Universo stage, situazione ancora critica: meno di un'assunzione su dieci, troppe leggi differenti
Com'è ad oggi il quadro dell'universo stage in Italia? In che modo viene utilizzato questo strumento, e sopratutto: la situazione è migliorata negli ultimi anni? Si sa che solamente un tirocinio su dieci si trasforma in contratto di lavoro. Non è, in realtà, una notizia: è infatti un dato ormai assodato, stabile da anni, con leggere variazioni in su o in giù. Lo calcola Unioncamere ogni anno attraverso una piccola sezione della sua indagine "Excelsior", quella dedicata ai fabbisogni formativi delle imprese e ai tirocini. A dicembre è stata presentato da Unioncamere il dossier che presenta i dati relativi al 2013. Attenzione, non 2014: proprio 2013. Bisogna infatti ricordare che i dati di Excelsior (e in particolare quelli sui tirocini) vengono sempre resi pubblici con grande ritardo: oggi, febbraio 2015, stiamo infatti parlando degli ultimi dati disponibili che si riferiscono agli stage effettuati nel corso del 2013. Purtroppo il sistema è congegnato in questo modo, e sembra che non si possa "velocizzare" per fornire i dati con maggiore celerità. Bisogna anche tenere a mente che però comunque - con tutti i suoi ritardi e sebbene i numeri non siano dati generali completi ma solo una "campionatura" con risposte raccolte attraverso un questionario e con l'ulteriore elemento "riduttore" di un raggio d'azione limitato agli stage attivati nelle sole imprese private - l'indagine Excelsior di Unioncamere è finora praticamente l'unica a offrire dati nazionali e affidabili sull'utilizzo dello strumento dello stage in Italia. Questo perché mancano sistematiche rilevazioni statali o regionali sul tema: nel corso del 2015 verranno resi pubblici i primi dati di monitoraggio dei tirocini dopo le nuove leggi regionali, ma anche questi saranno parziali perché riguarderanno solo quelli extracurriculari (cioè svolti al di fuori del periodo di studi). E poi chissà se tutte le regioni li elaboreranno in maniera soddisfacente. La terza pecca di questi dati è legata alla scelta di Unioncamere di non modificare il panel di domande sui tirocini, malgrado nel 2013 sia stato rivoluzionato il quadro normativo relativo a questo tema: non vi è dunque una distinzione tra tirocini curriculari e tirocini extracurriculari, pur avendo essi adesso addirittura due competenze normative differenti (lo Stato per i curriculari, con una clamorosa vacatio legis, e le Regioni per gli extracurriculari) Fatta questa premessa, ecco quel che dice Unioncamere sui tirocini. Innanzitutto, il numero: nel 2013 sono stati effettuati nelle imprese private italiane 310.540 stage. L'anno precedente erano stati lievemente di meno (306.580), dunque l'1% in più: una variazione davvero minimale, che non può essere "caricata" di alcun valore positivo o negativo. Del resto, come la Repubblica degli Stagisti ha fatto notare a più riprese, il numero degli stage non si è ridotto, durante la crisi, in maniera proporzionale a quello dei contratti di lavoro. Ciò significa, come è facile intuire, che molti datori di lavoro hanno preferito ridurre il numero dei contrattualizzati - salariati, mantenendo però invariato il numero di stagisti: in un certo senso si tratta di un doping del mercato del lavoro. Qui la Repubblica degli Stagisti ha dunque un punto di vista e una lettura del dato opposta rispetto a quella di Unioncamere, che nel dossier descrive questo 1% in più come «un risultato abbastanza soddisfacente alla luce delle enormi difficoltà del mercato del lavoro italiano, soprattutto per i giovani, che sono la componente più penalizzata e, al tempo stesso, la più interessata a stage e tirocini formativi».Un aspetto opinabile del dossier di Unioncamere è che viene usata l'aggettivo «retribuiti» in riferimento ai tirocini, per indicare quelli dove è previsto per lo stagista un compenso monetario, spiegando che a partire dall’edizione 2012 «l’indagine Excelsior ha investigato il tema dei tirocini e stage anche in chiave previsionale, chiedendo quanti tirocinanti e stagisti le imprese ipotizzano di ospitare nell’anno in corso» e specificando che «si tratta, a differenza dei dati a consuntivo fin qui analizzati, di informazioni riferite esclusivamente ai tirocinanti e stagisti retribuiti». Eppure è bene ricordare questa parola non andrebbe mai usata quando si parla di stage - perché la retribuzione è un concetto che implica un rapporto di lavoro, mentre lo stage non è mai inquadrabile come lavoro. C'è un altro aspetto che pone delle criticità. Nel documento si legge che dal 2012 al 2013 «è aumentata, tra tirocinanti e stagisti, la quota dei laureati o laureandi, dal 30,4 al 32,3%». Ma il fatto di conteggiare insieme laureandi e laureati è quantomeno improprio, sopratutto oggi, perché i laureandi svolgono stage definiti curriculari, mentre i laureati svolgono stage extracurriculari. La distinzione, ufficializzata solo da un paio d'anni dalle ultime normative, non è da poco: le due tipologie di stage hanno addirittura due competenze normative differenti (lo Stato è competente per quelli curriculari, per i quali in questo momento vi è una grave situazione di vuoto normativo; mentre le Regioni sono competenti per i tirocini extracurriculari), ed essere inquadrato come tirocinante curriculare piuttosto che come tirocinante extracurriculare comporta diritti e doveri molto diversi. Un esempio per tutti: per gli stage extracurriculari è previsto l'obbligo da parte del soggetto ospitante di erogare un rimborso spese (le cifre minime variano da 300 a 600 euro e sono state decise Regione per Regione), mentre quelli curriculari possono ancora essere gratuiti. Dunque se un universitario attiva uno stage una settimana prima di laurearsi ricade nel novero degli stage curriculari e può essere "stagista aggratis"; se lo attiva una settimana dopo ricade invece nel novero degli stage extracurriculari e può rivendicare il diritto a ricevere un rimborso spese pari almeno al minimo fissato dalla Regione dove svolge il tirocinio.Questa distinzione non viene presa in considerazione da Unioncamere, forse perché nel corso del 2013 non ancora tutte le Regioni avevano provveduto a emettere la propria normativa regionale in materia: è da auspicare che le rilevazioni in corso sul 2014 prevedano invece di distinguere i laureandi dai laureati, o ancor meglio, gli stage curriculari da quelli extracurriculari.L'indagine Excelsior conferma poi che le imprese medio-grandi sono quelle che più abitualmente ospitano stagisti, mentre la micro e piccola impresa ancora usa poco questo strumento; inoltre, il numero di stagisti aumenta con l'aumentare del «livello tecnologico o qualitativo dei beni prodotti e dei servizi offerti». Cioè più un'azienda si occupa di high tech e offre servizi qualificati, più frequentemente utilizza stagisti. In particolare, «i valori minimi e massimi di imprese “ospitanti” tirocinanti e stagisti per macro-settore stanno in un rapporto di uno a tre: nell’industria si va dall’8% del comparto del legno e del mobile al 25,5% di quello chimico-farmaceutico-petrolifero, nei servizi dal 9,8% delle attività di trasporto e magazzinaggio al 28,2% di quelle della sanità, dell’assistenza sociale e dei servizi sanitari privati».Un dato per certi versi sconcertante che emerge dalle rilevazioni di Unioncamere è che il 40% degli stage svolti nelle imprese private ha una durata inferiore a un mese. Con tutta probabilità questa percentuale dipende in gran parte dai tirocini curriculari universitari, inseriti nei piani di studio degli studenti, che spesso prevedono tirocini di 120 o 150 ore (pari appunto a 3 o 4 settimane). Una durata inferiore a un mese pone però seri elementi problematici: si può predisporre un percorso formativo in un tempo tanto breve? Pochi giorni sono sufficienti all'azienda per trasferire competenze al giovane, e al giovane per assimilarle? In sostanza: ha senso un tirocinio di 150 ore, o addirittura meno?Il giudizio complessivo di Unioncamere sullo strumento stage è comunque positivo: «I fondamentali risultati dell’indagine, quasi tutti di segno positivo, sono piuttosto confortanti: confermano il carattere formativo di questa esperienza, che consente ai giovani in uscita o appena usciti dai diversi cicli di istruzione di completare e integrare la preparazione ricevuta, e la sua importanza per le imprese, che in questo modo possono verificare nel concreto la preparazione effettiva dei giovani in uscita dal sistema scolastico, la loro capacità di integrazione nell’ambiente di lavoro e l’interesse per le prospettive professionali che l’azienda può loro offrire». Eppure a fronte di questa «importanza per le imprese», rimane il dato magrissimo delle trasformazioni di stage in contratti: 9,5% è infatti una percentuale decisamente bassa.Interessante a questo punto è affiancare a questa indagine il recente paper dell'associazione Adapt che valuta invece nel complesso i cambiamenti legislativi intervenuti sullo stage negli ultimi due anni. Il giudizio è assai meno positivo: «Le normative regionali differiscono tra di loro, talvolta in maniera significativa, su alcuni aspetti fondamentali della regolamentazione dei tirocini come la durata, i limiti numerici e le indennità da erogare. Il risultato finale è una proliferazione di tante discipline differenti quante sono le Regioni» scrivono i ricercatori del centro studi fondato da Marco Biagi: «L’effetto standardizzazione che stava alla base della Riforma Fornero sembra del tutto mancato. Le ripercussioni concrete di questo esito non sono di poco conto. A seconda del territorio in cui un tirocinio viene attivato valgono regole diverse. Caso eclatante pare essere quello delle indennità. Tra una Regione e l’altra – e spesso tra Regione limitrofe – per la stessa esperienza un soggetto ha diritto a corrispettivi differenti». Bisogna qui ricordare che l'Adapt parte da una sorta di preconcetto nei confronti del compenso agli stagisti, giudicato a priori dal suo direttore scientifico Michele Tiraboschi come elemento negativo; e dunque il paper "forza" un po' il giudizio sulla leopardizzazione dei diritti degli stagisti (ampiamente prevedibile del resto, basti ricordare le parole di due anni fa del costituzionalista Francesco Clementi in un'intervista alla Repubblica degli Stagisti ), affermando che «la natura formativa del tirocinio non è stata compresa nemmeno dai legislatori regionali che hanno, al contrario, interpretato lo strumento come una sorta di “lavoretto” a basso costo».L'Adapt mette poi in evidenza la concorrenza sleale, già molte volte denunciata dalla Repubblica degli Stagisti, tra stage e apprendistato: «La ricostruzione dei dati disponibili a livello regionale mostra una tendenza generalizzata al restringimento dell’apprendistato – sia in termini assoluti che relativi – a partire dal 2010/2011 e, parallelamente alla progressiva espansione del tirocinio». Aggiungendo con onestà che questa tendenza non è «ascrivibile, data la tempistica, alle Linee-guida di per sé, quanto piuttosto alla crisi economica che potrebbe aver spinto l’utilizzo, anche improprio, del tirocinio in luogo di rapporti di lavoro subordinato», e concludendo che «l’accelerazione nel ricorso ai tirocini riscontrabile in alcune Regioni anche nell’ultimo biennio 2013-2014 (dati disponibili tuttavia fino al III trimestre 2014), suggeriscono il possibile effetto di ulteriore promozione del tirocinio a discapito dell’apprendistato apportato dalle Linee-guida».Ma questo effetto non potrà davvero essere noto prima di avere i dati completi del 2014. In sostanza, nel dossier Excelsior vi sono informazioni molto utili; sempre però tenendo a mente i limiti di questa rilevazione, e sperando che Unioncamere avvii una riflessione per rivedere almeno in parte le domande del suo questionario focalizzate sul tirocinio, per poter fornire a partire dal prossimo anno delle indicazioni più precise. E dalle analisi dell'Adapt si possono trarre spunti di riflessione non banali sugli effetti a breve, medio e lungo termine delle nuove leggi su lavoro e tirocinio. L'importante è che poi i decisori politici interpretino con competenza questi dati, e correggano il tiro là dove si dimostri che lo strumento dello stage è utilizzato in maniera impropria o addirittura controproducente.