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285 posti come assistenti di italiano all'estero: ancora pochi giorni per candidarsi al nuovo bando del ministero

Under 30, con una laurea specialistica presa non prima del gennaio 2015 e tanta voglia di fare un’esperienza lavorativa in un paese europeo: è questo il target di riferimento del nuovo bando del ministero dell’istruzione per assistenti di lingua italiana all’estero per l’anno scolastico 2016-2017. Le domande vanno consegnate entro le 23.59 del 29 febbraio e, una volta vagliati i requisiti, si potrebbe rientrare tra i circa 285 posti di assistente distribuiti tra Austria, Belgio, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Irlanda. Gli assistenti affiancheranno i docenti di lingua italiana in servizio nelle scuole del Paese di destinazione «fornendo un originale contributo alla promozione e alla conoscenza della lingua e della cultura italiana» recita il bando. Tra i requisiti necessari per partecipare elencati c'è la cittadinanza italiana, non aver compiuto 30 anni, non essere stati già assistenti di lingua italiana all’estero su incarico del ministero, non essere legati da alcun rapporto di lavoro con amministrazioni pubbliche dal settembre 2016 al maggio 2017 e aver preso una laurea specialistica o magistrale a partire dal 1° gennaio 2015. Quindi se si è in possesso di laurea presa nel dicembre 2014, o prima, si è automaticamente esclusi. Ma non basta: è necessario aver anche sostenuto almeno quattro esami nel corso di laurea – triennale, quadriennale o specialistica – relativi alla lingua o letteratura o linguistica italiana e del Paese per cui si presenta domanda appartenenti ai settori tecnico scientifici indicati in due tabelle allegate al bando. Requisiti che devono già essere posseduti alla data di scadenza dell’avviso, pena l’esclusione dalla selezione. La somma dei requisiti determinerà il punteggio finale che sarà inserito nella graduatoria di merito pubblicata sul sito del ministero. A quel punto i candidati in posizione utile nelle singole graduatorie dovranno inviare curriculum, lettera di presentazione di un docente universitario della lingua per la quale si fa domanda e documenti di identità che saranno vagliati per la selezione.  Il periodo di insegnamento è di circa otto mesi, con un impegno di 12 ore settimanali, e si potrà essere assegnati a scuole di vario grado – scuole elementari solo in Francia (se si è interessati a questa opportunità è necessario specificarla nel modulo di candidatura), medie e superiori ovunque. Il compenso mensile varia non solo in base alla durata del contratto – in alcuni paesi da ottobre ad aprile, in altri fino a maggio – ma cambia anche da Paese a Paese. Si va dalle 1.100 sterline per gli assistenti dell'area di Londra, ai poco più di mille euro netti dell'Austria, passando per gli 830 del Belgio e i 700 euro netti per 12 ore settimanali della Spagna (dove lo stipendio, però, sale a 1.000 euro per la città di Madrid con un aumento delle ore fino a 16).  Tutte le altre spese – quindi volo, appartamento ed eventuali assicurazioni – sono a carico degli assistenti, con la sola eccezione della Germania che oltre agli 800 euro netti garantisce anche l’assicurazione malattia, infortuni e responsabilità civile da parte dell’autorità che gestisce il programma. Il ministero non può al momento sapere come saranno precisamente distribuiti i posti, ma per avere un’idea delle richieste si possono guardare i numeri dell’anno scorso che hanno visto, ad esempio, solo tre assistenti in Belgio (di lingua francese), 25 in Spagna, 34 in Austria e ben 178 in Francia, il paese con il numero più alto. Per candidarsi è necessario collegarsi al sito predisposto dal ministero, dove fino alla scadenza dei termini di presentazione della domanda è possibile modificare e integrare il proprio modulo online. Una volta pubblicata la graduatoria di merito e determinati i posti definitivi messi a disposizione, saranno le autorità dei Paesi partner a contattare direttamente gli assistenti e a formalizzare gli incarichi per il nuovo anno scolastico. In quel caso, entro 5 giorni dalla lettera di incarico sarà necessario comunicare l’accettazione o meno del mandato. E se all’ultimo momento per qualche motivo si decidesse di rinunciare all’incarico? Se ci sono motivi di salute grave, che quindi comportano un ricovero ospedaliero, o se si ha un contratto di lavoro nel periodo di svolgimento dell’incarico, allora la rinuncia non comporta la perdita dal partecipare alle prossime selezioni. In caso contrario, invece, si sarà cancellati dall’elenco.Basta fare una piccola ricerca in internet per scoprire che la maggior parte di coloro che hanno fatto questa esperienza, in grandi o piccole città, la descrivono come molto positiva, nonostante le difficoltà iniziali a trovarsi in contesti molto diversi dallo scenario italiano. Molti, una volta rientrati, raccontano di aver trovato molto utile questa pratica prima di insegnare in scuole italiane, e c'è addittura chi la definisce una delle esperienze più stimolanti della propria vita.Se foste interessati e le FAQ predisposte dal ministero non esaudissero tutti i dubbi, ci sono anche molti gruppi Facebook, divisi per paese di destinazione, a cui potersi iscrivere per trovare maggiori informazioni. I motivi per partecipare certamente non mancano: l’esperienza internazionale arricchisce sempre il proprio curriculum, in primis, e poi c'è la possibilità di insegnare, che al momento per molti dei potenziali candidati nel nostro Paese è una prospettiva lontana.Marianna Lepore

«Colloquio istruzioni per l'uso!», la nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti per i giovani che cercano lavoro

Parte oggi qui sulla Repubblica degli Stagisti una nuova rubrica, con l'obiettivo di dare una risposta alla domanda: "Cosa c'è da sapere se mi voglio candidare per quell'azienda?". Ci siamo accorti infatti che tantissimi lettori usano il nostro Forum per cercare informazioni sulle procedure di selezione: se qualcuno viene convocato a colloquio, passa prima sul nostro sito a chiedere se noi della redazione o qualche altro lettore abbiamo qualche informazione sulle modalità di colloquio, le tempistiche, le domande più frequenti.Abbiamo allora deciso di aprire uno spazio settimanale dedicato proprio a questo tema, e la scelta più naturale è stata quella di chiamare in causa le aziende del nostro RdS network, che abbracciano e condividono la nostra “filosofia” e si impegnano a garantire ai giovani buone condizioni di ingresso, a cominciare dall'indennità di stage e dalla trasparenza sulle probabilità di assunzione.Avviamo la rubrica «Colloquio istruzioni per l'uso!» con una tripletta di aziende, ciascuna molto importante nel suo settore: la società di consulenza BIP, l'azienda biomedicale Medtronic e Carglass, leader nella riparazione e sostituzione dei cristalli delle automobili.→ Colloquio in Medtronic, istruzioni per l'uso → Colloquio in Carglass, istruzioni per l'uso→ Colloquio in Bip, istruzioni per l'usoTre voci femminili, tre professioniste con molti anni di esperienza nel campo delle Risorse umane – l'HR director di Medtronic Alessandra Sama e le HR specialist Elena Pozzi per Bip e Paola Margaroli per Carglass – raccontano ciascuna la sua realtà: quali profili cercano, come selezionano i cv, come si svolgono i colloqui, quali sono gli errori da non fare, che tipo di percorso di carriera viene prospettato a chi entra in azienda. Vi sono delle istanze generali che accomunano i tre contributi: per esempio, il consiglio di presentarsi sempre ben preparati rispetto alle attività dell'azienda, perché i candidati “superficiali” – che magari non ricordano nemmeno più di aver inviato il cv per quella posizione, pensando di bilanciare con la propria preparazione accademica o con l'eloquio brillante – non sono mai giudicati positivamente.Poi vi sono le peculiarità: alcune aziende per esempio preferiscono ricevere candidature (e qui attenzione: il formato Europass del cv sembra non piaccia a nessuno, meglio virare su una personalizzazione…) soltanto in risposta a specifici annunci; altre invece apprezzano anche le autocandidature. Così come alcune prevedono dei colloqui di gruppo, anche per valutare le capacità di cooperazione e di competizione dei candidati, mentre altre procedono direttamente con incontri individuali. Il risultato è una rubrica che - ce lo auguriamo - sarà preziosa, d'ora in poi, per tutti coloro che desiderano documentarsi e prepararsi ad hoc prima di inviare il proprio curriculum a una di queste aziende, o in vista della convocazione per un colloquio. In bocca al lupo a tutti, buona lettura, e appuntamento alle prossime puntate con altre aziende!

Tirocini in Lombardia, ancora niente monitoraggio (malgrado sia previsto dalla legge)

Nella nuova regolamentazione della Regione Lombardia sui tirocini, entrata in vigore nel dicembre del 2013, c'era una promessa: quella di monitorare la situazione pubblicando ogni anno un report con i dati principali sul numero, la destinazione, l'esito di questi stage. Un modo per approfondire l'utilizzo di questo strumento formativo - entrato ormai da anni nella quotidianità delle aziende private, degli enti pubblici e perfino delle associazioni non profit - sopratutto per verificarne l'efficacia e contrastare gli eventuali abusi.La promessa finora non è stata mantenuta. A tenere alta l'attenzione del consiglio regionale su questo tema è Jacopo Scandella, uno dei consiglieri più giovani del PD, partito che in Regione Lombardia è all'opposizione. Scandella aveva già tirato fuori l'argomento del monitoraggio lo scorso ottobre, presentando una interrogazione con risposta immediata all'assessore al Lavoro Valentina Aprea in cui chiedeva «se il monitoraggio previsto» dalla normativa fosse stato eseguito «e, nel caso, se e dove è stato pubblicato sul sito web della Direzione generale Istruzione, Formazione e Lavoro». La Aprea dopo alcuni giorni si era presentata in consiglio e aveva risposto citando un rapporto di Eupolis: «L'analisi dei tirocini è effettuata per i tirocini extracurriculari per i quali è prevista la Comunicazione Obbligatoria» si leggeva nella sua risposta: «Regione Lombardia effettua e pubblica annualmente tali verifiche periodiche con l'obiettivo di acquisire indicazioni sull'andamento dell'istituto del mercato del lavoro. In particolare la previsione del citato art. 5, nel 2014 è stata attuata nell'ambito del rapporto di ricerca 2014 dell'Osservatorio del mercato del lavoro e della formazione nel quale sono stati presentati dati e informazioni sui tirocini extracurriculari». La Aprea aveva rimandato al sito di Eupolis, specificando che «il capitolo 4.5 è dedicato ai tirocini extracurriculari in Lombardia (pag. 108) e la tabella 4.4 illustra i Tirocini extracurriculari di giovani 15-29 anni attivati e cessati in Lombardia, per genere (pag.109)»«Ma terminata la risposta, andai a verificare» ricorda Scandella «e la cosa non tornava. Non erano che due paginette! La Aprea avrebbe dovuto semplicemente ammettere che il rapporto annuale non era stato fatto. Intendiamoci, non sarebbe stata la fine del mondo: poteva impegnarsi a recuperare. Invece in quell'occasione cercò di nascondersi dietro ad un lavoro di Eupolis che non poteva essere paragonato a quello che la Giunta stessa si era impegnata a fare con la delibera. A quel punto mi ero ripromesso di risollevare la questione in commissione o consiglio, per chiedere che la Regione si impegni a fare il rapporto annuale, dimostrando così maggiore attenzione sul tema dei tirocini, in crescita e che interessano molti ragazzi e ragazze». Il momento giusto si è presentato questa settimana: «Abbiamo discusso in aula una mozione che chiede alla giunta di realizzare finalmente il monitoraggio sistematico sulla qualità dei tirocini, come previsto dalla delibera che ha regolato tempi, costi e modalità dei tirocini in Lombardia sulla base dell'accordo in conferenza stato-regioni ormai datato 2013» racconta Scandella: «Chiediamo anche di promuovere degli osservatori nelle diverse province, composti da soggetti promotori, rappresentanti delle categorie, associazioni e sindacati, per valutare in maniera approfondita quali settori, territorio per territorio, si dimostrano più adatti alle esperienze di tirocinio». Oltre a Scandella, la mozione vede come firmatari altri tre consiglieri PD: l'ex sindacalista Onorio Rosati, già segretario generale della Camera del Lavoro di Milano; Mario Barboni, precedentemente impiegato in un'azienda tessile e per oltre dieci anni sindaco di un paesino in provincia di Bergamo; ed Enrico Brambilla, già revisore legale e anche lui con una lunga esperienza da sindaco (a Vimercate).Al momento della discussione l'assessore Aprea non era presente in aula; in sua vece è intervenuto il collega Massimo Garavaglia, titolare dell'assessorato regionale all'Economia, crescita e semplificazione, «dicendo che non si era fatto in tempo ad inserire il monitoraggio l'anno scorso» racconta Scandella «ma che a marzo dovrebbe essere inserito nel rapporto annuale sul lavoro. La mozione per questo motivo è stata rinviata in commissione». Anche se è improbabile che riesca a passare, perché la Lega e la Lista Maroni hanno già espresso parere negativo: «Secondo loro il monitoraggio è solo più burocrazia». Niente di più sbagliato in questo caso: solo conoscendo i dati reali di utilizzo degli strumenti di accompagnamento dalla formazione al lavoro, di cui il tirocinio è il più importante e senz'altro il più utilizzato - sono all'incirca 90mila gli stage che vengono attivati ogni anno nella sola Lombardia, che in assoluto ospita il numero più alto di stagisti, sia lombardi sia provenienti da altre Regioni - si potranno approntare le politiche giuste per affrontare e ridurre la disoccupazione giovanile.E comunque, volenti o nolenti, alle leggi ci si dovrebbe sempre adeguare: se nel testo della delibera sui tirocini c'è scritto che la Regione si impegna a realizzare il monitoraggio - testuale: «La Regione promuove un monitoraggio sistematico dei tirocini e degli eventuali inserimenti lavorativi post tirocinio, anche attraverso l’analisi delle comunicazioni obbligatorie. Sulla base di questo monitoraggio sarà redatto un rapporto annuale, pubblicato sul sito web della Direzione generale competente» - non è accettabile che la legge venga disattesa.«Peraltro Garavaglia ha smentito quanto detto da Aprea a ottobre» rileva Scandella, dato che «lei aveva affermato che il monitoraggio era quella paginetta nel rapporto Eupolis». Ora il Partito democratico chiede «che il monitoraggio non si esaurisca in una sintesi all’interno del Rapporto annuale del mercato del lavoro e della formazione, ma in una approfondita e puntuale relazione» suggerendo che sia  «arricchita anche da una analisi del livello di trasformazione dei tirocini in rapporti di lavoro».

Formare i giovani al lavoro, ripartono gli stage del “Campus” di Sanpellegrino

«Tra sei mesi sarete persone completamente diverse: sarete dei professionisti super appetibili nel mondo del lavoro». Un biglietto da visita migliore, per un programma di stage, non potrebbe esistere: specialmente se a pronunciare la frase è un ex tirocinante che ha vissuto la stessa esperienza l'anno precedente. Così ha presentato il Sanpellegrino Sales Campus Plus Ian, 25enne bergamasco, che l'anno scorso ha fatto la sua esperienza da “campussino” nella zona dell'Emilia Romagna: «Siete fortunati perché l'azienda vi sarà veramente vicina: sfruttate bene i tutor, io nel mio ho trovato non solo un mentore ma anche un amico». Entusiasta anche un'altra ex “campussina”, Lucrezia: «Ci si mette realmente in gioco, è un training sul campo».Il “Sanpellegrino Sales Campus”, opportunità di fare un'esperienza on the job nella più importante azienda del settore beverage non alcolico, è ripartito questa settimana. «I giovani hanno bisogno di ritrovare la fiducia nel mercato del lavoro e nel Paese» ha detto Stefano Agostini, AD di Sanpellegrino, all'evento che ha dato avvio all'edizione 2016. «È fondamentale per voi trovare un contesto dove cominciare a mettere in pratica le cose imparate» ha aggiunto rivolgendosi direttamente ai ragazzi: «Questo nostro Sales Campus all'interno di Sanpellegrino, azienda tra le icone e i simboli del “Made in Italy”, si inscrive nel progetto più ampio Nestlé Needs Youth. Ragazzi, avete una grandissima opportunità: da domani sarete già operativi. Nei primi giorni potrete capire insieme ai nostri colleghi cos'è questa azienda, come siamo organizzati». Raccomandando a ciascuno dei 19 neo “campussini” di sfruttare al massimo l'occasione: «Un ruolo molto importante lo avranno i tutor, vi seguiranno nel percorso e anche quando sarete sul campo, nelle vendite o nelle fabbriche». Quattro dei ragazzi andranno a fare la loro esperienza all'interno di  stabilimenti produttivi Sanpellegrino: «Stare nelle fabbriche è bellissimo, lì si vedono nascere i prodotti»; parallelamente «chi sarà nelle vendite  vedrà i consumatori o i ristoratori prendere la decisione di acquistare i prodotti Sanpellegrino o quelli della concorrenza». Due percorsi diversi ma ugualmente interessanti: «Non è detto poi che chi comincia nelle vendite poi resti lì per tutta la vita» ha specificato Agostini, che proprio come venditore entrò vent'anni fa nel gruppo Nestlé, fino ad arrivare a ricoprire il ruolo di amministratore delegato di Sanpellegrino. Le sue parole trovano conferma nella testimonianza di Lucrezia, ieri campussina nelle vendite a Roma, oggi assunta nell'ufficio marketing della categoria cioccolata: «Una prova che le competenze acquisite in ambito commerciale mi sono servite per il mio futuro».«Vivete questo momento anche come una opportunità per voi di capire quali sono le vostre ambizioni» è stata l'esortazione di Agostini: «Metteteci tanta dedizione e fate tante domande. La nostra priorità è darvi 6 mesi di formazione, se poi porterete dei risultati ne saremo contenti, ma l'obiettivo é quello della formazione: darvi la possibilità di fare un'esperienza che vi permetta di trovare un posto di lavoro, qui in azienda o anche in altre realtà».«È la terza volta che partiamo con questa avventura, ed ogni volta è più bello ed emozionante» ha aggiunto Giacomo Piantoni, direttore HR di Nestlé Italia: «Complimenti ai ragazzi che hanno superato le selezioni, che sono state durissime: da quando è partita l'iniziativa abbiamo ricevuto più di 100mila cv». Non a caso il Gruppo Nestlè, per la sua attenzione al tema dell'occupazione giovanile, da sempre aderisce al network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti e ha ottenuto anche per l'anno in corso il riconoscimento Bollino OK Stage. Piantoni ha voluto riassumere la realtà e condividere con i neo campussini i valori di Nestlé: «Abbiamo 13 fabbriche e diamo lavoro a 5.500 persone con un fatturato enorme, 2,2 miliardi di euro. Nestlé non ha come obiettivo solo di remunerare gli azionisti dell'azienda o di soddisfare le esigenze dei consumatori, ma anche di creare un equilibrio e un beneficio sociale. Per questo dalla fine del 2013 è partita una iniziativa di Nestlé Europa, chiamata Nestlé Needs Youth, per dare un piccolo contributo a uno dei problemi sociali di oggi: quello della disoccupazione giovanile». Il manager è ben consapevole che «non è certo un problema che può risolvere un'azienda» e che «ci vuole un sistema», ma è orgoglioso di raccontare che «Nestlé, in quanto azienda leader nel suo settore, ha deciso a livello europeo di alzarsi in piedi e di dire “voglio dare un mio contributo”». Il progetto NNY si ripromette di aprire in tutta Europa 20mila opportunità in 3 anni (2014-2016) per ragazzi under 30. «In Italia l'obiettivo che ci era stato assegnato a livello di Paese è stato raggiunto dopo soli due anni, creando opportunità di vero e proprio lavoro - dunque assunzioni - oppure di traineeship per 1.100 persone» ha specificato Piantoni, raccontando anche i progetti collaterali come “readiness for work” «per cui abbiamo realizzato 60 eventi coinvolgendo migliaia di ragazzi, organizzando workshop su come scrivere un cv, fare un colloquio…». Piantoni ha anche ricordato come il progetto Nestlé Needs Youth si sia espanso anche attraverso la Alliance for Youth, «per moltiplicare a valanga l'energia e aumentare le opportunità». Nestlé ha cioè chiesto alla filiera dei suoi fornitori e partner commerciali di realizzare iniziative analoghe a favore dei giovani e così «oggi a livello europeo sono coinvolti 200 nostri partner commerciali. Noi in Italia ne abbiamo 13, il fiore all'occhiello é Chep. Se prendiamo in conto l'intera Alliance, parliamo di 3.500 opportunità in più create in due anni: capite l'impatto che può avere». Infine un riferimento all'alternanza scuola-lavoro, «che in altri paesi come Germania o Austria è già naturale, è normale fare 2-3 giorni a scuola e 2-3 giorni al lavoro: pensate all'impatto che avrebbe se applicata al sistema italiano». Perché secondo Piantoni uno dei problemi principali in Italia è proprio quel «gap tra teoria e pratica» che penalizza i giovani che escono dai percorsi formativi nostrani: «Ma adesso non dovete solo imparare un mestiere nuovo, bensì anche andare oltre l'aspetto tecnico: capire quali sono le vostre caratteristiche e cosa vi piace fare. Dovete trovare un lavoro che si adatti alle vostre caratteristiche ma vi permetta anche di realizzarvi come persone. I vostri tutor sono qui per questo, per aiutarvi ad avere successo».Chep, chiamata in causa da Piantoni, è una società partner del gruppo Nestlé da 15 anni: «Per noi è il secondo anno di partecipazione a questa iniziativa, siamo siamo tra le prime 14 aziende in Europa che hanno aderito alla Alliance» ha detto  Paola Floris, country general manager per l'Italia: «Anche noi vogliamo dare il nostro contributo per dare nuove opportunità di lavoro: il Sanpellegrino Sales Campus Plus è un progetto bellissimo per arginare la disoccupazione. Alla fine tanti parlano, ma veramente pochi hanno delle iniziative concrete in corso». Per questo Chep ospiterà quest'anno due campussini che andranno ad aggiungersi ai 19 di Sanpellegrino: dunque in totale saranno 21 i giovani impegnati in questa edizione. «L'obiettivo è darvi una maggiore employability in futuro, cioè competenze aziendali che completino la preparazione culturale che avete accumulato in questi anni» ha concluso la Floris con un augurio ai ragazzi: «che vi portiate a casa il più possibile. Fate domande e siate curiosi, capite quali sono i valori che vi differenziano». «Il Sanpellegrino Sales Campus Plus è una esperienza di grandissimo valore: ovviamente noi vogliamo prenderci una parte di questo valore, vogliamo la vostra freschezza, vogliamo capire come fare le cose in modo diverso. Dateci tanti feedback in questi sei mesi, sarete per noi una fonte inestimabile!» ha scherzato Gabriella Carello, che da qualche mese è direttore HR di Sanpellegrino. Chiarendo poi subito, ovviamente, che il vantaggio vero sarà naturalmente sopratutto per i campussini: «Vogliamo che alla fine del sesto mese siate nelle condizioni di avere un percorso facilitato nel trovare una occupazione». E c'è da scommettere che il desiderio dei 21 ragazzi sia esattamente questo.

Smartworking, Milano spinge l'acceleratore: “Aziende, si può lavorare anche fuori dall'ufficio”

«Il lavoro agile, o “smart working”, può essere uno dei tasselli per cambiare profondamente il modo di lavorare degli anni 2000: un modo per migliorare sia le condizioni di lavoro, sia la produttività delle aziende e la qualità della vita delle persone». Con queste parole Andrea Orlandini, vicepresidente dell’AIDP – l'Associazione italiana per la direzione del personale –  ha aperto qualche giorno fa l’incontro «Una legge agile per un lavoro agile» organizzato dalla sua associazione e dal Comune di Milano per presentare il nuovo testo sullo smart working collegato alla Legge di stabilità e anche la terza Giornata del lavoro agile fissata dall’amministrazione milanese per il prossimo 18 febbraio (sul sito del Comune tutte le informazioni).Milano si è in effetti distinta negli ultimi anni per la sua attenzione verso il «lavoro agile», ovvero quella nuova forma di organizzazione dell’impiego che permette al lavoratore di svolgere i propri compiti in luoghi diversi dall’abituale posto di lavoro e con altri orari rispetto a quelli tradizionali, venendo valutato in base agli obiettivi raggiunti invece che per le ore di presenza in ufficio.Alle precedenti edizioni della Giornata del lavoro agile hanno aderito più di 200 aziende e sono stati organizzati dal Comune spazi di lavoro nei più disparati luoghi pubblici (piscine, parchi e aree comuni), generando una bella partecipazione dei cittadini. La città infatti può contare, come racconta Cristina Tajani, assessore al Lavoro della giunta Pisapia, su 49 spazi di coworking accreditati presso il registro comunale – più del doppio se si contano i non registrati – e si è impegnata a presentare per il prossimo 18 febbraio un’app dedicata ai cittadini per trovare lo spazio di lavoro libero più vicino. E Non solo i privati aderiscono a questa iniziativa, aggiunge l’assessora, ma anche la pubblica amministrazione.Il lavoro agile permette di ripensare il proprio rapporto con l’orario e il luogo di lavoro. E la nuova legge «mancava in passato», come ci tiene a chiarire una “collega”  di giunta della Tajani, l’assessora Chiara Bisconti [nella foto, le due assessore insieme durante l'evento], che guida il settore di Palazzo Marino che si occupa di benessere e qualità della vita: una legge necessaria, insomma, che finalmente «risolve gli aspetti problematici dello smart working». Maurizio Del Conte, professore associato di Diritto del lavoro all'università Bocconi e tra gli ideatori della legge, identifica questi problemi nella sicurezza del lavoratore fuori dall’ufficio o nell’evitare l’isolamento che il lavoro autonomo potrebbe creare. Oltre a questi problemi, il testo fornisce una nuova definizione del lavoro agile: si applica a ogni tipo di contratto subordinato privato, è su base volontaria, in caso di abbandono si torna al contratto precedente; gode di speciali assicurazioni sugli infortuni e si applicano le normali condizioni di recesso. Per la pubblica amministrazione verranno definite regole particolari nella futura Riforma della pubblica amministrazione, ancora in fase di studio.Il disegno di legge vuole essere «leggero, e non porre paletti» e in particolare «non predefinire livelli organizzativi a cui il lavoro agile può essere offerto ma lasciare aspetti di sviluppo, perché se c’è una cosa che abbiamo riscontrato è che le sperimentazioni di lavoro agile sono molto timide».Chi non è stato timido nelle sperimentazioni è Nestlé, come racconta Giacomo Piantoni, direttore risorse umane Italia della multinazionale svizzera che non a caso ha ricevuto dal Comune di Milano e dalla Repubblica degli Stagisti, l'anno scorso, proprio il premio "RdS award speciale Giornata Lavoro Agile": «Abbiamo iniziato nel 2012. Non avendo una normativa di riferimento ci siamo ispirati a ciò che volevamo raggiungere: una nuova cultura aziendale più orientata alla performance che alla presenza fisica del lavoratore». E i numeri di questo singolo caso evidenziano risultati importanti: nella sede di Assago dell’azienda, su 1800 persone circa il 90% ha utilizzato una o più volte lo smart working, per una media di circa 300 al mese. Nestlé ha sperimentato un approccio sistematico, con quote fisse di lavoro fuori dalla sede per ogni dipendente, e uno occasionale quando ragioni  contingenti rendevano necessario al lavoratore utilizzare una sede differente. Allo stesso tempo sono stati registrati un aumento della produttività e una diminuzione di richiesta degli straordinari. L’azienda è più che soddisfatta dell'esperienza e scommette sulla sostenibilità del lavoro agile anche per il futuro: «Siamo convinti che contribuisca alla parità di genere, dato che non si sono rilevate da noi differenze nella richiesta tra uomini e donne infatti» conclude Piantoni «e che piaccia ai giovani».«Il tema di attrarre persone giovani e dei talenti è un tema importante che non possiamo tralasciare» concorda Patrizia Bonometti, responsabile risorse umane di Tenaris Dalmine, azienda che al momento invece non usa il lavoro da remoto ma non esclude di introdurlo in futuro: «Cerchiamo sempre di migliorare il rapporto fra vita e lavoro dei nostri dipendenti. Nel tempo vogliamo coinvolgere alcune aree aziendali, tra quelle possibili, per trovare un modo di iniziare a instillare alcune forme di lavoro agile». La maggiore flessibilità dell’impiego e dell’orario infatti sono un plus per le nuove generazioni: «I giovani riconoscono un’impresa che usa il lavoro agile come più vicina ai loro stili di vita» ribadisce alla Repubblica degli Stagisti l’assessora Bisconti.E poi in realtà questa modalità non favorisce solo chi si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro. Anzi, sono sopratutto i lavoratori con figli a carico a poter apprezzare e sfruttare una maggiore indipendenza nell’organizzazione. L’equilibrio maggiore tra vita e lavoro sembra essere veramente una delle caratteristiche principali del lavoro agile, capace di creare un vero e proprio vantaggio competitivo per le aziende che lo utilizzano come spiega la Bisconti: «Noi questo vantaggio l’abbiamo misurato fisicamente durante le edizioni precedenti della Giornate del lavoro agile, in due ore di tempo risparmiate quotidianamente per ogni lavoratore». Insomma questa modalità di lavoro sembra aiutare non solo le aziende ma  tutti i cittadini: per questo la Bisconti lancia un ultimo appello ad aderire alla terza Giornata del lavoro agile: «Un’intera città può trarre vantaggi dal ripensamento di un nuovo rapporto con il lavoro. Il lavoro agile fa bene anche al territorio. Il singolo individuo può raggiungere nuovi livelli sia di produttività sia di qualità della vita». Resta solo da vedere quando la nuova normativa sul lavoro agile verrà approvata, e diventerà uno strumento concreto a disposizione di datori di lavoro e lavoratori del nuovo Millennio.Matteo Moschella

Jobs Act, addio al contratto a progetto: anzi no

Era stata annunciata lo scorso anno e con Capodanno è diventata realtà. Stiamo parlando della scomparsa dei contratti a progetto, i cocopro, cioè le collaborazioni continuative a progetto. Il Jobs Act recita infatti che «a far data dal primo gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro».Rientrano nell’abolizione però solo le collaborazioni esclusivamente personali, ossia «svolte dalcollaboratore unicamente tramite propri mezzi e capacità, senza avvalersi, a sua volta, di collaboratori, uffici, o strutture di propria proprietà o di cui ha la direzione. Ad esempio, il libero professionista con un proprio ufficio, una segretaria ed eventualmente collaboratori o praticanti non svolge la propria professione in maniera esclusivamente personale, ma soltanto prevalentemente personale». Le collaborazioni devono essere poi continuative e con modalità lavorative gestite prevalentemente dal committente, cioè etero-organizzate. La differenza rispetto al passato è che «anche in precedenza questi elementi potevano essere indice di subordinazione, ma mancava un automatismo, come invece stabilito dalla riforma», chiarisce Giampiero Falasca, avvocato esperto di diritto del lavoro e partner dello studio DLA Piper, che ha aiutato La Repubblica degli Stagisti nell'analisi delle novità legate a questo tipo di collaborazioni.Quanti sono i soggetti coinvolti? Non ci sono dati ufficiali: l'Istat parla per il 2014 di 378mila collaboratori continuativi a progetto. «Ma è difficile conciliare i dati provenienti dalle varie fonti» avverte Falasca: «La stima più credibile è quella di 500mila cocopro l’anno, con una tendenza a diminuire, in virtù della crescente contribuzione previdenziale applicata negli ultimi anni. Inoltre, gli iscritti agli ordini erano ad esempio esentati dalla normativa sul progetto».Bisogna ricordare che diverse tipologie di collaborazioni non rispondono ai requisiti previsti, e quindi non sono coinvolte dall’abolizione. Tra queste le collaborazioni continuative, svolte in maniera prevalentemente personale e autonomamente organizzate dal collaboratore; quelle disciplinate dai contratti collettivi nazionali; quelle prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per cui è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali; le attività rese da amministratori e sindaci di società e da partecipanti a collegi e commissioni; e ancora, le collaborazioni rese in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate al Coni e quelle collaborazioni certificate dalle Commissioni di Certificazione, in base all'art. 76 del decreto legislativo 276/2003.Un esempio sono, come detto, i  collaboratori coinvolti da accordi collettivi nazionali che prevedono discipline specifiche, tra questi docenti di scuole e università private o addetti dei call center: «In parole povere elimino il lavoro a progetto e dico che tutto il lavoro etero-organizzato è dipendente, ma poi lascio spazio ad accordi sindacali per cui si torna ai vecchi cococo», chiarisce il giuslavorista Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro all’università di Modena e Reggio Emilia, già allievo del compianto Marco Biagi e poi braccio destro di Maurizio Sacconi all'epoca in cui quest'ultimo era ministro del Lavoro, nel governo Berlusconi.L'aspetto importante, in tutta questa vicenda, è che non sono invece intaccati dalla normativa i «parenti» dei contratti a progetto, ossia i cococo, che restano quindi in vigore come da articolo 409 n.3 del codice di procedura civile e disciplinano le attività lavorative di cui sopra. Cioé se è vero che «non è più possibile stipulare i contratti a progetto regolati dal d.lgs. 276/2003, la cosiddetta Legge Biagi, perché queste norme sono state abrogate», Tiraboschi sottolinea che «i contratti a progetto erano però, nella sostanza, una categoria particolare di collaborazioni coordinate e continuative, quelle regolate dall’art. 409 n° 3 del codice di procedura civile, che invece rimane in vigore». Morale della favola: «Si possono ora stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa del tutto similari ai contratti a progetto, come avveniva prima del 2003» dice il giuslavorista «ma ai collaboratori non dovranno essere riconosciute necessariamente le tutele introdotte dalla legge Biagi. Tra queste le norme che consentivano al lavoratore una sospensione del contratto in caso di malattia, o definivano la durata del contratto, legandola appunto al progetto, e limitavano i casi in cui il committente poteva recedere. Senza dimenticare quelle che fornivano indicazioni in merito al corrispettivo minimo da garantire al collaboratore. Non essendo più in vigore tali limitazioni, la regolazione di questi aspetti rimane in mano alle parti». Tiraboschi prevede pessimisticamente che «spesso si risolverà in una disciplina meno favorevole per il collaboratore, quando quest’ultimo non avrà lo stesso potere contrattuale di chi offre lavoro. Insomma, da questo punto di vista pare ci sia un arretramento di tutele». Le collaborazioni che potranno essere instaurate insomma «non sono nuove, come sopra evidenziato, e anzi potrebbero far riscontrare nuovamente, nell’ordinamento, quegli abusi applicativi a cui la legge Biagi aveva tentato di porre rimedio».Falasca è sostanzialmente d'accordo: «I cococo erano vigenti ma applicabili solo se collegati a un progetto. Il Jobs Act ha cancellato l'obbligo di progetto ma ha lasciato in vita i  cococo; per la pubblica amministrazione già prima non c'era il vincolo del progetto, oggi i due settori, pubblico e privato, si sono allineati». Ma secondo l'avvocato «la riforma dovrebbe ridurre ulteriormente l'utilizzo delle collaborazioni, considerato anche che ci sono gli incentivi,  seppure meno convenienti del 2015, per chi assume a tempo indeterminato ed è prevista anche una sanatoria per gli illeciti. Non scompariranno del tutto, però, perché in molte attività lo strumento è quello più adatto al rapporto».Se dunque da un lato i contratti a progetto come previsti dalla legge Biagi spariscono, dall’altra continuano a rimanere in vita una serie di collaborazioni continuative, segnate da un numero di restrizioni minore rispetto ai vecchi cocopro e quindi non sempre necessariamente favorevoli al lavoratore. «Oggi i cococo si possono fare in tutti i settori, prima era solo pubblica amministrazione ma solo perché non si applicava la legge Biagi e dunque il lavoro a progetto» aggiunge Tiraboschi: «Venuto meno il lavoro a progetto, si può fare il cococo per ogni lavoro e per ogni settore, ferma restando quella presunzione di subordinazione per i rapporti di collaborazione etero-organizzati dal committente. Tempo e luogo di lavoro sono i principali indicatori della etero-organizzazione».Sarà interessante valutare nel prossimo anno quante delle attuali collaborazioni diventeranno effettivamente assimilabili al lavoro subordinato a livello contrattuale e quante invece tenderanno a «sopravvivere» seppur in forme e modalità differenti. Inoltre «bisognerà vedere se la riforma prenderà sul serio i rischi connessi alla etero-organizzazione» conclude il giuslavorista: «Se così non fosse, l'abrogazione del progetto si risolverebbe in una liberalizzazione del lavoro parasubordinato, effetto contrario a quello voluto dal legislatore». Speriamo di no. Chiara Del Priore

Stage alla Commissione Ue, il bando è aperto e gli italiani accorrono: «Un'esperienza che aumenta le possibilità di trovare lavoro»

Ancora boom di partecipazione degli italiani agli stage presso la più importante istituzione della Ue, la Commissione europea di Bruxelles. «Negli ultimi dieci anni le loro candidature sono state le più alte di tutti i paesi Ue»: a confermarlo alla Repubblica degli Stagisti è Florencia van Houdt, responsabile alla direzione Youth programme, outreach tools and traineeships all'organo di governo dell'Unione. «Il programma di tirocini ha sempre attratto una grande quantità di giovani fin dalla sua creazione nel 1960» prosegue «e le statistiche dimostrano che chi fa questa esperienza ha più chance di trovare un lavoro in seguito, molto spesso legato alle politiche europee». Quella riga prestigiosa in più sul cv, sopratutto considerando il contesto del mercato del lavoro italiano che rispetto all'occupazione giovanile è messo piuttosto male, spiega insomma le 2.730 candidature arrivate dal Belpaese solamente nella sessione di ottobre 2015. Su un totale di circa 24mila domande pervenute per quella sessione noi siamo davanti a tutti gli altri (la Spagna è seconda con 2.300,gli altri Paesi si attestano molto al di sotto delle mille unità). Anche se si rileva un lieve calo, perché negli anni precendenti si era andati oltre le 4mila application dall'Italia per la sessione di ottobre.Il richiamo insomma è sempre forte, anche perché le condizioni di stage sono tra le migliori in circolazione: 1.120 euro di rimborso mensile, con copertura aggiuntiva delle spese di viaggio di andata e ritorno (l'assicurazione sanitaria è invece a parte), per cinque mesi. Chi si iscrive adesso, se supera le selezioni, è ammesso alla tranche di tirocini – ogni anno ce ne sono due – che va dal primo marzo al primo ottobre 2016. Ci si candida attraverso il web, a questo link, entro il 29 gennaio a mezzogiorno. I posti disponibili sono molti, circa 650 a sessione, e gli italiani ammessi a ottobre scorso sono stati più di 50. Può farsi avanti chiunque abbia conseguito una laurea, anche triennale, e abbia un'ottima conoscenza dell'inglese, del francese o del tedesco e di una seconda lingua europea: come specificato sul sito non si deve trattare di soggetti madrelingua, il punteggio è assegnato infatti sulla sola base del merito. Escluso dalla corsa chi abbia partecipato a stage rimborsati o abbia lavorato presso le istituzioni Ue per sei settimane consecutive. Il processo di selezione prevede poi alcune particolarità. Dopo la prima scrematura dei cv – nell'application non serve inviare documentazione, che sarà invece richiesta in caso di superamento della prima fase – si finisce nel cosiddetto Blue Book. «Ci sono due valutatori» specifica la van Houdt, «viene assegnato un punteggio, anche in base alla nazionalità di provenienza» nel senso che si cerca di garantire un equilibrio tra i diversi paesi di origine. I migliori finiscono appunto nel Blue Book, una shortlist di circa 3mila persone, attraverso «un meccanismo procedurale» spiega, a cui è associata la richiesta dell'invio della documentazione ufficiale: certificati, diplomi e altro. Da questa lista attingano le varie direzioni della Commissione a seconda delle loro esigenze. Chiamare o insistere per la propria selezione è da evitare, spiega la responsabile, «perché sono le direzioni generali a contattare i diversi candidati in caso ne abbiano necessità»: ma su questo i pareri sono discordanti e alcuni ex eurotirocinanti, tra cui uno che aveva condiviso tempo fa la sua esperienza proprio con la Repubblica degli Stagisti, raccontano invece di essere riusciti a entrare proprio dimostrandosi proattivi e prendendo contatti diretti con le Direzioni.  Attenzione comunque a non illudersi in caso si riceva una telefonata "esplorativa": un'intervista telefonica non significa che si sia stati presi, e l'ufficialità è data solo dall'invio della convenzione da sottoscrivere. Quanto alle mansioni, possono essere le più disparate e «abbracciano tutti i settori di competenza della Ue: risorse umane, legal, ambiente, formazione» snocciola Florencia van Houdt. La tipica giornata dello stagista Ue prevede «l'assistenza a meeting, gruppi di lavoro, ricerca di documentazione, partecipazione a progetti in corso». C'è molto da aspettarsi da un'esperienza simile anche al di là dei compiti affidati nella quotidianità. Si passa attraverso un periodo di approfondimento delle politiche della Ue, «con l'opportunità di vedere cosa succede giorno per giorno e di trasferire le conoscenze accademiche nella pratica». I reclutatori della Commissione cercano nei candidati «apertura verso le problematiche europee, proattività, desiderio di imparare e contribuire con la freschezza del proprio background». Per chi se la sente, come detto le selezioni sono aperte fino al 29 gennaio: gli italiani in lizza al momento sono già più di 2.200.  Ilaria Mariotti 

Openjobmetis e Mind the bridge cercano startup per innovare il mondo delle Risorse umane

L'agenzia per il lavoro Openjobmetis e la fondazione “Mind the Bridge” cercano start-up e idee innovative nel settore del recruitement: c'è tempo fino al 30 gennaio per candidarsi. Openjobmetis, nata nel 2011 dalla fusione di Openjob spa e Metis spa, conta più di 120 filiali distribuite su tutto il territorio nazionale; con un bilancio che a fine 2014 si è chiuso con ricavi pari a 400 milioni di euro, è oggi quotata sul mercato telematico azionario di Borsa Italiana.Su queste basi ha deciso di lanciare un bando per selezionare i migliori progetti di innovazione digitale nell'ambito della selezione del personale. «Per la nostra azienda è fondamentale confrontarsi con le realtà che stanno rivoluzionando il mondo delle human research», spiega alla Repubblica degli Stagisti l'amministratore delegato Rosario Rasizza [nella foto a destra].Possono candidarsi le start-up, sia italiane che straniere, che siano attive nel settore della ricerca e selezione del personale. Non ci sono limiti di età per partecipare e potrà presentare la propria candidatura anche chi avesse un'idea innovativa per questo ambito professionale senza per forza averla ancora trasformata in una società - con la precisazione che in questo caso sarà data preferenza ad iniziative sviluppate nei territori delle province di Milano, Varese e Novara. Un legame territoriale che l'azienda fondata a Gallarate, nel Varesotto, vuole sottolineare anche con la scelta di organizzare per il 27 ed il 28 febbraio un boot camp dedicata alle start-up e alle idee selezionate, con un momento di presentazione pubblica al PalaWhirlpool - il palazzetto che ospita le partite della Pallacanestro Varese, della quale Openjobmetis è per la seconda stagione consecutiva lo sponsor principale.La due giorni, a porte chiuse, coinvolgerà i partecipanti al bando in sessioni di mentorship e di incontri con i manager dell'agenzia per il lavoro. Una conoscenza propedeutica alla selezione dei progetti vincitori. Prevista anche, nella serata del 27, una “Notte bianca del lavoro”, evento pubblico nel corso del quale saranno presentati i progetti selezionati. «Con questo evento abbiamo voluto condividere con la città e il territorio che ci ha visto crescere la volontà di conoscere, approfondire e scoprire le dinamiche che stanno cambiando rapidamente il mercato del lavoro» dice Rasizza.In questo percorso Openjobmetis sarà affiancata dalla fondazione italo-americana “Mind the bridge”, realtà che offre formazione imprenditoriale agli startupper, accompagnandoli a conoscere da vicino il mondo della Silicon Valley. Una realtà che nel 2014 è stata scelta dalla Commissione Europea per guidare la Startup Europe Partnership, piattaforma nata con l'obiettivo di favorire lo sviluppo di un ecosistema continentale.Sarà MTB ad affiancare l'agenzia nel lavoro di scouting delle idee candidate e nella selezione delle migliori. «Oggi le startup sono di moda, ma questo non basta» ammonisce il presidente Alberto Onetti: «Le loro potenzialità di innovazione andranno perse se non troveranno partner commerciali in grado di dare loro possibilità di applicazione su larga scala». In palio infatti in questo caso non ci sono né fondi, né percorsi di mentorship, né periodi di incubazione: Openjobmetis offrirà alle startup vincitrici una partnership commerciale o addirittura anche l'acquisizione. In altre parole, vuole «dare loro un'opportunità di crescita».Riccardo Saporiti Photo Credit: Flickr Licenza CC BY 2.0 

Niente salario minimo ma tante nuove tutele, in arrivo il Jobs Act del lavoro autonomo: ecco in anteprima i contenuti

Molte critiche si possono avanzare al governo Renzi, ma non che sul Jobs Act stia tirandola per le lunghe - quantomeno rispetto ai tempi medi dei provvedimenti normativi italiani. La bozza della nuova regolamentazione del lavoro autonomo, uno degli ultimi tasselli mancanti, è pronta, e la prospettiva è che possa venire approvata entro metà anno. La Repubblica degli Stagisti ha potuto visionare in anteprima il testo, che ricalca in molti punti le istanze e rivendicazioni portate avanti da gruppi organizzati di lavoratori autonomi, dall'Acta al collettivo Alta Partecipazione. Ecco i pro e i contro che abbiamo rilevato.Contro - non c'è nessun intervento a tutela dei compensi. Nessun "salario minimo", in nessuna formulazione, nemmeno sperimentale. Certo, è vero che non è una misura semplice da elaborare, perché il lavoro autonomo ha mille facce e mille livelli di specializzazione; ma certamente il più grande buco di questo testo è proprio quello di non affrontare il grave problema degli autonomi sottopagati.Pro - non sono esclusi gli iscritti agli ordini professionali. Finora la maggior parte degli interventi sul lavoro autonomo atti a disincentivare gli abusi ha avuto un limite incomprensibile e ingiusto, escludendo i professionisti. Bastava essere iscritti a un ordine professionale per rimanere fuori dalle tutele previste, per esempio, dalla legge Fornero rispetto alle limitazioni per i contratti a progetto. Il Jobs Act del lavoro autonomo prevede all'articolo 1 invece un campo di applicazione sull'universo pressoché intero dei «rapporti di lavoro autonomo», escludendo - come del resto è logico - solamente «i piccoli imprenditori artigiani e commercianti iscritti alla Camera del commercio». Inevitabilmente, però, alcune delle disposizioni non potranno riguardare gli iscritti a ordini professionali: si tratta di quelle che hanno a che fare con la previdenza, perché ciascun Ordine ha una sua cassa previdenziale che prevede regole specifiche relative anche alla malattia e alla maternità.Pro - tutela della maternità / paternità. Il dualismo del mercato del lavoro italiano negli ultimi vent'anni ha comportato per le donne un vero e proprio apartheid: quelle con contratto di lavoro subordinato avevano diritto a tutta una serie di garanzie in caso di maternità, che invece per le lavoratrici precarie e ancor di più per quelle autonome erano fantascienza. Gli ultimi interventi legislativi stanno cercando di sanare questa ingiustizia, allargando progressivamente le tutele. In questo senso, il Jobs Act prevede all'articolo 8 una modifica all'articolo 66 del decreto 151/2001, sancendo che l'indennità «viene erogata, indipendentemente dalla effettiva astensione dall’attività, dall'Inps a seguito di apposita domanda in carta libera, corredata da un certificato medico rilasciato dall'azienda sanitaria locale competente per territorio». Evitando dunque i tristi sotterfugi cui molte autonome hanno finora dovuto fare ricorso, fatturando successivamente i lavori svolti nei mesi appena successivi al parto per non incorrere in penalizzazioni. Inoltre, il congedo parentale viene esteso «alle lavoratrici o ai lavoratori autonomi» che siano diventati genitori «di bambini nati a decorrere dal 1° gennaio 2016»: a loro il Jobs Sct garantisce il «relativo trattamento economico e il trattamento previdenziale» per «periodo di 6 mesi entro i primi tre anni di vita del bambino».Pro - tutela in caso di  malattia. Che succede al lavoratore autonomo se partorisce o se, circostanza ben meno felice, si infortuna o si ammala di una malattia grave? Che se la deve cavare da solo. Finora infatti non erano previste tutele; anche perché il rapporto tra un committente e un lavoratore autonomo è particolare, e non si può negare che, qualora quest'ultimo sia impossibilitato ad assicurare la prestazione, il committente possa trovarsi nella necessità di far svolgere quel lavoro da qualcun altro. E inevitabilmente i guadagni di un lavoratore autonomo in questi periodi si riducono moltissimo, perché chi non lavora non fattura e chi non fattura non guadagna. Proprio in periodi in cui spesso le spese aumentano, come per esempio se ci si deve curare. Ora il Jobs Act prova a introdurre qualche elemento di garanzia, prevedendo che all'articolo 10 che «in caso di malattia di gravità tale da impedire lo svolgimento della attività professionale per una durata superiore ai 60 giorni, il versamento degli oneri previdenziali è sospeso per l’intera durata del periodo di malattia fino ad un massimo di due anni». Attenzione però: si tratta di una sospensione, e una volta tornato in salute il lavoratore autonomo dovrà pagare gli arretrati. Una volta cessata la malattia «il lavoratore autonomo è tenuto ad effettuare il pagamento del debito previdenziale maturato durante il periodo di sospensione», con tempistiche diluite e cioè «in rate mensili nell’arco di un periodo pari a tre volte quello di sospensione». Allo studio del governo c'è poi ancora un dettaglio non da poco: se prevedere che la sospensione riguardi, oltre agli oneri previdenziali, anche quelli fiscali, oppure no.Pro con punto di domanda - tutela rinforzata in caso di tumori. Il Jobs Act attribuisce ai «trattamenti terapeutici delle malattie oncologiche» l'equiparazione alla «degenza ospedaliera», andando a ritoccare un decreto del ministero del Lavoro del 2001 che descrive i «criteri per la corresponsione dell’indennità di malattia in caso di degenza ospedaliera agli iscritti alla gestione separata». Ma è pur vero che vi sono altre malattie altrettanto gravi dei tumori, che prevedono trattamenti terapeutici invasivi che potrebbero - dovrebbero - essere anch'essi equiparati alla degenza.Pro - viene introdotto un bilanciamento che riequilibra i rapporti di forza tra le parti. Finora il libero professionista che offre la sua prestazione sul mercato, a meno di non partire da una (rara) posizione di grande forza (nome famoso, competenze specifiche introvabili sul mercato, folta rete di conoscenze…), parte da una posizione di svantaggio. Nella maggior parte dei casi infatti i termini di prestazione lavorativa, le tempistiche e addirittura i compensi sono imposti dal committente, che si fa forte della possibilità di trovare altrove qualcun altro più disponibile, annullando così la genuinità del rapporto tra un professionista e il suo committente. A questo proposito il Jobs Act delinea all'articolo 3 un quadro delle «clausole abusive», definendole appunto come quelle «clausole che, all’interno di un contratto cha abbia ad oggetto una prestazione di lavoro autonomo, realizzino un eccessivo squilibrio contrattuale tra le parti in favore del committente». L'elenco prevede quattro fattispecie: le clausole che «riservino al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto», quelle che «attribuiscano al committente la facoltà di recedere dal contratto senza congruo preavviso», la pattuizione di «termini di pagamento superiori ai 60 giorni» e infine «il rifiuto del committente  di stipulare in forma scritta gli elementi essenziali del contratto». Resta tutta da verificare, però, la reale possibilità che queste regole scoraggino i committenti a priori dalla tentazione di abusare della propria posizione di forza; sembrano cioè disposizioni da far applicare ai giudici, in caso di contenziosi legali, più che condizioni da rispettare a priori. Utili, dunque, ma solo per quella microscopica casistica di casi che arrivano in Tribunale.Pro - le spese diventano deducibili. Non si finisce mai di imparare: per essere sempre aggiornato un professionista ha bisogno di dedicare tempo e denaro per la formazione. Chi trascura questo aspetto si trova prima o poi fuori mercato. Il Jobs Act all'articolo 5 prevede una modifica di un decreto del 1986 che amplia la deducibilità di queste spese: «entro il limite annuo di 10mila euro, le spese per l’iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento professionale nonché le spese di iscrizione a convegni, congressi e simili sono integralmente deducibili». Inoltre, all'articolo 6 si aggiunge che anche «le spese sostenute dal lavoratore autonomo per servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento, ricerca, addestramento, sostegno all’auto-imprenditorialità, formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle condizioni del mercato del lavoro erogati dagli organismi accreditati sono interamente deducibili dal reddito entro il limite annuo di 5mila euro».  Pro - appalti pubblici. Finora i lavoratori autonomi non hanno potuto facilmente svolgere lavori per la pubblica amministrazione, se non in qualità di consulenti - e dunque favorendo spesso le conoscenze amicali piuttosto che il merito. Il Jobs Act apre invece alla possibilità che le amministrazioni pubbliche nazionali e locali «in qualità di stazioni appaltanti» debbano promuovere «la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici, in particolare favorendo il loro accesso alle informazioni relative alle gare pubbliche» e che debbano anche adattare «laddove possibile i requisiti previsti dai bandi e dalle procedure di aggiudicazione alle caratteristiche di tali lavoratori».Pro ma con punto di domanda - uno dei punti più dolenti per i lavoratori autonomi è la certezza di essere pagati, e quello delle tempistiche di pagamento. Il Jobs Act introduce rispetto a questo tema una garanzia «contro i ritardi di pagamento dei compensi», all'articolo 2, semplicemente modificando il raggio di applicazione di un vecchio decreto legislativo (231/2002 e successive modifiche), finora limitato ai «contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni», ed estendendolo «anche alle transazioni commerciali tra imprese e lavoratori autonomi o tra lavoratori autonomi». Il problema qui è che questo decreto legislativo è risultato palesemente inefficace: pur prevedendo che tutte le fatture dovrebbero essere saldate a 30 giorni, e che termini di pagamento più lunghi dovrebbero essere concordati tra le parti e mai eccedere i 60, in realtà la cronaca ci ha raccontato i ritardi mostruosi - sopratutto delle pubbliche amministrazioni - nei confronti dei creditori. E anche nei rapporti tra imprese, spesso una piccola non può che adattarsi alle lungaggini del committente più potente, perché andare in giudizio comporta non solo spese legali e ulteriori attese, ma spesso può anche minare il rapporto di fiducia e comportare la fine della collaborazione (con una penalizzazione, a conti fatti, della piccola impresa). Questi problemi rischiano di riprodursi tali e quali, se non aggravati, applicando la normativa anche ai lavoratori autonomi.Pro ma con un grosso punto di domanda - lo sportello per gli autonomi sul mercato del lavoro. Finora i lavoratori autonomi hanno sempre dovuto arrangiarsi; tutt'al più qualche professionista ha potuto forse far riferimento, nella ricerca di lavoro, al suo Ordine professionale (benché siano davvero pochi quelli che negli ultimi anni si sono seriamente posti il problema degli sbocchi professionali dei propri iscritti - noi abbiamo raccontato per esempio, di recente, l'idea dell'Ordine dei biologi per il matching con le aziende in cerca di quelle professionalità, ma si tratta di una mosca bianca). Ora il Jobs Act prevede che gli autonomi debbano poter avere «diritto di accesso alle informazioni sul mercato» e sopratutto fruire di «servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione». Il che vuol dire, si legge nel testo dell'articolo 6, che «i centri per l’impiego e gli organismi accreditati si dotano, in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo». Questo sportello «raccoglie le domande e le offerte di lavoro autonomo, fornisce le relative informazioni ai professionisti ed alle imprese che ne facciano richiesta, fornisce informazioni relative alle procedure per l’avvio di attività autonome e per le eventuali trasformazioni, per l’accesso a commesse ed appalti pubblici, nonché relative alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche nazionali e locali». Il problema è che i centri per l'impiego sono oggi totalmente inadeguati a fornire servizi di qualità all'utenza: hanno poco personale, nella maggior parte dei casi poco preparato; hanno subito un contraccolpo fortissimo con il caos della soppressione delle Province, con il risultato che la loro già scarsa dotazione economica è stata ulteriormente rivista al ribasso, o quantomeno congelata. Con turn-over bloccato e dotazione di strumenti tecnologici pressoché inesistente, i centri per l'impiego già fanno fatica a non soccombere e a far fronte all'ordinaria amministrazione. Per aprire degli sportelli per lavoratori autonomi bisognerebbe necessariamente mettere a disposizione un budget adeguato, assumere personale specializzato. Una prospettiva realistica?Staremo a vedere quali saranno le reazioni del parlamento quando la bozza di decreto arriverà in discussione, e se vi sarà spazio per eventuali migliorie.Eleonora Voltolina

30 opportunità di stage all'anno all'Interpol, il rimborso è 550 euro al mese

Anche l'Interpol accoglie stagisti. Con un programma di tirocini che non prevede pause: «Non ci sono edizioni che si succedono, accettiamo candidature tutto l'anno e selezioniamo profili ogni volta che si apre una posizione» dice alla Repubblica degli Stagisti l'ufficio stampa. Gli ammessi non sono un numero elevato – poche decine l'anno, «circa una trentina» – benché le richieste siano incessanti: «intorno alle 300 al mese» si legge nelle Faq pubblicate sul sito ufficiale. Uno su cento ce la fa, dunque, più o meno.Sono benvenute le candidature di ragazzi da tutti i 190 paesi membri dell'organizzazione (ognuno dei quali dotato di un ufficio centrale connesso con i restanti per «permettere la realizzazione di inchieste mondiali»). È bene specificare infatti che l'Interpol, nata negli anni Venti del secolo scorso, svolge un ruolo essenziale – mai come oggi – per collegare le polizie di tutto il mondo allo scopo di prevenire e combattere l'illegalità internazionale nei settori più diversi: crimini finanziari, informatici, ambientali, corruzione, terrorismo, narcotraffico, solo per citarne alcuni.Non a caso a chi si candida da uno dei Paesi della rete (di cui fa parte l'Europa intera) è richiesta – come conditio sine qua non – la fedina penale immacolata, che andrà presentata in caso di superamento della selezione. Tra i requisiti c'è la laurea presa da meno di sei mesi oppure la condizione di studente e la conoscenza fluente dell'inglese, mentre è titolo preferenziale sapere altre lingue usate negli uffici dell'ente, come lo spagnolo, il francese e l'arabo. Il rimborso spese non è dei più sostanziosi per stage internazionali di questa caratura, anche se dignitoso (specie considerando che gli ammessi sono studenti o neolaureati): 550 euro mensili. Una cifra associata però ai soli tirocini su Lione, la sede centrale Interpol, che è quella a cui normalmente si è destinati.In caso di stage in altra città o paese (una destinazione tipica è ad esempio anche Singapore), l'importo viene ridefinito «adattandosi al costo della vita locale in base alle statistiche Onu e rivisto secondo i giorni di presenza effettiva se lo stage non è cominciato a inizio mese». A differenza di altri programmi di tirocini internazionali non è prevista però, è bene saperlo in anticipo, la copertura delle spese di viaggio per raggiungere la sede assegnata. Quanto alla durata dell'esperienza, in genere si va da un minimo di due a un massimo di 11 mesi, «senza particolari formalità: dipende dalle singole circostanze» aggiungono dall'ufficio stampa.Per partecipare si invia una application online (dopo essersi creati un account personale). Bisogna essere consapevoli che la risposta arriverà solo in caso di esito positivo: «Solo gli ammessi saranno contattati: a causa del grande numero di richieste, non siamo in grado di rispondere a tutti». La scrematura avviene sulla base dei titoli, a cui fa seguito un'intervista telefonica. Da tenere a mente c'è poi un altro aspetto: gli stagisti Interpol non vengono inseriti nei reparti operativi di polizia, né in quelli di coordinamento. Non si gioca insomma a fare i poliziotti. Ci si sta formando, e si viene per questo inseriti in 'tranquilli' contesti di ufficio. Sul sito c'è l'elenco delle unità dove più di frequente vengono indirizzati stagisti, per lo più su Lione e Singapore: e le aree sono comunicazione, finanza, legal, traduzioni, risorse umane. Anche se, premesso ciò, nulla vieta a uno stagista di indicare il settore di preferenza nella sua candidatura e sperare di essere accontentato.Uno stage all'Interpol non è tra i più consueti, senza dubbio. Ma – almeno sulla carta – è tra i più affascinanti, se non altro perché si ha la sensazione che chi si recluta venga messo davvero al lavoro, e possa prendere parte a progetti di un certo peso. Chi ha fatto uno stage qui si è garantito «una visione su come opera un'organizzazione internazionale e su come la cooperazione internazionale di polizia sia strutturata», viene sottolineato nelle Faq, oltre a un «rafforzamento del proprio background formativo grazie all'assegnazione di compiti pratici». Da parte loro gli stagisti, seguiti  da «persone qualificate, sono stimolati a offrire i loro punti di vista e a fornire competenze di livello universitario». Un percorso di condivisione di competenze e di crescita professionale, insomma, che dovrebbe essere alla base di ogni stage che rispetti la sua finalità primaria: quella formativa.Ilaria Mariotti