozza!»- Stagisti a zero euro, no grazie: ecco perchè vietare il rimborso spese per legge sarebbe ingiusto e controproducente