Categoria: Notizie

Hackathon Hack ' n ' roll, per Spindox programmatori come musicisti: «Vogliamo scoprire “band” interessanti»

Forse non tutti sanno cos'è un hackathon. Si tratta di «un evento al quale partecipano, a vario titolo, esperti di diversi settori dell'informatica: sviluppatori di software, programmatori e grafici web» di durata, spiega Wikipedia, «variabile tra un giorno e una settimana». Il nome nasce dalla crasi tra il verbo to hack, che in senso informatico vuol dire “accedere illegalmente, attaccare”, e marathon, cioé maratona: il che allude alla prova di resistenza dei partecipanti che, specifica sempre l'enciclopedia web, «per meeting di 24 ore o più, specialmente di carattere competitivo, consumano i pasti direttamente al tavolo di lavoro, con menu a base di pizza e di energy drink, e anche il pernottamento spesso avviene nella stessa location dell'hackathon». Ma agli appassionati di computer queste spiegazioni non servono: la cosa importante è sapere che nel weekend 28-29 maggio a Torino si svolgerà un hackathon molto speciale, Hackathon Hack ' n ' Roll, promosso da Spindox – azienda che fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti, garantendo condizioni di qualità a stagisti e neoassunti – in collaborazione con Supernova Torino / Talent Garden, Couchbase e Microsoft. E la squadra prima classificata si porterà a casa un premio di 5mila euro. Il nome dell'iniziativa nasce da un parallelismo insolito: «Proprio come capitò con il rock and roll nella cultura musicale, vogliamo scuotere le persone e portare aria nuova nel nostro mondo» spiega Paolo Costa, tra i fondatori di Spindox di cui è responsabile Comunicazione e marketing: «Un hackathon è un evento carico di energia, di quelli che ti fanno passare il sonno. Ci vai per stare insieme agli altri e per metterti in mostra. Un po’ come a un concerto di rock and roll, nel quale però tutti suonano. Sono sicuro che scopriremo molte “band” interessanti».Si tratta del primo hackathon promosso da Spindox: «La scelta di organizzare un hackathon risponde a due esigenze fondamentali» dice Costa: «Da un lato è un modo per fare open innovation, ossia di aprire il nostro ecosistema ad altri soggetti: individui o startup che hanno le competenze giuste, tante buone idee e molta voglia di emergere. Dall’altro lato con questo tipo di iniziativa contiamo di farci conoscere presso i giovani talenti dell’hi-tech». Perché Spindox è un'azienda relativamente giovane - l'anno prossimo festeggerà il suo decimo compleanno e in forte espansione: «Siamo sempre alla ricerca di persone in gamba, da inserire nella nostra organizzazione. Lo scorso anno abbiamo inserito oltre 80 nuovi dipendenti e quest’anno contiamo di assumerne altrettanti».Ciascuno dei partner nell'organizzazione dell'hackathon ha un ruolo preciso: a cominciare da Talent Garden, partner organizzativo e logistico dell’iniziativa. «Si tratta della realtà più importante, a livello europeo, nell’ambito del coworking» precisa Costa: «In particolare la scelta di inserirci nel contesto di Supernova Torino ha un preciso significato, visto che il nostro hackathon è dedicato al tema dell’infomobility e ai problemi dell’auto connessa. Fra l’altro in Supernova è coinvolta anche l’università di Torino, che ci ha offerto gli spazi di via Po. Contiamo sulla partecipazione di molti studenti». Couchbase e Microsoft sono invece i partner tecnologici: «Microsoft significa prima di tutto Azure, l’infrastruttura cloud in cui saranno configurati gli ambienti di sviluppo a disposizione di tutti i partecipanti. Con un credito di 100 dollari per ogni squadra, sarà possibile sfruttare al massimo i servizi e le risorse presenti su Azure. Ma Microsoft significa anche Windows 10 IoT, il sistema operativo che proponiamo come standard nel nostro hackathon. Quanto a Couchbase, si tratta di una tecnologia innovativa e potentissima, sempre più utilizzata per lo sviluppo di applicazioni in ambito mobile e IoT».Rispetto all'età, non vi sono vincoli anagrafici per iscriversi: inizialmente era previsto un range di età per i partecipanti, dai 20 ai 25 anni; poi a grande richiesta Spindox ha deciso di eliminare i paletti, richiedendo solo che gli hacker siano maggiorenni. «Ci sono pervenute troppe richieste di giovani sopra i 26 anni interessati a partecipare», è il commento di Costa: «Non potevamo tenere le porte chiuse».E la speranza è che anche le donne rispondano alla chiamata e si presentino a partecipare all'hackathon: «È una questione che ci sta molto a cuore. Spindox è impegnata a contrastare ogni forma di discriminazione di genere, ovviamente. Ma questo non basta: ancora oggi la cultura IT ha tratti maschili, come se il software fosse una cosa per soli uomini. Ciò è ridicolo e ci impedisce di sprigionare un potenziale enorme, che le donne possono portare nel nostro mondo».Il tema dell'hackathon è legato alla sicurezza stradale «dal punto di vista della vettura: un tema cruciale per l’industria automobilistica, che fra l’altro è sempre più sollecitata in tal senso dal legislatore europeo» specifica il manager di Spindox: «Presto entrerà in vigore una direttiva che impone a tutti i costruttori l’introduzione della scatola nera, proprio come oggi accade sugli aerei.Ma perché un appassionato di computer dovrebbe partecipare a un hackathon? «Chi è appassionato – intendo appassionato di computer, ma soprattutto di innovazione – sa perché dovrebbe farlo» risponde Costa: «Potrei ricordare che ci sono 5mila euro per la proposta che sarà valutata più meritevole dalla nostra giuria. Ma sono sicuro che non sia questa la molla. Chi partecipa a un hackathon lo fa per dimostrare a se stesso e agli altri ciò che è capace di fare» Per candidarsi c'è tempo fino a martedì 24 maggio; l'evento si svolgerà presso l'università di Torino in due giorni, il 28 e 29 maggio. Nella fase iniziale della prima giornata ciascun partecipante potrà proporre la sua idea progettuale; tutte le idee verranno messe ai voti e quell più votate saranno sviluppate. Gli “hack-maratoneti” saranno raggruppati in team formati da 4 o più persone ciascuno. Per chi arriverà da fuori Torino, le spese saranno coperte? «Tutti i partecipanti riceveranno un credito di 100 dollari da consumare sul cloud di Azure. Inoltre il vitto è interamente a carico dell’organizzazione. Quanto all’alloggio, la domanda lascia intendere che i partecipanti a un certo punto avranno bisogno di un letto per riposarsi» chiude Costa: «Ma questo non accadrà. In un vero hackathon non si dorme mai!»

Imparare a fare innovazione, Sanpellegrino lancia un “Innovation Campus” con H-Farm: candidature fino al 20 maggio

Avete già programmi per metà luglio? Se vi interessa, potreste essere tra i 18 partecipanti del primo “laboratorio esperienziale sull'innovazione” promosso da Sanpellegrino e HFarm.È possibile candidarsi fino a venerdì  20 maggio, mandando un cv ma sopratutto un “contenuto speciale” per raccontare attraverso una frase, un'immagine, un video la propria visione del concetto di innovazione. Requisiti essenziali: avere meno di trent'anni ed essere già laureati o studenti universitari. In cosa? In qualsiasi materia. Lasciare apertissima la competizione è stata una scelta strategica precisa: «Non abbiamo apposta identificato il profilo ideale, l’innovazione ha bisogno di diversità per essere nutrita» spiega alla Repubblica degli Stagisti Gabriella Carello, HR Director di Sanpellegrino: «Più che un percorso di studio quello che cerchiamo sono delle attitudini: guardare le cose diversamente, essere curiosi, aver voglia di mettere in gioco le proprie convinzioni». Il progetto si chiama “Sanpellegrino Innovation Campus” ed è pensato per permettere «di sviluppare nuove idee attraverso iniziative fuori dagli schemi e di esprimere la propria creatività nello sviluppo di idee innovative, in diverse aree tematiche e applicate a storici marchi del Made in Italy».Con queste premesse, la collaborazione con H-Farm è stata quasi naturale: «H-Farm è sinonimo di innovazione e startup, e vuole sostenere i giovani nel lancio di idee innovative» continua la Carello: «Noi eravamo alla ricerca di una location disruptive, di un modo di lavorare stimolante e fuori dal coro e la “Silicon Valley italiana” ci è sembrata la soluzione perfetta: una immersione totale in un contesto rurale per sperimentale l’innovazione».Sanpellegrino non é completamente nuova a iniziative di questo tipo: «In passato sono state organizzate delle sessioni di “digital inspiration” con il board di Nestlé», aggiunge la Carello. Ma questa è la prima volta che - grazie alla collaborazione di Sanpellegrino con il team della Digital Accademia di H-Farm, che da anni si occupa di diffusione della cultura digitale ed è ormai un punto di riferimento per studenti e professionisti - viene organizzato un vero e proprio Campus aperto ai giovani, per permettere loro di sviluppare competenze nel campo dell'innovazione e ad applicarle in project work creativi. I partecipanti seguiranno lezioni di materie come startup thinking, user reasearch & social network, design thinking, corporate storytelling, e-commerce & web marketing, presentation design. Focalizzeranno temi importanti come salute e benessere, responsabilità ambientale, qualità della vita, bambini in crescita. Le esperienze progettuali, grazie anche ad iniziative disruptive e fuori dagli schemi, saranno poi orientate alla generazione di idee per alcuni importanti brand dell’azienda tra cui Nestlé Vera, Levissima, Beltè, e naturalmente l'acqua e le bibite Sanpellegrino.Torna più volte il termine “disruptive”, ma in che senso? «Il metodo del Design Thinking richiede di seguire un percorso creativo che mette continuamente in discussione ciò che si sta ideando» risponde l'HR director di Sanpellegrino: «I ragazzi si troveranno ad affrontare attività diverse dalla semplice formazione, momenti per così dire “ispirazionali”: ma non vogliamo dare troppe informazioni, vogliamo mantenere la sorpresa!». L'appuntamento per i fortunati che verranno selezionati è dall’11 al 15 luglio nella suggestiva Ca’ Tron, la tenuta agricola di H-Farm a Roncade, in provincia di Treviso; Sanpellegrino offrirà ai partecipanti l’intero pacchetto formativo che includerà ogni spesa, viaggio compreso. «Da molti anni siamo impegnati, sia in azienda che fuori, nella valorizzazione del talento dei giovani e delle loro idee con progetti dedicati» chiude Stefano Agostini, presidente e amministratore delegato del Gruppo Sanpellegrino: «Con il Sanpellegrino Innovation Campus accompagniamo 18 ragazzi in un’esperienza formativa per aiutarli ad utilizzare due componenti fondamentali utili a emergere nella società attuale, ovvero creatività ed innovazione».

I Love Mum e gli altri: i coworking a misura di genitore

Eva Barrera ha 37 anni, «vent'anni di esperienza nella gestione di progetti culturali e tre di gavetta come mamma», come lei racconta per presentarsi. Ma il curriculum non termina qui: «da cinque mesi sono in attesa di un nuovo cucciolo». E da qualche mese è anche è founder e project manager di I Love Mum, spazio di coworking nato a Roma, quartiere Trastevere. Non uno spazio qualsiasi: accanto alle 10 postazioni di lavoro, WiFi e stampante trovano spazio bollitori, forno a microonde, area giochi e relax ed è anche disponibile un servizio di babysitting. Non è difficile intuire che I Love Mum è nato per chi, oltre a lavorare, ha un impiego ancora più impegnativo: quello di genitore.«I Love Mum nasce da un’esigenza concreta. Una mamma che lavora inizia a capire quanto sia importante ottimizzare il tempo da dedicare al proprio bambino senza sacrificare quello per il lavoro e la realizzazione in ambito sociale. Ne ho parlato con altre donne e amiche con la stessa esigenza e siamo partite».Il supporto iniziale è arrivato da un bando della Regione Lazio, «Innovazione: sostantivo femminile», dedicato allo sviluppo di idee e progetti creativi da parte delle donne. Dalla nascita, pochi mesi fa, sono stati già fatti passi in avanti: «a oggi abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, ovvero coprire tutte le 10 postazioni di lavoro del nostro spazio con abbonamenti mensili. Intanto abbiamo anche ricevuto molte richieste di collaborazione per l’apertura di I Love Mum anche in altre città italiane, vedremo…». Gli abbonamenti sono di differenti tipologie: si va dall’ingresso giornaliero a 20 euro fino ad abbonamenti settimanali al costo di 80 (comprensivi di accesso illimitato dal lunedì al venerdì, postazioni, accesso WiFi, due ore di sale riunioni, armadietto) e mensili a 200 euro. Il cammino di I Love Mum non si ferma qui: «Dopo questi primi mesi di avviamento del progetto, stiamo lavorando all’individuazione di uno spazio più grande che ci consenta di crescere sia numericamente che a livello di offerta di servizi. Per farci conoscere abbiamo lavorato molto sui social, avvalendoci però anche della comunicazione offline e del passaparola». I bimbi ospitati da I Love Mum sono al momento sette, di età compresa tra i tre mesi e i tre anni, seguiti da due educatrici. «Le porte sono aperte ai genitori quindi i papà possono usufruire del nostro spazio come le mamme, considerato però che la nostra fascia di età riguarda bimbi che spesso vengono ancora allattati al seno è più facile che vengano accompagnati dalle mamme», racconta la Barrera. Il modello «I Love Mum» sembra quindi riscuotere successo anche perché risponde a una necessità fortemente diffusa tra le lavoratrici, ossia la conciliazione tra rientro a lavoro post maternità e la ricerca di un luogo in cui lasciare i propri bimbi durante la propria attività lavorativa: «Ammesso che la donna abbia un impiego, potrà accedere ai cinque mesi di maternità obbligatoria, al termine dei quali si troverà a dover scegliere tra il tornare sul posto di lavoro e trovare un asilo nido per il bimbo e qualcuno disponibile a tenerlo fino al rientro dal lavoro. Uno degli elementi principali che emerge da molte ricerche e analisi sui servizi per l’infanzia è la scarsità e difficoltà di accesso per alcune tipologie di persone a questi servizi per la fascia d’età 0-3 anni: un segno di come l’offerta pubblica, anche se affiancata da proposte private e dall’associazionismo, non si sia ancora adattata al cambiamento dei tempi, alla maggiore flessibilità e alla conseguente precarietà che caratterizza oggi il mondo del lavoro».Una realtà simile a I Love Mum è Piano C, spazio di coworking nato a Milano nel 2012 e al quale il progetto di Roma si ispira. 30 abbonamenti all'attivo, 250 metri quadri tra open space, uffici (quattro su sei sono attualmente occupati), sale multifunzione e aree per i bambini. Quelli che frequentano il Cobaby, seguiti dall'educatrice Francesca Boriosi, hanno un'età compresa tra zero e tre anni. Il Cobaby può ospitare fino a un massimo di otto bimbi. Se si conta anche la community online sono 5mila persone circa quelle che gravitano intorno a Piano C. Porte aperte ovviamente anche agli uomini, papà e non. Un modello di successo che ha dato vita a una vera e propria rete di partner in tutta Italia legati dagli stessi principi e che si è concretizzato anche in attività di consulenza aziendale legate al tema della conciliazione vita-lavoro, su tutte maam U, che punta a valorizzare il ruolo della donna durante e dopo la maternità.Un altro spazio di coworking a misura di genitore è l’Alveare, nato nel 2014 e primo coworking di Roma con spazio dedicato ai bambini. 25 postazioni, 13 bimbi, 130 persone che vi gravitano mediamente ogni settimana. Al suo interno è possibile anche usufruire fino alle 16 di un servizio di educatrici professioniste. Nei 200 metri quadri dello spazio di Centocelle  sono disponibili uffici e postazioni, ma anche una cucina e due giardini. Nel pomeriggio e durante i fine settimana lo spazio ospita attività di varia natura, come teatro, inglese, psicomotricità. «L'alveare non è solo uno spazio per mamme, ma per entrambi i genitori» precisa Serena Baldari, tra le promotrici de L'Alveare: «Inoltre si tratta di un esempio di rivitalizzazione di spazi pubblici inutilizzati. Lo spazio che ospita il coworking è stato dato in concessione da Roma Capitale e e dal V municipio».A Bologna c'è Kilowatt, nato nel 2012, caratterizzato dalla presenza di Kw-Baby, servizio educativo sperimentale per i più piccoli, che possono giocare e imparare attraverso una formula che prevede un forte legame con la natura e l’aria aperta, nello scenario delle Serre dei Giardini Margherita.Il Melo è infine una realtà presente a Napoli, che propone servizi di cobaby e salvatempo (tintoria, take away, spesa a domicilio) e nella quale sono organizzati presentazioni di libri, feste e riunioni di associazioni. Anche in questo caso vengono proposte diverse formule di abbonamento, dal costo per singolo servizio ad abbonamenti mensili e annuali. Per Eva Barrera quello del coworking è un modello di lavoro vincente, che «rappresenta una realtà produttiva sempre più significativa in termini di occupazione e creazione di ricchezza». Tuttavia a fronte del numero complessivo di spazi di coworking in Italia quelli dedicati alle mamma sembrano al momento un po’ pochini: secondo i dati pubblicati su mycowo.com, uno degli spazi più noti di coworking presenti in Italia, sono 280 quelli presenti nel nostro Paese, la maggior parte al nord (190), seguito da centro (55) e sud (40). La Lombardia è la regione con il maggior numero di spazi.Fare qualcosa per ampliare il numero di spazi destinati alle mamme risulta sempre più fondamentale: «In questo contesto, il tema della conciliazione vita-lavoro resta nodale. Un argomento complesso e contraddittorio che investe il processo di modernizzazione delle politiche relative a donna e famiglia e che in Italia registra un sostanziale ritardo rispetto ad altri paesi europei», conclude la Barrera.Chiara Del Priore

Dal colloquio subito al responso, un sogno per chi cerca lavoro? Con l'“exponential recruiting” di Bip è realtà

L'iter di selezione, lo sa bene chi cerca lavoro, è sempre piuttosto lungo. Dall'invio del cv all'agognata proposta da parte dell'azienda di “salire a bordo”, in stage o direttamente con contratto, passano di solito diverse settimane, a volte addirittura mesi, costellati di colloqui e sopratutto di attese. Con l'inevitabile frustrazione di chi frigge per avere una risposta.Questa è la regola. Poi c'è l'eccezione. Si chiama “exponential recruiting” e a realizzarla in Italia per la prima volta è stata Bip, la più importante società di consulenza a matrice italiana. Bip, che fa parte dell'RdS network e si fregia del Bollino OK Stage per le ottime condizioni offerte ai suoi stagisti e per l'altissimo tasso di trasformazione da stage a lavoro, ha elaborato questa nuova metodologia di selezione rapida a partire dal concetto di “Design Thinking” e lo ha sperimentato poche settimane fa all'università di Trento.In un solo giorno 28 ragazzi hanno avuto l'opportunità di conoscere l'azienda, affrontare un colloquio, prove di gruppo, dimostrare il proprio valore, e per 9 di loro la giornata si è conclusa con una proposta concreta immediata. Il merito - o l'azzardo - di aver portato l'idea in Italia è dell'ingegnere informatico Angelo Proietti [nella foto a fianco], partner di Bip, che ha scoperto il “design thinking” lo scorso settembre durante un bootcamp alla d.School di Stanford dove era andato in missione per conto di uno degli amministratori delegati dell'azienda, Fabio Troiani, che gli aveva chiesto esplorare il metodo di David Kelley – il fondatore di Ideo nonché della d.School – e confrontarlo con gli approcci di progettazione maggiormente utilizzati in Bip.«Alla d-School hanno un mantra, “Show don’tell”» racconta Proietti alla Repubblica degli Stagisti: «ed è quello che stiamo cercando di fare applicando il Design Thinking ad ogni occasione di progettazione. Il recruiting è stata una ottima occasione di sperimentazione».Dal punto di vista delle risorse umane, quali sono i vantaggi dell' “exponential recruiting”? «Poter vedere direttamente al lavoro i ragazzi e in un’unica giornata farsi una idea più concreta, rispetto ad un colloquio standard, delle loro potenzialità» risponde Valeria Falconi dell'ufficio HR di Bip: «Una piccola perplessità, all'inizio, dal nostro punto di vista era quella di concentrare tutto il processo di selezione in così poche ore: temevamo che questo potesse stressare eccessivamente i candidati e quindi snaturare la loro performance in fase di colloquio»; ma alla fine i vantaggi sull'altro piatto della bilancia sono talmente numerosi che vale la pena di fronteggiare un po' di stress.  «L'“exponential recruiting” permette di esaminare canditati che lavorano in piccoli gruppi» continua Falconi, che da cinque anni lavora in Bip : «Così noi abbiamo modo di osservane dinamiche, attitudini personali e di relazione "naturali & spontanee" che durante un'intervista individuale non sono attivate o che possono essere – seppure in ottima fede – in qualche modo alterate o modificate. Quando lavori con altri non sentendoti osservato esprimi chi sei senza doverlo raccontare, come avviene invece in un'intervista one to one». La prima edizione, a Trento, è stata un successo: la blasonata università della città, che è legata a Bip da una collaborazione partita da oltre due anni - «abbiamo organizzato con loro diverse tappe intermedie per attività di recruiting che ci hanno permesso di stringere legami di fiducia e stima reciproca», racconta Falconi - aveva raccolto 45 candidature, che poi sono passate sotto lo screening degli addetti HR di Bip. 28 ragazzi sono stati selezionati e si sono presentati di fronte a un team di 5 persone: due addette HR di Bip (oltre a Valeria Falconi anche Michela Piazzolla), il director Claudio Bonacina, il partner Angelo Proietti e Alberto Gennari, che collabora con Bip in qualità in qualità di esperto di processi collaborativi sofisticati.Dei 28 partecipanti, ben 9 hanno ricevuto alla fine della giornata una proposta immediata: tutti e 9 hanno accettato e pochi giorni dopo hanno iniziato a Milano il loro stage in Bip.Già si pensa a nuove tappe: «Faremo una nuova tappa a giugno, di nuovo a Trento. Il format sarà migliorato anche sulla base dei feedback ricevuti dai candidati della prima edizione» aggiunge Falconi: «Ad esempio ci piacerebbe dedicare un giorno e mezzo all’iniziativa in modo tale da approfondire ancor di più la conoscenza dei candidati». E l'“exponential recruiting” diventerà probabilmente una pratica consueta nelle procedure HR di Bip: al momento i profili reclutati attraverso questa metodologia sono il 10% del totale di ingressi annuali (intorno ai 150) in azienda, ma «ci aspettiamo di aumentare questa percentuale a seguito di nuovi eventi di questo tipo». Si tratta certamente una buona notizia per chi cerca lavoro: questa modalità veloce di recruiting va a vantaggio dei candidati perché riduce a zero tutta la parte di "ansia dell'attesa", cioè il tempo successivo tra un colloquio e l'eventuale colloquio successivo, e per il verdetto finale, che mette molta ansia. Ma dal punto di vista dell'azienda invece fare tutto velocemente non impedisce agli HR di riflettere bene su ciascuna candidatura? Proietti è sicuro di no: «Le decisioni di recruiting devono essere prese in modo razionale e sulla base del massimo di informazioni possibili sul candidato» afferma: «Tali informazioni derivano principalmente dall’esposizione che il candidato ha con noi, sia HR sia manager, e questa esposizione nell’“exponential recruiting” è di 4 ore verso 5 persone, noi recruiter, quindi  l’equivalente di 20 colloqui tradizionali a due». “Exponential recruiting”, appunto.

Tirocini da 1200 euro al mese al Parlamento europeo, il primo bando del 2016 è aperto fino al 15 maggio

L’Unione europea offre molte opportunità di formazione ai laureati: tra Consiglio, Commissione europea, Banca centrale europea e altre istituzioni si contano una dozzina di oppportunità di tirocini all’Unione.Tra le varie opzioni spicca con oltre 1200 posti disponibili (600 per ogni "tornata") la possibilità di svolgere un periodo di formazione – con un compenso di 1220 euro al mese – al Parlamento europeo, che ha recentemente aperto il bando per la prossima selezione di giovani laureati. Per cogliere quest’occasione nel prossimo periodo disponibile, da ottobre a febbraio, c’è tempo fino alla mezzanotte del 15 maggio. Ma di cosa si tratta? Vivere per alcuni mesi a Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo o in altre città europee, poter osservare e prendere parte attivamente al funzionamento di un organizzazione sovranazionale. Ma anche continuare la propria formazione in un ambito internazionale, con un ruolo amministrativo, come giornalista o come interprete.Per essere selezionati a fare questa esperienza i requisiti sono chiari: il candidato ideale è un cittadino europeo, con una laurea triennale, conosce una lingua dell’Unione e non ha precedentemente fatto stage o lavorato in attività finanziate dalla comunità per più di quattro settimane (qui il regolamento).I tirocini sono di tipi diversi: si distinguono tra quelli Robert Schuman e quelli specifici per i traduttori. I primi hanno come scopo quello di «consolidare la conoscenza acquisita nei propri studi e familiarizzare con le attività dell’Unione Europea». A loro volta i tirocini Schuman possono seguire tre tipologie. Oltre a un'opzione più ampia per ogni tipo di impiego, all'interno del parlamento ci sono anche le possibilità «Giornalismo», per chi è laureato o ha esperienza nel settore, e un’opzione legata ai diritti umani, denominata «premio Sakharov» come il famoso fisico russo. I tre tipi seguono le differenti aspirazioni dei candidati, e devono essere specificati in fase di domanda.I tirocini per i traduttori sono abbastanza simili: oltre al compito del tirocinante, a cui sono legati requisiti più approfonditi di conoscenza della lingua, hanno la caratteristica di durare di meno (3 mesi invece che 5, infatti ci sono tre tornate di selezione) e di svolgersi in un’unica sede: Lussemburgo.L’iter della domanda, online per tutti i tipi di tirocini, va seguito alla lettera: è consigliabile compilare il testo con molta attenzione, perché non potrà essere modificato successivamente (prima si consiglia la lettura delle domande frequenti). Durante la compilazione non viene chiesto nessun documento o attestato: questi verranno verificati in un secondo momento. I funzionari di Bruxelles raccomandano ai candidati che la domanda venga completata in tutte le sue parti, altrimenti verrà scartata.Oltre alle esperienze di studio viene richiesta una lettera di motivazione e in quali due aree di competenza ("domain") il tirocinante voglia misurarsi (per esempio chi vuole fare il giornalista può scrivere "giornalismo". Bisogna anche scegliere tra le possibili destinazioni: oltre a Strasburgo, Bruxelles e Lussemburgo infatti ci sono gli uffici di informazione del parlamento, presenti in tutta Europa (anche in Italia). La domanda va svolta in breve tempo, il sito avvisa che dopo 30 minuti di inattività i dati vanno persi, quindi è utile raccogliere le proprie idee prima di cominciare.Una volta completata la domanda il Parlamento informa, dopo circa due mesi, dell’esito della selezione. Il candidato può essere messo in lista di attesa (ma solo il 10% di questi verrà chiamato per un tirocinio secondo il sito), ottenere un posto o ricevere una risposta negativa. In caso di offerta si verrà contattati dai responsabili dell'ufficio interessato per definire le modalità di lavoro (le date non possono essere cambiate).Il tirocinio ha regole ben definite e un rimborso spese mensile fisso, oltre a un contributo per le spese di viaggio fino alla delegazione del Parlamento. A questo si aggiungono agevolazioni specifiche per  condizioni lavorative particolari o disabilità.Ormai da anni i giovani italiani vanno all'assalto di questi tirocini: «Nel 2015 abbiamo avuto 21.185 candidati», spiega Costanze Beckerhoff dell'ufficio stampa del Parlamento, «gli Italiani sono stati il 30%, come al solito la nazionalità più rappresentata». In generale bisogna sapere che il numero di posizione aperte è determinato dai bisogni dei differenti uffici dell’organo.Visto il numero di competenze possibili, le  agevolazioni, le differenti possibili sedi e l’entità del rimborso non stupisce il numero importante dei candidati: l’ampia gamma di possibilità di apprendimento all’interno dei ruoli amministrativi attira molto!Matteo Moschella

1° maggio, nel dossier “Sempre meglio che lavorare” su Linkiesta l'identikit dei giovani italiani “refrattari al lavoro”

Al 1° maggio, la Festa dei lavoratori, la testata online Linkiesta dedica un dossier: “Sempre meglio che lavorare”. Tra gli articoli c'è anche quello di Eleonora Voltolina, direttore della Repubblica degli Stagisti, che traccia un identikit dei giovani “refrattari al lavoro”: sono circa 600mila in Italia, non sono impegnati in attività di istruzione o formazione, e dichiarano che non sarebbero disponibili a iniziare a lavorare nemmeno se venisse loro offerto un posto. Un segmento poco conosciuto che Eleonora Voltolina descrive e prova a comprendere con l'aiuto di due esperti, il demografo Alessandro Rosina e la psicologa Sara Alfieri.Gli altri articoli del dossier:La sinistra non l’ha capito: bisogna abolire il lavoro! → di Fulvio AbbateMario Draghi al concertone del primo maggio → di Maurizio MilaniI migliori Paesi per cercare un lavoro → di Lidia BarattaChiamateli nerd se volete, ma fanno i milioni coi videogiochi → di Nicola GrollaLa fabbrica del futuro e il mito del super-operaio → di Fabrizio PattiLa morte non va in crisi, ma anche per le agenzie funebri sono tempi difficili → di Marco Sarti“New Craft”: artigiani, i robot sono qui per salvarviAlle origini del workaholism → di Giovanni Maria RuggieroLa meritocrazia è pericolosa, il futuro è la raccomandazione → di Andrea Coccia

«Tranquillo prof, la richiamo io», il mondo della scuola raccontato al contrario

Due motivi: quello politico di raccontare il mondo della scuola in cui i ragazzi «sono responsabili e gli insegnanti totalmente incompetenti», e quello letterario «di scrivere un romanzo comico che rovesciasse i canoni della letteratura realistica». Da qui è partito Christian Raimo, 40enne scrittore, traduttore, insegnante, per scrivere Tranquillo prof, la richiamo io, pubblicato qualche mese fa da Einaudi. Raimo in questi mesi ha anche curato per Minimum fax il libro intervista di Luigi Manconi, Corpo e anima - Se vi viene voglia di fare politica, che presenterà oggi pomeriggio a Roma alla libreria Ibs-Libraccio. Intanto racconta alla Repubblica degli Stagisti i motivi che l’hanno spinto a raccontare in modo comico grottesco la scuola di oggi e il rapporto docente-studente.  «Sono un lettore della tradizione italiana della narrativa comica che va da Boccaccio a Guareschi, da Giovanni Mosca fino ai contemporanei Paolo Novi o Tiziano Scarpa. Mi interessava da sempre lavorare anche sulla letteratura di tipo scolastico, in cui i protagonisti sono i professori. Penso a Cuore, alle Le parrocchie di Regalpetra di Sciascia, fino al Maestro di Vigevano di Mastronardi. In tutta questa letteratura classica italiana» spiega Raimo «ho trovato che ci fosse sempre un elemento distintivo comune: un professore idealista e in cattive condizioni economiche e dall’altra parte degli studenti sgarrupati ma pieni di buone intenzioni. Mi interessava ribaltare questo modello e raccontare un professore totalmente inadeguato e degli studenti responsabili e capaci».Così nasce l’idea di scrivere «il mondo della scuola al contrario», e prende forma questo romanzo che sperimenta anche una nuova forma di scrittura, dove i «dialoghi sono in realtà monologhi» e dove tutte le forme di comunicazione, «telefonate, mail, messaggi, tutta la grandissima possibilità che abbiamo per esprimerci porta a ridursi a forme di monologo ossessivo nel quale si diventa stalkizzati da qualcuno».Perché Radar, questo il soprannome che il professore vuole i suoi studenti usino per chiamarlo, è un docente ossessionato dai suoi alunni. Un personaggio “esagerato” in cui sono state sintetizzate tutte le paranoie, i lati grotteschi, le frustrazioni che alcuni docenti hanno e che qui sono state esagerate per rovesciare la figura classica dell’insegnante solitamente raccontato nei libri.Qui, invece, il prof è «una figura incapace, imbranata, che non sa relazionarsi con gli altri e non sa fare l’educatore, anche se pensa di saperlo fare nel migliore dei modi possibili».Il libro però non vuole essere una critica alla classe docente. «Scrivo di scuola spesso dal punto di vista saggistico e giornalistico e questa volta mi interessava fare un’azione di rovesciamento» spiega l’autore alla Repubblica degli Stagisti: «E poi volevo raccontare le contraddizioni del dibattito pedagogico. Oggi siamo pieni di retoriche e innovazione 2.0. C’è gente che non capisce nulla di questa roba e spreca milioni di euro nella fuffa del digitale. Per non parlare della retorica delle competenze: è come quella dell’empatia, del rapporto diretto, emotivo con gli studenti. A me interessava mettere in burla un po’ di queste retoriche. E cucirle addosso a delle figure di insegnanti».Così nasce la figura di Radar, che non è ispirata a qualcuno in particolare ma condensa le «caratteristiche un po’ macchiettistiche della classe docente». Radar è «un cattivo insegnante, nonostante abbia masticato tutte queste forme retoriche: l’empatia, il patto formativo, il rapporto orizzontale. Sa parlare di tutto ma compie quello che a mio avviso è il delitto maggiore» riassume Raimo: «eliminare la centralità della materia. Il rapporto tra studente e docente funziona, infatti, se al centro c’è la materia, altrimenti è un rapporto promiscuo, ibrido. Il professore non è un amico, padre, assistente, psicologo. Ha un ruolo diverso, forse più difficile che è quello di creare un vero rapporto profondissimo attraverso la disciplina della materia».L'autore ribadisce di non aver voluto scrivere un libro di critica agli insegnanti: «Credo che oggi la classe docente stia facendo un lavoro di supplenza enorme alle carenze politiche strutturali». Eppure, oggi, sono proprio gli insegnanti ad essere spesso criticati dall’opinione pubblica. «Forse accade non perché si vuole valutare il ruolo dei docenti quanto quello dell’educazione. La scuola, oggi, è rimasta l’ultima grande palestra di uguaglianza nella società contemporanea. Le altre, penso alla famiglia, ai partiti, ai sindacati, si sono indebolite duramente. La scuola, invece, resiste, molto più dell’università. In una classe tu sei uguale al tuo compagno di banco anche se tu sei ricco e lui no, tu cattolico e lui no, tu bianco e lui no. Questo è la base della scuola. E mettere in discussione il ruolo degli insegnanti e l’educazione significa prima di tutto mettere in discussione questo principio di uguaglianza. Si cerca di costruire una società di disuguali esaltando il fatto che si può fare a meno della scuola».Una buona riforma della scuola dovrebbe contenere secondo Raimo la formazione obbligatoria di qualità. «Bisognerebbe cercare di fare una riforma che non lavori sull’aspetto organizzativo, come è stato fatto male nella Buona scuola. Ma che lavori sull’aggiornamento professionale anche da un punto di vista disciplinare. Se insegno filosofia devo essere aggiornato anche sul dibattito filosofico contemporaneo. Stessa cosa per matematica o scienze. E poi bisognerebbe portare l’innovazione del dibattito pedagogico all’interno della scuola. Perché la maggior parte degli insegnanti demotivati sono persone che non hanno una formazione adeguata dal punto di vista pedagogico. E questo è impensabile nel 2016».Magari grazie a una formazione obbligatoria di qualità si riuscirebbe a far diventare migliori gli insegnanti non bravi. Anche se su un punto Raimo è categorico: «Non voglio una scuola di insegnanti eccellenti, ma di insegnanti medio buoni. Perché tutti i ragazzi hanno il diritto ad averli. Con una formazione obbligatoria di qualità potrei portare gli attuali “insegnanti cattivi” a livelli sufficienti e selezionare meglio i prossimi». Ma la formazione obbligatoria dovrebbe essere tutt’altra cosa dei corsi che oggi vengono propinati. «Ho fatto due anni di scuola di specializzazione obbligatoria: ho imparato pochissimo e c’era un’informazione pessima. Perché è ovvio: costa formare i formatori. Però dipende tutto da quello che si vuole. Se la gente vuole che gli insegnanti si arrangino, va bene. Il problema è che questi docenti insegneranno a tuo figlio, che avrà dei professori non validi».Mentre un buon insegnante, al contrario del protagonista del libro, Radar, non deve cercare di essere un amico. Ma deve mettere in pratica delle modalità di insegnamento che valorizzino le forme di educazione tra pari. «Che poi è quello che chiedevano gli studenti 10-15 anni fa. Perché oggi molte delle competenze non si imparano dai docenti: scrivere una mail, fare un curriculum, migliorare l’inglese o usare powerpoint. Si imparano da amici. E in questo senso anche in classe è possibile capitalizzare queste capacità di ri-education, quindi di educazione tra pari e dei rapporti tra novizio ed esperto». Perché oggi, è il messaggio finale di Raimo, l’insegnante non è più solo quello che sta sopra la cattedra e dall’alto dice cosa è giusto o sbagliato. Ma è chi ti sta accanto e ti aiuta a interpretare il mondo che è intorno. Marianna Lepore

Flessibili ma determinati: il Rapporto Giovani 2016 racconta una generazione «che non deve essere data per perduta»

Come stanno i giovani italiani?  Come si evolve il rapporto con la famiglia? Come e quando diventano indipendenti?  Quali aspettative hanno rispetto al futuro? Cosa pensano dell’Italia e dell’Europa? Quale rapporto hanno con il mondo del lavoro? A queste e molte altre domande ogni anno prova a rispondere Rapporto Giovani della fondazione Toniolo. Lo studio, la cui ultima edizione è stata presentata a Milano presso l’università Cattolica pochi giorni fa, è un grande contenitore che raccoglie le risposte di un campione di 9mila giovani di età compresa tra i 19 e i 32 anni. Ci sono tutti: dalla generazione Z ai millennials, passando per studenti, disoccupati e lavoratori a tempo indeterminato. Il rapporto, di cui la Repubblica degli Stagisti aveva già parlato nelle due precedenti edizioni, mostra come i ragazzi siano consapevoli delle difficoltà attualmente presenti nel mondo lavorativo, ma non perdano la speranza, anzi siano pieni di voglia di fare e pronti a rimboccarsi le maniche per il futuro. «Abbiamo iniziato lo studio tre anni fa, all’apice della crisi» racconta Alessandro Rosina, professore di Demografia e responsabile della ricerca, per capire come i giovani interagiscano «nella fase più delicata, per costruire la transizione nella vita adulta». Le condizioni di partenza, però, non sono le migliori. «Nella fascia fra i 20 e i 30 anni i giovani italiani sono quelli con minore fecondità, minor reddito in relazione alla mansione, minor autonomia». Si parla di ragazzi e ragazze che escono di casa a 30 anni – cinque dopo la media europea. Che ritengono di avere meno opportunità dei coetanei all’estero – in Italia lo dicono tre giovani su quattro, in Germania uno su dieci. Che non si fidano degli altri, e in generale non sanno cosa aspettarsi dal futuro. «Non è solo una ricerca quantitativa, ma anche qualitativa» specifica Rosina: infatti permette di comprendere, a partire dalle risposte, quali valori e motivazioni muovano le generazioni di oggi. «Abbiamo la percentuale più bassa di under 30 nei paesi europei» spiega il professor Rosina. Troppi expat, ragazzi che vanno all’estero, e un basso tasso di natalità lasciano sguarnito il paese, che fa poco per aiutare le nuove generazioni ad emergere.Ma nonostante la consapevolezza dei problemi esistenti c’è chi non si dispera: come Lorenzo Fiorito e Nayara Pinho, intervenuti alla fine del convegno. Lorenzo è salentino ed è venuto a Milano per creare la sua seconda start up, Nayara è brasiliana e vuole realizzare un’idea di business legata alla moda. Entrambi hanno lasciato il luogo di origine per seguire il proprio sogno, entrambi hanno studiato il mercato per proporre idee innovative e non temono la concorrenza, e non sono i soli. La tendenza a trasferirsi all’estero - tema già emerso negli anni precedenti - e l’adattamento, infatti, sono sempre più punti fondamentali per gli under 30 italiani: secondo il rapporto oltre l’80% è disposto a trasferirsi stabilmente per lavoro (o in altre parti d'Italia o in altri Paesi), e quando gli viene chiesto quale sia la caratteristica fondamentale da avere nel mondo del lavoro risponde citando la capacità di adattarsi a nuovi contesti (55%). I ragazzi pensano molto al lavoro, che giudicano pragmaticamente in primis fonte di reddito (91%), poi importante per il futuro (88%), utile allo scopo di creare una famiglia (87,5%) e infine modalità di auto realizzazione (85%). Ma non finisce qui: i giovani non smettono di cercare opportunità per migliorare la propria vita e il proprio lavoro e al 44% si dichiarano insoddisfatti della retribuzione che percepiscono. Molti ammettono ancora di essere fortemente influenzati dalla famiglia, da cui provano a staccarsi con differenti esiti (dopo essersene andata di casa più della metà è costretta, a un certo punto, a ritornare sui propri passi). «Ma non chiamateli semplicemente Neet» spiega Rosina: gli adulti di domani sono esigenti con sé stessi, con la propria formazione (non sono interessati ai titoli, ma alle competenze specifiche che la scuola può dare per il futuro), con il mercato del lavoro (che deve essere in grado di farli crescere e di pagarli) e soprattutto con il sistema paese.Ma cosa dovrebbe offrire l’Italia a questi ragazzi? Luigi Bobba, sottosegretario del ministero del Lavoro con delega ai giovani, ritiene che si debba ripensare alle nuove generazioni come «risorsa informativa» citando alcune iniziative del governo (il Jobs Act, la legge di stabilità, l’alternanza scuola-lavoro, Garanzia Giovani, Crescere in Digitale e il servizio civile) grazie alle quali 463 mila giovani hanno trovato lavoro o ottenuto condizioni contrattuali migliori nel 2015. Le condizioni non sono le migliori, ma qualcosa sta cambiando. «La loro non deve essere assolutamente considerata una generazione perduta» incalza Giovanni Bazoli, presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, sponsor del rapporto insieme alla fondazione Cariplo. Bazoli si augura che una minoranza dei giovani porti il buon esempio e traini la maggioranza come motore del paese: e in effetti questo Rapporto Giovani 2016 racconta ragazzi consapevoli ma non rassegnati, pronti cambiare la situazione intorno a sé. «Il primo rapporto era apparso in un periodo di crisi: la speranza è di riuscire, nelle prossime edizioni, a raccontare una situazione diversa» conclude Rosina. Matteo Moschella

I "500 giovani per la cultura" da mesi senza compenso, e forse penalizzati dal concorso annunciato dal Ministero

Selezionati attraverso un bando pubblicato nel dicembre 2013, dopo un lungo processo di valutazione, da maggio 2015 hanno cominciato il loro programma formativo: sono i “500 giovani per la cultura”, i laureati selezionati dal Mibact per svolgere un “programma straordinario di formazione” di un anno, di cui la Repubblica degli Stagisti si è ampiamente occupata fin dall’inizio – anche per le aspre polemiche iniziali sul rimborso spese troppo basso.Finite le 100 ore di lezione in aula, dallo scorso settembre i partecipanti hanno iniziato la seconda fase, che durerà fino al giugno di quest’anno e che li vede occupati in attività di catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale presso soprintendenze, biblioteche e archivi di stato e poli museali. Ma ad oggi questi circa 500 – che in realtà con i mesi sono andati via via diminuendo, per le molte rinunce – da gennaio 2016 non hanno più visto un euro del proprio compenso, 456 euro al mese.Oltre alla questione pecuniaria, c'è anche da chiedersi che fine faranno questi giovani, nel frattempo costituiti nel comitato «500 giovani per la cultura», alla fine dei 12 mesi previsti. Sono stati selezionati dal ministero, che ha affinato le loro competenze: ma quando andrà in scadenza il “programma di formazione”, che ne sarà di loro? Si troverà un modo per inserire almeno i più meritevoli in organico in quegli stessi uffici dove da tempo il personale è carente?Alla Repubblica degli Stagisti sono arrivate numerose testimonianze di questi tirocinanti non tirocinanti – una definizione che deriva da una circolare dell'ottobre dell'anno scorso, in cui il direttore generale Caterina Bon Valsassina aveva scritto che «il programma “500 giovani per la cultura” non rientra nelle casistiche indicate […] in quanto non si tratta di forma di lavoro né di tirocinio di formazione e orientamento». Questi presunti “ibridi” con il tempo hanno cominciato ad accumulare sfiducia e rabbia, che hanno raccontato alla RdS: c’è chi la definisce una «letterale presa per i fondelli», un «concorso andato a male», chi si lamenta della mancanza di comunicazione tra la direzione generale Mibact e le segreterie regionali. Insomma gli animi sono accesi e pronti ad alzare la voce.In primo luogo perché mancano tre mesi almeno di indennità di partecipazione. Un ritardo dovuto al cambiamento delle modalità di accreditamento ed emissione passato da NoiPa, il sistema informativo che si occupa del trattamento economico del personale centrale e periferico della Pubblica amministrazione, ai segretariati regionali. Decisione annunciata con una circolare del 29 gennaio, quando invece i partecipanti al programma speravano di trovare l’accreditamento della somma come gli altri mesi il giorno 23. E che pure fa riflettere: se questi soggetti non sono stagisti e non sono equiparabili a nessuna forma di lavoro dipendente non si capisce perché all’inizio siano stati pagati dal sistema informativo che gestisce «la presa in carico del trattamento economico del personale centrale e periferico della Pubblica amministrazione».  Purtroppo il problema del mancato pagamento non si è limitato al mese di gennaio, ma si è trascinato anche per febbraio e marzo ed è tuttora in corso: e alla fine al danno economico i 500 giovani per la cultura hanno visto aggiungersi anche la beffa. Recentemente è, infatti, uscito un decreto ministeriale per un nuovo concorso pubblico per l’assunzione di 500 funzionari. Decreto che annuncia la pubblicazione dei concorsi per le varie figure professionali entro il 30 aprile, quindi prima della fine del percorso per questi 500 giovani.«Una bella mazzata perché significherebbe che quel piccolo barlume che oggi mi consente di andare avanti in questo progetto, ossia ottenere punteggio utile per i prossimi concorsi ministeriali, si spegne del tutto. Anche perché quando uscirà nuovamente un concorso per 500 funzionari? Forse tra 10 anni», scrive sconfortata alla Repubblica degli Stagisti una partecipante al progetto che preferisce mantenere l’anonimato.Se questi giovani, per quanto ormai con poca fiducia, sperano che il concorso slitti nel tempo e prenda in considerazione le competenze sviluppate fino ad oggi, resta sullo sfondo la domanda sulla ratio dietro ai ragionamenti ministeriali. A cosa serve far iniziare un percorso senza poi definirne nel tempo la sua realizzazione?Anche perché le richieste di questi giovani, ovvero di trovare uno sbocco al loro programma ormai in dirittura d’arrivo, non sono poi tanto campate per aria. L’allora ministro Bray nel novembre 2013, davanti alle commissioni beni culturali di Camera e Senato, poco prima della pubblicazione del bando, aveva ammesso che nella pianta organica del ministero mancavano all’appello 600 persone, aggiungendo che con il progetto “cinquecento giovani per la cultura” si attuava un programma straordinario che avrebbe dovuto portare a incrementare «la pubblica fruizione del patrimonio». Il ministro non lasciava dubbi sulle possibilità future dei partecipanti, affermando che «al termine del percorso formativo e della collaborazione nell’attività che andranno a svolgere, i laureati che abbiano conseguito un giudizio favorevole secondo le modalità definite con decreto ministeriale saranno immessi nei ruoli del ministero con il corrispondente profilo professionale».Se la domanda legittima, all’epoca, era come fosse possibile per un ministero assumere senza una procedura concorsuale, oggi invece è capire come mai stia per essere pubblicato un bando che non sembra voler valorizzare quei laureati che stanno già prestando servizio. Quando invece il bando che aveva reclutato i 500, all’ultimo comma dell’articolo 5, prometteva il rilascio «a coloro che lo abbiano portato a termine un apposito attestato di partecipazione, valutabile ai fini di eventuali successive procedure selettive del ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e degli istituti da esso vigilati». Non solo: anche il sottosegretario al ministero dei beni culturali, Ilaria Borletti Buitoni, in uno scambio mail con alcuni tirocinanti aveva risposto che avrebbe appoggiato eventuali opportunità lavorative pur non rientrando l’argomento tra le sue deleghe.Eppure oggi non solo non ci sono notizie certe su quando e se verranno liquidate le somme spettanti a questi giovani, ma nemmeno si capisce quali siano gli sbocchi di questo programma formativo straordinario che si concluderà nel giugno 2016. In una lettera alla Repubblica degli Stagisti alcuni partecipanti evidenziano tutti i punti anomali del loro progetto: ad esempio la continuità del rapporto di lavoro, obbligatoria ogni settimana, che non consente di prestare servizio presso altri datori di lavoro; un concorso, sostenuto dopo una prima fase di scrematura attraverso la valutazione per titoli, che non solo ha visto l’impiego di consistente denaro pubblico ma che non avrebbe senso per un “programma formativo” e che in aggiunta oggi non viene nemmeno considerato come requisito preferenziale di assunzione; nessun concorso previsto che consideri le graduatorie pubbliche in cui sono stati inseriti. E il nuovo decreto ministeriale che annuncia il concorso per 500 funzionari senza utilizzare i “500 giovani” «già sostenitori di concorso pubblico» appare ai diretti interessati come una beffa. I tirocinanti ora chiedono «un prolungamento della nostra attività o una trasformazione della stessa in concrete opportunità lavorative, per migliorare non solo la qualità dei servizi e la sicurezza dei beni culturali per le utenze ma anche per impiegare il bagaglio di conoscenze acquisito in questo anno  di formazione».Cosa succederà in futuro? Si procederà con nuove selezioni simili? «Come associazione confermiamo la nostra più ferma contrarietà a progetti ambigui come questi, che non sono né formazione né lavoro», dichiara alla Repubblica degli Stagisti Salvo Barrano*, appena rieletto presidente dell'Associazione nazionale archeologi. «Rischiano di essere un inganno per chi partecipa e una provocazione per chi da anni si forma negli istituti e nei luoghi deputati alla formazione, ovvero nelle università e nelle scuole di specializzazione o di dottorato».«Ho la presunzione di credere che né il ministro Franceschini né altri ministri replicheranno iniziative simili, peraltro volute dal governo precedente guidato da Enrico Letta» prosegue Barrano: «Oggi mi pare che il ministro abbia già invertito la rotta, promuovendo con la legge di stabilità approvata a dicembre un concorso per 500 posti a tempo indeterminato presso il Mibact. Il bando uscirà nei prossimi giorni mentre un bando per 60 funzionari a tempo determinato è già uscito a marzo. Potremmo sintetizzare dicendo che nel 2014 sono state promosse due manifestazioni per chiedere buona occupazione: quella dell'11 gennaio, 500 No al Mibact, e del 29 novembre, Cultura è Lavoro. La bella notizia è che la politica ha compreso il messaggio, la brutta è che ci abbia messo due anni».I partecipanti al programma “500 giovani per la cultura” potrebbero comunque iscriversi al bando; la questione è quella della valorizzazione, in quella sede, del punteggio corrispondente a questo percorso: «Probabilmente basterebbe presentare al ministero una richiesta per poter integrare i titoli limitatamente al percorso formativo, quando questo percorso sarà completato. Non mi sembra una richiesta irragionevole» suggerisce Barrano: «Ma gli uffici del ministero hanno urgente bisogno di nuovo personale, anche per dare attuazione alla riforma appena avviata, e non possono certo aspettare le micro-istanze dei singoli partecipanti al concorso. Anche perché ci sono tantissimi altri casi di criticità per quanto riguarda l'attribuzione dei punteggi o la valutazione dei titoli: su questo come Ana faremo pervenire a breve al ministero le nostre osservazioni»Resta una amara certezza: che l’Italia, che ospita ben 44 dei 911 siti tutelati dall’Unesco in tutto il mondo – il che vuol dire che detiene quasi il 5% del patrimonio artistico-archeologico di tutto il mondo, pur avendo una superficie che non si avvicina nemmeno lontanamente a quella percentuale rispetto all’intera superficie terrestre – in questi anni ha dimostrato una scarsa attenzione verso chi per quei siti, quei monumenti, quei palazzi, nutre invece passione e potrebbe portarvi un valore aggiunto. Ci sarà davvero una inversione di tendenza?Marianna Lepore*la foto di Salvo Barrano è di Salvatore Agizza

L'azienda in cui gli italiani sognano di lavorare? È Ferrero: nuova vittoria al Randstad Award

Se chiedi “Dove vorresti lavorare?” a una persona, in Italia, la risposta è: “In Ferrero”. L'azienda piemontese, produttrice della mitica Nutella e di una miriade di altri prodotti del food & beverage, è stata consacrata qualche giorno fa anche dal Randstad Award, il riconoscimento - giunto alla sua sesta edizione - assegnato ogni anno dall’agenzia per il lavoro Randstad. Gli intervistati, oltre 7mila in età lavorativa (cioè tra i 18 e i 65 anni), è stata sottoposta  una lista di 150 aziende con oltre mille dipendenti con sede in Italia attive in vari settori. E Ferrero si è piazzata lì, al top, come già l'anno scorso. Una bella soddisfazione, ma certo non una sorpresa considerando come l'azienda tratta i suoi dipendenti e anche gli stagisti: Ferrero fa infatti parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti fin dalla fondazione del sito, ottenendo anno dopo anno il “Bollino OK Stage” per le ottime condizioni offerte sia in termini di rimborso spese (750 euro al mese che diventano 1000 per chi arriva da lontano, i “fuorisede”) sia in termini di probabilità di assunzione post stage. E sia nel 2014 sia nel 2015 Ferrero ha anche vinto l'“Award Speciale Candidati RdS”, il premio della Repubblica degli Stagisti per il suo modo efficace gestire il contatto con chi invia il proprio cv.Il Randstad Award, condotto su oltre 200mila persone in 25 Paesi, registra quanto e per quali fattori le imprese sono capaci di attirare chi cerca lavoro o chi vuole cambiarlo. Dopo Ferrero, le altre aziende sul podio sono…Continua a leggere su Linkiesta