“Ma questo non è un lavoro da femmina!”... O sì? Sfida agli stereotipi di genere, un racconto per parole e immagini

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 08 Mar 2024 in Approfondimenti

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Per abbattere i muri degli stereotipi di genere sul lavoro, che ancora troppo spesso confinano e limitano le donne, non serve esagerare e voler tutte fare le astronauti (benché per chi lo volesse fare l'esempio, come si sa, c'è ed è incarnato in maniera potente da Samantha Cristoforetti). Ci sono tantissimi mestieri più comuni dove ancora nell'immaginario comune resiste il pregiudizio che possano essere svolti solo da maschi. E invece no: perché ci sono anche camioniste (come Marzia, nell'immagine di apertura qui sopra), pilote, vigili del fuoco (come Antonella, qui accanto). Falegname, maestre d'ascia, minatore, speleologhe.stage lavoro Ingegnere meccaniche. Direttrici d'orchestra. Chef, guide alpine, elicotteriste. Elettriciste. Guardie giurate (come Roberta, nella forto più sotto, mentre si esercita con la pistola al poligono).

Per celebrare l'8 marzo, la Festa della Donna, oggi raccontiamo un libro: “Donna Faber, sottotitolo «Lavori maschili, sex-sismo e forme di r-esistenza», scritto dalla sociologa Emanuela Abbatecola e pubblicato pochi mesi fa dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Un omaggio e rinforzo anche alla nostra rubrica Girl Power, in cui da anni ormai qui sulla Repubblica degli Stagisti raccontiamo la bellezza delle donne che non si fanno incastrare negli stereotipi di genere, e osano mestieri insoliti per il loro genere, spesso a partire dallo studio di materie tecniche o Stem – legate quindi alla matematica, alla tecnologia, all'ingegneria o alla matematica. 

Donna Faber parte come ricerca socio-fotografica (poi diventata anche mostra e in ultimo, appunto, saggio) condotta in due fasi – tra il 2010 e il 2023 – da Abbatecola con il suo laboratorio di Sociologia visuale dell’università di Genova in collaborazione con l’associazione culturale 36° fotogramma – Circolo fotografico. Protagoniste, donne “fuori posto” secondo gli stereotipi, perchè impegnate in lavori “da uomini”. Lavori virili, di fatica o di comando, lavori a volte rischiosi. Lavori non adatti alle donne. Lavori raccontati attraverso il binomio inedito delle fotografie insieme alle interviste in profondità tipiche della ricerca sociale qualitativa: le foto sono potenti, colorate, e ritraggono queste donne nei loro abiti da lavoro e nei loro ambienti di lavoro. Le interviste fanno emergere «biografie lavorative appassionanti ma non facili», in cui trovano spazio «le frustrazioni, il sessismo, le violenze più o meno esplicite, così come l'orgoglio e la passione».

stage lavoroIn poco meno di duecento pagine il libro (qui accanto, la copertina con la bellissima foto della fabbra Erica) fa una panoramica di respiro molto ampio, prendendo in considerazione aspetti presenti nel dibattito pubblico e altri meno evidenti: dalle radici molto precoci delle diseguaglianze di genere (quei «rinforzi, più o meno velati o espliciti, a costruire invisibili confini nei diversi ambiti del vivere sociale tesi a definire aspettative, pertinenze, opportunità e violazioni: dai colori (il rosa e l’azzurro) ai giochi, dall’abbigliamento all’aspetto fisico, al modo di muoversi, parlare, scherzare e attraversare lo spazio pubblico e i luoghi di potere, alle attività del tempo libero, agli sport, dalla divisione del lavoro domestico e di cura ai tipi di mestiere “auspicati”») agli atteggiamenti sessisti che molte donne subiscono da capi e superiori sul luogo di lavoro, alla decisione di nascondere talvolta la propria femminilità per dare meno nell'occhio e quindi scegliendo vestiti sportivi, a volte informi, e posture dimesse.

Da femminista, l'autrice pone molta attenzione alla questione linguistica; e oltre alla sua scelta di declinare i mestieri tutti al femminile (com'è non solo giusto, ma anche indicato come corretto dall'Accademia della Crusca!), discute di questo tema anche con alcune delle donne intervistate. Significativo uno stralcio di conversazione: «Io preferisco essere chiamata “maestro d’ascia”, perché mi include di più nella categoria» dice una delle partecipanti «perché il fatto di sentirmi dire “maestra d’ascia” mi fa vedere quasi come un’anomalia». «Si privilegia il maschile per sentirsi parte», spiega Abbatecola, «si privilegia il maschile perché, in quanto dominante, conferisce autorevolezza. Viceversa, il femminile è percepito come sminuente». Perfino da quelle donne che quei mestieri li fanno quotidianamente, e sono dunque la prova provata che essi possano essere declinati al maschile.

Nel libro viene indagato anche l'altro “sconfinamento”, quello degli uomini che si dedicano ad attività lavorative considerate femminili: «Esiste una segregazione che discrimina gli uomini impedendo loro l’ingresso in alcuni lavori considerati da donne» – qualche esempio: educatrice nei servizi educativi per l’infanzia, maestra di scuola, assistente sociale, ostetrica, estetista – «occupazioni non coerenti con una rappresentazione tradizionale della maschilità». Questo perché «il femminile, nel nostro immaginario, è ancora profondamente legato all’idea di cura – dell’infanzia, in primo luogo, ma anche del corpo, della mente e dell’aspetto – cura che può includere gli uomini, senza comprometterne la maschilità, solo se altamente specializzata». Ed ecco dunque che il bambino, il ragazzo, il giovane uomo verrà incoraggiato a fare il medico, lo psicologo, lo psichiatra. Non sia mai che possa fare l'infermiere, o l'ostetrico.

(Peraltro, aggiungo io: ostetrica in francese si dice “sage-femme”, che vuol dire “donna che possiede la conoscenza”, la scienza del parto. Una bella sfida linguistica e culturale, cristallizzata di recente in un film dal titolo “Sage-homme”: perché oggi ci sono ovviamente uomini che svolgono questo mestiere, e però in francese risulta quasi ridicolo chiamarli “sage-femmes”. Anche in inglese c'è un elemento della parola "midwife" che richiama il femminile – “wife”, moglie, nel senso di donna. Ma in realtà etimologicamente l'intera parola significa "con-moglie": indica cioè la persona che sta con la donna al momento del parto. A differenza del termine francese, quindi, quello inglese non è “gender-specific”, perché si riferisce a una persona che, indipendentemente dal suo genere, ha le competenze per assistere una “wife” durante un parto. Dunque gli ostetrici in UK possono essere chiamati midwife senza grandi patemi).

stage lavoro«Quando un uomo svolge un lavoro considerato femminile, che sia per caso, scelta o necessità, la società si attiva per incentivarlo a fare carriera al fine di ripristinare l’ordine e le gerarchie di genere» sottolinea Abbatecola: «Come dire “se proprio devi lavorare in mezzo alle donne, almeno distinguiti mettendoti nelle condizioni di comandare”». In sociologia viene chiamato «ascensore di cristallo, metafora efficacemente usata in contrapposizione a quella del più noto soffitto di cristallo» che invece le donne subiscono quando le loro carriere vengono rallentate o bloccate proprio nei pressi delle posizioni di vertice.

Le donne che fanno lavori da uomo sono «elemento perturbatore» di quell'ordine e di quelle gerarchie, perché rigettano – o quantomeno ignorano – i confini rigidi del mercato del lavoro. Spesso per neutralizzarle colleghi e superiori, e in generale quelli che si trovano a interagire con loro mentre lavorano, rivolgono loro frasi impregnate di «sessismo benevolo»: del resto, «come può una donna ribellarsi a una comunicazione verbale formalmente affettuosa senza passare per fanatica o irriconoscente?» sottolinea l'autrice, riportando racconti di uomini che insistono per portare lo zaino della guida alpina (!), o per prendere le misure al posto della geometra (!!) che era lì in cantiere per quello. Nella maggior parte dei casi, le donne fanno spallucce e si fanno scivolare addosso le parole inappropriate. Ma a volte ci vuole molta forza per non restarne ferite; o addirittura per non dubitare delle proprie capacità, e perdere autostima.

Questo libro offre nuovi spunti per focalizzare e ripensare l'impatto della variabile “genere” nel mercato del lavoro, e per contrastare gli stereotipi. Perché, per dirla con Abbatecola, «Mai sottovalutare il patriarcato... si modifica, si trasforma per adattarsi al cambiamento, si mimetizza... ma non ha ancora nessuna intenzione di farsi da parte». E allora, sta a tuttə noi accompagnarlo gentilmente alla porta.

Eleonora Voltolina

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