Categoria: Approfondimenti

Modello tedesco: tutti ne parlano, ecco in cosa consiste

Con un tasso disoccupazione inferiore al 5% (da noi è del 12), e una percentuale di giovani senza lavoro del 7,6 (in Italia del 44%), la Germania ha senz'altro qualcosa da insegnare al Belpaese in tema di mercato del lavoro. Specie ora che il premier Matteo Renzi ha dichiarato di voler prendere quel sistema a modello. Se ne è parlato nei giorni scorsi nel corso di un seminario presso la sede del Pd, su iniziativa di Cesare Damiano, presidente della Commissione lavoro alla Camera. Tutti gli snodi di un accostamento dell'Italia al Paese leader d'Europa - ammesso che importare quello schema sia fattibile - sono contenuti nella rivista presentata all'evento e edita da Lavoro e Welfare, associazione presieduta da Damiano. A cominciare dalle politiche attive: «La Germania spende per politiche del lavoro più dell'Italia rispetto al Pil, ma la differenza sta soprattutto nell'allocazione di queste risorse» scrivono gli autori Romano Benini e Maurizio Sorcioni. Nello specifico in Germania più della metà è concentrata in formazione, orientamento, ricollocazione, mentre da noi la quasi totalità (80%) finisce in politiche passive, dunque ammortizzatori sociali come pensioni e cassa integrazione. Nel dettaglio, riferiscono Benini e Scorcioni, «dei 48 miliardi spesi per il lavoro, 24 se ne sono andati per servizi di attivazione del lavoro e centri per l'impiego» contro i 4 dell'Italia investiti nel segmento (su un totale di 27). Ai servizi per l'impiego sono andati 500 milioni. Un sesto rispetto al Paese guidato da Angela Merkel. Bocciati anche gli incentivi fiscali alle assunzioni – effetto desiderato ma mai raggiunto – applicati dai precedenti governi. Per i due esperti la soluzione è invece lanciare «un sistema di incentivazione al risultato del reimpiego del lavoratore» come in Germania, dove i servizi per il lavoro incassano 2500 euro a lavoratore assunto. Lì «un'impresa che cerca un lavoratore ottiene un lavoratore, non uno sgravio». Ridurre gli incentivi alle assunzioni comporterebbe un risparmio di 3 miliardi l'anno, da indirizzare «all'abbattimento dell'Irap e alla remunerazione per il reimpiego dei disoccupati». Tutt'altro che un aspetto marginale: è proprio grazie alle politiche attive che chi si trova impantanato nella precarietà potrebbe trovare la ricetta per uscirne. Si conclude un lavoro a termine, ma – grazie ai sistemi di formazione e inserimento – ne inizia in un altro. Nel frattempo coperti da sussidi di disoccupazione. Damiano, nel suo articolo, lo spiega così: «La deregolazione attuata con la cattiva traduzione fatta dai partiti della destra delle intuizioni di Marco Biagi non è stata nient'altro che il tradimento del pensiero del giuslavorista» ragiona. Biagi aveva concepito «accanto alle nuove flessibilità, una tutela nei momenti di disoccupazione da realizzare attraverso ammortizzatori sociali universali». Da noi invece - «con Berlusconi al governo» sostiene Damiano - si è sostenuta la flex e «rimandata la security». Un messaggio mal interpretato che ha portato alle conseguenze drammatiche di oggi. Ma, si sa, con un debito pubblico quasi doppio rispetto alla Germania (136 contro il 78) e il tetto del deficit sul Pil al 3% da rispettare, solo con un miracolo si potrebbe replicare l'indennità di disoccupazione generale per i lavoratori dipendenti (biennale) e il salario di cittadinanza per le persone in difficoltà su cui possono contare i tedeschi. Speranze di emulazione potrebbero esserci per il sistema duale di alternanza scuola-lavoro, in Germania «davvero vincente» spiegano ancora Benini e Sorcioni, con una «vera alternanza, certificazione delle abilità acquisite e accesso possibile anche all'istruzione universitaria». La proposta per l'Italia prevederebbe misure come «la definizione di un sistema nazionale di riferimento, la qualificazione degli istituti tecnici, l'instaurazione di un rapporto tra sistema formativo e imprese». E infine, «la promozione per gli ultimi anni di corso di tirocini obbligatori e la sperimentazione di percorsi di placement tra istituti formativi e imprese del territorio». Anche i minijobs – contratti part time a 5-700 euro al mese – potrebbero rappresentare una via d'uscita dal tunnel, se non altro con l'obiettivo di far emergere il lavoro nero, soprattutto femminile. In Italia esiste uno strumento simile, il lavoro accessorio, secondo gli esperti «da rendere più agevole, accessibile e sistematico» perché potrebbe ridurre «l'inattività di alcune fasce della popolazione più povera o sostenere percorsi di attivazione». La sede del seminario, il Nazareno, era la stessa del durissimo scontro sull'articolo 18 avvenuta giorni fa all'interno della direzione democratica. Finito poi con la vittoria di Renzi sull'applicazione della norma solo per i licenziamenti disciplinari o discriminatori. Lo ha ricordato Gianni Cuperlo, dirigente Pd, che all'incontro ha riflettuto sul fatto che «un approfondimento come questo avrebbe potuto cambiare le sorti della discussione». Sottolineando che l'abolizione dell'articolo 18 non sposterebbe di una virgola i dati sulla disoccupazione «senza gli investimenti in politica industriale». In Germania, è vero, licenziare è meno complicato. Ma è tutto il sistema a essere improntato alla garanzia del lavoratore. In primis grazie alla «cogestione», ovvero i comitati aziendali che per il 50% sono formati dagli stessi lavoratori. Insieme ai consigli di amministrazione decidono sul futuro delle imprese e risolvono i problemi dei singoli, riducendo al minimo i conflitti aziendali. «Sarebbe divertente ascoltare il punto di vista di Marchionne sull'argomento e delle multinazionali che abbandonano il territorio nazionale senza rendere conto a nessuno» ha concluso, con un certo sarcasmo, Cesare Damiano. Ilaria Mariotti  

Formazione continua, spina nel fianco dei professionisti italiani

L’aggiornamento professionale è una scelta, dettata dalla volontà di essere sempre al passo con le innovazioni del proprio mestiere, o una mera necessità burocratica? Tra i professionisti italiani il dibattito è acceso, specie dopo che, a fine 2012, la riforma delle professioni (Dpr 137/2012) varata dal governo Monti ha introdotto l’obbligo, per tutti gli iscritti agli ordini professionali, di frequentare corsi di formazione continua, come una delle condizioni per poter mantenere la propria iscrizione.Un obbligo che, come spiega l’avvocato Alessandra Pacchioni, «riguarda tutte le professioni ordinistiche, anche se per alcune di esse il dovere di aggiornarsi era già previsto da regole precedenti». Ad esempio, «per le professioni sanitarie la formazione continua è obbligatoria già dal 1992, grazie al decreto legislativo 502, successivamente integrato dal decreto legislativo 229 nel 1999. Dal primo gennaio 2010 anche i geometri iscritti all’albo sono obbligati a maturare un certo numero di crediti formativi professionali (CFP), anche se non svolgono l’attività, in base a un regolamento interno». Frequentare corsi di aggiornamento professionale è obbligatorio dal 2009 «anche per gli assistenti sociali, il cui ordine ha elaborato un regolamento di formazione continua che prevedeva un periodo di sperimentazione di tre anni, dal 2010 al 2012. Il periodo di sperimentazione è terminato con l’entrata in vigore del nuovo regolamento». La riforma del 2012 è stata poi recepita dall’ordine dei giornalisti, che a partire dal 2014 dovranno assolvere all'obbligo della formazione professionale continua (FPC); così come gli ingegneri, gli architetti e i periti industriali. Mille polemiche hanno accompagnato l'introduzione della formazione professionale obbligatoria per i giornalisti: dalle proteste per il costo dei corsi, alle quali l'Ordine ha replicato introducendo una serie di appuntamenti gratuiti, fino al recente disservizio che ha coinvolto la piattaforma informatica attraverso la quale è possibile iscriversi ai corsi. «Per gli avvocati, la nuova legge professionale, entrata in vigore nel febbraio 2013 prevede che il Consiglio nazionale forense stabilisca le modalità e le condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti con superamento dell’attuale sistema dei crediti formativi, elaborato nel 2007», sottolinea il legale. Attualmente, aggiunge, «gli avvocati devono conseguire almeno 60 crediti in tre anni, di cui almeno 9 in materie obbligatorie, come la deontologia e la previdenza forense. Ogni anno si deve conseguire un minimo di 15 crediti, di cui 2 nelle materie obbligatorie».Aggiornarsi, quindi, è un dovere: o comunque è caldamente consigliato, anche ai professionisti non iscritti ad alcun albo. «La legge 4 del 2013 stabilisce che anche figure professionali come i tributaristi, gli amministratori di condominio, o alcuni specialisti del settore sanitario come i tecnici della prevenzione, pur non avendo l’obbligo di aggiornarsi, possono dare vita ad associazioni si base volontaria, che curano anche l’aggiornamento professionale», chiarisce l’avvocato Pacchioni. «La formazione, anche se non obbligatoria, diventa il “bollino blu” che garantisce la clientela». Per quanto riguarda l’offerta formativa, «inizialmente gli ordini avevano preso su di sé il monopolio della gestione dei corsi», sottolinea il legale. «Poi, una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, datata 28 febbraio 2013, ha liberalizzato il mercato, e ora anche altri enti indipendenti possono erogare i corsi di formazione, anche online. Questi enti devono essere accreditati presso gli ordini di riferimento e devono inoltre impegnarsi a trasmettere poi all’ordine di competenza il conteggio dei crediti maturati». Sui portali degli ordini professionali, inoltre, «sono disponibili link specifici sulla formazione, attraverso cui gli iscritti possono conoscere le varie offerte di corsi, iscriversi e pagare».Spesso, infatti, questi corsi sono a pagamento, e molti sono anche abbastanza costosi. «La spesa può variare di molto, soprattutto a seconda del fatto che si scelga di frequentare corsi online o lezioni frontali: si va da poche centinaia di euro a qualche migliaio». Esistono anche corsi gratuiti, «che di solito sono quelli che riguardano materie obbligatorie, come la previdenza o la deontologia», evidenzia l’avvocato Pacchioni. «La maggior parte degli altri corsi è a pagamento, anche se di solito online si trovano pacchetti abbastanza vantaggiosi. I professionisti devono sviluppare un’abilità particolare nel cercare le offerte formative più convenienti». Un discorso che vale soprattutto per gli iscritti più giovani, quelli che ancora non hanno una carriera avviata e non possono quindi contare su entrate cospicue. «Se si parla di onere economico è evidente che i giovani, che guadagnano generalmente meno dei colleghi più anziani, devono attingere ai loro pochi introiti in misura considerevole per poter assolvere all’obbligo formativo», nota il legale. «Ma questo vale anche per i professionisti che non sono più giovani, ma che per varie ragioni stanno attraversando un periodo di difficoltà: i loro guadagni sono ridotti e ne devono dedicare parte all’obbligo della formazione. Invece, se si parla di “onere” anche a livello di impegno, in termini di tempo e concentrazione, sicuramente i giovani sono avvantaggiati, perché le loro capacità di attenzione e apprendimento sono ben superiori a quelle dei colleghi più avanti con l’età».In generale, secondo l’avvocato Pacchioni è ancora presto per dare un giudizio sull’efficacia della formazione obbligatoria per i professionisti. «Occorre aspettare che le novità previste dalla riforma, e che sono state attuate in parte e comunque molto recentemente, esplichino i loro effetti nella realtà del mercato delle professioni», fa sapere il legale. «Bisognerà anche vedere come funzionerà in concreto il meccanismo delle sanzioni per chi non adempie all’obbligo. Ad esempio, nel 2010 la Cassazione ha dato torto a un notaio che non aveva conseguito tutti i crediti previsti dalla normativa del suo ordine, e per questo era stato oggetto di un provvedimento di censura». In generale, spiega l'avvocato Pacchioni, «nei confronti di chi non ottempera all'obbligo di aggiornarsi viene aperto un procedimento disciplinare, di diversa entità a seconda della gravità della violazione e del suo perdurare nel tempo. Sta ai consigli disciplinari di ogni singolo ordine professionale stabilire l'entità dell'illecito, e di conseguenza la sanzione da comminare».Non solo: secondo il legale, «per avere un’idea più completa sui corsi di aggiornamento professionale occorrerebbe attendere che la crisi si attenui e vengano meno le distorsioni che essa ha prodotto in campo economico e sociale. I professionisti hanno difficoltà a farsi pagare dai clienti in crisi, e la conseguente diminuzione dei loro guadagni li porta a cercare di ridimensionare il più possibile gli oneri economici, come quelli dedicati alla formazione permanente o all’obbligo di introdurre il Pos».  Da un lato, sottolinea l’avvocato, «si comprende la ratio della legge, cioè la necessità di garantire ai clienti professionisti qualificati, con competenze aggiornate. D’altra parte, tutto dipende da come il professionista affronta questo onere e da come lo assolve, se per dovere burocratico o se per un’effettiva volontà di aggiornarsi».Chiara Merico

Piano giovani in Sicilia, colpo di scena: salve le selezioni di luglio e agosto

Domani, mercoledì 1 ottobre, era la data-limite che centinaia di giovani siciliani si erano posti per avviare una causa per danni alla Regione Sicilia. Motivo del contendere, i tirocini da 500 euro al mese del Piano Giovani, iniziativa a favore dell'occupazione giovanile, e in particolare il procedimento del clicday del 5 agosto - poi annullato - utilizzato per far iscrivere i giovani aspiranti stagisti al programma. La Regione avrebbe rischiato di dover sborsare più di 7 milioni di euro di risarcimenti. E invece proprio oggi arriva il parere dell'avvocatura dello Stato, richiesto dall'assessore Nelli Scilabra, che ha definito valide le assegnazioni fatte il 14 luglio e il 5 agosto. Sospiro di sollievo per le centinaia di ragazzi selezionati attraverso questi due clicday, che a questo punto ovviamente non faranno causa alla Regione. Grande rabbia invece, per tutti coloro che da queste giornate di selezione erano rimasti tagliati fuori a causa di (probabili, ma non ancora accertati) disservizi informatici. Dopo questo parere ufficiale il terzo appuntamento del clicday - che doveva essere a settembre e a questo punto slitterà - verrà fortemente ridimensionato.  Si chiude così questo intricato capitolo del "Piano Giovani" che ha occupato le cronache dei giornali locali nelle ultime settimane, coinvolgendo tutti: cittadini, politici, procura. Pochi giorni fa, infatti, il 24 settembre, c’era stato un blitz della Guardia di finanza nella sede dell’assessorato alla Formazione professionale con il compito di indagare sul Piano che, nelle intenzioni del governo regionale, voleva fornire un'opportunità di tirocinio orientato all'inserimento lavorativo a migliaia di giovani siciliani. E invece stava diventando un'odissea senza fine. I militari hanno acquisito dei documenti, su delega della Procura presso la Corte dei Conti, e ascoltato alcune persone informate sui fatti, per un'indagine per eventuale danno erariale, visto che per la misura sono stati stanziati 19 milioni di euro di fondi europei. Se fuori ai palazzi aumentavano le polemiche, in Regione è scoppiata la guerra contro il presidente Crocetta. «Chiedo formalmente di calendarizzare la mozione di censura all’assessore Nelli Scilabra» aveva dichiarato pochi giorni fa il capogruppo di Forza Italia Marco Falcone, aggiungendo: «Abbiamo pronta anche la mozione di sfiducia al presidente». Clima molto teso: i democratici sono ormai da tempo in rottura con il governatore, cui hanno garantito fino ad ora solo un appoggio esterno. Appoggio che, almeno stando a queanto dice il segretario regionale Pd Fausto Raciti, è sempre più a rischio: già il 22 settembre, prima dell'intervento della Guardia di Finanza, era suonato un preoccupante campanello d'allarme che evidenziava come l’intero Piano fosse allo sbando. Quel giorno era stata pubblicata sul nuovo Bollettino ufficiale della regione siciliana la revoca del bando del 18 agosto, emanato di corsa dall’ex dirigente Corsello – dimissionaria – accorpando gli stanziamenti previsti per la Garanzia Giovani a quelli del Piano giovani. E si facevano precisazioni che lasciavano sottintendere un ok alla "finestra" del clicday del 14 luglio e un annullamento per quella invece del clicday del 5 agosto. Precisazione che aveva fatto andare su tutte le furie gli 800 che a inizio agosto erano riusciti a fare "clic" e ad aggiudicarsi uno stage.  Stanchi di aspettare la pubblicazione di un nuovo bando e delusi dal comportamento dei politici, gli esclusi avevano deciso di avviare una azione legale, seguiti dallo studio Grillo Cortese di Ribera. «Per chiedere il parere al tribunale, in quanto ente terzo, su tutto quello che è successo e avere il risarcimento del danno oltre al rimborso per la mancata chance: quella di essere assunti per tre anni dall’azienda che doveva iniziare i tirocini», aveva spiegato alla Repubblica degli Stagisti Giuseppe Sicilia, amministratore della pagina Facebook «Piano Giovani…se Crocetta annulla tutto faremo ricorso!». Più che i soldi, l’azione legale voleva però «far capire ai politici che non abbiamo colpa se siamo governati da incapaci». Ed è proprio l'appoggio mancato dalle forze politiche la cosa che ha ferito di più questi giovani che, nonostante la vittoria ottenuta, probabilmente non si fideranno più dei loro rappresentanti. Perché nessuno «ha ascoltato la nostra voce, ad eccezione di Valentina Zafarana, capogruppo del M5S», spiegava Sicilia. Il riferimento è all'audizione del 26 agosto della V commissione lavoro, quando Sicilia era riuscito a consegnare una lettera dei ragazzi che avevano superato il clicday alla Zafarana, che aveva accettato di leggerla al resto dell’assemblea. Il movimento aveva subito appoggiato i giovani salvo poi, in un secondo momento, «dopo aver saputo degli affidamenti diretti, decidere che non si poteva sostenere nemmeno in minima percentuale questo tipo di manovra» spiega Zafarana alla Repubblica degli Stagisti. L’affermazione sulla politica “assente”, però, fa meravigliare Fausto Raciti - che dei tanti aspiranti tirocinanti è praticamente coetaneo, avendo da poco girato la boa dei trent'anni: «Non è vero che non abbiamo espresso una posizione ufficiale» ribatte alla Repubblica degli Stagisti. «Abbiamo chiesto al presidente della Regione di prendere atto del fallimento e all’assessore Scilabra di assumersi la responsabilità politica di questo flop. Che è accertata e non ha bisogno di procure o indagini, perché è evidente che questo scaricabarile sul dirigente generale dell’assessorato è un modo per lavarsi le mani». Raciti non ha mezzi termini nel definire questo governo regionale «largamente insufficiente per una risposta all’emergenza occupazionale e sociale che la Sicilia vive» e crede che i giovani abbiano tutte le ragioni «ad avere in questo momento sfiducia nella classe di governo siciliana». È convinto che il Piano Giovani sia stato enfatizzato come la soluzione al problema occupazione nell’isola di cui, invece «è solo una goccia nell’oceano». Di incapacità della classe politica siciliana parla anche la Zafarana: «Non abbiamo nessun problema ad affermarlo, del resto nell’ultima occasione di aula abbiamo chiesto conto a Crocetta sulla instabilità di questo governo regionale che cambia assessori oggi sì e domani pure, perché questa poltrona è lo strumento con cui allargare o stringere la maggioranza. Questo è un governo che fa delle misure di respiro cortissimo, perciò gli contestiamo l’incapacità, che a un certo punto è peggio della malafede».Vincenzo Figuccia, di Forza Italia, chiede invece scusa ai giovani per quello che è accaduto: «Pensiamo che l’unica risposta vera oltre all’ascolto è la mozione di sfiducia che abbiamo presentato per mandare a casa la Scilabra». La mozione è stata già depositata e dovrebbe essere discussa in aula «il 7 ottobre: su questo non siamo disposti a fare un passo indietro» dice alla Repubblica degli Stagisti il vicecapogruppo del partito forzista. Mozione su cui anche il PD siciliano ha iniziato a discutere, per decidere come votare, «ma nessuno ha realmente spinto per la calendarizzazione decideremo prossimamente il da farsi» dice Mariella Maggio, vicepresidente della commissione lavoro e formazione all’Ars. Anche se la Zafarana precisa a distanza: «La decisione di Forza Italia arriva tardi. La nostra mozione di sfiducia è già stata presentata, è la 331 mentre quella di FI è la 333. Comunque certo, la voteremmo senza se e senza ma».  Se tra i partiti ognuno sottolinea le proprie differenze, c'è un punto, però, su cui sono d'accordo tutti: sul Piano Giovani si erano create troppe aspettative. Lo dice alla Repubblica degli Stagisti la Maggio, convinta che molti «lo avessero visto come l’anticamera di un lavoro sicuro che non ci sarà se nel frattempo non si creano le condizioni». Posizione che trova concorde Figuccia, convinto che i fondi comunitari usati per questo Piano dovessero essere gestiti con «modalità diverse che premino davvero la motivazione, le competenze, i titoli di studio, la professionalità dei giovani che non si possono individuare attraverso la velocità di un clic. E credo che il contributo assistenzialistico di 500 euro al mese per sei mesi» continua a spiegare alla RdS «non sia risolutivo. Il governo avrebbe fatto meglio a investire queste somme in fiscalità di vantaggio o sostegno alle start up. Nella migliore delle ipotesi i giovani faranno esperienze all’interno di aziende che alla fine del percorso li rimanderanno al mittente». Un punto condiviso anche dalla Zafarana: «Lo sappiamo bene che poi questi tirocini non sfociano nel contratto di lavoro a tempo indeterminato». In realtà il Piano giovani prevederebbe anche sgravi fiscali alle aziende per tre anni in caso di assunzione alla fine del tirocinio. Anche per questo le aziende si sono iscritte e hanno fatto le dovute selezioni per cercare i candidati: perché possono attivare un contratto con degli sconti fiscali, che in tempi di crisi fanno sempre gola.Al momento, tirando le somme, i giovani che sembravano esclusi - quelli che in pieno agosto erano riusciti a finire sulle pagine dei giornali per le loro proteste e che in due mesi avevano creato non poche crepe all'interno del governo Crocetta - possono festeggiare, e sopratutto possono evitare di fuggire al nord in cerca di qualche opportunità lavorativa. Per altri - forse 900, ma non ci sono ancora dati certi e molto dipenderà dai fondi che verranno stanziati - i giochi si riapriranno nelle prossime settimane: probabilmente con il sistema del clicweek, di cui si era discusso in Regione quando ancora si aspettava una risposta dall'Avvocatura. Nelle cronache di questo "caso" resteranno dunque una selezione gestita malamente, un paio di titoli di giornale, tante accuse, qualche poltrona saltata. E la classica conclusione all'italiana: prima tutti colpevoli, poi tutti innocenti. Così, dopo accuse e indagini, il prossimo appuntamento sarà nuovamente gestito da Ett, Italia Lavoro e Sviluppo Sicilia. Molto rumore per nulla - o forse, richiamando il Gattopardo siciliano, «cambiare tutto, perché nulla cambi». Marianna Lepore

Piazza dei Mestieri, così a Torino da dieci anni i giovanissimi imparano a lavorare

C'è chi impara a cucinare, lavorare il cioccolato e servire ai tavoli. Altri studiano i segreti della birra artigianale e riescono a produrne di buonissima. Grafici e tipografi seguono svariati progetti editoriali, dal biglietto da visita alle brochure, fino alla stampa del prodotto finale. Sono i ragazzi della Piazza dei Mestieri, un progetto pressoché unico nel suo genere di formazione mirata e inserimento lavorativo, che festeggia in questi giorni a Torino i dieci anni di vita: dall'apertura a oggi 3mila allievi hanno imparato un mestiere fra i banchi delle ex Concerie Fiorio - e, dettaglio non trascurabile, l'80% di loro è riuscito a trovare un'occupazione. In un vecchio stabilimento completamente ristrutturato trovano spazio, oltre alle aule del centro di formazione professionale, un birrificio, un ristorante, un laboratorio dolciario e uno studio grafico. L'agorà ospita inoltre corsi di apprendimento, laboratori, manifestazioni culturali e progetti che mirano all'inclusione sociale delle persone più disagiate. Un modello funzionante, che trae il proprio successo dalla mescolanza di più soggetti giuridici. Il primo è la Fondazione Piazza dei Mestieri, che ha dato vita al progetto. Ne fanno parte i soci privati che nel 2003 hanno acquistato l'edificio di circa 7 mila mq di via Durandi, ristrutturandolo un anno dopo grazie ai contributi pubblici - richiesti soltanto per la fase di start up. Poi ci sono due cooperative: "La Piazza", che si occupa delle attività commerciali, e "Immaginazione e Lavoro", che segue le attività di formazione mirate al conseguimento di una qualifica professionale. Infine, l'associazione Piazza dei Mestieri, che organizza attività culturali. Il cuore pulsante della Piazza è certamente il centro di formazione professionale, una struttura privata finanziata con contributi europei, che attualmente ospita 500 allievi. «I nostri ragazzi hanno dai 14 ai 18 anni» spiega il responsabile Paolo Basso: «Si iscrivono gratuitamente e scelgono una delle cinque aree professionali disponibili.  I corsi sono di due tipi: triennali, per i ragazzi che hanno conseguito la licenza media; biennali, per ragazzi con più di 15 anni. Delle 1050 ore all'anno più della metà sono dedicate alla parte professionalizzante, con il 90% delle lezioni che si svolgono in laboratorio. Quindi, all'ultimo anno, sono previste 320 ore di stage in azienda». Il punto di forza dei percorsi formativi è senz'altro l'affiancamento con i professionisti che lavorano nelle attività della Piazza: s'impara a cucinare seguendo lo chef che lavora al ristorante oppure a preparare dei dolci, mettendo in pratica i consigli del mastro pasticcere. «Le nostre attività commerciali possono contare su organici altamente specializzati e autonomi» aggiunge Basso «I ragazzi fanno affiancamento, imparano da chi il mestiere lo conosce. Un modello che s'ispira al "duale" tedesco, dove la scuola professionale e l'azienda sono entrambe incaricate nella formazione». Terminate le lezioni, gli allievi che vogliono lavorare al birrificio o al ristorante possono farlo e sono retribuiti con dei voucher. Fino a tre-quattro anni fa i ragazzi qualificati erano assunti subito, oggi i tempi d'inserimento lavorativo si sono allungati e, in certi casi, prima di trovare un impiego può trascorrere anche un anno e mezzo. Anche per questo motivo all'interno di Piazza dei Mestieri è nato uno "sportello lavoro" accreditato, aperto al pubblico venti ore alla settimana, dove si incontrano domanda e offerta. Ovviamente vi si rivolgono anche gli ex allievi, che una volta ottenuta la qualifica registrano il loro profilo sul database del sistema, indicando le rispettive competenze.«Oltre al calo occupazionale negli ultimi tempi abbiamo riscontrato un altro problema: la collocazione dei ragazzi che si qualificano a 17 anni» aggiunge Basso: «È vero che la legge consente di lavorare dai 15 anni in avanti, ma alcuni mestieri, come il panificatore, richiedono turni di lavoro notturni che i minorenni non possono affrontare. Per questo stiamo pensando a un modo per tenere occupati questi ragazzi, fino al compimento della maggiore età». Oltre alla formazione Piazza dei Mestieri è anche business. Nel 2013 le attività commerciali "interne" hanno confermato il trend positivo, con numeri interessanti: il ristorante ha servito quasi 19 mila pasti, mentre il birrificio ha spillato più di 50 mila litri di birra tra  fusti e bottiglie. E ancora, il laboratorio dolciario ha lavorato tonnellate di cioccolato, mentre il fatturato del service grafico ha registrato un aumento del 68%. In totale, la Piazza ha ottenuto ricavi per quasi 10 milioni di euro. Alla luce di questo successo, tre anni fa l'esperienza torinese è stata replicata a Catania, mentre in Brasile, a Belo Horizonte, è stato sancito un gemellaggio con una realtà simile. «In Italia c'è una distanza eccessiva tra scuola e lavoro» tira le fila Cristiana Poggio, vicepresidente della Fondazione Piazza dei Mestieri: «Il nostro obiettivo è accorciare i due mondi. Abbiamo rapporti con 700 imprese e cercheremo di ampliare ancora questa rete. Dopo dieci anni posso dire che il modello funziona: abbiamo ottenuto un pareggio di bilancio e questo è un dato positivo». Dopo la sede di Catania, che può già contare su 400 allievi, Piazza dei Mestieri potrebbe essere esportato anche in altri paesi europei, come la Spagna. «Stiamo ragionando su un'apertura a Madrid» conclude la vicepresidente «ma ancora non c'è nulla di concreto». Ma è già un passo importante che, una volta tanto, un progetto italiano sull'occupabilità dei giovani diventi "best practice" al punto da essere copiato da qualche paese straniero.Marco Panzarella

Garanzia Giovani, il ministero ammette: «Nessun controllo sulla qualità degli annunci». Infatti si trova di tutto

«Guardate cosa propone nell’ambito del programma Garanzia giovani, Synergie Italia Agenzia per il lavoro: 14 operatori di ristorazione per catena multinazionale di fast food, formazione per 30/35 ore settimanali a 3 euro all’ora ….  Tutto ciò è scandaloso» scrive una lettrice sulla pagina Facebook della Repubblica degli Stagisti a fine agosto. L’annuncio, se non proprio "scandaloso", è comunque in effetti per molti versi discutibile: non solo perché non offre un posto di lavoro bensì un tirocinio, o perché l’indennità di frequenza - 3 euro l’ora - definita come “borsa di studio” è prevista solo al raggiungimento del 100% delle ore previste dallo stage (lasciando ipotizzare che, se colto da influenza per una settimana, lo stagista potrebbe perdere il compenso di tutti gli altri mesi). O ancora perché al termine del tirocinio promette pomposamente “un attestato dei risultati di apprendimento” che si immagina in una catena di fast food non siano poi così complessi. Lo "scandalo" sta soprattutto nel fatto che è un annuncio che rientra all’interno del programma Garanzia Giovani, pensato per far ripartire l’occupazione giovanile e finanziato lautamente dall'Unione europea. E che l'indennità per questi mesi di stage per imparare a girare gli hamburger sulla piastra e a battere gli scontrini non verrà pagata dalla catena di fast food che si gioverà della presenza dei 14 stagisti, bensì con soldi pubblici.Di annunci così se ne trovano tanti. Basta fare un giro tra i vari portali regionali dedicati alla Garanzia Giovani o su quello nazionale per vedere che spesso tra le offerte ci sono moltissimi stage per qualifiche di basso livello. La Repubblica degli Stagisti si è messa nei panni di un giovane italiano che vuole scommettere su questo programma per trovare una buona opportunità, e ha analizzato per qualche settimana gli annunci sul portale nazionale e su quelli regionali. I risultati sono stati talmente deludenti da chiedersi: come mai nonostante i piani del Governo e le raccomandazioni europee gli annunci inseriti sono di basso livello e spesso solo una copia delle offerte di lavoro che si trovano sui siti disponibili online? Abbiamo girato la domanda direttamente a Grazia Strano, direttore generale del mercato del lavoro [nella foto, in un momento del suo intervento al Festival del Lavoro dello scorso giugno a Fiuggi], scoprendo che quello che tutti si chiedono semplicemente non è stato considerato dai vertici. «Non c’è nessun ufficio adibito al controllo della qualità e congruità degli annunci» ammette infatti la dirigente: «Le aziende dovevano rispondere ai requisiti presenti nel bando, era questo l’unico requisito. Il controllo avverrà a selezione conclusa, quando si valuterà la qualità dell’offerta». A questo punto non stupiscono offerte come quella del fast food, anche perché è proprio la Strano a confermare che «l’obiettivo della Garanzia è inserire nel mondo del lavoro. Solo dopo si controlleranno i dati finali». In attesa però delle verifiche a posteriori dal ministero, quello che salta agli occhi con un’analisi sommaria degli annunci è sconfortante. In Piemonte si sprecano le offerte di aiuto cameriere, cassiere di negozio, agricoltore e commesso da banco. In Lombardia si ricerca anche un affilatore arrotino mentre in Campania si va dal tirocinio per addetti a funzioni di segreteria a quello per un operatore all’infanzia, che per fare uno stage è preferibile abbia comunque già esperienze pregresse nello stesso campo. Tutti qui gli annunci scandalo? Non proprio: a Terni la Garanzia Giovani offriva una opportunità come collaboratrice familiare (va detto, però, con un contratto a tempo determinato), mentre a Taranto è ancora in corso la ricerca per un “banconista di salumeria con esperienza pluriennale”. Non mancano le classiche ricerche per operatori di call center o di telemarketing e, come un qualsiasi altro portale di annunci di lavoro, ci sono anche quelli per cameriere o idraulico. Conclusioni a cui è giunta anche l’analisi dell'Adapt sulle inserzioni pubblicate sul sito del ministero che infatti in una classifica delle prime dieci figure ricercate elenca operai, agenti di commercio, manutentori meccanici e saldatori. Gli annunci, poi, sono il più delle volte inseriti da altre agenzie per il lavoro e non direttamente dai professionisti o dalle aziende desiderose di sfruttare questa opportunità. E, ancora una volta come un qualsiasi portale di offerte di lavoro, spesso si richiede - come si è visto - una competenza acquisita con una precedente esperienza lavorativa, in evidente attrito con gli obiettivi della Garanzia Giovani che, secondo i piani del Governo, dovrebbe intercettare prima di tutto i Neet, cioè coloro che hanno finito (o smesso) di studiare ma che non hanno e non cercano un lavoro: e che ovviamente l’esperienza sul campo devono ancora acquisirla. Insomma: il ragazzo che si è registrato al portale e che ha passato il pomeriggio vagliando le pagine con le varie offerte per cercare un tirocinio o un lavoro, spesso e volentieri si trova a leggere gli stessi annunci che potrebbe trovare su uno dei tantissimi siti disponibili online.  Il programma, peraltro, dovrebbe cercare di aiutare anche i giovani laureati che non riescono a trovare un impiego malgrado i titoli di studio. A questo Grazia Strano trova due ordini di motivazione che illustra alla Repubblica degli Stagisti: la tipologia delle offerte inserite dalle aziende «ma anche la tipologia di giovani che hanno richiesto di partecipare. Al momento fra quelli iscritti alla Garanzia solo il 20% ha conseguito una laurea, mentre il 56% è diplomato. Quindi, secondo i dati a disposizione, per ora c’è un parallelismo tra titolo di studio e posti di lavoro offerti». C'è poi il problema della - scarsa - partecipazione del mondo delle imprese. Le aziende hanno infatti aderito alla Garanzia Giovani in numero molto più basso di quanto sperato. Una risposta ben diversa rispetto a quella massiccia raccontata nei giorni scorsi sul Corriere della Sera rispetto al Jobs Act australiano, che in poche settimane ha visto un'impennata di posti di lavoro offerti da aziende, commercianti e professionisti in risposta a un appello del governo per far scendere la disoccupazione. Su questo fronte però qualcosa dovrebbe migliorare - assicurano dal Ministero - dopo l’approvazione a inizio agosto di una convenzione tra ministero, Inps e regioni che stabilisce l’erogazione delle borse da parte dell’istituto nazionale di previdenza sociale. Ma la domanda finale resta: la Garanzia Giovani ha l'obiettivo di fornire uno strumento in più per diffondere annunci di qualifiche di basso livello, o di venire incontro al gran numero di giovani adulti italiani che nonostante le qualifiche ottenute negli anni non sono riusciti a trovare un adeguato posto di lavoro? La risposta sembra non abbiano voglia di darla nemmeno dal ministero, ma le lamentele dei giovani iscritti che non sono ancora stati selezionati e l’analisi degli annunci e dei dati fino a questo momento disponibili non fanno sperare in positivo. Dai dati di monitoraggio pubblicati il 18 settembre, i giovani registrati al progetto sono poco più di 200mila, di cui convocati solo 37mila, per un totale di opportunità (di lavoro o stage) al momento disponibile poco superiore alle 19mila unità. Rispetto ai dati di fine agosto, in una ventina di giorni i giovani sarebbero lievitati di 30mila unità mentre le offerte di lavoro di appena 6mila. È evidente che qualcosa in questo sistema ad oggi non ha funzionato: una promozione sbagliata del progetto, uno scarso interesse da parte delle aziende forse poco informate dei vantaggi, l'assenza da parte dei promotori di un seppur minimo controllo in fase di registrazione degli annunci di lavoro. Così come è nulla la verifica di offerte scadute o già assegnate.  Ma se nemmeno dal ministero (o dalle Regioni) ritengono opportuno curare la qualità delle offerte veicolate attraverso Garanzia Giovani, perché i diretti destinatari del progetto dovrebbero mai crederci e aver fiducia in questo programma?Marianna Lepore

Garanzia giovani, gli imprenditori: «Deve ripartire il mercato». E da Roma non arrivano i soldi

Era stata pensata, quando ancora era in carica il governo Letta, come il piano per far ripartire l’occupazione in Italia, e pubblicizzata sui vari canali televisivi e dai grandi quotidiani per attirare l’attenzione dei giovani disoccupati e farli approfittare di quest’opportunità. Eppure a tre mesi dal suo avvio mostra molte lacune, con offerte al ribasso, un numero di aziende iscritte molto circoscritto e una platea di giovani destinatari che è ben lontana da quella potenziale per cui era stato pensato il Piano. Che qualcosa stia andando storto nella Garanzia Giovani lo certificano i numeri: ad esempio quelli diffusi, a fine agosto, dal ministero del lavoro secondo cui al 29 del mese scorso sono solo 169mila i giovani che si sono registrati, di cui i convocati sono stati appena 36mila per un totale di posti di lavoro al momento disponibile poco superiore alle 13mila unità. Numeri che mostrano come solo uno su 13 dei giovani che hanno aderito è riuscito a trovare un’offerta adatta. Resta da chiedersi come mai le aziende abbiano ritenuto poco interessante questa proposta, tema evidenziato anche dall’ultimo rapporto Adapt secondo cui la gran parte degli annunci arrivano da agenzie per il lavoro e non direttamente dalle aziende, che a questo punto sembrano totalmente disinformate o disinteressate alla Garanzia. Errori di pianificazione sono stati sicuramente fatti, in primis non pensando a una pubblicità pervasiva che coinvolgesse più che la tv il web e i social network, con pagine sui social che riuscissero ad attirare quei giovanissimi che non studiano, non lavorano e non pianificano il loro futuro ma anche quelli che hanno collezioni di attestati e qualifiche e passano le ore in rete alla ricerca di annunci in linea con le loro capacità. Ancora una volta, invece, si è preferita la comunicazione “classica” e ci si è persi per strada una percentuale considerevole dei destinatari. I numeri li fotografa il Rapporto giovani curato, a fine luglio, dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con Ipsos, fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo: a due mesi dall’avvio della Garanzia giovani su un campione di oltre 1.700 intervistati, il 45% dichiara di non sapere nulla di questo Piano del governo e il 35% di averne sentito vagamente parlare. E proprio tra i neet, la categoria per cui il Piano era stato principalmente pensato, il numero di chi conosce abbastanza o molto bene questo progetto è solo di poco più di un giovane su cinque. Parte dei problemi del perché ci sia questo blocco nell’attivazione della Garanzia Giovani è dato anche dagli incentivi destinati alle imprese che vogliono assumere giovani e che ad oggi lo Stato non ha ancora inviato. Su questo punto sono d’accordo Confcommercio, Confartigianato e Cna. «I protocolli che abbiamo sottoscritto con il ministero del lavoro comportano impegni di divulgazione e informazione alle imprese, che è quello che stiamo facendo» spiega alla Repubblica degli Stagisti Jole Vernola, direttore area politiche del lavoro e welfare di Confcommercio, «ma sono comunque subordinati agli incentivi previsti a livello regionale». Ed è proprio questa cifra non quantificata che non permette alcuna pianificazione, come spiega Luca Costi, segretario Confartigianato Liguria: «la Garanzia Giovani prevede una parte di contributo per le imprese che non è stata ancora definita, quindi come Confartigianato non abbiamo fatto ancora nessun tipo di azione nei confronti delle imprese. Abbiamo però l’esperienza recente dei tirocini che hanno avuto uno scarso successo di richieste da parte delle imprese artigiane perché presupponevano in modo burocratico il passaggio attraverso i centri per l’impiego. Ma chi vuole attivare un tirocinio dentro la propria impresa il nominativo ce l’ha già. Ha bisogno di una risposta veloce che non è assicurata dai centri per l’impiego». Punto su cui è d’accordo anche Stefano Di Niola, responsabile del dipartimento relazioni sindacali della CNA: «Il 99% della garanzia giovani è spostato a livello regionale, ma non sembra essere capace di produrre grandi risultati perché i centri per l’impiego sono sotto dimensionati. Come CNA» spiega alla Repubblica degli Stagisti «pensiamo che vadano eliminati per lasciare spazio alle agenzie private o rivisti totalmente nella loro dotazione strumentale. Noi saremmo più per la seconda ipotesi. Oggi i cpi stanno facendo quello per cui sono stati iscritti in Garanzia giovani: contattano anche con una certa insistenza per fare i colloqui di orientamento. Ma dopo questo primo passo non sempre si riesce a trovare uno sbocco». Il nodo della suddivisione territoriale è messo in luce anche da Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato che alla RdS dichiara «Come Confartigianato abbiamo creduto in questa iniziativa tanto è vero che siamo stati una delle prime organizzazioni imprenditoriali a sostenerla e sottoscrivere un protocollo di intesa con il ministero. Il successo di Garanzia giovani, tuttavia» precisa il segretario generale «dipenderà in gran parte dalle scelte concrete che le singole Regioni, a cui è affidata la principale attuazione del programma, saranno in grado di realizzare. Parliamoci chiaro: 20 modalità diverse, 20 partenze differenziate, venti tipologie di accesso alle venti Regioni non sono un punto di forza!» Anche per questo motivo Confartigianato «ha costruito e messo on line un portale Valorizzati.it per far incontrare ragazzi, scuole e imprese dove c’è la descrizione delle attività artigiane, le scuole statali e regionali di formazione per quel mestiere, le storie di imprenditori che ce l’hanno fatta, le imprese artigiane di quel settore di attività in quel territorio», spiega Fumagalli. Il problema della differenziazione territoriale di cui parla è subito evidente: se, infatti, in alcune regioni si stanno già chiamando i giovani per i primi colloqui, ce ne sono altre che sono ancora ben lontane dal far partire la Garanzia. «In Liguria nei fatti non è ancora partita» spiega Costi, Confartigianato Liguria, alla Repubblica degli Stagisti «perché entro il 15 settembre dovranno rispondere i soggetti territoriali per dare tutto il pacchetto domanda e offerta di lavoro. E poi c’è anche una scarsa motivazione dei giovani a iscriversi a una banca dati senza avere certezza di riuscire a ottenere una risposta». Tra i motivi per cui nonostante gli incentivi le aziende mostrino scarso interesse verso questo programma Jole Vernola evidenzia anche la fase di crisi economica che «unitamente alle difficoltà che sconta qualsiasi programma in fase di avvio, non ha consentito di sviluppare pienamente le opportunità occupazionali incentivate per le quali occorre in ogni caso che vi sia un inizio di ripresa economica» spiega il direttore politiche del lavoro di Confcommercio. Tema su cui è decisamente d’accordo Stefano Di Niola «La Cna sostiene da secoli che il lavoro non si crea attraverso forme di incentivazione ma se c’è un’economia che riparte. E non c’è incentivo che possa convincere un’impresa ad assumere se non ha un mercato. Basti pensare» sottolinea il responsabile Cna «che nel provvedimento Sblocca Italia il Governo per finanziare gli ammortizzatori in deroga ha preso le risorse degli incentivi previsti dal governo Letta per le assunzioni. Perché in questa fase sono risorse inutilizzabili e inutilizzate. Bisogna prima cercare di mettere insieme gli strumenti per far ripartire l’economia». Un punto su cui sembrano essere d’accordo tutti: la garanzia giovani potrebbe anche funzionare ma prima è necessario che riparta il mercato. Senza questo è difficile che le aziende, di qualsiasi tipo e settore, possano decidere di fare un investimento assumendo giovani. La Garanzia però, nonostante le difficoltà, non deve arrestarsi. Su questo punto Di Niola è deciso: «Deve essere migliorata e potenziata. Anzi, bisogna riflettere sul fatto che alcuni decreti previsti che assegnano risorse a Italia Lavoro non sono stati ancora sbloccati. E poi penso che vadano rinforzate le possibilità di startup di impresa che pure sono presenti all’interno della garanzia giovani. Lasciare quindi» conclude «un po’ di spazio ai giovani che mettendoci passione e impegno economico personale rischiano e si mettono a disposizione del mercato per creare nuove tipologie di attività». A tre mesi dall’avvio del programma che avrebbe dovuto, almeno nei piani del Parlamento europeo e in quelli prima di Letta e poi di Renzi, riuscire a ridurre la disoccupazione tra i giovani italiani e aiutare l’incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro, ancora una volta l’Italia si trova al palo. Con numeri irrisori, piani che nonostante l’avvio non sono mai entrati pienamente a regime e una disorganizzazione tipicamente italiana tra gli enti che dovrebbero incentivare questo programma. E alla fine tutto questo lede un unico destinatario: il giovane italiano, che si demoralizza a tal punto da non registrarsi nemmeno su un portale che dovrebbe, almeno sulla carta, aiutarlo a costruire il suo futuro.  Marianna Lepore

Piano Giovani in Sicilia, un'estate di caos e delusioni per migliaia di aspiranti stagisti

Doveva essere il programma per far ripartire l’occupazione in Sicilia e, in particolare, per far rimanere nell’isola quei giovani che negli ultimi anni sono fuggiti alla ricerca di un posto di lavoro. Sulla carta aveva tutti i requisiti: un bando aperto agli under 35, l’attivazione di un tirocinio di sei mesi con un rimborso di 500 euro lordi al mese, la possibilità di essere poi assunti dalle aziende che avrebbero avuto sgravi fiscali per tre anni. Oggi i titoli dei giornali sono per il flop della giunta Crocetta, per i litigi interni all’amministrazione, per i bandi annullati o forse no, per le convenzioni rescisse ma ancora in corso, per quelli che il 5 agosto hanno affollato il sistema e denunciano – contrariamente a quanto raccontano i giovani che invece hanno concluso tutto l’iter – che il portale non funzionasse. Ad aggiungere altra carne sul fuoco sono arrivate anche la decisione di Bruxelles di mandare il prossimo 11 settembre un’ispezione del comitato di sorveglianza per verificare la programmazione del fondo sociale europeo (a cui attinge il Piano giovani) nell’isola, oltre a un’indagine della Corte dei Conti già partita per verificare possibili danni erariali e l’apertura di un’inchiesta da parte della procura di Palermo, coordinata dal procuratore aggiunto Dino Petralia, per verificare i rapporti tra la pubblica amministrazione e le ditte incaricate di gestire tutto il progetto, scelte senza bando pubblico dall’ex dirigente Corsello - unica a fare da capro espiatorio e ad aver rassegnato le dimissioni dopo che, in pieno caos e polemiche per la gestione del clic day del 5 agosto, la Regione ha deciso il 19 di annullare gli esiti dell’ultimo clic day e di avviare una nuova selezione a settembre con la pubblicazione di un nuovo bando che nel frattempo è stato anche pubblicato in Gazzetta ufficiale. Tra i suoi ultimi atti il dirigente ha revocato il 18 agosto l’affidamento a Italia Lavoro, che si occupava della parte progettuale e della gestione dei tirocini, quindi era estranea alla gestione del sistema informatico, affidato a un’altra società, la Ett. In una nota dell'amministratore delegato di Italia Lavoro Paolo Reboani, si definisce il provvedimento «illegittimo e infondato» e annuncia che in quanto parte lesa «provvederà a tutelare per le vie legali i propri diritti in ogni sede». Interpellata dalla Repubblica degli Stagisti, la società - ente strumentale del ministero del Lavoro - dichiara che «in questa fase di grande confusione la nostra disponibilità per fare chiarezza è totale». Oggi quindi non si sa bene se quei 1600 che hanno passato la selezione, in due diverse date, potranno cominciare i loro stage. Molto dipenderà anche dalle decisioni del nuovo dirigente alla formazione appena nominato, Gianni Silvia, che dovrà cercare di mediare tra la volontà del governatore Crocetta di non bloccare tutto ed esporsi a una valanga di ricorsi, che potrebbero costare caro alle casse della Regione, e la necessità di trovare una soluzione per il nuovo bando già pubblicato in Gazzetta, quindi valido, che annulla tutto e rimette in ballo i posti con una nuova selezione. Nel mezzo ci sono i destinatari del bando. Sono innanzitutto i 1600 che al clic day sono riusciti a partecipare, riuscendo dopo varie fasi di contatto con le aziende a “cliccare” e quindi ad aggiudicarsi lo stage. In particolare in bilico sembrerebbero essere gli 800 che hanno partecipato al clic day del 5 agosto, la data in cui secondo alcuni è andato in tilt il sistema. E che alle prime voci di annullamento hanno deciso di creare una pagina facebook “Piano Giovani – Se Crocetta annulla tutto faremo ricorso!” che ad oggi conta più di 400 iscritti. A loro avviso il sistema avrebbe addirittura funzionato meglio ad agosto che a luglio. Nella prima data, quella del 14 luglio, era infatti necessario fare tutta la registrazione, con l’inserimento dei dati, del proprio curriculum, la scelta delle aziende, l’attesa dell’interesse da parte delle imprese, tutto in poche ore. E in quel caso sono stati 800 i ragazzi che ce l’hanno fatta e sono stati selezionati per un tirocinio con l'indennità pagata dalla Regione. Dal 15 luglio in poi il portale è rimasto aperto: i giovani potevano continuare a registrarsi per essere selezionati in vista del secondo clic day. «Le aziende avevano il tempo di valutare i curricula, scegliere i candidati e mandare le loro proposte» spiega alla Repubblica degli Stagisti Giuseppe Sicilia, uno dei due gestori della pagina facebook. «Una volta che il giovane dava la sua disponibilità all’azienda che l’aveva selezionato, sul portale si aprivano ulteriori informazioni del ruolo e si poteva prendere appuntamento per un colloquio. Se c’era disponibilità da entrambe le parti si apriva una finestra nella pagina del portale che il 5 agosto doveva essere cliccata, visto che c’era un limite dato dalla scarsità dei posti». Un metodo, quello del “clic”, secondo alcuni inevitabile vista l’esiguità dei posti disponibili e i tanti giovani che volevano partecipare. Un metodo che comunque era conseguente a una precedente selezione. Ci tiene a sottolinearlo Annalisa Alongi, anche lei tra i gestori della pagina facebook: «Il “clic” è un criterio che non può essere eliminato quando ci sono tante persone che concorrono per pochi stage. Ma c’era anche la selezione a monte perché io, ad esempio, ho avuto molte proposte. Capisco la situazione degli esclusi ma c’è stata molta disinformazione da parte di chi non aveva capito il funzionamento del portale» spiega alla Repubblica degli Stagisti ormai stanca di dover quasi giustificare la riuscita del suo “clic”. «Molti hanno solo ricevuto un messaggio “troviamo interessante il tuo cv”, ma significava poco perché l’azienda aveva i contatti telefonici. Io sono stata contattata per fare dei pre-colloqui. Alla base c’era dunque una selezione: il clic era solo la parte finale di quel processo».Di diverso avviso sembrano essere gli oltre 250 membri di un'altra pagina Facebook di segno completamente opposto: “Piano giovani? … un bluff!” , che si propone di rappresentare coloro che il 5 agosto non sono riusciti ad accedere al sistema e parlano del flop del programma. «Aspettiamo di vedere come andrà a finire e non escludiamo vie legali» dice alla Repubblica degli stagisti Alberto di Benedetto, tra i membri del gruppo. «Stiamo studiando manifestazioni in diverse parti della Regione per chiedere alla Scilabra e al suo presidente di fare un passo indietro» aggiunge citando l'assessore regionale al Lavoro, la giovane Nelli Scilabra, e il presidente della Regione Rosario Crocetta: «Qui c’è stato uno scaricabarile di responsabilità».  Com’è possibile che alcuni parlino di blocco del server e altri invece siano riusciti ad arrivare alla fine del processo prova spiegarlo Giuseppe Sicilia che sul sito quel giorno è riuscito a entrare, a cliccare e ad aprire altre pagine. «Più di 30mila ragazzi non erano riusciti a registrarsi e hanno iniziato a dire, senza fondamento, che il portale era lento. Ma per chi aveva fatto precedentemente a luglio tutti i vari step, il portale ha funzionato perfettamente. Alcuni utenti hanno detto di aver aperto 80 pagine di accesso al sito contemporaneamente con 80 log in diversi, quindi sono stati loro stessi a mettersi in coda e creare un crash. Se agganci un server» continua a spiegare alla Repubblica degli Stagisti «ti metti in coda e prima o poi il tuo turno arriva. Ma se aggiorni continuamente la pagina il tuo turno non arriva mai. Non si può parlare di crash, però, altrimenti non sarebbe stato possibile nemmeno generare gli 800 incroci». I dati di cui parla Sicilia sono ufficializzati in una relazione consegnata all’assessore alla formazione fatta dalla Ett, la società genovese che gestisce il portale del Piano giovani, in cui si legge che «solo nella prima ora l’applicativo ha registrato un numero di circa 46mila accessi (inserimento di login e password), numero che non è mai sceso sotto 30mila all’ora se non dalle ore 16 del pomeriggio. Nell’arco della giornata sono stati scambiati e registrati oltre 43mila messaggi tra cittadini e aziende».  Gli 800 che erano riusciti a portare a termine la selezione e che al momento sono anche in possesso di un pdf di “adesione al Piano Giovani” con un codice di rapporto univoco e la data e l’ora in cui si dichiara la disponibilità di entrambe le parti – tirocinante e azienda – di iniziare il tirocinio, seguono con fibrillazione gli sviluppi delle ultime ore. E sono pronti a fare ricorso contro la Regione. Al momento si sono affidati allo studio legale Grillo Cortese di Ribera e sono pronti a chiedere i danni. «Dalla documentazione che abbiamo esaminato» conferma alla Repubblica degli Stagisti l’avvocato Giacomo Cortese «pensiamo che sia stato leso un diritto soggettivo dei partecipanti e citeremo la Regione Sicilia per chiedere il risarcimento del danno per lucro cessante e per la mancata chance». Certo i tempi della giustizia sono quelli che sono, ma per la Regione si profila l’ipotesi di un risarcimento non indifferente: solo calcolando i 500 euro per sei mesi per i ricorrenti al momento iscritti alla pagina facebook si arriverebbe a oltre 1 milione di euro. A cui andrebbe aggiunta la mancata chance dell’assunzione per tre anni ed eventualmente i danni morali. Decisamente troppo per una Regione che ha già problemi di bilancio. E che, comunque andrà a finire questa storia, oltre a perdere la faccia rischierà di esporsi a richieste di risarcimento di ogni tipo e a esacerbare sempre più gli animi. I giovani siciliani sono sempre più scoraggiati: «Questo Piano giovani rappresentava molto per me» spiega Annalisa «ed ero fiduciosa dopo anni di gavetta a Milano con stage importanti di poter tornare in Sicilia. Qui sfuma tutto per incompetenza. Non capisco perché si voglia annullare tutto. In quel caso sarò costretta a tornare a Milano e cercarmi un altro stage». Tanti giovani siciliani si sentono presi in giro dalla politica, troppo occupata a gestire delicati equilibri interni per avere il tempo di elaborare strategie efficaci per offrire opportunità alle giovani generazioni in fuga dall'isola. Il prossimo appuntamento della telenovela del "Piano Giovani" è per mercoledì 3 settembre davanti Palazzo dei Normanni, a Palermo, per un sit-in.Marianna Lepore

L'ascensore sociale è inceppato: i giovani vivono peggio dei genitori

L’ascensore sociale? È rotto ormai da tempo, e il sistema educativo non offre più a chi studia la garanzia di poter migliorare la propria condizione. Una ricerca del Censis conferma questa preoccupante tendenza: al primo impiego solo il 16,4% dei giovani nati tra il 1980 e il 1984 è salito nella scala sociale rispetto alla famiglia di origine, mentre quasi un terzo (il 29,5%) ha sperimentato la cosiddetta “mobilità discendente”, trovandosi in una condizione meno agiata di quella della famiglia di provenienza. «Accade sempre più spesso che i genitori senza laurea lavorino, mentre i figli, pur laureati, non trovano un’occupazione», spiega a La Repubblica degli Stagisti Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro all’università La Sapienza di Roma. «L’ascensore funziona sempre più al contrario: una frazione crescente della classe media si sta proletarizzando. In Italia ci sono 8 milioni di poveri, e prima della crisi erano 5 milioni: il loro ascensore è sceso, così come è sceso quello dei disoccupati», aggiunge il sociologo.La scuola sembra aver ormai abdicato alla sua funzione di riequilibratore sociale, che consentiva ai capaci e meritevoli, sia pur provenienti da famiglie disagiate, di farsi avanti e raggiungere una condizione migliore: l’abbandono scolastico è marginale tra i figli dei laureati (2,9%), sale al 7,8% tra i figli dei diplomati e arriva addirittura al 27,7% tra i figli di genitori che si sono fermati alla scuola dell’obbligo. Un ragazzo su tre tra quelli che concludono anzitempo il percorso di studi viene da una famiglia in cui i genitori svolgono professioni non qualificate, contro il 3,9% dei figli di genitori che sono impiegati in professioni qualificate.Una buona istruzione non basta a salvare i ragazzi dalla disoccupazione: anzi, la crisi ha portato a un rafforzamento del fenomeno dell'«overeducation», cioè del possesso di un titolo di studio superiore a quello richiesto. Tra il 2008 e il 2013 la domanda di lavoro in Italia ha continuato a concentrarsi soprattutto sui livelli di studio bassi, gli unici a registrare un andamento positivo (+16,8%), a scapito sia dei titoli medi (-3,9%), sia di quelli più elevati (-9,9%). Aumentano i diplomati (+32,7%) e ancora di più i laureati (+36,6%) impiegati in mestieri che richiedono una bassa qualifica: e non sembra valere più nemmeno la distinzione tra lauree “forti”, come quelle in materie economiche, statistiche o in ingegneria, e “deboli”, come quelle in scienze sociali e umanistiche: oltre un laureato su due in materie economiche e un ingegnere su tre sono costretti a ripiegare su lavori meno qualificati, contro il 43,7% dei laureati in materie umanistiche o sociologiche.In questo quadro, la sfiducia regna sovrana: se in Europa due terzi dei giovani tra 18 e 29 anni si dichiarano ottimisti verso il futuro, in Italia la percentuale non arriva alla metà. Questo atteggiamento influisce anche sulla crescita degli abbandoni scolastici: secondo i dati del Censis, nel giro di 15 anni la scuola statale ha “perso” circa 2,8 milioni di giovani, di cui solo 700mila hanno continuato a studiare in istituti non statali o hanno trovato un lavoro. I giovani italiani diplomati tra i 20 e i 24 anni sono il 77,9%, contro una media europea dell'81,1%. La sfiducia nell’istituzione scolastica è legata anche al rapporto sempre più difficile tra i genitori e gli educatori: solo un genitore su dieci partecipa alle elezioni degli organi collegiali, e il 24,6% dei presidi evidenzia che le famiglie assumono un atteggiamento sempre meno collaborativo. «Il problema della scuola in Italia è vastissimo e ha diverse cause», commenta De Masi. «Prima di tutto, è dovuto alla serie di ministri che si sono succeduti negli ultimi anni e non hanno saputo gestire la situazione. Poi c’è la questione della scarsa corrispondenza tra scuola e lavoro: in Italia si sceglie l’indirizzo scolastico a 15 anni, e al termine del percorso, quando lo studente ne ha 25, il mondo è cambiato e le esigenze sono diverse. Infine, la scuola italiana è stata massacrata dai tagli, ed è in fondo alle classifiche dei Paesi Ocse».Il clima di disincanto e demotivazione si riflette anche sull’università, che continua a perdere iscritti: nella fascia di età tra i 30 e i 34 anni solo un italiano su cinque è laureato, contro una media europea del 34,6%. E le immatricolazioni continuano a calare: nell’anno accademico 2011-2012 sono state circa 9.400 in meno rispetto all’anno precedente, per un tasso di passaggio dall’istruzione superiore a quella universitaria calato dal 50,8% al 47,3% in due anni. Ma anche chi decide di iscriversi non sempre tiene fede all’impegno: solo uno studente italiano su quattro si laurea in corso, nei tre anni canonici, e solo il 55% degli iscritti arriva a conseguire il titolo, contro una media del 70% nei Paesi Ocse. Sempre più studenti scelgono di puntare su un corso di studi all’estero, alla ricerca di una migliore offerta formativa e di maggiori prospettive occupazionali. Il numero di studenti italiani iscritti in università straniere è aumentato del 51,2% tra il 2007 e il 2011, passando da 41.394 a 62.580. A muoverli è la speranza di trovare migliori opportunità di realizzazione sociale fuori dai confini nazionali. «Anche l’università italiana risente dei suoi mali storici, come la cattiva selezione dei docenti e dei programmi e la cattiva distribuzione delle risorse», commenta De Masi. «Non è un caso che nelle graduatorie mondiali nessun ateneo italiano si classifica prima del centesimo posto». Andare all’estero è la soluzione? «Purtroppo studiare fuori dall’Italia non è un’opzione per tutti, ma solo per chi se lo può permettere», risponde il sociologo. «Dovrebbero esserci buone scuole qui, ma per averle occorrerebbero soluzioni drastiche, che al momento nessuno sembra in grado di adottare».Chiara Merico

Made in Italy, i giovani di tutto il mondo vengono in Italia a studiare moda. Ma poi?

Arrivano dai cinque continenti gli studenti che scelgono l’Italia per compiere i loro studi nel campo della moda. Attratti dalla grande tradizione delle firme e del made in Italy, cercano nelle nostre scuole una formazione di qualità. In totale sono più di 100 i Paesi da cui provengono gli aspiranti stilisti: oltre agli studenti europei, sono numerosi quelli in arrivo da Brasile, Russia, Giappone, Cina, Africa. Secondo la banca dati del Miur sono circa 11.700 giovani, oltre ai quali si devono considerare le migliaia di iscritti a master e corsi, e cio' rende il numero difficile da definire con esattezza.«Dall’estero arrivano moltissimi studenti» conferma a Repubblica degli stagisti Roberto Portinari, segretario generale della Piattaforma sistema formativo moda: «La nostra associazione riunisce 13 scuole di eccellenza nel settore moda con 10mila studenti, di questi oltre il 50% arriva dall’estero. Ci sono scuole in cui la presenza di studenti stranieri sfiora addirittura il 90% del totale». Nella maggior parte dei casi arrivano già con le idee chiare sul loro futuro. «Certo il sogno di molti è fare il fashion designer» continua Portinari «entrare a far parte dello staff di un grande brand oppure aprire una propria attività. Ma sono molti gli studenti stranieri che conoscono la realtà del mondo della moda e sanno che le figure tecniche preparate sono quelle che hanno le maggiori opportunità di lavoro e sono ben retribuite. Così, in tanti scelgono, per esempio, la professione del modellista di cui c’è una grandissima richiesta da parte delle aziende, anche all’estero per esempio in Asia». Una decisione che può rivelarsi carica di soddisfazioni, non solo dal punto di vista economico. «I giovani che arrivano con l’intento di diventare grandi stilisti» aggiunge Portinari «possono anche rimanere delusi, perché spesso devono ripiegare su altri lavori nel campo della moda, dal momento che non tutti hanno il talento sufficiente per sfondare». A voler diventare fashion designer sono soprattutto gli statunitensi, gli europei, i brasiliani e i ragazzi in arrivo dalla Russia, Paese in cui è fortissima l’ammirazione per le grandi firme italiane. Asiatici e africani, invece, spesso scelgono la professione di modellista o figurinista.A competere con le scuole di moda italiane sono soprattutto città come Parigi e Londra con i loro istituti (nella capitale britannica la prestigiosa Saint Martin attira studenti da tutto il mondo). Ma il primato spetta comunque all’Italia: «La location ha un grande peso nella scelta della scuola» sottolinea Portinari «il nostro Paese rimane il preferito dagli stranieri, in particolare Milano. Parigi e Londra offrono sicuramente grandi stimoli, ma nella scelta degli studenti conta anche la vicinanza alle industrie di moda e quindi la possibilità di stage e lavoro».Secondo Antonio Franceschini, responsabile nazionale di Cna Federmoda gli studenti stranieri «sono attirati dall’alto valore della offerta formativa italiana. Molti studiano in Italia per poi far ritorno nei loro Paesi d’origine e coniugare le competenze tecniche e organizzative acquisite con le proprie tradizioni. C’è un grande movimento, in questo senso, della moda africana. Giovani che creano i loro prodotti utilizzando il sapere trasmesso dalle nostre scuole con i tessuti e i colori dei loro Paesi. Altro è esempio è costituito dagli studenti provenienti dalla Mongolia che realizzano poi capi in cachemire». È il caso di Belgutei Badral, giovane stilista mongola che sta completando il suo percorso di studi all’Accademia di Belle Arti di Roma e che Cna ha portato a Riccione Moda Italia, il XXIV concorso nazionale professione moda giovani stilisti. Non preoccupa gli addetti ai lavori, però, il ritorno in patria degli studenti stranieri, dal momento che il legame con l’Italia si è ampiamente consolidato negli anni di studio. «I cinesi, i coreani e in generale gli studenti provenienti dai Paesi emergenti» afferma Portinari della Piattaforma sistema formativo moda «arrivano con l’obiettivo preciso di acquisire quelle competenze che non trovano nei loro luoghi d’origine. Poi ritornano nei loro Paesi con un bagaglio di conoscenze del tessuto economico italiano molto importante. Ed è comunque positivo per il nostro Made in Italy che questi studenti siano passati dal nostro Paese, abbiano conosciuto le nostre aziende e tutta la filiera. Sicuramente ci sarà un ritorno economico per l’Italia».  Una cosa, però, è certa: per gli allievi più dotati, le possibilità di lavoro anche ad altissimi livelli ci sono, perché le maison di moda scelgono il talento indipendentemente dalla provenienza. La vita non è semplice, però, per gli studenti stranieri in arrivo in Italia: «Le procedure per ottenere i permessi di soggiorno per studio e per gli stage sono estremamente complesse e farraginose» spiega Portinari «capita a volte che il ragazzo debba rientrare nel proprio Paese per un periodo di tempo prima di poter tornare in Italia. Non è così in altre parti del mondo: negli Stati Uniti, per esempio, cercano di tenersi stretti gli stranieri che hanno talento. In Italia manca un rapporto stretto tra scuole e industria. Il settore moda e design attrae tantissimi stranieri che arrivano da noi per fare un percorso formativo, spesso sono ragazzi molto dotati che dovremmo cercare di trattenere. La legge, invece, non distingue queste persone dai lavoratori degli altri settori».  Chiara Ferrero

Moda: troppi stilisti o aspiranti tali e pochi sarti, modellisti e figurinisti

Troppi stilisti o aspiranti tali e pochi sarti, modellisti e figurinisti. Diventare fashion designer ed entrare nel mondo della moda dalla porta principale è il sogno di molti, ma quando si spengono i riflettori delle passerelle si scopre che le maggiori opportunità di lavoro si trovano dietro le quinte. Le possibilità non mancano per i più giovani, soprattutto adesso che il settore, dopo sei anni di sofferenza, sta piano piano uscendo dalla crisi. Le previsioni per il 2014 sono favorevoli: Sistema Moda Italia, la Federazione Tessile e Moda che associa circa 1200 aziende, conferma per l’industria un ritorno in area positiva. L’anno in corso dovrebbe chiudere con una crescita del fatturato totale del 3,6% (il volume d’affari complessivo nazionale nel 2013 è stato di quasi 51 miliardi di euro). E a dimostrare come il comparto rimanga comunque la seconda manifattura del Paese sono i numeri: sono quasi 50mila le aziende del settore, comprese quelle artigiane, che impiegano circa 450mila persone. La cifra degli occupati sale a due milioni di persone se si calcola anche l’indotto della moda (distribuzione, vendita all’ingrosso, attività commerciali, pubblicità e comunicazione di settore). I segnali positivi della ripresa sull’occupazione si vedranno per ultimi, ben dopo quelli che riguardano il fatturato, ma gli spazi per inserirsi nel mondo della moda ci sono. «Il settore  offre molte opportunità per i giovani»  spiega a Repubblica degli stagisti Gianfranco Di Natale, direttore generale di Sistema Moda Italia: «Il problema è indirizzare questi ragazzi verso le mansioni più appropriate. Uno studente che approccia il nostro mondo di solito sogna di diventare stilista. È un problema culturale, si guarda al fashion solo con la logica della passerella. Quando invece abbiamo uno dei sistemi produttivi con la qualità più elevata al mondo che necessita di diversi tipi di professionalità». Le figure di cui le aziende hanno maggiormente bisogno, e che spesso faticano a trovare, sono quelle del modellista (di abbigliamento, calzature o pelletteria) e del figurinista, ma anche del responsabile del processo produttivo. Forte anche la richiesta di sarti: si calcola che in Italia ne servirebbero alcune centinaia da impiegare nell’alta sartoria o nei reparti di prototipia e lavorazioni. Per essere ricercati dalle aziende, però, non basta la creatività: bisogna avere una seria formazione alle spalle e un po’ di esperienza. Con tali requisiti, lo stipendio medio per questi professionisti può andare da un minimo di 3mila a 5mila euro al mese. «Il segreto è acquisire le competenze tecniche necessarie»  afferma Antonio Franceschini, responsabile nazionale di Cna Federmoda «perché le aziende ricercano figure con capacità adeguate. Nonostante la crisi economica c’è di nuovo attenzione per il Made in Italy, alcune imprese che avevano scelto l’estero stanno ritornando nel nostro Paese. Per questo noi stimoliamo i giovani a specializzarsi nelle professioni legate alla produzione. Con una metafora calcistica si può dire che tutti vogliono fare gli attaccanti e nessuno il mediano, invece il mediano è indispensabile». Eppure voler diventare fashion designer è molto di moda, tanto che anche in Italia, dopo il successo della versione americana, è sbarcato lo scorso mese di febbraio Project Runway Italia, il talent show sulla moda di FoxlLife. Il vincitore è stato Marco Taranto, un venticinquenne di origini calabresi, che si è aggiudicato un contratto della durata di un anno nell’ufficio creativo di Trussardi. Diventare un astro nascente del made in Italy grazie ad un talent, però, è un’occasione per pochi. Il mondo della moda infatti è accessibile solo a chi ha una buona formazione. Orientarsi nella scelta della scuola più adatta non è sempre facile perché l’offerta è davvero ampia e le competenze da acquisire sconfinano in campi diversi. «La creatività è un grandissimo dono» spiega Gianfranco Di Natale «ma non basta, perché fare moda vuol dire pensare anche alla produzione, alla commercializzazione, alla comunicazione, al marketing e all’internazionalizzazione». Occorre saper unire, cioè, gli aspetti creativi con quelli manageriali. Sono numerose le università italiane che propongono corsi di laurea triennali o master. Tra le altre, la Sapienza di Roma dove si può frequentare il corso di Scienze della moda e l’ateneo di Bologna dove è attivo il corso di laurea in Culture e tecniche della moda che offre una preparazione umanistica combinata a specifiche conoscenze dei principali temi del fashion. All’Università Iuav di Venezia il corso di Design della moda forma un professionista in grado di ideare, progettare e realizzare una collezione di abiti e accessori, mentre il Politecnico di Milano, con i suoi corsi di laurea triennali e magistrale in Design della moda ha l’obiettivo non di preparare stilisti, ma ‘progettisti’ della moda. Sono aperte le iscrizioni anche ai master 2015 del Milano Fashion Institute, consorzio interuniversitario fondato da Bocconi, Politecnico e Cattolica. E ancora lo Ied, Istituto europeo di design, che con i suoi corsi mira a formare le figure fondamentali della filiera moda, dal campo creativo a quello strategico, dagli aspetti organizzativi a quelli commerciali. Molte anche le scuole di formazione che propongono corsi di specializzazione a vari livelli. È il caso di Polimoda di Firenze che vanta un’ampia offerta: dai corsi preparatori per un primo orientamento nel mondo della moda ai corsi post diploma fino ai master in italiano e in inglese. Uno dei contesti studenteschi più internazionali è l’Istituto Marangoni: oltre alla sede storica di Milano, conta altri tre campus nelle città chiave della moda, a Parigi, Londra e Shanghai e offre numerosi percorsi didattici. E ancora l’Accademia Italiana con i suoi corsi di vari livelli di fashion design a Firenze e a Roma e l’Istituto Secoli di Milano che, forte della sua lunga storia e tradizione, ha preparato negli anni oltre 80mila professionisti del settore. Quali allora i consigli per scegliere la scuola giusta? «Agli aspiranti studenti di moda» spiega Roberto Portinari, segretario generale della Piattaforma sistema formativo moda «suggerisco di partecipare alle attività di orientamento proposte dalle varie scuole, andare a vedere di persona istituti e università, comparare attraverso i siti Internet i vari corsi, approfondire bene la natura della scuola. Fondamentale per lo studente è capire se la scuola che intende scegliere ha rapporti con le aziende, qual è il tasso di placement e se propone stage extracurriculari. Aver fatto uno stage, infatti, è indispensabile per trovare lavoro». Chiara Ferrero