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Valorizzare le donne sul lavoro, trenta aziende firmano il «Manifesto per l'occupazione femminile»

Valorizzare la diversità, il talento, la leadership femminile nelle aziende, promuovendo un approccio concreto per superare lo storico gap tra i due sessi nei luoghi di lavoro. È animati da questa volontà che trenta amministratori delegati d’importanti aziende italiane e straniere hanno firmato, nella sede della Luiss Business School di Roma e alla presenza di rappresentanti istituzionali quali la Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Maria Elena Boschi e la viceministra allo Sviluppo economico Teresa Bellanova, il Manifesto per l’occupazione femminile promosso da Valore D, associazione d’imprese nata nel 2009 che raggruppa oltre 160 aziende che hanno scelto d’impegnarsi, appunto, nella promozione dell’occupazione femminile. Il Manifesto si propone come un documento programmatico in 9 punti, per ognuno dei quali «l’azienda si impegna, con gradualità e compatibilmente con le proprie specificità di settore e dimensionali, a dotarsi di obiettivi chiari e misurabili» che assicurino «il riconoscimento del valore della diversità di genere come risorsa chiave per l’innovazione, la produttività e la crescita». Essenziale in questa direzione è anzitutto l’impegno da parte delle aziende, in fase di selezione, ad avere un gruppo di candidati rappresentativi di entrambi i generi (punto 1). Stando ai dati Eurostat per il 2016, infatti, la presenza delle donne nel mondo del lavoro è piuttosto scarsa: solo la metà delle donne in Italia lavora (il 51,6% contro il 71,7% degli uomini), a differenza di quanto si verifica in paesi come Norvegia e Svezia (le cui percentuali sono rispettivamente il 76,7% e il 79,2%) ma anche in Francia e Germania, dove le donne lavoratrici sono il 66,3% e il 74,5%. Eppure una maggiore occupazione femminile significherebbe anche una maggiore crescita economica per le aziende e per l’intero paese, come dimostra l’indagine di The Boston Consulting secondo cui l’allineamento del tasso di occupazione femminile a quello maschile porterebbe il Pil italiano a crescere del 12%. Per questo, ha sottolineato la presidente di Valore D Sandra Mori, «il percorso sostenuto dal Manifesto dovrebbe diventare un tema d’attualità anche nell’agenda paese, ed essere intrapreso da tutte le aziende, non solo da quelle attualmente firmatarie». Ma un incremento quantitativo non basta. Accanto al numero delle donne lavoratrici deve necessariamente aumentare anche la qualità del lavoro. Per questo le aziende devono impegnarsi a monitorare, analizzandone i principali indicatori, come le opportunità di crescita e il divario salariale, e la presenza femminile al loro interno (punto 3), oltre che a favorire un incremento della presenza femminile nelle posizioni di rilevanza strategica (punto 8). Le donne lavoratrici guadagnano infatti in media un quinto in meno rispetto ai colleghi uomini e il loro numero, già in partenza nettamente inferiore, diminuisce man mano che ci si avvicina ai ruoli di responsabilità (il 29% del totale), come ha evidenziato l’amministratore delegato del Gruppo Generali Philippe Donnet: «Generali ha in tutto il mondo 75mila dipendenti, di cui la metà sono donne; quindi potremmo pensare di essere a posto. Ma così non è. Nei ruoli dirigenziali le donne sono molte meno e il nostro dipartimento di risorse umane sta lavorando affinché la presenza femminile ai vertici aumenti». A fargli eco è la presidente del Gruppo Ferrovie dello Stato Gioia Ghezzi: «In nessuna azienda si è al 50 e 50 tra uomini e donne, e più si sale ai vertici più cresce il gap nei salari e, dunque, nelle pensioni. Anche in Fs siamo indietro ma stiamo lavorando per migliorare, adottando una policy che prevede, nei meccanismi di selezione, il 50% di donne a tutti i livelli». Sulla qualità, oltre che sulla quantità, del lavoro femminile si è soffermato anche l’intervento di Maria Elena Boschi: «Nonostante l’Istat abbia rilevato a giugno il record storico dell’occupazione femminile (49,1%) a partire dal ’77», sia ancora necessario migliorare non solo la quantità dell’occupazione femminile (l’obiettivo fissato dall’Ue è quello del 70% entro il 2020), ma anche la qualità del lavoro, dando la possibilità a molte donne di «assurgere a ruoli dirigenziali». È proprio per far fronte a queste scarse opportunità che tante donne hanno infatti dato vita a imprese proprie, «facendo dell’Italia il secondo paese in Europa per numero di aziende femminili». «Il governo è da tempo impegnato su tutti i punti evidenziati dal Manifesto» ha proseguito «come dimostra lo stanziamento di 55 milioni per il 2018 e di altrettanti per il 2019 per la contrattazione aziendale di II° livello, che mira a valorizzare le misure che favoriscono nelle aziende la conciliazione vita-lavoro, ma anche l’introduzione, a partire da quest’anno, di misure atte alla valutazione dell’impatto che le varie riforme hanno sulla differenza di genere». Insomma bisogna ancora lavorare molto «affinché ogni donna sia messa nelle condizioni di dimostrare quanto vale, nelle stesse condizioni degli uomini. Non vogliamo favoritismi, ma uguali condizioni di partenza».Ed essenziale alla parità nelle condizioni di partenza è l’impegno dell’azienda a supportare le proprie dipendenti in uno dei momenti più “critici” per la loro vita lavorativa, la maternità, proponendosi di migliorare la gestione del periodo di assenza e favorire una più fluida riorganizzazione del lavoro che tenga in considerazione le esigenze delle neo mamme al rientro (punto 4). «Molte donne madri corrono infatti il rischio di essere licenziate, e queste interruzioni e discontinuità nel lavoro le conducono ad avere poi, a fine carriera, una pensione bassa» ha evidenziato il presidente Inps Tito Boeri: «Una donna che decide di avere un figlio senza tornare poi a lavorare perde mediamente il 35% delle retribuzioni, mentre una che dopo la maternità rientra a lavoro perde circa il 10%. Un valido aiuto sarebbe in questa direzione anche il congedo di paternità (punto 5), se non fosse che solo 1/3 dei papà ne ha usufruito» Per questo, secondo Boeri, il congedo di paternità dovrebbe essere «imposto e ampliato», dando così un segnale forte di cambiamento nella cultura del lavoro. Un segnale forte può venire anche dall’impegno delle aziende a sviluppare politiche di welfare aziendale a sostegno dei propri dipendenti (punto 6), così come dall’implementazione di modalità di lavoro flessibile (punto 7). È in questo senso che molte aziende come Bip, Microsoft e Dla Piper si stanno muovendo, dando ai propri dipendenti la possibilità di lavorare anche da casa, in quanto «ciò che conta è il risultato, non il numero di ore passate in sede». Ma attenzione a che queste forme di smart working non finiscano per «togliere l’orario di lavoro e, allo stesso tempo, far sì che il lavoro invada la vita», ha fatto notare il partner Dla Piper Giampiero Falasca, secondo cui «lo smart working non va adottato in maniera neutra, ma applicato a progetti determinati, prestando dunque una certa attenzione». A generare condivisione ma allo stesso tempo confronto è stato il secondo punto del Manifesto, secondo cui «l’azienda riconosce l’importanza sempre crescente delle competenze in ambito Stem (science, technology, engineering e mathematics)» ma, «consapevole che, se da un lato queste saranno le professioni del futuro, dall’altro le donne rischiano di essere ancora più penalizzate perché meno presenti in queste discipline, s’impegna a raggiungere una situazione quanto più paritetica possibile tra i generi a parità di competenze e professionalità». I presidenti di varie aziende tecnologiche hanno infatti osservato a tal proposito come sia per loro difficile assicurare la parità di genere in un contesto in cui il numero di ragazze formate in discipline tecnologiche risulta nettamente inferiore a quello dei ragazzi. Per questo, come evidenziato dagli amministratori delegati di Avanade e General Electric Mauro Meanti e Sandro De Poli, «l’impegno dell’azienda non basta. Serve anche un intervento sul sistema scolastico che parta dalla scuola secondaria, dove i ragazzi iniziano a decidere cosa fare da grandi. Un ottimo mezzo risulta in quest’ottica l’alternanza scuola-lavoro, che deve però essere estesa. L’impegno deve poi proseguire nell’università, che deve dotarsi di meccanismi che consentano di produrre talenti di entrambi i generi». Il mito secondo cui il lavoro scientifico è «roba da uomini» deve infatti essere sfatato, deve essere oggetto di un cambiamento culturale che riguardi più in generale il ruolo delle donne nei luoghi di lavoro. Per questo serve un impegno, da parte delle aziende, a coinvolgere attivamente il management sui temi dell’occupazione e della crescita professionale femminile (punto 9), con «attività di formazione per manager aventi moduli dedicati alla differenza di genere», ma anche di «networking e mentoring, per dare fiducia e sostegno alla donne, affinché credano nelle loro capacità», ha affermato la vicedirettrice della Banca d’Italia Valeria Sannucci. Nella stessa direzione è andato anche l’intervento di Teresa Bellanova, che ha sottolineato come il governo abbia fatto un’importante riforma del lavoro, ottenendo il congedo a ore ma anche quello baby-sitting. «Ma il cambiamento non può venire solo dall’alto, dalle istituzioni, perché gli interventi devono anche essere accettati e messi in opera. Serve quindi un cambiamento dal basso, un cambiamento culturale, poiché ancor oggi capita di trovare annunci di lavoro rivolti a soli uomini; e non si tratta di lavori fisici, ma di impieghi normalissimi». «Questi pregiudizi non si cambiano con una legge» ha ammesso Bellanova «È una sfida che deve essere affrontata dalle imprese e dalle organizzazioni sindacali e che, se accettata, migliorerà non soltanto la vita delle donne, ma anche quella delle imprese. Perché più aumenta la soddisfazione nel fare il proprio lavoro, più aumenta la produttività».Giada Scotto

SpeedUProgram di Bricocenter, 10 posti direttamente a tempo indeterminato

Dieci posizioni a tempo indeterminato destinate a giovani neolaureati di talento per sviluppare progetti innovativi da implementare in azienda: questa è la promessa che Bricocenter Italia, azienda leader nei prodotti e nei servizi orientati al fai da te e da poco entrata a far parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti, offre attraverso il suo nuovo talent program, SpeedUProgram. Attraverso questo format, alla sua prima edizione, Bricocenter punta a individuare nuove soluzioni nel campo dei negozi di prossimità e ad acquisire giovani talenti su cui investire nel lungo periodo. Per farlo ha deciso di offrire a ciascuno dei dieci candidati che supereranno la selezione un contratto a tempo indeterminato: un’opportunità rara, che premia il valore e offre una sicurezza notevole rispetto alle chance che il mondo del lavoro attuale consente. C’è tempo fino al 1 ottobre per fare domanda attraverso il modulo di partecipazione online e caricare il proprio curriculum. I requisiti sono l’essersi laureati tra il gennaio 2016 e il settembre 2017, parlare bene l’inglese o il francese (l’azienda fa parte di Adeo), avere un’esperienza all’estero di studio o di lavoro di almeno sei mesi alle spalle ed essere disponibili per trasferte a livello nazionale ed internazionale.Il talent program è rivolto sia all’esterno che all’interno, quindi anche ai collaboratori Bricocenter che rispettino i criteri. Ai selezionati viene offerta una RAL, che sta per retribuzione annua lorda, di tutto rispetto: intorno ai 24.600 euro.Il processo di selezione è piuttosto strutturato. Al momento dell’invio della candidatura si partecipa innanzitutto ad uno skillgame, un test psicoattitudinale con una lista di 48 domande su argomenti di logica e innovazione, che seleziona i primi 300 partecipanti. Superato questo step, i candidati partecipano ad una breve video intervista per sondare motivazione e idoneità, mentre un terzo passaggio prevede la partecipazione ad un business game in 4 round che testerà le capacità di risoluzione delle sfide che la leadership d’impresa pone, attraverso il lavoro di squadra. Nella stessa giornata ci sarà la possibilità di presentarsi e distinguersi anche attraverso due momenti: pitch yourself, una breve presentazione di sé in inglese o in francese in 3 minuti di tempo, e pitch strategy, con cui il gruppo di lavoro presenterà le soluzioni elaborate durante il business game. Se l’esito di questo ulteriore step è positivo, i venti candidati che più si saranno distinti passeranno infine alla contest idea, una giornata in cui presenteranno la propria idea innovativa di negozio di prossimità del futuro, con un pitch di 5 minuti, il 7 novembre.I profili che riusciranno a superare tutte le fasi diventeranno gli “Speedupper” di Bricocenter. I giovani passeranno il primo mese dedicandosi al networking e alla conoscenza dell’azienda, per poi intraprendere un percorso di altri 7 mesi dedicato allo sviluppo di un progetto personale innovativo, sotto la guida di un mentor, con l’obiettivo di implementarlo in azienda.«Questo programma nasce dall’esigenza di accelerare la costruzione del vivaio talenti proponendo un percorso innovativo che permetta loro di esprimere le proprie potenzialità con autonomia» racconta alla Repubblica degli Stagisti Laura Arioli, responsabile HR di Bricocenter. «Credo sia una bellissima opportunità per quei ragazzi che hanno nel loro DNA passione per gli altri e per il fare, voglia di conoscere, iniziativa e una grande motivazione a lasciare il segno».In che posizione verranno inquadrati gli Speedupper allo scadere degli otto mesi? La particolarità del talent program di Bricocenter è che i giovani non vengono selezionati pensando già ad un ruolo specifico da occupare alla fine del percorso, ma sono indirizzati verso le diverse funzioni aziendali a seconda delle proprie inclinazioni e capacità: «Quando i ragazzi termineranno gli 8 mesi del programma, avranno già avuto modo di esprimersi e maturare una propensione verso funzioni e progetti aziendali, e quindi sarà normale sviluppare un percorso coerente», specifica Arioli. I giovani Speedupper potranno così vedersi inseriti in diversi rami di Bricocenter, dai servizi informativi a quelli immobiliari, dal settore dell’amministrazione e finanza a quello degli acquisti, e infine controllo di gestione, franchising, marketing e comunicazione, supply chain e logistica, risorse umane o vendite e negozi, assumendo il ruolo più adatto a sé. Rimangono ancora pochi giorni per accedere alla prima fase di selezione e tentare di diventare uno Speedupper in Bricocenter. Come prepararsi al meglio per lo skillgame? «Ci rivolgiamo a giovani laureati che vivono il digitale con naturalezza. Per le domande di logica non c'è da preoccuparsi né da prepararsi, perché riguardano le attitudini che tutti i giorni mettiamo in campo quando ragioniamo!», conclude la responsabile Risorse umane. La posta in gioco è alta e la competizione serrata, ma è giusto che sia così: un’opportunità di valore non potrà che far emergere le qualità migliori dei candidati.Irene Dominioni

50 opportunità di stage al Segretariato generale del Consiglio dell'Unione europea, via alle candidature

Buone notizie per i tanti giovani che sognano di metter piede in un’istituzione europea iniziando magari con un'esperienza di tirocinio. Non tutti sanno infatti che, oltre a Parlamento e Commissione, anche il Consiglio dell’Unione europea offre ai giovani cittadini dell’Ue la possibilità di svolgere programmi di tirocinio al Segretariato generale, l'organo deputato a «coordinare i lavori del Consiglio» e a «sostenere la presidenza nei negoziati all'interno dello stesso e con le altre istituzioni dell'Ue». Attenzione però, perché non tutti gli stage presso il Segretariato prevedono un compenso. Ve ne sono infatti due tipologie: remunerati, destinati a cittadini dell'Ue in possesso di un titolo accademico almeno triennale, e obbligatori non remunerati, destinati a studenti universitari del terzo, quarto o quinto anno che debbano svolgere un periodo di formazione obbligatorio nel quadro del loro corso di studi.Ma iniziamo da quelli remunerati. I posti complessivi sono 100 all'anno, distribuiti in maniera equa (50 e 50) in due periodi della durata di cinque mesi ciascuno: il primo va dal primo febbraio al 30 giugno 2018, e per candidarsi c’è tempo dall'11 settembre scorso fino al 16 ottobre; il secondo va invece dal primo settembre 2018 al 31 gennaio 2019, e sarà possibile candidarsi tra il 15 gennaio e il 15 marzo 2018. Occhio però alle tempistiche: a fronte dello stesso numero di posti disponibili, bisogna infatti notare una sostanziale differenza riguardo i tempi di candidatura; se per candidarsi al primo periodo si ha infatti a disposizione un mese, per il secondo si può usufruire esattamente del doppio, ossia due mesi. Questo non può evidentemente non incidere anche sulla probabilità di essere selezionati: in trenta giorni arriveranno infatti ragionevolmente meno candidature che in sessanta e, se i posti sono equamente suddivisi, chi si candida adesso avrà un numero decisamente inferiore di competitor. All'incirca la metà!Per quanto riguarda il rimborso spese, la cifra è di 1159,44 euro mensili a cui si aggiungono una tessera per la riduzione delle spese di vitto e un contributo per le spese di viaggio calcolato in base alla distanza geografica tra Bruxelles e l’indirizzo indicato sul modulo di candidatura (non è prevista alcuna indennità per distanze inferiori a 50 km da Bruxelles).I tirocini «non conferiscono lo status di funzionario o impiegato dell’Unione europea né danno alcun diritto ad essere reclutati nelle istituzioni dell’Ue», ma forniscono di certo un bagaglio di esperienze che continua ad attrarre tanti giovani: in primis italiani.Fin dall’avvio del programma nel 2007, dicono i responsabili del programma tirocini del Segretariato alla Repubblica degli Stagisti, gli italiani hanno infatti mostrato grande interesse per questa possibilità, piazzandosi al primo posto in assoluto tra i “richiedenti stage”. Il picco si è registrato nel 2014 quando ben 2.558 delle 5.265 candidature arrivate in Consiglio erano italiane. Vuol dire il 49%: un candidato su due, quell'anno, proveniva dall'Italia. Un'enormità. Tanti gli italiani anche negli anni successivi, con 492 candidature delle 2.398 totali nel 2015 e 892 delle 2.056 totali nel 2016 (pari rispettivamente al 21% e al 43%).I requisiti per candidarsi sono, in linea di massima, gli stessi richiesti delle altre istituzione europee: in primis bisogna essere cittadini europei o dei paesi candidati che hanno concluso i negoziati di adesione all’Ue; è necessario poi aver completato almeno la prima parte dei propri studi universitari e avere, quindi, un diploma di laurea o equivalente, nonché una buona conoscenza e capacità di comunicazione in inglese o francese. La materia di laurea, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non è invece così vincolante: nonostante la maggioranza delle domande, fanno sapere dal sito, sia presentata al momento da candidati in possesso di qualifiche in giurisprudenza, scienze politiche, relazioni internazionali, studi sull’Unione europea ed economia, il Segretariato generale del Consiglio «cerca tirocinanti in possesso di qualifiche anche in altri settori, come quelli di traduzione, risorse umane, comunicazione, scienze della formazione, informatica, grafica, multimedia, tecnologia agricola, ingegneria biochimica, sanità e sicurezza alimentare, gestione energetica, ambiente e ingegneria aerospaziale». Non possono invece candidarsi, si legge sul sito, «coloro che hanno già beneficiato di qualsiasi tipo di formazione (retribuita o non) o di occupazione di durata superiore a sei settimane nell’ambito di un’istituzione, organo, agenzia o ufficio dell’Ue».Per candidarsi basta registrarsi, inserire i propri dati anagrafici, i titoli di studio, le esperienze professionali e le conoscenze linguistiche. Dopodiché è necessario compilare e spedire online (qui) sul sito Epso l’application in lingua inglese o francese. I candidati, fanno sapere dal portale del Consiglio, «potrebbero essere invitati anche a sostenere un colloquio telefonico o via Skype» e, in caso di parità di merito, «l’Ufficio tirocini cercherà di assicurare un sano equilibrio geografico e di genere, favorendo la presenza del maggior numero possibile di nazionalità e mirando a raggiungere il 40% del genere sottorappresentato».I giovani selezionati per il primo periodo di tirocinio (quello in partenza a febbraio) saranno contattati al più tardi in dicembre, mentre gli altri riceveranno notizie entro maggio. Chi sarà selezionato dovrà fornire prova di tutte le informazioni indicate nel modulo di candidatura e presentare quindi una copia cartacea del passaporto o della carta d’identità, una dei diplomi o certificati ufficiali, una prova dell’esperienza professionale (ove richiesta) e della conoscenza delle lingue indicate. Tali documenti giustificativi non devono dunque essere inviati al momento della candidatura online ma solo in caso di accettazione della domanda di ammissione.Saranno informati per posta elettronica o tramite il loro account Epso anche i candidati esclusi, che rischiano di non essere pochi: «Il Segretariato generale del Consiglio» fanno sapere infatti dal sito «riceve ogni anno circa 4mila candidature per tirocini con compenso, ma i posti disponibili sono solamente cento».Accanto a questi 100 posti remunerati ci sono poi altri 20 posti non remunerati riservati a studenti universitari del terzo, quarto o quinto anno che devono svolgere un periodo di formazione obbligatorio all'interno del loro corso di studi o effettuare ricerche ai fini della tesi o di un dottorato. Anche questi tirocini, che possono durare da uno a cinque mesi, sono come gli altri suddivisi in due tranches (1 febbraio - 30 giugno; 1 settembre - 31 gennaio): per la prima è possibile candidarsi fino al primo ottobre, mentre per la seconda c'è tempo fino al primo aprile 2018.Per quanto riguarda l’aspetto economico, i tirocinanti non remunerati non beneficiano chiaramente di una sovvenzione mensile, ma soltanto di un contributo alle spese di viaggio  e di una tessera per la riduzione delle spese di ristorazione valida per la mensa del Consiglio.I requisiti d’accesso sono gli stessi richiesti per i tirocini remunerati e per candidarsi basta registrarsi sul sito Epso, compilare il modulo di candidatura disponibile in inglese o francese e allegarvi un attestato ufficiale dell’istituto d’insegnamento superiore frequentato che certifichi l’obbligo o la necessità, per il candidato, di effettuare tale tirocinio. Ai candidati selezionati sarà richiesto, come ai “colleghi remunerati”, l’invio dei documenti giustificativi a sostegno delle informazioni indicate nel modulo di candidatura.Ma di cosa si occuperà uno stagista al Segretariato? Sebbene «dipenda dalle necessità del servizio», si apprende dal regolamento, il lavoro quotidiano del tirocinante sarà «equivalente a quello svolto dai giovani funzionari amministrativi all’inizio della loro carriera»: si tratterà quindi di «organizzare e partecipare a incontri e gruppi di lavoro, redigere verbali, archiviare pratiche, tradurre documenti, cercare e compilare documentazioni, rispondere alle varie domande». Lo stagista parteciperà inoltre a programmi di formazione che includono conferenze e visite ad altre istituzioni europee e «sarà posto sotto la responsabilità di un consigliere addetto ai tirocini che lo guiderà e supervisionerà il suo lavoro».Giada Scotto

Regole sui tirocini, balzo in avanti del Lazio: il rimborso minimo sale a 800 euro

Buone notizie per i futuri stagisti laziali, che a partire dal 1° ottobre potranno contare su un rimborso spese mensile non inferiore agli 800 euro. È la principale novità introdotta dalla nuova disciplina sui tirocini extracurriculari - ovvero i tirocini formativi e di orientamento o di inserimento/reinserimento lavorativo - approvata il 9 agosto dalla giunta regionale laziale.E proprio la regione Lazio è stata la prima ad approvare la delibera di adeguamento  alle “Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento” contenute nell’accordo adottato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano il 25 maggio scorso.Una delibera che evidenzia una clamorosa eterodossia rispetto alle linee guida nazionali, ancor più significativa se si pensa che la funzione delle linee guida dovrebbe essere quella di uniformare le normative regionali. In particolare, se a livello nazionale il rimborso spese minimo era stato fissato a 300 euro, il Lazio ha deciso di elevarlo a 800 euro, il doppio rispetto alla cifra contenuta nelle precedenti linee guida della regione, risalenti al 2013. Ma la regione Lazio non si è discostata solo nell’ammontare del rimborso spese. Ha anche ridotto il periodo massimo di durata del tirocinio da 12 a 6 mesi.«Con un rimborso economico così basso e con un periodo così lungo il rischio è quello che si assista a uno sfruttamento del tirocinante. Il tirocinio» spiega Lucia Valente, assessore al Lavoro, Pari opportunità e Personale della regione Lazio «è una misura di politica attiva finalizzata all’orientamento, all’arricchimento delle conoscenze e all’inserimento lavorativo e non deve mai sostituire un contratto di lavoro».Da qui la scelta di intervenire sulle linee guida nazionali. «Riteniamo che sei mesi siano un arco temporale sufficiente» aggiunge Valente «per garantire al tirocinante l’acquisizione delle competenze necessarie per la sua occupabilità. A fronte dell’inserimento in un’organizzazione produttiva, riteniamo necessario che al tirocinante, che può essere chiunque, dal giovane inoccupato al disoccupato adulto, sia corrisposto un contributo economico che sia dignitoso».In effetti, già stando alle linee guida in attesa di aggiornamento, la situazione era piuttosto frammentata. Il rimborso spese minimo variava dai 300 euro della Sicilia e della provincia autonoma di Trento - ovvero la stessa cifra contenuta nelle linee guida nazionali del 2013 - ai 600 di Abruzzo e Piemonte. Tra le altre novità del testo regionale, ente promotore ed ente attuatore potranno rinnovare lo stesso progetto formativo solo per una volta nell’ambito di sei mesi complessivi. Le uniche deroghe sono previste per i soggetti svantaggiati e per le persone con disabilità, per i quali la durata massima del tirocinio è rispettivamente di 12 e 24 mesi. Inoltre, vigerà il divieto di svolgere il tirocinio nelle ore notturne; e a partire dai 16 anni gli studenti potranno svolgere mini tirocini da un minimo di 14 giorni a un massimo di 3 mesi, ma solo durante l’estate.Importante sottolineare anche l’aspetto delle sanzioni: chi non rispetterà le regole potrà incorrere nell’interdizione fino a 24 mesi dall’ospitare tirocinanti. Un chiaro deterrente contro gli abusi. Inoltre, tutti i soggetti promotori, pubblici e privati saranno tenuti a sottoscrivere un codice etico a garanzia della qualità dei tirocini.«Con queste regole vengono inserite nella disciplina regionale maggiori garanzie: l’ingresso o il reinserimento nel mondo del lavoro. Il tirocinio» conclude l’assessore «deve rappresentare un'esperienza incoraggiante, positiva e tutelata e non una forma di sfruttamento in danno di giovani e disoccupati».Anche i sindacati - Cgil di Roma e del Lazio, Cisl del Lazio e Uil di Roma e del Lazio - hanno espresso la propria soddisfazione in una nota, affermando che «la nuova impostazione riduce considerevolmente le degenerazioni a cui abbiamo assistito in questi anni; sei mesi infatti sono un tempo congruo per imparare qualsiasi mestiere, anche quelli con un contenuto professionale elevato; gli 800 euro di rimborso scoraggiano inoltre chi intende sfruttare i ragazzi o chi ha perso il lavoro. Roma e il Lazio avevano bisogno di una simile inversione di tendenza perché i dati sull’occupazione delineano un aumento consistente del lavoro povero».Le altre regioni hanno tempo fino al 25 novembre per approvare la propria delibera in materia di tirocini extracurriculari. La curiosità è ora quella di capire se ci saranno nuove regioni divergenti rispetto alle linee guida. Rossella Nocca

Giovani disposti a tutto pur di lavorare. E non disdegnano i mestieri manuali

A differenza di quello che si tende a credere, «i giovani sono disposti a tutto pur di lavorare, anche a farlo in nero». A denunciare questa stortura è Annamaria Parente [nella foto sotto], capogruppo Pd in commissione Lavoro al Senato, parlando dei risultati del report 'Lavoro Consapevole' presentato nei giorni scorsi alla Camera dei deputati. L'indagine è stata elaborata dal Censis in collaborazione con Assolavoro e Jobsinaction, think tank del mercato occupazionale, e ha coinvolto un migliaio circa di 15-34enni. La fotografia è quella di una platea che per la quasi totalità accetterebbe, pur di essere occupata, anche un lavoro molto diverso da quello per cui ha studiato, oppure lavori discontinui e perfino manuali e pesanti.«Sono soprattutto le donne a essere disponibili», prosegue Parente; una caratteristica di tutti gli intervistati è che manifestano interesse «non tanto per il reddito quanto proprio per il lavoro in sé». Anche perché «avere un lavoro che piace e corrisponde alle proprie aspirazioni» è secondo il 30% degli intervistati una delle «chiavi che rendono felice una persona». Il motivo è che «è soprattutto al lavoro che si affida il compito di realizzare e sostanziare un progetto di vita» conferma lo studio. O forse anche perché – come osserva Giuseppe De Rita, presidente del Censis, al dibattito di presentazione – «oggi i giovani possono contare su un livello di consumo non paragonabile al passato». «Andare a New York può costare 100 euro», per questo secondo De Rita il reddito potrebbe scemare nella graduatoria degli interessi. Sono giovani che scelgono il lavoro più che per denaro «per desiderio e ambizione personale» gli fa eco Stefano Scabbio, presidente di Assolavoro.«Dopo l'attenuazione della caduta dell'occupazione dei giovani nel 2015, nel 2016 in Italia per la prima volta aumentano gli occupati di quasi un punto» si legge nello studio. Una crescita che vale soprattutto per i laureati, «a conferma del ruolo dell'istruzione quale fattore protettivo». In agguato ci sono però le cifre sul tasso totale di disoccupazione per questa fascia di età, che è del 17,6%, e quello dei Neet, per cui l'Italia vanta un triste primato in Europa e che si colloca a quota 21,8%. Un dato che trova il proprio riflesso nelle modalità di ricerca di un'occupazione: oltre la metà di chi è occupato dichiara di essersi rivolto a amici e parenti per trovare lavoro, anche se Internet e app restano l'azione principale di ricerca (le usa il 64%). E non a caso lo stesso gruppo di occupati ritiene – per oltre la metà – «il network» come uno degli elementi che contano davvero nella ricerca di un lavoro. Chi non è parte dei circuiti socialmente più importanti è penalizzato, e resta a spasso. Il lavoro è percepito come il fulcro delle ingiustizie sociali: «l'indagine è nata anche per far luce sul perché in Italia si cerca lavoro soprattutto tramite canali informali, a differenza di altri paesi, specie anglosassoni» spiega Marco Baldi, curatore del report. Per Gianluigi Petteni, responsabile del settore lavoro della Cisl, «bisogna creare un sistema di presa in carico proprio per chi è figlio di nessuno e vive una maggiore insicurezza». Con l'obiettivo di «investire in questo ambito, in modo selettivo». Questa la direzione da prendere confermata dall'opinione dei partecipanti alla ricerca, secondo cui – a pensarlo è un giovane su tre, a prescindere dal ceto di provenienza – l'accesso all'impiego è garantito «solo chi è in possesso delle conoscenze giuste». Lo stesso livello di iniquità si percepisce anche riguardo la ricchezza: un terzo di quelli che provengono da famiglie disagiate ritengono il reddito «molto alto per pochi e sotto il livello di sopravvivenza per troppi». Ma nonostante questa rappresentazione, «nei giovani non si riscontra rancore» commenta De Rita. Per questi figli «del ceto medio e di un'Italia dall'ascensore sociale bloccato», c'è sì frustrazione, ma essa non sfocia in un'accusa contro i padri: «Come potrebbero avere rancore per i padre che non vanno in pensione?».Se è infatti vero che gli intervistati giustificano un tasso di disoccupazione giovanile superiore alla media europea con il mancato «incontro tra domanda e offerta di lavoro», a pesare più di tutto «lo spostamento dell'età pensionabile» e quindi la scarsità di posti liberi per i giovani. E non sono certo scuse se solo un microscopico 0,6% dei disoccupati ammette di provare disinteresse nei confronti del lavoro (cifra che sale al 3% per gli inattivi), mentre quasi la metà dichiara di fallire nell'intento di trovarne uno, nonostante pratichi una ricerca attiva.Una delle strade per uscirne secondo Scabbio di Assolavoro è seguire l'esempio dei paesi con il minor tasso di disoccupazione giovanile in Europa, la Germania e la Svizzera, dove si può contare su «ottimi sistemi di apprendistato e alternanza scuola-lavoro». E poi, propone Alessio Rossi, presidente di Confindustria giovani, puntare tutto su una «decontribuzione totale dei nuovi assunti under 30». Perché «è tempo di dare segnali forti, e qui non è questione di delineare una politica per le imprese bensì per le famiglie: sono i loro figli che si andrebbe ad assumere».Se il «lavoro negato» è percepito come «la maggiore delle ingiustizie sociali, superiore per gravità ai divari di ceto, di reddito, di mancanza di servizi» come riporta Parente nell'introduzione all'indagine, la lotta dei nostri giorni «diventa la promozione del diritto all'accesso, un concetto che racchiude uguaglianza di opportunità e valorizzazione dei talenti». Dunque politiche attive per il lavoro, ma che siano comprensibili e «visibili»: solo il 30% degli intervistati riconosce di sapere esattamente cosa siano!Ilaria Mariotti   

Bando tirocini in Sardegna: «Non devono esistere disoccupati di serie A e B»

Disoccupati, inoccupati, inattivi, residenti in Sardegna, senza sostegni economici e over 30: soggetti a cui si dedica l’avviso pubblico per l’attivazione di progetti di tirocinio 2017 pubblicato dalla Regione, per cui sono stati messi a disposizione 3 milioni di euro. Apparentemente una buona notizia... se non fosse per l’indennità di tirocinio prevista: 450 euro mensili, di cui 300 a finanziamento pubblico e 150 erogati direttamente dall’azienda. Una cifra che non  è passata inosservata a Confintesa Sardegna, che ha provato a chiedere spiegazioni alla Regione, definendo questa situazione una «guerra tra poveri».Questo perché Confintesa ha confrontato questo bando con un bando precedente, Flexicurity 2015, per il quale i destinatari erano sempre lavoratori svantaggiati, disoccupati che non potevano più usufruire di ammortizzatori sociali, e per cui si prevedeva un tirocinio di sei mesi con un monte orario di 30 ore settimanali e un compenso lordo di 600 euro mensili. Motivo per cui il sindacato ha voluto vederci chiaro ritenendo che non ci sia alcuna giustificazione per cui si imporre ai tirocinanti 2017 trenta ore alla settimana a 300 euro lordi erogati dalla Regione (più la quota dell’azienda) contro i 600 dell’anno precedente distribuiti dallo stesso ente.Per questo motivo all’inizio di luglio Anselmo Piras, segretario Confintesa Sardegna, ha presentato all’assessora al lavoro, al direttore generale Aspal e al presidente della Regione una richiesta di modifica del bando tirocini 2017. «Ad oggi non abbiamo ricevuto ancora nessuna risposta alla nostra richiesta», spiega alla Repubblica degli Stagisti il segretario. «Forse a loro 450 o 600 euro sembra una differenza di poco conto. C’è poca sensibilità a trattare con il popolo» rincara la dose, aggiungendo che il sindacato spera sempre di ottenere una risposta ma, in caso contrario, Confintesa «è pronta a dare assistenza legale gratuita a tutti i giovani esclusi che lo richiederanno. Abbiamo già contattato degli avvocati che hanno accettato di farlo e ricevuto tantissime telefonate di giovani che non hanno già fatto ricorso solo perché hanno paura, ed è umano, che non gli vengaconfermato il tirocinio».Piras però non si è fermato alla sola richiesta ad assessora e presidente, ma ha cercato di coinvolgere su questo tema anche altri politici, inviando la sua lettera a tutti i 70 consiglieri regionali. Alla fine il supporto è arrivato dall’opposizione, con il gruppo di Forza Italia che ha presentato un’interrogazione sulle modalità previste dal bando. «In Sardegna, più che nel resto d’Italia, stiamo vivendo una forte disoccupazione giovanile. E se i giovani trovano già delle disparità di trattamento prima ancora di entrare a far parte del mondo del lavoro, beh non è giusto» spiega Alessandra Zedda, prima firmataria. «Noi chiediamo intanto che si possano riconoscere uguali diritti e doveri a tutti i tirocinanti, che possano essere rispolverati i criteri del Flexicurity con regole che erano più favorevoli ai partecipanti, in particolare un’indennità superiore e la possibilità di effettuare assenze senza essere così penalizzati come in questo secondo bando. E poi chiediamo di conoscere quali azioni si possano attivare per fare in modo che il bando 2017 garantisca eguali diritti e doveri a inattivi, inoccupati e disoccupati della Sardegna».Non c’è però solo un occhio agli stagisti, perché Zedda critica anche il criterio di adesione delle aziende, che in effetti sono in numero molto esiguo. «Secondo il bando l’azienda può prendere un tirocinante se non ha licenziato nessuno, e questo ci può stare, e se ha almeno un occupato. Il che vuol dire Inps, Inail, contributi sociali e previdenziali. Ma io lo vorrei togliere quel limite. Fino agli anni d’oro l’azienda con a capo solo un imprenditore non era ritenuta un’azienda. Ma oggi tante aziende che sono sul mercato non hanno bisogno di personale ma solo di un commercialista. E queste stesse aziende un tirocinante potrebbero anche averlo». C’è da aggiungere, poi, che la Regione Sardegna è tra quelle in cui la normativa regionale non specifica se gli stage in aziende prive di dipendenti siano possibili o no. Mentre secondo le nuove linee guida, che dovrebbero essere recepite entro fine novembre di quest’anno, si specifica proprio all’articolo 6 la possibilità di svolgere tirocini in aziende senza dipendenti.L’interrogazione comunque non avrà proprio tempi brevissimi. Sarà discussa a settembre, ma non è stata ancora calendarizzata. Zedda è però fiduciosa che grazie a questo testo si smuovano le acque e inizi un confronto.L’altro punto sottolineato sia nell’interrogazione presentata al Consiglio Regionale sardo, sia nella lettera di modifica bando inviata all’assessora dal sindacalista Piras, è quella riguardante la questione delle assenze. Entrambi evidenziano la poca chiarezza nel calcolo delle ore e quindi dell’indennità. Sul bando, infatti, all’articolo 2 si puntualizza che «l’indennità di tirocinio sarà ridotta proporzionalmente alle ore di assenza ingiustificata riportate nel libretto delle presenze considerando il mese convenzionale stabilito in 130 ore. Nel calcolo delle ore di presenza sono incluse le ore di assenza giustificate come identificate dal Regolamento provvisorio per l’attivazione dei progetti di tirocinio. La giornata di assenza giustificata è quantificata in sei ore». Frase che viene giudicata da Piras e dalla Zedda come «poco chiara». Il sindacalista Confintesa, infatti, nella sua lettera scrive che così com’è «non può avere un senso logico se si considera che anche svolgendo il massimo delle 30 ore il mese convenzionale dovrebbe indicare 120 ore e non 130!» Non solo, nella lettera si evidenzia anche che le ore di assenza ingiustificate riportate nel libretto delle presenze dovrebbero essere sottratte in base all’orario di frequenza stabilito nel progetto di tirocinio. «Orario che possa tener conto di un minimo di 80 ore e un massimo di 120 ore al mese, senza variazione dell’esigua indennità annunciata».Se poi si vanno ad analizzare le offerte al momento presenti sul portale, bisogna riconoscere che qualcosa evidentemente non ha funzionato visto che... sono soltanto undici. Un punto che la Zedda sottolinea. Ma se Piras si augura che almeno la metà dei partecipanti una volta concluso il tirocinio possa avere la possibilità di essere assunto dall’azienda, l’esponente di Forza Italia crede invece che nonostante questi tirocini siano «molto formativi» e oltre a dare un minimo di rimborso ai partecipanti sono anche utili alle aziende, non siano «assolutamente uno strumento ai fini occupazionali».Certo i dati si potranno scoprire soltanto una volta chiuso il bando e soprattutto terminati gli stage. Ma più che investire ancora una volta sulle indennità dei tirocini, sia Piras sia Zedda sono convinti ci sarebbe solo una cosa che il governo regionale dovrebbe fare per risolvere il problema occupazionale dei giovani in Sardegna: incentivare le aziende. «Se la regione aggiunge alle leggi nazionali qualcosa in più per le imprese, allora queste assumono. Ne sono convinto. Perché se per tre anni ho un abbattimento dei costi sociali e sono contento del risultato della nuova risorsa, e questa è diventata un bene per l’azienda, alla fine me la tengo. Servono incentivazioni di supporto a quelle nazionali». Un’idea ancora più precisa ce l’ha Zedda: «abbattere il quantum fiscale, cosa che noi in Sardegna potremmo fare agendo su settori come i trasporti, il turismo e l’agricoltura. Dovremmo poter assumere e incentivare le imprese con abbattimento dei costi previdenziali. O dare contributi a fondo perduto sulle assunzioni di personale. L’unica cosa che può funzionare è questa: meno tasse e più incentivi su occupazione».Nel frattempo si aspetta che il governo regionale dia un segnale. Forse c'è qualche spazio di manovra per migliorare le condizioni previste per gli stagisti.Marianna Lepore

Anno di superiori all'estero, crescono le domande. Identikit di una generazione in movimento

«I miei orizzonti si sono ampliati in modi che non avrei mai potuto immaginare». Parola di Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana nello spazio, che grazie a un programma Intercultura, ha frequentato un anno di superiori negli Stati Uniti d’America, presso l’High School di St.Paul (Minnesota).Sarà proprio per allargare i propri orizzonti – soprattutto oggi che quelli di “casa nostra” appaiono così nebulosi – che sempre più giovani si candidano per partecipare a progetti di mobilità internazionale scolastica e trascorrere all’estero una parte o un intero anno scolastico, di solito il quarto. Un fenomeno che riguarda all'incirca 4mila 17enni all'anno. La “via maestra” sono i programmi di Intercultura, associazione nata nel 1955, inizialmente a scopi umanitari, come costola italiana dell’American Field Service (AFS), e poi apripista e promotrice degli scambi scolastici internazionali. Sono 2.162 i “fortunati” che sono stati selezionati attraverso l’ultimo bando Intercultura per partire durante l’anno scolastico 2017/18 per 65 paesi del mondo. 1.200 per il programma annuale, 200 per quello semestrale e 700 per i programmi trimestrali e bimestrali e per quelli estivi di lingua di quattro settimane. I programmi annuali sono i più numerosi e i più gettonati perché l'esperienza è completa - per Natale si fa giusto in tempo ad adattarsi - e al ritorno si ha tutta l'estate per recuperare il programma dell'anno trascorso all'estero.  Le domande totali erano state ben 7mila, ovvero mille in più di un anno fa e quasi il doppio rispetto all’anno scolastico 2012/13 (quando si erano registrate 4.100 candidature). Ciò vuol dire che i posti disponibili con Intercultura non riescono a coprire tutte le richieste. E così questo vuoto viene spesso riempito da agenzie specializzate in viaggi di studio, come EF (Educational First) e YouAbroad.Con EF Italia partiranno nel prossimo anno scolastico circa 600 studenti, di cui il 70 per cento per programmi annuali e il 30 per cento per programmi semestrali. Il 90 per cento dei ragazzi preferiscono gli Stati Uniti, seguiti da Gran Bretagna e Irlanda, le altre due destinazioni trattate dall'agenzia. Con YouAbroad, invece, studieranno all'estero circa 1000 studenti: poco più della metà per un anno, un altro 30% per un semestre, e un 15% per un trimestre e periodi affini. In questo caso, le destinazioni più richieste sono state: Stati Uniti (60%), Canada (19%) e Australia (9%). Ciò vuol dire che, solo considerando i principali circuiti, nel prossimo anno scolastico partiranno per un'esperienza di studio all'estero quasi 3.800 studenti di quarto superiore. «In Italia c’è una grossa richiesta, mentre nel resto del mondo c’è stagnazione. Vorremmo mandare più studenti, ma non li accettano», spiega alla Repubblica degli Stagisti Alda Protti, presidentessa volontaria di Intercultura, che oggi conta 4mila volontari e 155 centri locali sparsi per l’Italia e coinvolge annualmente nei suoi progetti circa 900 scuole.«Le domande riguardano soprattutto i paesi dove si parla inglese: Stati Uniti d’America in primis, ma anche Canada, Nuova Zelanda, Inghilterra» racconta Protti «tuttavia negli ultimi anni c’è stata una diversificazione, ad esempio sono aumentate le richieste per Asia, America latina ed Est Europa». Nel prossimo anno scolastico il 35% dei ragazzi partiranno per l'Europa, il 24% per l'America latina, il 22% per Stati Uniti e Canada, il 4% per l'Australia e la Nuova Zelanda e l'1% per l'Africa. La crescita più significativa riguarda l'Asia: nel 2000 le partenze per questo continente rappresentavano solo l'1%, oggi sono al 14%.Secondo la presidentessa di Intercultura il valore dell’esperienza all’estero oggi più che mai può andare oltre la crescita formativa personale, perché «visto quello che sta succedendo nel mondo, partire serve a imparare che esistono culture diverse di cui non bisogna avere paura».Per partecipare alle selezioni Intercultura occorre compilare un application form in cui si valutano il curriculum scolastico (no a bocciature e debiti significativi negli ultimi due anni), le capacità psico-attitudinali e le conoscenze linguistiche. Seguono colloqui individuali con i volontari di Intercultura, attività di gruppo con ex partecipanti e un incontro con i genitori degli studenti. La domanda va presentata con circa un anno di anticipo, quindi all’inizio del terzo anno di superiori per partire all’inizio del quarto.Ma la mobilità internazionale è un’esperienza che tutti si possono permettere? Con Intercultura potenzialmente sì. «Per i programmi annuali e semestrali» spiega Alda Protti «il 78% dei ragazzi hanno una borsa di studio parziale pari al 20, al 40 o al 60% oppure totale, sovvenzionata dell’Inps e da altri enti. Il restante 22% dei ragazzi parte con la quota piena a proprio carico, di cui una parte viene usata per sostenere gli studenti con meno possibilità».Le quote di partecipazione, per i prossimi programmi annuali di Intercultura, vanno da un minimo di 10.800 euro per paesi come Russia, Portogallo e Ungheria a un massimo di 15.500 euro per gli Stati Uniti. Per i semestrali, da un minimo di 8.400 euro per Thailandia, Argentina, Brasile, Cile e Costarica, a un massimo di 15.000 euro per la Nuova Zelanda. I trimestrali e i bimestrali oscillano fra i 7mila e gli 8.400.Per l'anno scolastico 2017/18 saranno 1.545 gli studenti che usufruiranno di borse di studio a copertura totale o di contributi parziali, di cui 624 offerti da aziende, banche, fondazioni ed enti pubblici e 23 riservate a studenti stranieri che trascorreranno un periodo in Italia. Potevano concorrere a una borsa gli studenti i cui genitori dichiarassero un reddito lordo complessivo dai 22mila euro (copertura totale) ai 95mila euro (borsa parziale al 20%). Inoltre, per ottenere la borsa totale, era necessario aver riportato almeno la media del 7 negli ultimi due anni e nessuna bocciatura; per la borsa parziale era sufficiente non essere stati bocciati.Diversa è la situazione per le agenzie private. Qui i programmi sono tutti a carico delle famiglie, ma c'è la possibilità di scegliere la destinazione esatta e, con un costo supplementare, persino la scuola da frequentare all'estero. Un programma annuale negli Stati Uniti ha un costo tra i 12.750 euro (EF Italia) e i 10.900 (YouAbroad). Le quote comprendono una serie di servizi, ad esempio YouAbroad fornisce: ricerca e selezione della famiglia ospitante, tasse scolastiche, pick-up da/per l'aeroporto del paese ospitante, assistenza nelle pratiche di rilascio dei visti, volo A/R da Roma/Milano con le migliori compagnie di linea, assistenza del team 24h etc.Ma al ritorno in Italia cosa succede? Come si legge nella nota 843/2013 del ministero dell'Istruzione, «le esperienze di studio o formazione compiute all’estero dagli alunni italiani appartenenti al sistema di istruzione e formazione, per periodi non superiori ad un anno  scolastico e da concludersi prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, sono valide per la riammissione nell’istituto di provenienza» in quanto «parte integrante dei percorsi di formazione e istruzione». Ai singoli consigli di classe è lasciata la discrezionalità sul metodo di riammissione: ad esempio possono decidere di sottoporre lo studente a prove integrative per le materie trascurate. Inoltre i docenti hanno la possibilità di equiparare l’esperienza all’estero al percorso dell'alternanza scuola lavoro, riconoscendone i crediti formativi corrispondenti.Le iscrizioni al prossimo programma Intercultura per l’anno scolastico 2018/19 si apriranno il 1° settembre 2017 e potranno candidarsi gli studenti nati tra il 1° luglio 2000 e il 31 agosto 2003.Rossella Nocca

Legge sugli stage: come la vorrebbero i giovani? Diccelo tu

Se fossero i giovani a decidere, a quanto fisserebbero l'indennità minima per lo stage? E la durata massima? E permetterebbero gli stage in aziende senza dipendenti?La Repubblica degli Stagisti ha deciso di chiederlo a voi, i diretti interessati, dato che proprio in queste settimane le Regioni si stanno muovendo per aggiornare le loro normative sugli stage.Sono state approvate a fine dalla Conferenza Stato Regioni, infatti, le nuove linee guida in materia di tirocini, e contengono parecchie modifiche rispetto alla vecchia versione, quella del gennaio 2013, dalla quale sono discese tutte le normative regionali che dal 2013 ad oggi hanno regolamentato diritti e doveri degli stagisti extracurriculari.Come nel 2013 queste Linee guida non hanno alcun valore di per sé. Devono essere declinate in atti normativi dalle singole Regioni, chiamate a recepire «con propri atti le presenti linee guida entro 6 mesi».Eppure le linee guida non sono prescrittive, e le Regioni possono scegliere di normare questa materia in maniera differente da quanto concordato. Ciò peraltro è specificamente ammesso nelle linee guida stesse, con la dicitura che vincolerebbe le regioni a poter porre delle condizioni differenti solo in un'ottica di miglioramento e quindi di maggior tutela dello stagista («Le linee guida indicano taluni standard minimi di carattere disciplinate la cui definizione lascia, comunque, inalterata la facoltà per le Regioni e province autonome di fissare disposizioni di maggior tutela»), anche se non è chiaro chi stabilisca in cosa consistano miglioramenti e peggioramenti.In queste settimane le Regioni si stanno muovendo per approntare le nuove normative. Per questo la Repubblica degli Stagisti ha deciso di raccogliere la voce dei giovani: partecipa al nostro sondaggio e dicci la tua opinione!

Youthpass, questo sconosciuto: la sfida europea per il riconoscimento delle competenze non formali

Un “passaporto” per i giovani che hanno partecipato a progetti europei di mobilità internazionale. Uno strumento di rappresentazione dell’apprendimento derivato dallo youth work. Sono alcune delle possibili definizioni dello Youthpass, punto chiave della strategia della Commissione europea finalizzata a promuovere il riconoscimento dell’educazione non formale. Ancora sconosciuto ai più, questo strumento esiste in realtà da oltre un decennio: ideato nel 2006, nel 2007 è stato inserito nel Programma Gioventù in Azione. Oggi può essere rilasciato in forma facoltativa ai partecipanti al Programma Erasmus Plus settore Gioventù da tutte le organizzazioni ospitanti, che per farlo devono registrarsi sul sito dedicato.«Il tema del riconoscimento delle competenze non formali è cruciale per il futuro dei giovani italiani ed europei» dice alla Repubblica degli Stagisti Giacomo D’Arrigo, direttore generale dell’Agenzia nazionale per i giovani (Ang), ente attuatore in Italia del capitolo Youth del Programma Erasmus Plus: «Prima il tempo della scuola e il tempo del lavoro erano distanti e non si incrociavano mai, oggi non è più così: sono sempre più vicini e connessi. Essere pronti o non esserlo farà la differenza».Lo Youthpass è un documento di quattro pagine, di cui due dedicate all’anagrafica del partecipante e alla descrizione del progetto e altre due alle competenze chiave, che si può allegare al curriculum vitae come ulteriore strumento di narrazione. Le competenze chiave sono otto: comunicazione nella lingua madre, comunicazione nella lingua straniera, competenze matematiche di base e scienze tecnologiche, competenze digitali, apprendere ad apprendere, competenze sociali e civili, senso di iniziativa e imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturale. Per la compilazione il giovane può contare sull’assistenza di una figura di riferimento del progetto, come ad esempio il mentore nel caso del Servizio volontario europeo (Sve).«Lo Youthpass risponde a due obiettivi» spiega Adele Tinaburri, funzionaria dell’Agenzia nazionale per i giovani e da due anni responsabile per l’Italia della diffusione dello strumento «di cui uno pedagogico, perché invita a ragionare su quello che si è appreso; e un altro funzionale alla visibilità e alla disseminazione delle competenze acquisite, di cui si fa “ambasciatore”».Il suo punto di forza, ovvero il rilevamento e l’autovalutazione delle competenze, rappresenta allo stesso tempo il suo principale limite. Come si legge nella guida fornita dalla Commissione europea, infatti, lo Youthpass non è “un accreditamento ufficiale delle competenze”. Ciò vuol dire che non è un certificato “spendibile”, perché non è riconosciuto da un ente certificatore.Lo scorso marzo le trentatré agenzie nazionali europee per i giovani si sono riunite, come ogni diciotto mesi, per discutere dell'implementazione dello strumento. «È emersa, in particolare, la difficoltà di promuoverlo senza poter contare su fondi aggiuntivi» aggiunge Tinaburri, presente in rappresentanza dell’Agenzia italiana «e di poterci lavorare solo nei ritagli di tempo».Nonostante la scarsità di risorse, il nostro è uno dei paesi europei ad aver maggiormente recepito lo Youthpass. «Gli enti cominciano a rendersi conto che il riconoscimento delle competenze non deve essere solo un obiettivo calato dall’alto» racconta il funzionario Ang «e promuovono il desiderio da parte dei giovani di imparare e di raccontare quello che apprendono. Molti lo fanno sotto forma di attività ludiche, attraverso percorsi animati, come può essere una caccia al tesoro per capire il livello di conoscenza dell’inglese». Inoltre alcune istituzioni, come le università di Padova e Cagliari ma anche molti istituti scolastici, riconoscono crediti formativi per le competenze dichiarate nello Youthpass.Tuttavia la diffusione dello strumento resta ancora troppo debole. «Attraverso incontri in giro per l’Italia» conclude il dg Ang D’Arrigo «l’Agenzia incentiva gli enti a rilasciarlo e i giovani ad usarlo. È determinante tuttavia fare in modo che sia diffuso attraverso iniziative governative e che cominci ad essere applicato anche ad altri percorsi di educazione non formale, come ad esempio il servizio civile».A fine aprile l’Agenzia nazionale per i giovani ha lanciato un sondaggio rivolto alle organizzazioni beneficiarie di finanziamenti Erasmus + settore Gioventù, per capire quante di esse rilasciano lo Youthpass, ma anche la qualità del suo utilizzo, così da poter elaborare una strategia efficace e vincere la sfida per il riconoscimento delle competenze non formali.Rossella Nocca 

Cosa fare dopo le superiori? Push to Open, il programma che orienta su quale strada prendere

L'alternanza scuola lavoro include anche servizi di orientamento, non solo formazione in azienda. Ne fa parte Push To Open, «un programma dove aziende, professionisti e istituzioni spiegano e raccontano che cos’è il lavoro e come scegliere l’università in base alle  prospettive occupazionali» si legge sul sito della start up Jointly. Un centro che offre servizi di welfare condiviso e che, a tre anni dall'avvio, ha coinvolto 2.500 studenti del penultimo e ultimo anno delle superiori, di cui 1.500 solo nell'ultima tornata. In base a un sondaggio interno «quasi un ragazzo su tre, tra i 15 e 24 anni, è un Neet e il 75% dei ragazzi al termine delle scuole superiori compie le proprie scelte di studi universitari senza conoscere nulla riguardo al lavoro e alle possibilità occupazionali». L'idea nasce da qui, spiega la ceo di Jointly Francesca Rizzi: «I giovani vanno incontro a un futuro di collaborazioni a partita Iva, o di on demand economy se vogliamo dirlo con un termine che suoni meglio». A loro che devono costruirsi un futuro professionale così complicato viene proposto «un viaggio attraverso un programma di orientamento che li aiuta a scegliere cosa fare al termine della scuola, dopo il diploma». Con una prospettiva di lungo termine, che non si limita «a guardare a subito dopo l'università ma oltre: 16 anni non è un'età troppo giovane per farlo, la pensano così sia i ragazzi che i loro genitori». Gli studenti ricevono così «una cassetta degli attrezzi» aggiunge la Rizzi, «che poi dovranno imparare a usare». In cosa consiste? Il programma prevede un percorso interattivo, sviluppato per lo più in digitale, che si estende tra ottobre e gennaio di ogni anno con il coinvolgimento di circa 25 aziende. In questa fase si può usufruire delle guide di specialisti dell’orientamento, di consigli di psicologi adolescenziali, del punto di vista di esperti su temi specifici, e anche di testimonianze di under 35 inseriti in azienda. «Abbiamo assistito a dirette online, ricevuto consigli su come parlare e gesticolare durante i colloqui di lavoro e su come mettere in luce le esperienze acquisite» ha raccontato Bianca Bucciarelli, 17 anni, partecipante al progetto.«C'è una piattaforma online interattiva e suddivisa in canali tematici con contenuti come interviste, lezioni teoriche, simulazione di colloqui, canali per la ricerca del lavoro, proposte di business game provenienti dagli stessi ragazzi» spiega Barbara Demichelis, responsabile della ricerca Universo 18 di Jointly. «Tutto per far capire cosa cerca un'azienda e a cosa ci si deve preparare». Alla fine del percorso un workshop aziendale. Il risultato «è a che a 17 anni si trovano con un bagaglio di conoscenze che di solito si acquisisce non dopo l'università, ma dopo anni di lavoro» ha proseguito Demichelis. A guadagnarci sono tutti. I ragazzi «che raggiungono così un notevole vantaggio competitivo sui coetanei» ragiona la ricercatrice, e le aziende, che possono «contare su un servizio di welfare aziendale come tale meritevole di agevolazioni fiscali». E anche le scuole, a cui il programma permette di scontare 50 ore di alternanza, un quarto del monte ore previsto dalla legge. «L'alternanza ha creato un sacco di lavoro» commenta Raffaella Massaccesi, preside del Liceo Montale di Roma.La scuola è uno degli istituti scelti per 'Adotta una classe', una della possibilità nell'ambito di Push to open che consente alle aziende di mettersi in contatto con una determinata classe di diplomandi e farsi conoscere dall'interno. «Una sfida grande» dice ancora la preside, «contando che l'anno prossimo l'alternanza impegnerà più di 1 milione e mezzo di studenti di tutti gli indirizzi». E il problema sono anche le «tante resistenze da vincere: l'impatto sui licei ha scatenato pregiudizi, si assimila l'azienda al profitto e all'economia, qualcosa che sembra stare da tutt'altra parte rispetto alla cultura». Sace, società assicurativa del gruppo Cassa depositi e prestiti che ha ospitato qualche settimana fa a Roma la presentazione del progetto, ha proposto il servizio ai figli dei dipendenti, includendo poi anche gli amici – «fino a cinque per ognuno» specifica Roberta Marracino, direttrice della Comunicazione. Il compito è «aiutare un paese che vive una situazione meno fortunata di quella che abbiamo avuto noi». Venticinque anni fa, «quando mi sono laureata, era il 1992: anno in cui c'era la crisi economica, la disoccupazione era comunque al 12% come oggi», racconta. «Ma dopo il titolo in un ateneo di periferia di Trieste potevo contare su tre offerte di lavoro: era un altro mondo». Ilaria Mariotti