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Tirocini nella pubblica amministrazione, Roma investe sulla qualità

Esattamente un anno fa il Comune di Roma pubblicava il bando di concorso per Pica, Percorsi di cittadinanza attiva, 36 progetti di stage per un totale di 189 tirocini di sei mesi all'interno di musei, biblioteche, municipi ed altre strutture dell'amministrazione capitolina. Al bando, aperto a giovani di età compresa tra 18 e 28 anni,  avevano risposto in più di 4.800 persone, in stragrande maggioranza laureati o laureandi. Una popolarità probabilmente dovuta anche al fatto che i tirocini prevedevano un rimborso spese di 350 euro mensili, per un impegno settimanale tutto sommato modesto: 20 ore più 5 di formazione. Dopo le selezioni e alcuni ritardi legati soprattutto ai cambiamenti della normativa sullo stage, Pica è partito a dicembre scorso. La Repubblica degli Stagisti è andata a vedere come procede l'esperienza iniziata dai ragazzi, che nel frattempo sono diventati 237. Scoprendo un inaspettato sforzo organizzativo messo in campo dal dipartimento risorse umane della capitale per offrire ai partecipanti un'esperienza formativa e spendibile. Un'inversione di rotta nell'atteggiamento degli enti pubblici rispetto allo stage? Speriamo proprio di sì. I numeri di Pica erano infatti così grandi da far temere l'ennesima infornata di stagisti nella pubblica amministrazione italiana - dove lo stage è usato in troppi casi in maniera distorta, ad esempio per coprire buchi di organico - offrendo scarse garanzie in termini formativi e di tutoraggio. Per non parlare dei rimborsi spese,  che nel pubblico sono una vera rarità. Da questo punto di vista i tirocini Pica sono senza dubbio un'eccezione. «Oltre che alla formazione sui temi della cittadinanza attiva, i percorsi hanno l'obiettivo di preparare i giovani al mercato del lavoro, creando anche una concreta occasione di scambio con le  istituzioni» spiega Enrico Cavallari, assessore alle risorse umane della giunta Alemanno [nella foto]. Promosso dall'ex ministro della Gioventù Giorgia Meloni, il progetto ha coinvolto inizialmente gli uffici e i servizi di Roma Capitale, chiamati a presentare - sulla base di precise linee guida - proposte di tirocinio nei settori dell'assistenza, ambiente, patrimonio artistico, promozione culturale, tutela e sicurezza del territorio, informatica, cooperazione e sviluppo locale. Alla fine i progetti selezionati dal dipartimento sono stati 36. Alessandra Caldarelli, laureanda in storia dell'arte, sta ad esempio lavorando su quello proposto dalla Sovrintendenza Il pubblico nei musei e nel territorio. «Per questo progetto alle selezioni eravamo circa 400 persone: ormai bisogna mettere nel curriculum tante esperienze diverse ed un po' tutti eravamo alla ricerca. E uno stage retribuito è sempre più ambito di uno gratuito», ammette Alessandra. Oltre al rimborso spese, la peculiarità di Pica consiste nell'investimento sulla formazione dei ragazzi, articolata in un periodo iniziale di circa un mese e in 5 ore settimanali obbligatorie di formazione a distanza su una piattaforma web con moduli inerenti l'orientamento, la sicurezza sul lavoro e il potenziamento di una lingua straniera. Al di là dei contenuti - forse perfettibili - si tratta di uno sforzo lodevole che, insieme al tutoraggio, costituisce uno dei punti di forza del progetto. I ragazzi intervistati hanno infatti sottolineato una presenza costante e quotidiana del tutor: fatto non trascurabile se confrontato con  analoghe iniziative promosse da grandi enti pubblici locali. Non tutti i progetti sono ovviamente convincenti allo stesso modo, almeno ad uno sguardo esterno. Booktrailer ad esempio, il laboratorio pensato dalla biblioteca Cornelia per la realizzazione di video di promozione della lettura, avrebbe probabilmente richiesto delle professionalità diverse da quelle presenti all'interno di un'amministrazione per insegnare al meglio ai ragazzi le tecniche di ripresa e di montaggio. Per molti dei partecipanti Pica costituisce poi uno stage post laurea e in questi casi un altro dei primi interrogativi riguarda il risvolto occupazionale. Un aspetto che resta il vero punto dolente di tutti i tirocini attivati all'interno della p.a., dove le possibilità di ottenere un contratto di lavoro sono di fatto insistenti. Al termine dello stage però «sarà rilasciato, in collaborazione con Isfol, un attestato di acquisizione di competenze denominato Validation of Prior Learning. Uno strumento di rilevazione sperimentato a livello europeo, attraverso il quale i ragazzi potranno dimostrare le competenze acquisite» precisa Damiano Colaiacomo, il direttore del dipartimento che ha di fatto reso possibile l'iniziativa rintracciando i fondi necessari (all'incirca 700mila euro, tra cui gli oltre 500mila per garantire gli emolumenti agli stagisti e circa 150mila per la piattaforma web) tra le pieghe del bilancio capitolino. Grazie al VPL i tirocinanti avranno dunque una sorta di lettera di presentazione a firma di Roma Capitale da rispendere in contesto lavorativo. Nessuna facilitazione è invece prevista per coloro che in futuro potrebbero trovarsi a partecipare ad un concorso per lo stesso ente dove stanno svolgendo lo stage. «L'attuale normativa in tema di concorsi pubblici prevede, in casi limitati, di valutare lo svolgimento di un periodo di stage all'interno dell'amministrazione» precisa l'assessore Cavallari. Già, ma attualmente nei bandi pubblici, incluse le 22 procedure selettive aperte di recente proprio dal Comune di Roma, questa possibilità non è praticamente mai prevista. Un vero peccato, considerato che ogni anno, oltre ai partecipanti di Pica, soltanto gli uffici capitolini ospitano circa 300 tirocinanti (tra i quali solo il 10% può contare su un rimborso spese). Prevedere l'attribuzione di un punteggio aggiuntivo per queste persone sarebbe una norma di buon senso, come RdS ha più volte evidenziato, lanciando sul tema anche una campagna di raccolta firme. Detto questo, Pica resta un esempio molto interessante, che insieme ad iniziative come quelle messe in campo della Regione Toscana ma anche dall'Anci Giovane, segnala che nella pubblica amministrazione si stanno finalmente facendo strada un'attenzione e una sensibilità maggiori rispetto allo stage. Un altro aspetto positivo è che l'investimento sulla piattaforma potrà essere sfruttato e ammortizzato con successive edizioni del progetto, che avranno quindi bisogno di budget molto più limitati. Per chi fosse interessato, intanto, tra maggio e giugno prossimi si attende l'uscita di un nuovo bando di concorso per Pica: partenza prevista per l'autunno del 2012.Ilaria CostantiniPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Quanti sono gli stagisti negli enti pubblici italiani? Nessuno lo sa- Sicilia, 12mila firme per una legge sui tirocini di qualità- Comune di Napoli, l'assessore: «I soldi per gli stagisti dell'anno scorso non ci sono»

Se potessi avere mille euro al mese, il libro che racconta l'Italia sottopagata

La Costituzione sancisce il diritto di ogni lavoratore a una retribuzione «sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa». Eppure milioni di persone in Italia lavorano gratis, o per stipendi miseri: ma così i giovani non possono diventare pienamente adulti e autonomi. Il dilagare del lavoro gratuito sta portando il Paese al declino:  bisogna cambiare musica.  La «generazione mille euro» non esiste più. Quello che solo sei anni fa veniva indicato come lo stipendio standard dei giovani italiani si è ormai trasformato quasi in un miraggio. Ma come può sopravvivere un giornalista pagato cinque euro a pezzo? Ed è accettabile che un neoavvocato – dopo cinque anni di università, due di pratica forense e l'esame di stato – porti a casa meno di  800 euro al mese? Dalla piaga del lavoro sottopagato non scampa nessuno: ricercatori, artisti, archeologi, "lavoratori della conoscenza".  Perfino i medici, che prima della specializzazione passano mesi o anni a lavorare gratis negli ospedali. E le commesse, inquadrate con l’«associazione in partecipazione» per figurare come lavoratrici autonome anzichè normali dipendenti e far risparmiare i datori di lavoro. Le famiglie funzionano da ammortizzatori sociali e mantengono figli e nipoti ben oltre l'accettabile, ma i risparmi si stanno assottigliando e il sistema è vicino al crac. Sempre più forti sono le voci dei giovani che chiedono di essere contrattualizzati e pagati il giusto, per potersi mantenere da soli e raggiungere una vera autonomia. Nel libro Se potessi avere mille euro al mese, uscito il 15 marzo per Laterza, la giornalista Eleonora Voltolina racconta le loro storie e le proposte per cambiare il futuro non solo di tanti singoli cittadini, ma di un intero Paese.L'indiceIntroduzione 1. Emergenza retribuzioni    2. Medicina, la professione è ammalata3. Partite Iva: numeri senza futuro4. Per amore dell’arte5. Cogito, ergo (pauper) sum6. Giornalisti, da quarto potere a quarto Stato7. Praticantato, il nonnismo delle professioni8. Se il master sostituisce il lavoro che non c’è9. Contratti: la fantasia al potere10. Cambiare musicaIl libro è disponibile anche in ebook

Università, i corsi iper-professionalizzanti non sempre pagano

Contrazione degli occupati, crollo delle retribuzioni e contratti sempre meno stabili. La condizione  occupazionale dei laureati italiani delineata dal XIV rapporto Almalaurea è a tinte fosche. Ma i numeri raccolti dal consorzio - che riunisce 64 università - forniscono anche indicazioni preziose per valutare la spendibilità del proprio titolo di studio, osservare le tendenze del mercato del lavoro e orientarsi nella scelta sempre più cruciale del percorso universitario da intraprendere. Sfatando anche alcuni miti: primo fra tutti l'utilità comunemente attribuita ad una formazione universitaria iper-professionalizzante, aderente cioè agli attuali  bisogni delle imprese. «Chi può dire di che cosa avrà bisogno il mercato tra cinque o sei anni?» ha invitato a riflettere il direttore di Almalaurea Andrea Cammelli presentando martedì nella sede romana della Crui il rapporto. In un quadro economico in rapidissima trasformazione, dove conoscenze e tecnologie rischiano di diventare obsolete nel giro di pochi anni,  la vera missione dell'università appare oggi piuttosto quella di fornire agli studenti solide conoscenze di base, in grado di rendere il lavoratore il più possibile «adattabile» alle esigenze del mondo del lavoro del futuro. Il primo dato che emerge dall'indagine condotta su circa 400mila laureati intervistati a distanza di uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo, è senza dubbio la progressiva perdita di appeal delle lauree di primo livello. Rispetto al rapporto dello scorso anno, il numero dei laureati triennali disoccupati ad un anno dal titolo è infatti cresciuto di oltre tre punti percentuali, passando dal 16,2% del 2009 al 19,4% del 2010. Non che per i laureati specialistici e per quelli a ciclo unico (come medici, architetti, veterinari e laureati in giurisprudenza) la situazione sia molto migliore: tra il 2007 e il 2010 i primi hanno infatti visto aumentare la percentuale di disoccupati di 9 punti e i secondi di 10 ma, per la prima volta dal 2007, tra gli specialistici si registra quest'anno una lievissima crescita di occupati (+1,1%).  Se sul breve periodo chi sceglie di fermarsi dopo il triennio continua ad avere maggiori chance occupazionali, è anche da considerare che in molti tra coloro che decidono di proseguire nel percorso universitario nei dodici mesi successivi alla laurea si trovano ancora in formazione. È il caso dei medici specializzandi, dei praticanti e in generale di tutte quelle professioni per le quali è richiesta un'ulteriore formazione post-laurea, oltre ovviamente a moltissimi stagisti. Ma chi investe di più e più a lungo in formazione sarà poi ripagato? Non sul breve termine. Nel quadro di una perdita generalizzata del potere d'acquisto delle retribuzioni dei laureati (-12% in quattro anni), i salari di ingresso dei triennali risultano ancora oggi leggermente superiori, con guadagni mensili netti di circa 1.100 euro. I triennali hanno anche contratti migliori rispetto agli specialistici: nel 2010 il 42,5% dei laureati di primo livello poteva ancora contare su un lavoro stabile, contro il 34% di quanti avevano in tasca un titolo di secondo livello.  Attenzione però a tirare le somme troppo in fretta. Come tutti gli investimenti importanti, anche il valore della laurea deve essere giudicato sul medio e sul lungo periodo.  A  tre anni dal conseguimento del titolo la situazione è infatti già molto diversa:  il gap retributivo degli specialistici sui triennali risulta colmato (le retribuzioni nominali superano i 1.250 euro) e con il tempo cresce apprezzabilmente anche la stabilità dell'occupazione per le lauree di secondo livello. Tra i cicli unici si passa addirittura dal 38 al 60% di lavoratori stabili, con una leggera prevalenza di posizioni autonome. Certo è che a seconda della propria specializzazione la condizione del laureato può essere significativamente diversa: sempre a tre anni dal titolo lavora infatti il 98% dei medici, l'85,5% dei laureati in discipline economico-statistiche, l'85,3% degli architetti e degli ingegneri. In fondo alla classifica non si collocano, come ci si attenderebbe, i vituperati i profili letterari (63,4% di occupati), bensì i geo-biologi (46%) e i laureati in materie giuridiche (49,9%). Pessima performance anche per i chimici-farmaceutici, tra i quali si dichiara occupato poco più della metà del campione. Un caso davvero emblematico, se si pensa che il profilo in questione era considerato fino a pochi anni fa uno dei più appettibili per il mercato. «L'obsolescenza delle tecnologie e delle conoscenze è ormai così rapida che i percorsi più professionalizzanti possono sì aumentare l'occupabilità in entrata dei giovani, ma in assenza di adeguati investimenti in formazione rischiano di ridurla nella fase adulta» ha spiegato Cammelli. Come dire: è inutile andare alla ricerca della laurea ideale per assicurarsi un futuro occupazionale soddisfacente. Ciò che invece si può e anzi si deve fare per scegliere il percorso più adatto alle proprie esigenze è informarsi in maniera oculata. Ad oggi uno degli strumenti più idonei ad orientare le scelte degli studenti è la banca dati di Almalaurea, che fornisce un quadro costantemente aggiornato sugli esiti occupazionali dei laureati suddivisi per corsi di studio, atenei e le singole facoltà presenti sul territorio. Un altro utile suggerimento per gli studenti arriva direttamente dal presidente della Conferenza dei rettori (Crui) Marco Mancini, che commentando il rapporto ha invitato a diffidare da quanti bollano oggi come inutile il titolo universitario. «Dobbiamo reagire a questa campagna forsennata e ossessiva contro la formazione universitaria. Perché i dati ci dicono che laurearsi conviene, o comunque conviene ancora». Nonostante insomma la laurea appaia nel complesso "svalutata" sul mercato del lavoro italiano, tutte le statistiche nazionali e internazionali indicano in effetti che sull'intero arco della vita lavorativa i laureati presentano pur sempre un tasso di occupazione superiore di oltre undici punti percentuali e retribuzioni del 50% maggiori rispetto ai colleghi diplomati. Senza considerare che i laureati italiani restano pur sempre pochi, anzi pochissimi: appena il 20% della popolazione di età compresa tra 25 e 34 anni, contro una media dei paesi Oecd di 37 giovani su 100. L'obiettivo di Lisbona 2020 di arrivare al 40% è ancora molto, molto lontano per l'Italia.Ilaria CostantiniPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- I laureati italiani fotografati da Almalaurea: sempre più disoccupati e meno retribuiti- È giusto che i “figli di” sfruttino il vantaggio competitivo?- Fuggi-fuggi dall'Italia: sono almeno 2 milioni i giovani all'estero

Sindaco De Magistris, perché non risponde alle domande sugli stage al Comune di Napoli?

Una cinquantina di brillanti laureati campani è da mesi in attesa di sapere quando e se arriveranno i 2mila euro promessi dal Comune di Napoli come rimborso spese per i tirocini di inizio 2011. La Repubblica degli Stagisti segue da tempo il caso: ha parlato con Marco Vassallo, funzionario incaricato del Servizio Lavoro e formazione professionale, ha riportato le informazioni fornite dall’assessore al bilancio Riccardo Realfonzo a due ex stagiste, ha raccontato nel dettaglio le storie di altri due partecipanti. Ma purtroppo non è finora riuscita a parlare col diretto responsabile del Comune: il sindaco. Avere notizie dirette da Luigi de Magistris sarebbe stato importante: per tre settimane la Repubblica degli Stagisti ha rincorso l’ex magistrato per avere delle risposte. Pur avendo dimostrato a parole massima disponibilità, la sua portavoce Marzia Bonacci non è mai riuscita a trovare un momento libero per fissare un'intervista. Eppure sono tante le domande che necessiterebbero di una risposta. La Repubblica degli Stagisti avrebbe innanzitutto voluto chiedere al primo cittadino come mai il comune abbia presentato alla stampa il nuovo programma di tirocini formativi per l’occupazione per l’anno 2011, ma non abbia dato spiegazioni sui tempi per il rimborso spese dei tirocinanti precedenti. «Il Comune non ha la liquidità necessaria per questi rimborsi» ha confessato l’assessore al bilancio Riccardo Realfonzo a due ex stagiste che chiedevano notizie dei pagamenti. Quei 98mila euro totali però - di per sè, non certo una gran somma per un grande Comune - risultano messi a bilancio nel 2010, quindi al sindaco De Magistris la Repubblica degli Stagisti avrebbe chiesto come mai quella cifra ora è sparita: non dovevano essere soldi esistenti e vincolati? La storia di questi ex tirocinanti coinvolge, peraltro, anche altri giovani. Se agli stagisti selezionati nel 2010 (che hanno poi svolto lo stage nei primi mesi del 2011) l'emolumento previsto rischia di arrivare a un anno e mezzo di distanza dall’inizio dello stage, che garanzie ci sono per i nuovi stagisti selezionati nel 2011, che stanno svolgendo il tirocinio proprio in questi mesi? Il loro rimborso spese quando sarà erogato?C’è poi un altro problema che accomuna gli ex tirocinanti ai nuovi: le prospettive occupazionali. Nella sessione precedente quasi nessuno è riuscito ad avere sbocchi lavorativi tramite questo stage; la Repubblica degli Stagisti avrebbe voluto chiedere a De Magistris quali strategie il Comune stia mettendo in atto per evitare gli stessi esiti nell’attuale infornata di stagisti. E se invece questi tirocini non servono a inserire i giovani nell’ente pubblico e non li aiutano a trovare lavoro, che senso ha continuare a fare altri bandi e addirittura pensare di estendere ad altri 75 giovani questo progetto, come sembra qualcuno abbia ventilato negli uffici del Comune?Dal sindaco, che appena eletto aveva dichiarato «Non voglio vedere andare via i giovani da questa città», la Repubblica degli Stagisti avrebbe voluto sapere perché oggi un giovane napoletano dovrebbe, lavorativamente parlando, rimanere a Napoli. E soprattutto che cosa la sua amministrazione pensa di offrire alle nuove generazioni. Uno degli aspetti della “rivoluzione arancione” che l'anno scorso ha coinvolto Napoli era, infatti, l’entusiasmo dei giovani su cui De Magistris ha puntato molto durante la campagna elettorale, così come su una nuova immagine della città. In ultimo, Luigi De Magistris avrebbe potuto dare il suo parere sull’uso spesso smodato fatto in Italia dei tirocini e chiarire se in una città come Napoli possano essere un metodo valido per l’accesso al mondo del lavoro. Per tutti i lettori della Repubblica degli Stagisti, e non solo i vecchi e nuovi tirocinanti del Comune, le risposte del sindaco sarebbero state interessanti. La speranza è che De Magistris alla fine ce la faccia a trovare il tempo nella sua agenda, e conceda questa intervista. Perché i cambiamenti in una città possono essere realizzati solo coinvolgendo i giovani e dando loro risposte sincere.Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Stage al Comune di Napoli, ottimo per Carmine e pessimo per Assia: storie a confronto- Comune di Napoli, l'assessore: «I soldi per gli stagisti dell'anno scorso non ci sono»  - Stagisti al Comune di Napoli, due anni di attesa per ricevere il rimborso spese

Riforma del lavoro, il ministro Fornero: «Non andrà in vigore prima del 2013»

Tra le secche della discussione sull'articolo 18 e i difficili equilibrismi politici e sindacali, non è semplice capire che tipo di riforma del lavoro e degli ammortizzatori sociali si stia delineando in queste settimane di trattativa tra governo e parti sociali. Due questioni intorno alle quali si concentrano le aspettative di moltissimi giovani lavoratori e aspiranti tali - la vera constituency di questo governo, secondo una recente definizione del presidente Monti. Alcuni tasselli della riforma in fieri stanno tuttavia iniziando a prendere forma: «Nessuno ha mai sostenuto che andrà in vigore nel 2012, ma neppure forse nel 2013» ha anticipato Elsa Fornero intervenendo la settimana scorsa alla presentazione del volume "Giovani senza futuro. Proposte per una nuova politica" (Arel - Il Mulino). Collegata in videoconferenza con la sala del Mappamondo della Camera, il ministro del Welfare ha parlato di fronte ad alcuni interlocutori chiave della trattativa in corso, come Raffaele Bonanni della Cisl, Enrico Letta del Pd) Marco Venturi di Rete imprese Italia, oltre ai curatori del volume, i giuslavoristi Carlo Dell'Aringa e Tiziano Treu.Giovani senza futuro? raccoglie infatti una serie di analisi e di proposte elaborate da più di trenta esperti in materia di politiche del lavoro, ammortizzatori sociali e questioni demografiche, «contributi importanti alla discussione che il governo sta avendo con le parti sociali» a detta del ministro. Anche la Repubblica degli Stagisti ha partecipato con un saggio scritto a quattro mani da Alessandro Rosina e Eleonora Voltolina. «Abbiamo meno giovani rispetto agli altri paesi, la quota di chi tra essi arriva alla laurea è mediamente più bassa, eppure trovano anche meno possibilità di lavoro» è la diagnosi dei due autori, secondo i quali il problema italiano resta dunque «la scarsa capacità di valorizzare il capitale umano delle nuove generazioni». Per chi si sta affacciando per la prima volta sul mercato il più importante nodo da sciogliere è trovare il giusto canale di ingresso, evitando di restare impigliati per anni nella trappola dello stage seriale, o comunque in forme contrattuali mal retribuite e prive di adeguate garanzie.  Sul punto, la strada imboccata da governo e parti sociali appare ormai segnata e risponde al nome di apprendistato, che nelle  intenzioni del ministro del Welfare dovrà diventare la principale porta di accesso per l'occupazione giovanile: «Un veicolo vero di formazione, con una procedura riconoscibile che attesti la professionalità acquisita e quindi spendibile: se possibile presso la stessa impresa dove è stato svolto, oppure fuori» ha precisato nel corso dell'intervento Fornero. L'apprendistato è oggi declinato in tre tipologie (professionalizzante, diritto-dovere per i minorenni e alta formazione il conseguimento di un titolo universitario o post-laurea), ma l'unica utilizzata - peraltro poco e male - dalle imprese italiane è il professionalizzante. Eppure l'apprendistato rappresenta l'unico contratto in grado di conciliare formazione e lavoro, diritti per il neoassunto e flessibilità per l'azienda. La crisi ha poi ulteriormente assottigliato il ricorso a questo  prezioso strumento. Nell'introduzione a "Giovani senza futuro?" Dell'Aringa e Treu evidenziano «una riduzione, in termini relativi, di oltre il 17% tra l'inizio del 2008 e l'inizio del 2010, a fronte di un calo medio del 14,1% registrato nello stesso periodo tra tutti i lavoratori di età compresa tra 16 e 29 anni. Servirà dunque un grosso sforzo per fare dell'apprendistato il contratto prevalente di ingresso: «Ci sono esperienze in altri paesi che funzionano» ha rassicurato il ministro, «certamente non tollereremo finti percorsi di apprendimento professionale e invece insisteremo molto sul fatto che la formazione venga prima della flessibilità che si associa a questo tipo di ingresso». L'altro punto su cui gli interlocutori sembrano concordi riguarda la necessità di sfoltire l'attuale platea di contratti atipici, distinguendo tra "buona" e "cattiva" flessibilità, a partire da un piano di controlli mirati a verificare l'uso improprio di partite Iva (specialmente quelle in monocommittenza), contratti a progetto e associazioni in partecipazione.  Resta invece da capire che cosa accadrà nel frattempo a chi non riesce a inserirsi compiutamente nel mercato. Dovrà continuare a dipendere da mamma e papà, rassegnandosi alle periodiche battute della politica sulla scarsa autonomia dei giovani italiani? Dalle posizioni sin qui emerse sembrerebbe di capire di sì: l'ipotesi di garantire un reddito minimo di cittadinanza appare infatti assai poco probabile, almeno in questa fase. Parlando di «una riforma con carattere di universalità», Fornero ha ribadito che i nuovi ammortizzatori riguarderanno «non solo quanti oggi hanno una tutela forte e robusta, ma tutti i lavoratori». «Se universalismo significa dare un salario minimo garantito, io metterei in guardia da azzardi di questo tipo» è stata la replica del segretario della Cisl Bonanni, «non perché sono un conservatore, ma perché so perfettamente che in questo paese sistemi simili aprono a truffe reiterate». L'altra novità di rilievo riguarda le politiche attive per il lavoro, senza le quali, sostiene la titolare del Welfare, «nessuna riforma può funzionare. E perché queste politiche funzionino servono anche dei servizi per il lavoro. Qui, con poche eccezioni, credo che sia quasi tutto da costruire» ha ammesso il ministro. In questo caso la vera sfida si pone però dinanzi alle regioni che hanno la competenza sulla materia e che sinora, eccetto pochi casi, non hanno lavorato al meglio per favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Infine i tempi di entrata in vigore della riforma, collocabile quasi certamente oltre il 2013 e comunque da attuarsi con «gradualità», ha puntualizzato Fornero, ansiosa di rassicurare i suoi interlocutori. Sembra che la constituency del governo debba insomma procedere con molta cautela e senza fretta.Ilaria CostantiniPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Ventenni e riforma del lavoro, parla l'ideatore della lettera a Monti- Reddito minimo garantito: ce l'hanno tutti tranne Italia, Grecia e Bulgaria- Elsa Fornero, ritratto del nuovo ministro del Lavoro: avanti con il contratto unico e il welfare per i precari

Giovani italiani all'estero, ultimi giorni per partecipare al sondaggio

Ancora pochi giorni per raccontare la propria esperienza all'estero, sia dal punto di vista di chi è ancora lontano dall'Italia, sia da quello di chi dopo un periodo oltre confine ha scelto di rientrare in patria. Alla fine di febbraio verrà chiuso il sondaggio, online da metà ottobre, che il Comune di Milano e l'associazione Italents hanno elaborato per raccogliere le voci dei tanti giovani italiani in giro per il mondo e di quelli che - magari sulla spinta degli incentivi fiscali previsti dalla legge Controesodo - sono tornati indietro.«Il nostro obiettivo è indagare il peso di alcune difficoltà che in Italia spingono molti giovani ad andarsene» spiega Alessandro Rosina, docente di Demografia all'università Cattolica di Milano e presidente di Italents: «In più desideriamo raccogliere indicazioni sulle azioni che potrebbero essere messe in atto per semplificare la vita di chi desidera tornare e sulle difficoltà incontrate da chi è già tornato». Nel questionario tutto questo è condensato in poche domande, in modo da poter essere compilato in modo snello e sopratutto impiegando pochissimo tempo. «Inizialmente era presente un numero maggiore di domande; ne abbiamo sacrificata qualcuna proprio per inseguire la brevità che sul web è imprescindibile» puntualizza il professore: «Il questionario non ha naturalmente l’ambizione di studiare tutto il fenomeno del brain drain, ma solo alcuni aspetti mirati. Siamo consapevoli che molti se ne vanno per scelta, per desiderio di avventura, senza necessariamente nutrire sfiducia per il nostro "sistema paese". A loro ci rivolgiamo per coinvolgerli, anche se da lontano: vogliamo favorire la loro partecipazione attiva alla "ripartenza" economica e culturale dell'Italia. Poi ci interessa anche in modo specifico raccogliere la voce di chi è fuggito, o non torna, perché non sente più l'Italia come ospitale: insomma chi si sente "esiliato". Vogliamo capire quali sono gli ostacoli da rimuovere: per questo abbiamo approntato una risposta aperta, importantissima, che consente a chi compila il questionario di aggiungere proposte e rimostranze».Il sondaggio ha già raccolto oltre 1.100 voci di italiani che tuttora sono all'estero;  e circa 200 sono invece i partecipanti rientrati. «Abbiamo già abbondantemente superato la soglia che ci eravamo posti, mille partecipanti» chiude Rosina «Il materiale è non solo sufficiente, ma abbondante per restituire una fotografia realistica della situazione e fornire spunti interessanti. Ma ogni risposta in più da qui a quando chiuderemo il sondaggio è naturalmente preziosa per arricchire il quadro e poter fare un'analisi ancor più dettagliata e approfondita». Una volta chiuso il sondaggio, infatti, i risultati verranno rielaborati dal professor Rosina e poi presentati attraverso un convegno: essi saranno non un punto di arrivo bensì di partenza, perché da qui partiranno azioni mirate del Comune di Milano per costruire una città nuova, più ospitale verso i giovani, in grado di trattenere qui quelli che già ci sono (per esempio i neolaureati) e attrarre chi è volato altrove. Così come ha più volte ribadito Cristina Tajani, assessore alla formazione e al lavoro del Comune di Milano: «Vogliamo che Milano possa essere anche una pista di atterraggio e ritorno per tutti coloro che, nel corso del tempo, hanno lasciato l’Italia per studio e per lavoro verso altre mete. Ma anche per chi, da altri paesi, scommette sull’Italia per la propria vita e la propria professione. Siamo impegnati perché l’Italia e Milano, nonostante la grave situazione di crisi possano tornare ad essere attraenti per le professionalità del mondo. Per questo vogliamo chiedere alla community dei «ritornati» e a chiunque voglia collaborare con noi, aiutandoci a progettare le politiche di attrattività per il futuro». Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Cervelli in fuga: un doppio questionario per capire chi sono, cosa gli manca, e perchè quasi tutti non tornano (e alcuni sì)- Fuggi-fuggi dall'Italia: sono almeno 2 milioni i giovani all'estero- Sulla Rete i giovani italiani scalpitano per fare rete: ITalents sbarca su Facebook, ed è boom

Liberiamoci dalla precarietà: Camusso all'incontro con i giovani tra contestazioni e proposte

Roma, mercoledì 15 febbraio, sei del pomeriggio. La Repubblica degli Stagisti partecipa all'affollatissimo incontro «Liberiamoci dalla precarietà» organizzato dai Giovani non + disposti a tutto al Forte Fanfulla del Pigneto, uno dei quartieri più multietnici e 'alternativi' della capitale: fa un certo effetto vedere  pattuglie dei carabinieri schierate fuori da questo noto centro sociale, dove è in corso il dibattito tra i precari e il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. Il motivo di allarme è un gruppetto di ragazzi appartenenti a diversi collettivi universitari di Roma, uniti sotto la siglia 'Studenti e precari del Pigneto' [nella foto in basso], che vorrebbero entrare a confrontarsi con il leader del sindacato, reduce da un tavolo con il ministro Fornero per negoziare l'imminente riforma del lavoro, mentre è nel pieno del suo intervento. Il fatto che le forze dell'ordine li blocchino all'ingresso – in sala ci sono più di un centinaio di persone – è segno che di questi tempi non si prendono alla leggera certe iniziative, neppure quelle di un gruppetto di ventenni composto per lo più da ragazze. Il malcontento è tanto, forse si teme che possa degenerare.Dentro, la Camusso prende subito le distanze dalle esternazioni che alcuni membri del governo hanno fatto negli ultimi mesi, dalla monotonia del posto fisso agli 'sfigati' laureati quattro anni fuori corso, fino ai mammoni restii ad allontanarsi dalle sottane della mamma: «Affermazioni che sembrano attribuire la responsabilità ai giovani: operazioni di pura colpevolizzazione». La sindacalista parla anche del pressing di questi giorni sul governo e della linea adottata dal sindacato: «Non ci hanno mai convinto che la risposta sia togliere diritti ad altri», e ancora «stiamo realizzando una rivoluzione culturale dicendo che ci sono forme contrattuali da cancellare, perchè finora le leggi hanno sempre e solo avallato le regole che già esistevano», consentendo il persistere degli abusi. Il punto focale della rivendicazione della Cgil – spiega - sono gli ammortizzatori sociali, che devono «fare da contraltare alla flessibilità, e non solo al lavoro ordinario», e l'equità delle retribuzioni, per cui va ripristinato il «parametro della professionalità» come indicatore degli stipendi. E poi la questione del costo del lavoro precario: «Chi fa lavoro subordinato non può essere pagato più di chi è autonomo». A torto – dice Camusso – si pensa che la precarietà «non abbia effetti anche sul lavoro indeterminato», al contrario «induce alla sostituzione» con lavoratori più a basso prezzo». Ma si discute anche di false partite iva, dimissioni in bianco, tutele per la maternità, reddito minimo, tutti temi sollevati dai ragazzi presenti al dibattito e che a detta del segretario sono adesso sul tavolo della negoziazione con il governo, ponendo l'ulteriore problema delle «risorse, in un paese che punta invece a ridurre la spesa». Per questo bisognerebbe «ragionare più su come si finalizza la spesa pubblica». Una visione che convince a metà il collettivo dei precari che a un certo punto riesce a fare irruzione. I ragazzi prendono la parola presentandosi come giovani «che vivono quotidianamente i problemi che pone la precarietà, di cui tutti si riempono la bocca ma che evidentemente non tutti conoscono». Tra affitti alle stelle, stage e lavori in nero, «i ritmi di vita sono inimmaginabili». E per questo sono critici nei confronti della posizione della Cgil. «Perchè sedersi a un tavolo di trattativa dove l'unico punto chiaro è l'eliminazione dell'articolo 18 anzichè allargarlo per chi entra nel mondo del lavoro? E con quale legittimità i sindacati confederali, i cui iscritti sono principalmente pensionati e lavoratori delle grandi aziende, ritengono di poter siglare accordi in nome dei precari, degli autonomi e delle partite iva senza un confronto reale con il paese e con i movimenti? Come non porre al centro la questione del nuovo welfare e la rivendicazione del reddito garantito svincolato dalle condizioni di lavoro superando la retorica del conflitto tra generazioni?». La risposta della Camusso è un po' evasiva, anche perchè i contestatori sembrano ignorare che lo sforzo dei Non + – il gruppo di dirigenti "giovani" della Cgil, capitanato da persone come Ilaria Lani, Luca de Zolt, Claudia Pratelli, Salvatore Marra, tutti tra i venti e i trent'anni  – è ormai da un anno teso proprio alla tessitura di rapporti con movimenti, associazioni di freelance e precari, esponenti appunto del "paese reale". La sindacalista allora vira parlando di formazione scolastica, che andrebbe a suo dire più orientata sui lavori tecnici, finora considerati marginali. E quanto al confronto del governo, «il sindacato non può mai rinunciare a discutere per rappresentare gli interessi», afferma. «Deve valutare nel merito: se un sindacato non discute con le controparti è destinato a non cambiare la situazione». Oggi più che mai, con la riforma del lavoro in divenire. «Immaginiamo che si possa invertire la tendenza e che si vada verso l'allargamento non più della precarietà ma delle regole e delle certezze», è la conclusione di Camusso. E la speranza che tutti condividono.Ilaria Mariotti Per saperne di più su questo argomeno, leggi anche:- Nelle pagine del Rapporto sullo stato sociale un allarme sulla questione giovanile: e tra 15 anni la previdenza sarà al collasso- La Cgil scende in campo per stanare gli sfruttatori di stagisti con la campagna «Non + Stage Truffa»- «Stagisti sfruttati, ribellatevi: anche il sindacato sarà al vostro fianco»: la promessa di Ilaria Lani, responsabile Politiche giovanili della Cgil- Migliaia di precari scesi in piazza il 9 aprile: «Non vogliamo più essere sfruttati»- «Gratis non si lavora». Anche su Twitter monta la protesta contro il lavoro sottopagato E anche:- Bamboccioni? Nel libro «L'Italia fatta in casa» Alesina e Ichino spiegano di chi è la colpa- Un esercito immobile: l'editoriale di Alessandro Rosina su giovani disoccupati e precari

Giornalisti precari, il problema non è il posto fisso ma le retribuzioni sotto la soglia della dignità

Trenta euro: tanto vale in media un articolo scritto da un giornalista freelance per una delle grandi e blasonate testate della stampa italiana. La Gazzetta dello Sport, Libero, Il Messaggero, Il Tempo, l'Unità. Quando si tratta di precari, collaboratori o peggio ancora di freelance, è davvero difficile distinguere tra tipologie di testata, orientamenti e appartenenze politiche. Ma ad inchiodare gli editori alle loro responsabilità ci ha pensato stavolta un agguerrito gruppo di giornalisti precari di Roma riuniti nel coordinamento Errori di Stampa, che ha realizzato il primo auto-censimento sul settore. I numeri emersi delineano una situazione a dir poco allarmante: per mettere insieme mille euro al mese, i duemila giornalisti precari impiegati in giornali, - ma anche agenzie, radio, televisioni e uffici stampa - della capitale dovrebbero lavorare in media  quaranta giorni.Nato circa un anno fa, il coordinamento è composto per lo più da under 40, «cresciuti a pane e cronaca di Roma», stanchi di non avere voce all'interno di un settore che dipende ormai strettamente dal loro lavoro. «Per mettere insieme dati il più possibile attendibili, inizialmente abbiamo cercato l’aiuto dei comitati di redazione delle testate locali e nazionali attive su Roma: ci hanno risposto in pochi e spesso timidamente» raccontano. Così è nato un censimento informale, basato sulle testimonianze dirette di colleghi garantiti e non grantiti, i cui risultati sono stati presentati ieri nel corso di una conferenza organizzata a Palazzo Valentini. Impressionante è soprattutto il tariffario applicato dalle grandi testate ai collaboratori. Tanto per aver un'idea, un pezzo venduto al quotidiano più letto dagli italiani, La Gazzetta dello Sport, può portare in tasca al suo autore tra 5 e 40 euro lordi; se si collabora con Il Messaggero, la cifra può oscillare tra i 10 e i 36 euro; tra 10 e 50 euro se si scrive invece per l'Unità. Ma anche chi ha l'onore di comparire tra le firme della Repubblica deve accontentarsi di un compenso mensile che può oscillare dai 400 agli 800 euro lordi.  A seconda dell'anzianità del collaboratore, Il Tempo paga tra i 15 e 25 euro, ammesso che il pezzo raggiunga le 2mila battute. Perché sul mercato dell'informazione italiana si ragiona molto spesso in termini di quantità: Il Sole 24 Ore ha stabilito in 90 centesimi il prezzo di ciascuna riga destinata alla pubblicazione (il che significa, per un pezzo "standard" da 1.800 battute, 27 euro). E lo stesso vale per le agenzie di stampa, ovvero per le fonti da cui proviene gran parte delle notizie dei quotidiani: un lancio dell'Ansa vale così 7 euro, mentre uno dell'Agi può scendere  anche a 4. Inutile dire che in queste cifre sono incluse le spese sostenute dal collaboratore: telefono, trasporti, attrezzature. Per il compenso si può invece essere costretti ad aspettare settimane o addirittura mesi - talvolta si può persino attendere invano. Senza considerare che in caso di una crisi aziendale, realtà tutt'altro che infrequente di questi tempi, le collaborazioni esterne sono una delle prime voci di spesa ad essere tagliate e spesso senza particolari riguardi: i collaboratori del dorso romano del Sole 24 Ore sono stati informati del loro "licenziamento" la sera prima, via e mail.Ma attenzione a puntare il dito solo sugli editori privati: anche mamma Rai negli ultimi anni sembra essere diventata sempre più matrigna (in particolare verso le lavoratrici in gravidanza) negando di fatto un contratto giornalistico a centinaia di persone impiegate in programmi di informazione.«Un racconto che mi fa vergognare» è stata la reazione del senatore Vincenzo Vita (Pd), giornalista e membro della commissione di vigilanza Rai, che ha tra l'altro rivelato un imminente aumento di risorse destinate al fondo per l'editoria, prospettando la possibilità che l'accesso alle provvidenze pubbliche sia presto «moralizzato», vincolato cioè «non solo al rapporto tra tirature e vendite, ma anche al numero dei contratti giornalistici presenti in ciascuna testata». Un'iniziativa che potrebbe certo incoraggiare gli editori a sanare la posizione di tanti collaboratori, di cui tuttavia si era già parlato poco meno di due anni fa, quando l'Ordine nazionale aveva presentato un'altra ricerca chock sui compensi applicati dalle grandi testate. Accanto a Vita, erano presenti a Palazzo Valentini altri due interlocutori chiave: il presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti Enzo Iacopino e il segretario dell'associazione stampa romana Paolo Butturini. Proprio alla politica e agli organi rappresentativi della categoria Errori di Stampa ha infatti avanzato due precise richieste: «che entro la fine di questa legislatura sia approvata una legge sull'equo compenso del lavoro giornalistico. E che entro la fine dell'anno sia presentato un censimento ufficiale dei precari del giornalismo e dei tariffari in uso, azienda per azienda. Uno strumento da cui partire per pianificare un intervento urgente a tutela della dignità della professione e dei lavoratori». Perché in ballo, avvertono i precari del settore, non c'è solo la vita di migliaia di giovani, ma anche la sopravvivenza di un'informazione compiutamente libera. «Le critiche al sindacato fanno male, ma putroppo sono fondate» ha ammesso da parte sua Butturini, convinto che «il vero problema, cioè la disparità tra garantiti e non garantiti, non è diverso da quello che esiste nel resto del mondo del lavoro» e che da lì si debba partire per cambiare l'attuale stato di cose. Già, perché i giornalisti italiani non fanno tutti parte della "casta", e molto spesso trovano in essa un concreto ostacolo al riconoscimento di alcuni elementari diritti. Denunciare le situazioni di sfruttamento, è stata infatti l'esortazione del presidente dell'Ordine nazionale, che ha promesso sanzioni contro chi viola le regole. «Diventate infettivi, imponetevi, prendetevi gli organi rappresentativi» è stato il consiglio finale di Iacopino. Che sia davvero arrivato il momento?Ilaria CostantiniClicca qui per scaricare l'intero documento di Errori di StampaPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Lo scandalo dei giornalisti pagati cinquanta centesimi a pezzo. Il presidente degli editori a Firenze: «La Fieg non dà sanzioni. E poi, cos’è un pezzo?»- Che fine faranno i pubblicisti? Ordine dei giornalisti in subbuglio per la riforma delle professioni- Alle nuove norme sui praticanti manca l'equo compenso, lo dice anche la commissione giustizia del Senato

Sicilia, 12mila firme per una legge sui tirocini di qualità

Durata certa, rimborsi minimi, incentivi alle assunzioni. Questi i principali contenuti di una proposta di legge di iniziativa popolare presentata dal Dipartimento per le politiche giovanili della Cgil Sicilia. Un documento che arriva sul tavolo dell'Ars forte del sostegno di oltre 12mila firme, raccolte principalmente tra gli under 35: lavoratori precari, stagisti e studenti.Diciotto articoli per riscrivere la storia di quei 17mila giovani siciliani che, ogni anno, si vedono attivare un contratto di stage, principalmente nel terziario: dal turismo, al commercio, ai servizi per le imprese. «E solo il 7,7 di questi rapporti si trasforma in un'assunzione, contro una media nazionale dell'11 per cento», sottolinea Andrea Gattuso [nella foto sotto], responsabile del Dipartimento politiche giovanili della Cgil, citando dati Unioncamere. «Io firmo gli stage» è lo slogan che ha accompagnato la raccolta firme, che si è conclusa lo scorso 6 febbraio con la consegna della documentazione a Palazzo dei Normanni. Il testo, come ammettono gli stessi presentatori, è stato scritto prendendo spunto dalle normative in vigore in altre regioni d'Italia, in particolare Toscana e Piemonte. Arriva appunto da Firenze l'idea di istituire una borsa di studio minima. «Abbiamo ricalcato quell'articolo che prevede un trattamento di base, fissato in 400 euro, con un contributo che per metà viene coperto dalla regione». L'altra parte rimane invece in carico all'azienda che ospita il progetto. La proposta del sindacato è articolata: stanziare all'interno del bilancio regionale 10 milioni l'anno, 4 dei quali dovranno costituire un «Fondo per i tirocini formativi» e coprire i rimborsi spese. Gli altri 6, invece, serviranno per gli «Incentivi alle aziende per l'occupazione giovanile», ovvero per trasformare il rapporto in un'assunzione. «Stimiamo che con questi fondi ogni anno si possa favorire la creazione di un migliaio di posti di lavoro». Alle imprese che assumeranno andranno infatti 8mila euro per ogni giovane tra i 18 e i 30 anni inserito in organico, cifra che sale a 10mila euro se il lavoratore appartiene ad una categoria protetta.Da Torino ecco invece mutuare l'attenzione al monitoraggio del tirocinio, «uno dei punti più importanti della nostra proposta, fondamentale per evitare che si generino pratiche sbagliate». A cominciare dall'abuso degli stage. In particolare, al termine del progetto, «chiediamo che venga certificata l'esperienza maturata dal tirocinante, che così potrà spenderla in futuro» attraverso quello che viene chiamato «certificato di qualifica». Il monitoraggio passa però anche dall'obbligo di comunicare alla Regione l'attivazione di un progetto, entro 5 giorni dall'avvio. «In questo modo sarà possibile censirli e monitorare il fenomeno», anche grazie ai rapporti semestrali sull'andamento dei tirocini che l'ente regionale dovrà pubblicare.La proposta di legge fissa in 6 mesi la durata massima di uno stage, specificando che devono essere attivati entro un anno dal conseguimento del diploma o della laurea. Succede poi talvolta che questi progetti vengano attivati per posizioni che non richiedono un periodo formativo. Per evitarlo la Cgil Sicilia chiede espressamente di vietare questa pratica. Nelle intenzioni dei firmatari, agli stagisti dovrà essere garantita un'assicurazione verso terzi e contro gli infortuni sul lavoro, e soprattutto bisognerà che venga loro riconosciuto il medesimo trattamento in termini di servizi di mensa, buoni pasto, trasporto e alloggio riservati ai dipendenti.Fin qui la proposta della Cgil, sottoscritta anche dalle formazioni giovanili dei partiti del centrosinistra e da diverse associazioni studentesche, come Udu, Rum, Arci ragazzi e la rete degli studenti medi. Depositate all'Ars, ora le firme sono all'esame della commissione regionale per gli affari elettorali e referendari che dovrà controllare che ce ne siano almeno 10mila valide, tante quante ne richiede la normativa siciliana perché si possa dar corso all'iter di discussione di una legge di iniziativa popolare. «Questo richiederà dai cinque ai sei mesi, dopodiché il testo passerà nelle mani del presidente dell'Assemblea Francesco Cascio, che lo affiderà alla commissione Lavoro». Quest'ultima dovrà esaminare il testo entro sei mesi. La normativa prevede un meccanismo di garanzia nei confronti dei firmatari. Se, infatti, l'organo consultivo non discuterà nei termini stabiliti la proposta di legge, quest'ultima verrà iscritta d'ufficio come primo punto all'ordine del giorno della prima seduta utile dell'Ars. E sarà messa in votazione.Riccardo SaporitiPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio- La Carta dei diritti dello stagista ispira Regioni, associazioni politiche e siti web a tutelare gli stagisti. A cominciare dal rimborso speseE anche:- Provincia di Padova, la giunta detta le linee guida: stop agli stage gratuiti e niente stagisti nelle imprese non virtuose- Ancora lontana in Emilia la legge regionale sugli stage, la Cgil: «Entro febbraio? Ma se non esiste nemmeno una prima bozza!»- Stagisti a zero euro, no grazie: ecco perchè vietare il rimborso spese per legge sarebbe ingiusto e controproducente

Comune di Napoli, l'assessore: «I soldi per gli stagisti dell'anno scorso non ci sono»

A nove mesi dalla fine - e tredici dall’inizio - del tirocinio presso gli uffici del Comune di Napoli, una cinquantina di brillanti laureati napoletani ha scoperto che riceverà i 2mila euro previsti come rimborso spese solo a fine giugno (forse). Cioè con un anno e mezzo di ritardo. È stato l’assessore al bilancio Riccardo Realfonzo a dare la notizia a due ex stagiste che da mesi aspettavano di avere almeno una risposta.La Repubblica degli Stagisti aveva già parlato di questa vicenda a dicembre appurando da Marco Vassallo, il funzionario incaricato del Servizio Lavoro e formazione professionale del Comune, che si stava cercando di far diventare questi rimborsi «come “pagamenti indispensabili”» e liquidarli entro «l’inizio del prossimo anno». Cioè del 2012. Ma ad oggi dei soldi nemmeno l’ombra. Così due ex tirocinanti, Bianca Angrisani e Assia Giordano, sono tornate al Comune per chiedere informazioni sia all’ufficio per il lavoro sia alla ragioneria, ma «sembravano tutti cadere dalle nuvole», come racconta Bianca alla Repubblica degli Stagisti. Dopo aver preso un appuntamento e aver fatto un’ora di anticamera, Bianca e Assia sono state ricevute dall’assessore al bilancio, Riccardo Realfonzo (nella foto in basso a sinistra). Lì è arrivata la doccia fredda perché l’assessore ha spiegato che «il Comune di Napoli «non ha la liquidità necessaria per questi rimborsi» e nonostante siano stati messi a bilancio nel 2010, «quei soldi non c’erano effettivamente ma era stata solo messa a capitolo la loro copertura». «Credendo di tranquillizzarci» continua Bianca «l’assessore ci ha detto che stanno considerando questa faccenda come prioritaria e che forse potremo ricevere questi soldi a giugno». Le due ex stagiste sono molto irritate non solo dal ritardo nel pagamento del rimborso spese ma anche dalla totale assenza di controlli «per verificare se e quanto questi tirocini si rivelino utili per l’ente e per i ragazzi», dice Bianca. Nonostante gli esiti per troppi versi negativi dello stage, il Comune ha tuttora in corso una nuova infornata di tirocinanti che lavoreranno per sei mesi e, che - se sfortunati come i precedenti - non vedranno i 2mila euro previsti prima di un anno. Il Comune però non sembra particolarmente preoccupato da questo ritardo. Anzi, Assia racconta che nell’ufficio dell’assessore qualcuno le ha detto che «si sta pensando di estendere prossimamente il progetto ad altri 75 giovani»; la stessa persona avrebbe esortato le due giovani «a informare il sindaco sull’assurda modalità di svolgimento del tirocinio stesso».Le esperienze di Bianca e Assia sono diametralmente opposte: la prima era stata assegnata al progetto nascente della web tv del Comune, svolgendo prevalentemente attività di redazione a contatto con giornalisti esterni; la seconda invece, assegnata all’ufficio comunicazione esterna e gestione dell’immagine dell’ente, ha passato la gran parte dei mesi di stage vagando per gli uffici alla ricerca di una sedia libera. Insieme condividono questa battaglia per riuscire ad avere dopo oltre un anno dall’inizio del loro tirocinio i soldi previsti dal bando del comune di Napoli.Nel frattempo da quasi un anno è cambiato anche il sindaco. Oggi è l’ex magistrato Luigi De Magistris, che appena eletto aveva dichiarato «Non voglio veder andar via i giovani per necessità» e ora, per mantenere quella promessa, dovrebbe quantomeno dare delle risposte concrete a questi ex stagisti. La Repubblica degli Stagisti ha già chiesto di poterlo sentire su questa vicenda e spera di poter ottenere al più presto risposte approfondite.Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Stagisti al Comune di Napoli, due anni di attesa per ricevere il rimborso spese - Laureati e diplomati da più di 12 mesi, in Campania niente più tirocini. Il responsabile del centro per l'impiego di Napoli spiega perché- Cassa integrazione per i padri, stage gratuiti per i figli: la perversa disconnessione tra paga e lavoro