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Universo stage, situazione ancora critica: meno di un'assunzione su dieci, troppe leggi differenti

Com'è ad oggi il quadro dell'universo stage in Italia? In che modo viene utilizzato questo strumento, e sopratutto: la situazione è migliorata negli ultimi anni? Si sa che solamente un tirocinio su dieci si trasforma in contratto di lavoro. Non è, in realtà, una notizia: è infatti un dato ormai assodato, stabile da anni, con leggere variazioni in su o in giù. Lo calcola Unioncamere ogni anno attraverso una piccola sezione della sua indagine "Excelsior", quella dedicata ai fabbisogni formativi delle imprese e ai tirocini. A dicembre è stata presentato da Unioncamere il dossier che presenta i dati relativi al 2013. Attenzione, non 2014: proprio 2013. Bisogna infatti ricordare che i dati di Excelsior (e in particolare quelli sui tirocini) vengono sempre resi pubblici con grande ritardo: oggi, febbraio 2015, stiamo infatti parlando degli ultimi dati disponibili che si riferiscono agli stage effettuati nel corso del 2013. Purtroppo il sistema è congegnato in questo modo, e sembra che non si possa "velocizzare" per fornire i dati con maggiore celerità. Bisogna anche tenere a mente che però comunque - con tutti i suoi ritardi e sebbene i numeri non siano dati generali completi ma solo una "campionatura" con risposte raccolte attraverso un questionario e con l'ulteriore elemento "riduttore" di un raggio d'azione limitato agli stage attivati nelle sole imprese private - l'indagine Excelsior di Unioncamere è finora praticamente l'unica a offrire dati nazionali e affidabili sull'utilizzo dello strumento dello stage in Italia. Questo perché mancano sistematiche rilevazioni statali o regionali sul tema: nel corso del 2015 verranno resi pubblici i primi dati di monitoraggio dei tirocini dopo le nuove leggi regionali, ma anche questi saranno parziali perché riguarderanno solo quelli extracurriculari (cioè svolti al di fuori del periodo di studi). E poi chissà se tutte le regioni li elaboreranno in maniera soddisfacente. La terza pecca di questi dati è legata alla scelta di Unioncamere di non modificare il panel di domande sui tirocini, malgrado nel 2013 sia stato rivoluzionato il quadro normativo relativo a questo tema: non vi è dunque una distinzione tra tirocini curriculari e tirocini extracurriculari, pur avendo essi adesso addirittura due competenze normative differenti (lo Stato per i curriculari, con una clamorosa vacatio legis, e le Regioni per gli extracurriculari) Fatta questa premessa, ecco quel che dice Unioncamere sui tirocini. Innanzitutto, il numero: nel 2013 sono stati effettuati nelle imprese private italiane 310.540 stage. L'anno precedente erano stati lievemente di meno (306.580), dunque l'1% in più: una variazione davvero minimale, che non può essere "caricata" di alcun valore positivo o negativo. Del resto, come la Repubblica degli Stagisti ha fatto notare a più riprese, il numero degli stage non si è ridotto, durante la crisi, in maniera proporzionale a quello dei contratti di lavoro. Ciò significa, come è facile intuire, che molti datori di lavoro hanno preferito ridurre il numero dei contrattualizzati - salariati, mantenendo però invariato il numero di stagisti: in un certo senso si tratta di un doping del mercato del lavoro. Qui la Repubblica degli Stagisti ha dunque un punto di vista e una lettura del dato opposta rispetto a quella di Unioncamere, che nel dossier descrive questo 1% in più come «un risultato abbastanza soddisfacente alla luce delle enormi difficoltà del mercato del lavoro italiano, soprattutto per i giovani, che sono la componente più penalizzata e, al tempo stesso, la più interessata a stage e tirocini formativi».Un aspetto opinabile del dossier di Unioncamere è che viene usata l'aggettivo «retribuiti» in riferimento ai tirocini, per indicare quelli dove è previsto per lo stagista un compenso monetario, spiegando che a partire dall’edizione 2012 «l’indagine Excelsior ha investigato il tema dei tirocini e stage anche in chiave previsionale, chiedendo quanti tirocinanti e stagisti le imprese ipotizzano di ospitare nell’anno in corso» e specificando che «si tratta, a differenza dei dati a consuntivo fin qui analizzati, di informazioni riferite esclusivamente ai tirocinanti e stagisti retribuiti». Eppure è bene ricordare questa parola non andrebbe mai usata quando si parla di stage - perché la retribuzione è un concetto che implica un rapporto di lavoro, mentre lo stage non è mai inquadrabile come lavoro. C'è un altro aspetto che pone delle criticità. Nel documento si legge che dal 2012 al 2013 «è aumentata, tra tirocinanti e stagisti, la quota dei laureati o laureandi, dal 30,4 al 32,3%». Ma il fatto di conteggiare insieme laureandi e laureati è quantomeno improprio, sopratutto oggi, perché i laureandi svolgono stage definiti curriculari, mentre i laureati svolgono stage extracurriculari. La distinzione, ufficializzata solo da un paio d'anni dalle ultime normative, non è da poco: le due tipologie di stage hanno addirittura due competenze normative differenti (lo Stato è competente per quelli curriculari, per i quali in questo momento vi è una grave situazione di vuoto normativo; mentre le Regioni sono competenti per i tirocini extracurriculari), ed essere inquadrato come tirocinante curriculare piuttosto che come tirocinante extracurriculare comporta diritti e doveri molto diversi. Un esempio per tutti: per gli stage extracurriculari è previsto l'obbligo da parte del soggetto ospitante di erogare un rimborso spese (le cifre minime variano da 300 a 600 euro e sono state decise Regione per Regione), mentre quelli curriculari possono ancora essere gratuiti. Dunque se un universitario attiva uno stage una settimana prima di laurearsi ricade nel novero degli stage curriculari e può essere "stagista aggratis"; se lo attiva una settimana dopo ricade invece nel novero degli stage extracurriculari e può rivendicare il diritto a ricevere un rimborso spese pari almeno al minimo fissato dalla Regione dove svolge il tirocinio.Questa distinzione non viene presa in considerazione da Unioncamere, forse perché nel corso del 2013 non ancora tutte le Regioni avevano provveduto a emettere la propria normativa regionale in materia: è da auspicare che le rilevazioni in corso sul 2014 prevedano invece di distinguere i laureandi dai laureati, o ancor meglio, gli stage curriculari da quelli extracurriculari.L'indagine Excelsior conferma poi che le imprese medio-grandi sono quelle che più abitualmente ospitano stagisti, mentre la micro e piccola impresa ancora usa poco questo strumento; inoltre, il numero di stagisti aumenta con l'aumentare del «livello tecnologico o qualitativo dei beni prodotti e dei servizi offerti». Cioè più un'azienda si occupa di high tech e offre servizi qualificati, più frequentemente utilizza stagisti. In particolare, «i valori minimi e massimi di imprese “ospitanti” tirocinanti e stagisti per macro-settore stanno in un rapporto di uno a tre: nell’industria si va dall’8% del comparto del legno e del mobile al 25,5% di quello chimico-farmaceutico-petrolifero, nei servizi dal 9,8% delle attività di trasporto e magazzinaggio al 28,2% di quelle della sanità, dell’assistenza sociale e dei servizi sanitari privati».Un dato per certi versi sconcertante che emerge dalle rilevazioni di Unioncamere è che il 40% degli stage svolti nelle imprese private ha una durata inferiore a un mese. Con tutta probabilità questa percentuale dipende in gran parte dai tirocini curriculari universitari, inseriti nei piani di studio degli studenti, che spesso prevedono tirocini di 120 o 150 ore (pari appunto a 3 o 4 settimane). Una durata inferiore a un mese pone però seri elementi problematici: si può predisporre un percorso formativo in un tempo tanto breve? Pochi giorni sono sufficienti all'azienda per trasferire competenze al giovane, e al giovane per assimilarle? In sostanza: ha senso un tirocinio di 150 ore, o addirittura meno?Il giudizio complessivo di Unioncamere sullo strumento stage è comunque positivo: «I fondamentali risultati dell’indagine, quasi tutti di segno positivo, sono piuttosto confortanti: confermano il carattere formativo di questa esperienza, che consente ai giovani in uscita o appena usciti dai diversi cicli di istruzione di completare e integrare la preparazione ricevuta, e la sua importanza per le imprese, che in questo modo possono verificare nel concreto la preparazione effettiva dei giovani in uscita dal sistema scolastico, la loro capacità di integrazione nell’ambiente di lavoro e l’interesse per le prospettive professionali che l’azienda può loro offrire». Eppure a fronte di questa «importanza per le imprese», rimane il dato magrissimo delle trasformazioni di stage in contratti: 9,5% è infatti una percentuale decisamente bassa.Interessante a questo punto è affiancare a questa indagine il recente paper dell'associazione Adapt che valuta invece nel complesso i cambiamenti legislativi intervenuti sullo stage negli ultimi due anni. Il giudizio è assai meno positivo: «Le normative regionali differiscono tra di loro, talvolta in maniera significativa, su alcuni aspetti fondamentali della regolamentazione dei tirocini come la durata, i limiti numerici e le indennità da erogare. Il risultato finale è una proliferazione di tante discipline differenti quante sono le Regioni» scrivono i ricercatori del centro studi fondato da Marco Biagi: «L’effetto standardizzazione che stava alla base della Riforma Fornero sembra del tutto mancato. Le ripercussioni concrete di questo esito non sono di poco conto. A seconda del territorio in cui un tirocinio viene attivato valgono regole diverse. Caso eclatante pare essere quello delle indennità. Tra una Regione e l’altra – e spesso tra Regione limitrofe – per la stessa esperienza un soggetto ha diritto a corrispettivi differenti». Bisogna qui ricordare che l'Adapt parte da una sorta di preconcetto nei confronti del compenso agli stagisti, giudicato a priori dal suo direttore scientifico Michele Tiraboschi come elemento negativo; e dunque il paper "forza" un po' il giudizio sulla leopardizzazione dei diritti degli stagisti (ampiamente prevedibile del resto, basti ricordare le parole di due anni fa del costituzionalista Francesco Clementi in un'intervista alla Repubblica degli Stagisti ), affermando che «la natura formativa del tirocinio non è stata compresa nemmeno dai legislatori regionali che hanno, al contrario, interpretato lo strumento come una sorta di “lavoretto” a basso costo».L'Adapt mette poi in evidenza la concorrenza sleale, già molte volte denunciata dalla Repubblica degli Stagisti, tra stage e apprendistato: «La ricostruzione dei dati disponibili a livello regionale mostra una tendenza generalizzata al restringimento dell’apprendistato – sia in termini assoluti che relativi – a partire dal 2010/2011 e, parallelamente alla progressiva espansione del tirocinio». Aggiungendo con onestà che questa tendenza non è «ascrivibile, data la tempistica, alle Linee-guida di per sé, quanto piuttosto alla crisi economica che potrebbe aver spinto l’utilizzo, anche improprio, del tirocinio in luogo di rapporti di lavoro subordinato», e concludendo che «l’accelerazione nel ricorso ai tirocini riscontrabile in alcune Regioni anche nell’ultimo biennio 2013-2014 (dati disponibili tuttavia fino al III trimestre 2014), suggeriscono il possibile effetto di ulteriore promozione del tirocinio a discapito dell’apprendistato apportato dalle Linee-guida».Ma questo effetto non potrà davvero essere noto prima di avere i dati completi del 2014. In sostanza, nel dossier Excelsior vi sono informazioni molto utili; sempre però tenendo a mente i limiti di questa rilevazione, e sperando che Unioncamere avvii una riflessione per rivedere almeno in parte le domande del suo questionario focalizzate sul tirocinio, per poter fornire a partire dal prossimo anno delle indicazioni più precise. E dalle analisi dell'Adapt si possono trarre spunti di riflessione non banali sugli effetti a breve, medio e lungo termine delle nuove leggi su lavoro e tirocinio. L'importante è che poi i decisori politici interpretino con competenza questi dati, e correggano il tiro là dove si dimostri che lo strumento dello stage è utilizzato in maniera impropria o addirittura controproducente.

Tesi di laurea, i migliori premi in scadenza: oltre 60 mila euro complessivi in palio

Inflazionata o meno, la laurea è comunque una soddisfazione. Se poi la qualità dell'elaborato viene anche premiata con una somma in denaro, la soddisfazione è doppia. A chi si è laureato negli ultimi anni può quindi interessare l'ultima ricognizione della Repubblica degli Stagisti dei premi di laurea più interessanti.Si parte con un avviso last minute, utile magari per chi vive o è vicino a Roma, dove ha sede il ministero per il lavoro. La sua direzione generale per il lavoro e la formazione gestisce infatti un premio in memoria del giuslavorista Marco Biagi, promosso insieme al centro studi Adapt, per l'assegnazione di due premi da 3mila euro lordi l'uno alla migliore tesi di laurea biennale e tesi di dottorato in diritto del lavoro e relazioni industriali discusse nell'ultimo anno esatto. Un plico chiuso con modulo di domanda, elaborato digitale su cd, abstract e copia del documento di identità deve pervenire entro la mezzanotte di domani, 5 febbraio, presso gli uffici di via Fornovo 8 (fermata metro Lepanto). Mettere insieme i documenti richiesti non porta via molto, volendo si è ancora in tempo. Fino al 15 febbraio invece Aicun, Associazione italiana comunicatori di università mette a bando due premi per chi ha concluso uno qualsiasi dei livelli di studio universitario (compresi master e dottorati) nell'anno accademico 2012-2013. Tema cardine sono le attività di comunicazione, sia interna che esterna, delle organizzazioni universitarie e di ricerca. Per provare a vincere i 500 euro destinati alla migliore tesi triennale, o i 1500 destinati alla sua controparte biennale o di dottorato, bisogna spedire una mail a infoaicun [chiocciola] gmail.com con copie digitali di: certificato di titolo conseguito, curriculum studiorum, copia pdf del lavoro, una sua sintesi ed eventuali pubblicazioni. L'associazione ha sede in Lombardia, ma è a Roma che si svolgerà la premiazione, il prossimo 20 marzo. C'è poi l'università di Pavia che gestisce diversi premi per i propri laureati di secondo livello degli anni solari 2013 e 2014, in vari ambiti di studio. Le domande vanno spedite per raccomandata A/R, per PEC all'indirizzo amministrazione-centrale [chiocciola] certunipv.it (da indirizzo intestato al candidato) o consegnate a mano ai servizi archivistici di Via Mentana.  La composizione della candidatura varia leggermente di caso in caso, ma per lo più sono richiesti modulo di domanda, copia digitale dell'elaborato, cv, copia del certificato o autocertificazione di laurea e copia del documento di identità. Scadono dunque lunedì 16 febbraio (non fa fede il timbro postale) i termini per partecipare al premio "Claudia Maccabruni": 2mila euro netti riservati alla migliore tesi di secondo livello - o di dottorato - in archeologia classica, senza riferimenti specifici sul tema, in memoria della docente del dipartimento di Scienze dell'antichità. Come per tutti gli altri premi, può partecipare anche chi ha goduto già di altri sussidi da parte dell'ateneo, purché ne faccia esplicita menzione. Lo stesso termine vale anche per un "bando rosa", intestato a Marina Chiola, dipendente del comitato pari opportunità dell'ateneo, e destinato ad una laureata dell'area umanistico sociale che ha discusso una tesi sui gender studies, ottenendo una votazione non inferiore a 108/110. Per la vincitrice la famiglia Chiola riserva mille euro netti, ufficialmente conferiti in una cerimonia pubblica la prima domenica di maggio. Un'altra doppia scadenza da segnare per i laureati dell'ateneo pavese è il 27 febbraio, termine ultimo per partecipare al premio dedicato a  "Massimo Ghimmy", libraio noto tra gli studenti, con cui la famiglia mette a disposizione 1200 euro netti per premiare una tesi di secondo livello in uno dei corsi afferenti a Lettere europee e americane, sempre discussa tra il primo gennaio 2013 e il 31 dicembre 2014 e con una votazione di almeno 108/110. Il secondo bando, promosso dai locali Lions Club e Rotary Club, conferisce invece 2mila euro netti al migliore elaborato in Scienze motorie che discuta di disabilità nella pratica sportiva, senza sbarramenti sul voto. Infine, in ambito storico e in tema di conflitti mondiali del XX° secolo, fino al 6 marzo il premio "Giuseppe Mango" mette a bando 1600 euro lordi in onore della lotta per la democrazia, di cui Mango è superstiste. Fin qui, i bandi per chi si è laureato da poco, ma studenti e laureandi dell'università di Pavia possono tenere d'occhio la pagina dedicata ai premi di studio, sempre piuttosto ricca.L' Istituto veneto di scienze, lettere e arti  assegna poi il  premio "Alessandro Valcanover" alla migliore tesi di dottorato che dall'inizio del 2013 alla data di scadenza del bando, il 20 febbraio, abbia analizzato un tema legato alla montagna da una prospettiva ambientale, geologica o forestale. I  2500 euro del riconoscimento, offerti dai genitori di Valcanover, saranno consegnati nel corso della cerimonia di chiusura dell'anno accademico, tra maggio e giugno prossimi. Per partecipare è sufficiente inviare per mail a premiconcorsi [chiocciola] istitutoveneto.it insieme a cv e copia pdf del lavoro.Un altro bando, davvero super, è quello promosso dall'associazione di professionisti ICT, Aica, insieme a Rotary International. Si chiama Etic - Etica delle tecnologie dell'informazione e comunicazione e fino al 28 febbraio assegna ben dieci premi da 2400 euro ciascuno a autori e autrici di tesi di laurea o dottorato che abbiano guardato alle implicazioni etiche e sociali dell'uso delle tecnologie digitali, nei più vari ambiti: formazione, lavoro, salute, ricerca. Indispensabile un voto di almeno 106/110 e, per i dottorati, di 96/100 dopo la discussione, che deve essere avvenuta tra il primo marzo 2014 ed il 20 febbraio. La domanda va fatta online, allegando copia pdf di certificato di laurea o dottorato, lettera di presentazione del relatore, eventuali pubblicazioni e una presentazione di cinque pagine della tesi, non l'intero lavoro, che sarà chiesto solo alla rosa dei finalisti. I dieci vincitori si ritroveranno poi a Torino per la cerimonia di premiazione, a giugno.Stessa scadenza, il 28 febbraio, per il riconoscimento che un gruppo di Lions Club veneti riserva ai laureati in Medicina dell'anno solare 2014 che si siano interessati alle malattie rare, ereditarie e metaboliche. In palio ci sono tre somme da 2mila, mille e 500 euro, destinate ai primi tre classificati. Chi pensa di volerci provare deve spedire cv e quattro copie cartacee della tesi (non necessariamente per raccomandata A/R) più una digitale alla sede del Lions Club capofila dell'iniziativa, a Padova. Su un versante ibrido tra tecnologia e giurisprudenza, il Cei - Comitato elettrotecnico italiano invece torna con un premio consolidato, quest'anno alla sua 19esima edizione. L'avviso è per tre riconoscimenti, rispettivamente del valore di 2500, 2mila e 1500 euro per le tre migliori tesi dedicate allo sviluppo della normativa -  italiana e non - in un ampio ventaglio di settori: elettrotecnico, elettronico, delle telecomunicazioni, commerciale e terziario. Destinatari sono tutti i laureati, sia triennali che di biennio, in Ingegneria, Economia, Giurisprudenza e Scienze politiche che abbiano concluso o concluderanno gli studi tra il primo gennaio 2014 e il prossimo 28 febbraio. Modulo di domanda, copia della tesi rilegata, copia del certificato di laurea e una nota del relatore che avalla  la partecipazione al premio devono pervenire per raccomandata A/R alla sede del Comitato, a Milano, entro il 15 marzo. Ai vincitori verrà poi richiesto un estratto di venti cartelle, da presentare nella cerimonia pubblica di premiazione, per la quale il comitato si fa carico delle spese di viaggio e alloggio (solo per i vincitori distanti da Milano più di 100 km).Chi infine ama il territorio del Sulcis Iglesiente, nell'estremo sud ovest della Sardegna, e vi ha dedicato il proprio lavoro di tesi, può partecipare al bando promosso dalla locale divisione Cgil e dal centro studi della Cgil sarda. Sono ammessi tutti i laureati italiani degli anni 2012/2013 e 2013/2014 con meno di 35 anni, sia di primo che di secondo livello, che abbiano guardato alla regione analizzando le ripercussioni su di essa della crisi economica e occupazionale, le politiche di sviluppo industriale e sociale o che abbiano elaborato progetti di salvaguardia e recupero del territorio. Al primo e secondo classificato tra i laureati triennali andranno rispettivamente mille e 500 euro netti; ai colleghi senior 1500 e 750 euro. Entro il 30 marzo dovranno pervenire (consegnate a mano o per raccomandata A/R alla sede territoriale della Camera del lavoro, a Carbonia) solo i moduli di domanda, in carta semplice. Per spedire la tesi, richiesta sia in formato cartaceo che digitale, c'è tempo invece fino al 30 aprile, secondo le stesse modalità. Una copia digitale del lavoro va poi obbligatoriamente inoltrata anche a sulcis [chiocciola] cgilsarda.it.Annalisa Di Palo

WingLights, la startup che ha messo le frecce alle biciclette

«Why does your bicycle not have indicator?», perché la tua bicicletta non ha gli indicatori di direzione luminosi? si legge sulla home page del loro sito. La domanda se la sono posta Luca Amaduzzi e Agostino Stilli, entrambi under 30 emigrati a Londra per completare gli studi, ma anche ciclisti per passione e per necessità. La loro risposta si chiama Winglights, il primo dispositivo che consente di montare le cosiddette frecce anche sulle biciclette. Amaduzzi frequenta il master in innovation creativity and leadership alla City University London, Stilli ha scelto un dottorando in robotica  a Londra dopo una la laurea in ingegneria in Italia ed entrambi per spostarsi nella “city”  usano la bicicletta. «Essendo abituato in Italia a guidare l’auto sentivo la mancanza delle frecce» racconta Luca Amaduzzi alla Repubblica degli Stagisti:  «Go provato a cercare su internet, ma non c’era nessun prodotto che permettesse di applicare gli indicatori di direzione anche sulle biciclette, così mi sono detto “perché non inventare qualcosa?”. Ho parlato dell’idea al mio coinquilino Agostino e insieme abbiamo deciso di provarci».   Qui la storia smette di essere italiana e comincia quella tutta londinese di una startup che dopo solo un anno è pronta a diventare un’impresa. «E’ successo tutto molto velocemente» racconta ancora Amaduzzi: «Burocrazia? Con 25 sterline, poco più di 30 euro, abbiamo aperto la società. Tutta la procedura si fa online». E poi l'accesso al credito? «Con il Sirius Programme dell’UKTI, lo United Kindom Trade & Investment, la nostra idea è stata selezionata per entrare a far parte di un accelleratore d’impresa finanziato dallo Stato che per un anno ci ha messo a disposizione tutto ciò di cui ha bisogno una startup: possiamo interagire con un gruppo di mentor esperti che ci consigliano su ogni aspetto, dalla produzione al marketing, ma la cosa più importante sono i contatti. Se chiediamo di poter presentare il nostro prodotto, loro ci mettono in contatto con potenziali clienti». In pochi mesi i due startupper hanno bruciato le tappe, certo aiutati da un contesto che aiuta i giovani. E che succede mancano un ufficio e una vera e propria sede di produzione? «All’inizio ci siamo un po’ divertiti con stampi fatti in casa e silicone liquido» prosegue Amaduzzi: «e una volta raggiunto un risultato soddisfacente abbiamo realizzato dei prototipi con le stampanti 3D dell’università. L’idea è piaciuta così tanto che la stessa università attraverso uno spin-off  ci ha messo a disposizione un ufficio, gratis». L’unico costo che i due hanno sostenuto è stato il viaggio in Cina per scegliere la linea di produzione che avrebbe realizzato in serie il loro prodotto: «Se le cose non fossero andate bene l’avremmo presa come una vacanza, ma là abbiamo capito che bastava qualche piccolo ritocco al prodotto per poter davvero entrare in produzione».Studiando le macchine utilizzate per la manifattura Amaduzzi e Stilli hanno deciso di sostituire la plastica utilizzata nei primi prototipi con l’alluminio «e il prodotto» dicono «è diventato ancora più gradevole esteticamente. Per noi quel viaggio è stato fondamentale, abbiamo toccato con mano e visto con i nostri occhi la filiera produttiva».  Ma per il primo stock di produzione ci vuole un finanziamento. La “banca” che ha sostenuto il vero lancio di Winglights si chiama Kickstarter, una delle più grandi piattaforme online per la raccolta di fondi: «Abbiamo proposto il prodotto e grazie al crowdfunding abbiamo raggiunto il budget per iniziare la produzione. Le circa 600 persone che ci hanno dato un contributo riceveranno in omaggio il prodotto, il resto andrà in commercio».Winglights è un oggetto semplice e innovativo allo stesso e per capire come funziona bastano pochi click sul sito internet, dove è già possibile pre-ordinare l’oggetto. Si inserisce all’estremità del manubrio un supporto in gomma e su questo, attraverso un magnete, si applica il vero e proprio indicatore luminoso. Per attivarlo e disattivarlo basta premere con la mano sulla luce e la freccia si accende o si spegne. Ma portarsi dietro un paio di frecce può non essere pratico: i due startupper hanno risolto anche questo problema. Appena scesi dalla bici basta infatti staccare le frecce e avvicinare i due magneti per portarle comodamente in borsa o nello zaino senza il rischio di perderle. E possono essere usate anche come portachiavi. Il video promozionale realizzato per il sito internet mostra quanto WingLights sia un prodotto facile da insatallare e da usare, ma soprattutto quanto sia utile per la sicurezza chi sceglie la bicicletta come mezzo di trasporto. Un’idea italiana che all’estero ha trovato la strada per diventare un’impresa.  «Se fossimo stati in Italia non so se che cosa sarebbe successo» ammette Amaduzzi un po’ sconsolato: «Qui abbiamo trovato un ambiente molto favorevole per realizzare la nostra impresa. A me l’Italia piace tantissimo e adoro la mia Firenze o la Sardegna dove i miei genitori gestiscono un hotel, ma le possibilità per i giovani, qui a Londra, sono molte di più».  

Volontariato in crescita: chi lo fa è anche più felice

Sarà perché il lavoro è sempre più scarso, la disoccupazione sale e tante persone hanno, volenti o nolenti, molto tempo libero. Sarà che a volte, in un mondo di consumismo, fa bene ritrovare il valore della semplicità e del dono. Sta di fatto che il volontariato, così come in generale tutto il terzo settore o comparto non profit che dir si voglia, è in forte ascesa. E non certo solo per la malavita che – come informa la cronaca  – ha attinto a piene mani da questo bacino. Chi sceglie questa strada lo fa perché ci crede davvero e per un'autentica spinta altruistica. Del resto chi l'ha detto che la soddisfazione personale arrivi solo dalle occupazioni retribuite? A censire il fenomeno è stato l'Istat insieme a CSVnet (Coordinamento nazionale centri servizio per il volontariato) e Fondazione Volontariato e Partecipazione.A «offire il proprio tempo per gli altri» fa sapere alla presentazione Tania Cappadozzi, responsabile della ricerca, «sono 6,63 milioni di volontari operativi, di cui 4,14 attivi in organizzazioni». Considerando una settimana lavorativa standard da 36 ore, l’ammontare del lavoro volontario equivale a quello di circa 875mila unità occupate a tempo pieno. La sezione più cospicua è quella dei 45-65enni, quasi un quinto del totale. Più pigri i 25-44enni, che costituiscono solo 15% del totale. Al Nord est è concentrata la parte più attiva dei volontari (16%), seguiti da Nord ovest (13%) e Centro quasi a pari merito. Il Sud è invece fanalino di coda con un più ristretto 8% di persone che si impegnano per il prossimo. Ed è sbagliato credere che a dedicarsi agli altri siano risorse con poche chance di essere occupate: al contrario, la maggior parte di loro possiede una laurea e ha anche già un impiego.La decisione di utilizzare quel tempo che avanza dopo il lavoro (sempre che ci sia, il lavoro) è quindi dovuta a una voglia di darsi da fare che prescinde dalla ricompensa economica. Corollario di questo profilo stilato dalla Cappadozzi è che il «benessere soggettivo», come lo definisce la ricercatrice, è più spiccato nei volontari rispetto al resto della popolazione. Tra i volontari organizzati - quelli cioè che prestano servizio per organizzazioni vere e proprie, a differenza dei non organizzati, che agiscono per conto proprio - la fiducia nel prossimo è superiore di quasi quindici punti rispetto agli altri: 35 contro 20%. Di pari passo cresce la soddisfazione nei confronti della propria vita (+11%) e l'ottimismo verso il futuro (+6%). Il ritorno sul piano umano per chi esercita una qualche attività di volontariato è indiscusso: tantissimi dicono di «sentirsi meglio con se stessi, di aver allargato la propria rete di conoscenze, di aver addirittura cambiato modo di vedere le cose», sottolinea Riccardo Guidi della Fondazione Volontariato e Partecipazione, che ha curato una ripartizione dell'esercito dei volontari italiani particolarmente interessante. Ci sono quelli che lo abbracciano per «sopperire ai bisogni non soddisfatti della comunità e dell'ambiente», la metà circa, abitata soprattutto dalla fascia di mezzo dei 45-54enni (58%). Ci sono i volontari per amicizia, che lo praticano «per stringere e coltivare nuovi rapporti» (il 30% che però diventa il 40 nei ragazzi tra i 15 e i 24 anni), o per credo religioso (il 25%). E poi c'è anche una piccola fetta che lo fa invece per «valere, ossia mettersi alla prova, valorizzare le proprie capacità o accrescere la propria occupabilità». Sono il 17% dei 4 milioni di volontari italiani organizzati, ma «i giovani tra i 14 e i 24 anni e tra i 25 e i 34 anni caratterizzano significativamente questo gruppo», spiega Guidi. Ed è qui che infatti si ristabilisce un ponte tra terzo settore e mondo del lavoro, tutt'altro che separati. Marco Musella, docente di economia politica alla Federico II di Napoli, ha illustrato nella sua ricerca come «il volontariato sia infatti propulsore di nuove professioni». Il professore lo ritiene «sperimentatore di nuove professioni, strumento di accumulazione di capitale umano e facilitatore dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro». È in questo campo che si crea infatti l'esigenza di «operatori di primo contatto, che si dedichino all'accoglienza» ad esempio. Insieme a loro si rendono necessari «animatori di centri socio-educativi» che accompagnino le persone nella crescita e nel benessere personale attraverso la cosiddetta 'education', ovvero l'insieme dei processi formativi. Per rendicontare i progetti si crea spazio poi per «figure gestionali e amministrative di vari livelli», sottolinea Musella, che «reperiscano risorse e organizzino processi produttivi sui generis». E poi ci sono i progettisti, quelli che per mestiere devono conoscere le caratteristiche dei bandi pubblici e quindi essere in grado di formulare progetti che possano vincerli.Qui si aprono possibilità anche per «un profilo alto, di tipo manageriale, del quale si avverte il bisogno in settori come la cultura, l'ambiente, il sociale, dove i processi produttivi avvengono sfruttando le reti relazionali corte e lunghe». Il volontariato «contribuisce alla creazione di capitale umano e all'incremento delle competenze trasversali». Non a caso le principali attività svolte nelle organizzazioni di volontariato sono in mano a specialisti delle scienze gestionali (per il 76% dei casi).  Il volontariato agevola pure il matching tra domanda e offerta di lavoro: anche nel non profit, come altrove, la partecipazione delle persone rende più facile la circolazione delle informazioni e quindi la creazione di nuovo «capitale umano». Ilaria Mariotti 

Servizio civile, 50mila i volontari previsti nel 2015. Al via progetti per zone di guerra

Buone notizie per il servizio civile nazionale. Dopo stagioni di stallo – qualche anno fa il bando fu perfino soppresso – l'operazione di rilancio promessa dal governo, il cosiddetto servizio civile universale per 100mila ragazzi, sembra dare i primi frutti. Sperando che agli annunci seguano i fatti. La prima novità riguarda il bando per i Corpi civili di pace, in dirittura d'arrivo – forse già nelle prossime settimane – e destinato a 500 giovani da inviare in zone di post conflitto o emergenza ambientale. Nove milioni i fondi stanziati. «Nel 2015 daremo attuazione mediante un decreto ministeriale a una norma già prevista nella legge di stabilità 2013 che prevedeva un intervento sperimentale di tre anni per la creazione di corpi speciali per 500 giovani» ha spiegato il sottosegretario al lavoro Luigi Bobba in conferenza stampa a Palazzo Chigi. Un progetto inedito per l'Italia, che pone anche qualche serio problema di sicurezza considerata l'emergenza bellica internazionale. Per questo, ha assicurato Bobba, «sarà coinvolta anche la Farnesina per individuare le località adeguate».Sempre per il 2015 è previsto anche l'avvio di un altro progetto sperimentale, il servizio civile europeo IVO4 ALL, in vigore dal primo febbraio con l'ok della Commissione europea. Come rivelato dal sottosegretario, proprio dopo gli attentati di Parigi dalla Francia è stata avanzata la richiesta di un servizio civile obbligatorio europeo, di cui IVO4 ALL rappresenterebbe un abbozzo. Per questa fase provvisoria, i paesi partner sono Francia, Germania, Italia, Lituania, Lussemburgo e Regno Unito. I fondi sono in questo caso più esigui, tre milioni, di cui quasi due provenienti dall'Europa, e i restanti suddivisi tra gli stati partecipanti. I volontari saranno infatti un numero ridotto di 100, e l'Italia avrà il ruolo di «paese leader» specifica il comunicato, insieme a Francia e Regno Unito. Per gli altri i compiti saranno minori, di «comunicazione o di semplici spettatori».Confermata poi l'introduzione del servizio civile dentro il programma Garanzia giovani, un'idea che non tutti hanno salutato con favore (convinti che il programma europeo anti-disoccupazione debba soprattutto preoccuparsi dell'occupazione). Finora i posti disponibili sono stati 5504, offerti dalle dieci regioni partecipanti: Abruzzo, Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia e Umbria. Quest'anno si aggiungerà anche il Molise, e il numero complessivo delle partenze – con i nuovo bandi in uscita entro il primo semestre sarà portato a 7500.Ma sono anche altri i rami in cui si diversificherà, almeno nelle intenzioni, il servizio civile. Ci sono infatti i progetti autofinanziati in Italia da enti o amministrazioni che li hanno proposti (tra questi Anpas, Codacons, Regione Puglia, Regione Campania e Regione Lombardia), per un totale di 1304 volontari. Ci sono poi «i protocolli di intesa e gli accordi di programma» ricordati nel comunicato, «firmati negli ultimi due mesi del 2014 per avviare al servizio civile nazionale 2662 volontari». Le sedi di accoglienza saranno i ministeri dei Beni culturali, dell'Ambiente e dell'Interno, l'Autorità nazionale anticorruzione, e lo stesso Expo 2015. Quanto alle coperture finanziarie, si attingerà ancora dal bacino di Garanzia giovani (il 50% viene da lì), e da «risorse delle varie amministrazioni» per la restante metà. Contando anche i bandi straordinari per grandi invalidi e ciechi (da emanare entro gennaio) per 954 persone, «il dato previsionale 2015» riassume il comunicato, ammonta a 48mila partenze. Solo nel 2005-2006 ci si era avvicinati a questa cifra, con 45mila posti, poi drasticamente tagliati di anno in anno fino agli 893 del 2013.A una domanda sullo status giuridico dei selezionati il sottosegretario Bobba ha ricordato: «Non perché ci sia un rimborso spese, vuol dire che non si tratta di volontariato. Un emolumento è ammesso anche dalla legge sul volontariato in alcuni casi». Di buono ai fini dell'occupabilità c'è però che d'ora in poi il servizio civile nazionale potrebbe assumere valore grazie al sistema di certificazione delle competenze. «L'Isfol è stato incaricato di approntare un sistema di validazione e certificazione delle competenze acquisite dai volontari» preannunciano dal Dipartimento della gioventù. Segnando forse così un ulteriore passo in avanti.In un paese dove i Neet sono ai massimi livelli, anche queste opportunità di servizio civile sono preziose. I giovani hanno entusiasmo e voglia di mettersi in gioco. Lo ha raccontato Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e statistica sociale, illustrando i risultati del Rapporto giovani dell'Istituto Toniolo condotto su circa 1800 19-30enni. «La condizione peggiore per i giovani italiani è quella di rimanere inattivi e inoperosi senza vere opportunità per mettere alla prova le proprie abilità, il proprio saper essere e saper fare» è scritto nel riassunto del report. «La grande maggioranza presenta una grande volontà di essere attiva e partecipativa e una forte predisposizione all'intraprendenza». E infatti sfiora l'80 per cento la quota di intervistati nel sondaggio che si dice disposta a tentare la strada del servizio civile, qualora gliene venisse offerta la possibilità. Ilaria Mariotti 

Tito Boeri alla presidenza dell'Inps: perché non piace ai vecchi, perché dovrebbe piacere ai giovani

Tito Boeri è da poco diventato presidente dell'Inps. Anzi, in realtà bisognerebbe dire che per adesso è solo stato nominato: il consiglio dei ministri ha annunciato il suo nome, ma ora c'è da espletare la trafila burocratica. Che prevede alcuni passaggi: al momento il testo della delibera che sancisce la sua nomina è in commissione lavoro in entrambe le Camere, per un parere; quando li avrà ottenuti dovrà essere votata, poi tornerà al Governo e quindi al Quirinale e infine diventerà un dpr, cioè un decreto del presidente della Repubblica. In caso il successore di Giorgio Napolitano non fosse ancora stato nominato, il decreto potrà comunque essere firmato dal presidente del Senato Pietro Grasso, che al momento ne fa le veci. La nomina è passata un po' sotto silenzio perché è arrivata il giorno della vigilia di Natale. Sul sito web ufficiale dell'Inps, a poco meno di un mese dall'annuncio di Renzi, non vi è alcuna traccia di Boeri - tutto è fermo infatti al commissario Treu. Eppure salvo rivoluzioni tra poco il docente di economia alla Bocconi, tra i fondatori del sito La Voce, dovrebbe insediarsi. E si tratta di una notizia importante.Boeri, oggi 56enne, è stato infatti in questi anni in prima linea nel denunciare le storture e le iniquità del mercato del lavoro italiano, i soprusi subiti dai giovani dal punto di vista della retribuzione e delle tutele, il grande pericolo della scarsa contribuzione che porterebbe - porterà - nel 2030-2040 a una schiera di pensionati poveri: i sottopagati di oggi che diventeranno domani sottopensionati. Boeri ha detto e scritto queste cose innumerevoli volte, ha lavorato a proposte di legge per riformare il mercato del lavoro. Una volta che si sarà insediato al vertice dell'Inps, potrebbe fare la differenza. Le due richieste che già gli avanza la Repubblica degli Stagisti sono semplici. La prima: mandare finalmente le famose "buste arancioni" a tutti gli iscritti alla gestione separata, con il prospetto dell'ammontare dell'assegno pensionistico futuro in base ai contributi finora versati. Gli iscritti sono quei circa tre milioni e mezzo di persone che non hanno un contratto di lavoro di tipologia subordinata e non fanno riferimento a casse previdenziali di categoria (come l'Inpgi gestione separata per i giornalisti, etc). Questi tre milioni e mezzo di contribuenti ogni anno versano otto miliardi di euro nelle casse dell'istituto alla cui testa tra poche settimane arriverà Tito Boeri. Sono anni che si parla di queste famose buste arancioni, ma il precedente presidente - il famoso Antonio Mastrapasqua, quello con i venti e più incarichi - a un convegno nell'ottobre del 2010 si lasciò scappare la celeberrima frase «Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale» e infatti continuò per anni a rimandare, sperando che tutti se ne dimenticassero. Non ce ne siamo dimenticati. Dunque professor Boeri, bando alle ciance: mandi ai precari i prospetti delle pensioni, si prenda la responsabilità di alzare il sipario sul futuro, in modo che anche la politica possa prendere finalmente coscienza del problema e agire di conseguenza.La seconda richiesta: fare chiarezza sull'ammontare dei contributi silenti, cioè quelle quote contributive versate dai lavoratori che non sono sufficienti ai fini della maturazione di una pensione minima, e che però non vengono restituite - come accade in molti Paesi civili - ai contribuenti né sotto forma di prestazione previdenziale, né come rimborso in un’unica soluzione. Questi soldi vengono incamerati dall'Inps e usati per pagare le pensioni a chi ne ha maturato pieno diritto.Boeri conosce bene la materia. Prova ne sia che tra le altre cose, nel 2011 aveva anche firmato l'introduzione del saggio Senza pensioni, scritto da Walter Passerini e Ignazio Marino e pubblicato dalla casa editrice Chiarelettere, definendo così il merito del libro: «documentare queste iniquità, per una volta soffermandosi soprattutto su quelle intragenerazionali anziché solo su quelle intergenerazionali» e complimentandosi con gli autori per aver fatto emergere  «le differenze fra i trattamenti riservati ai lavoratori dipendenti e a quelli di diverse categorie di lavoratori autonomi» e «gli effetti dell’assenza di tetti alle pensioni definite con il metodo retributivo, con trattamenti pensionistici che superano i 90mila euro all’anno». Rileggere quelle pagine è molto interessante per capire l'approccio del prossimo presidente dell'Inps rispetto al tema delle pensioni come voce principale di spesa dello Stato italiano: «La spesa corrente è fatta per più del 40 per cento di pensioni. La parte restante è rappresentata dalla spesa per beni pubblici quali difesa, istruzione, giustizia, sanità, ambiente, cultura, ammortizzatori sociali e assistenza. Se non si toccano le pensioni bisogna operare tagli della spesa per istruzione, sanità, giustizia e per gli altri beni pubblici dell’ordine del 12 per cento in un biennio». Ovviamente Boeri è convinto che gli sprechi nella gestione dei fondi pubblici siano molti, e che sarebbe possibile cominciare a tagliare quelli prima di andare a ridurre prestazioni essenziali come l'istruzione e la cultura, ma è ben consapevole che le spending review "ragionate" non piacciono ai politici, poco inclini a ridurre le proprie prebende; e dunque che se non si riducono le pensioni tagli consistenti alla spesa pubblica «possono essere conseguiti in tempi ristretti solo facendo pagare di più gli utenti di questi servizi (la spesa alberghiera negli ospedali, la scuola ecc.) che oggi vengono già in Italia forniti in quantità e qualità minore che in molti altri paesi a simile grado di sviluppo. Non sembra perciò neanche immaginabile un processo di riduzione del debito pubblico senza intervenire sulla spesa previdenziale». L'idea di fondo di Boeri è che in Italia per molti anni si sia andati in pensione troppo presto: «Negli ultimi 40 anni, abbiamo guadagnato circa 10 anni di vita. La longevità è cresciuta a un ritmo impressionante e imprevisto: due anni e mezzo ogni dieci». Il professore certamente non si rammarica di questo aumento dell'aspettativa di vita, ma osserva che esso incide non poco sull'equilibrio finanziario del sistema previdenziale e sulle casse dello Stato: «Non sarebbe stato un problema per la sostenibilità della spesa pensionistica, se le persone avessero cominciato a lavorare più a lungo, destinando la stessa percentuale di tempo di vita all’inattività. Invece, mentre aumentava la speranza di vita, gli italiani hanno iniziato a lavorare sempre di meno». E gli esempi che porta sono impressionanti: «I nati nel 1925 lavoravano, in media, 45 anni, mentre i nati nel 1945 lavorano 8 anni in meno. Il fatto è che si inizia a lavorare più tardi e ci si ritira prima dalla vita attiva: negli anni Sessanta si andava in pensione a 63 anni, oggi a 59. Ne consegue che le pensioni oggi vengono erogate per molti più anni, facendone lievitare i costi».E chi paga queste pensioni? Boeri spiega che «questi trattamenti pensionistici sempre più costosi vengono pagati da chi lavora, con la promessa che, quando andranno in pensione, verranno trattati allo stesso modo. Ma il maggiore costo delle pensioni unito al calo delle nascite (quindi del numero di coloro che in futuro pagheranno le pensioni di chi si ritira dalla vita attiva) hanno reso questo patto intergenerazionale insostenibile e iniquo». I giovani di oggi si ritrovano dunque un macigno sulle spalle, costituito dall'ammontare delle generose pensioni di chi ha già smesso di lavorare o smetterà nei prossimi anni: «Oggi chi lavora versa, tra contributi e tasse sui redditi, circa il 45 per cento dei propri salari a chi è in pensione e che, a suo tempo aveva trasferito ai pensionati di allora non più del 30 per cento del proprio stipendio. Di più, chi ha iniziato a lavorare negli ultimi 10 anni sa che riceverà una pensione molto più bassa (dal 20 al 30 per cento inferiore, in rapporto all’ultimo salario) di chi va oggi in pensione». Risultato, nessuno vuole più saperne di contributi così alti: «La tassa imposta da chi è in pensione su chi lavora sta diventando così alta che i datori di lavoro la pagano sempre di meno: si creano posti che prevedono contributi previdenziali più bassi (dai Co.co.co. ai contratti a progetto) e si pagano salari inferiori, il che significa che la tassa viene fatta pagare ai lavoratori. Chi oggi inizia a lavorare ha un salario netto di ingresso del 15 per cento inferiore a chi iniziava a lavorare dieci anni fa. Il risultato è che questi nuovi entrati rischiano, pur lavorando 45 anni come si faceva una volta e pagando ai pensionati una tassa molto più alta di allora, di non arrivare a maturare i requisiti per una pensione al di sopra del livello di sussistenza. Cornuti e mazziati, verrebbe da dire. E non serve alzare i contributi, se non si riduce la tassa previdenziale che grava sul lavoro».In quelle pagine Boeri non si è limitato a descrivere l'esistente e tessere le lodi del libro, ma ha indicato con decisione la necessità da parte della politica di farsi carico del problema e di immaginare soluzioni sostenibili e immediatamente efficaci: «È molto importante andare oltre la denuncia dello status quo. Un sistema pensionistico sostenibile ed equo dovrebbe definire il livello dei trattamenti pensionistici in base a quanto si è effettivamente versato durante tutta la vita lavorativa e tenere conto del numero di anni in cui si finirà, presumibilmente, per fruire del trattamento». Uno scontro frontale con i sostenitori - quasi tutti, va da sé, pensionati o pensionandi - del vecchio sistema retributivo, ormai non più in vigore, che ha assicurato per decenni a chi andava in pensione la corresponsione di un assegno pensionistico mensile praticamente uguale all'ultimo stipendio, indipendentemente dall'ammontare dei contributi versati negli anni lavorati. Un vero e proprio regalo "a babbo morto", che adesso si ritrovano a dover pagare tutti quelli nati dagli anni Settanta in poi.Boeri però non è d'accordo nemmeno con chi propone di tagliare le pensioni in essere: «Dato che non si è fatto nulla quando si poteva intervenire sull’età di pensionamento, adesso i politici che vogliono ridurre la spesa pensionistica rivolgono sempre di più la loro attenzione sulle pensioni in essere. Si prospettano cambiamenti nelle regole di indicizzazione, se non veri e propri tagli forzosi delle prestazioni più alte. Si tratta di interventi del tutto arbitrari, il cui unico scopo è fare cassa, ignorando o addirittura aumentando le storture, le sperequazioni del nostro sistema previdenziale» - da notare che queste righe erano state scritte prima della riforma Fornero. «Sarebbe molto più equo, perché coerente con la transizione al sistema contributivo, indicizzare le pensioni al di sopra dei minimi sociali, alla crescita economica, così come avviene in Svezia» concludeva Boeri nell'introduzione del saggio di Passerini e Marino: «Non solo permetterebbe di ottenere risparmi sostanziali sulla spesa pensionistica in caso di bassa crescita, ma determinerebbe una compartecipazione dei pensionati alle perdite o ai guadagni dell’economia. Perché sin quando le pensioni saranno una variabile indipendente, la crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun interesse a sostenere politiche per la crescita». La maggior parte dei pensionati di oggi infatti non gradisce la sua nomina: quelli di domani invece dovrebbero, perché se Boeri manterrà saldi i principi che ha sempre predicato negli ultimi anni, lavorerà per ridurre le iniquità e per assicurare ai venti-trentenni di oggi una pensione dignitosa per domani.

700 tirocini alla Commissione Ue, rimborso mensile di mille euro: ultimi 10 giorni per candidarsi

Ancora dieci giorni utili per partecipare alla nuova selezione di stagisti alla Commissione europea di Bruxelles. Le applications si sono aperte lo scorso 5 gennaio e chiuderanno a fine mese, il 31 alle ore dodici. Per chi fa domanda adesso la partenza per il tirocinio è fissata per ottobre, con scadenza a febbraio 2016. Cinque mesi dunque, ma è possibile anche ridurre il periodo di tirocinio a tre mesi, il «minimo» per poter accedere come da regolamento. Il rimborso spese mensile è di mille euro lordi, e – come al solito in questi casi – l'eventuale tassazione della borsa dipenderà dalla legge italiana e soprattutto dalla propria posizione fiscale (come l'essere o meno a carico dei genitori). Per sciogliere ogni dubbio meglio perciò affidarsi a un consulente. È abbastanza impressionante vedere come il desiderio di acciuffare una di queste opportunità di stage sia raddoppiato negli anni, complice di certo la crisi economica e la disoccupazione giovanile. Secondo le statistiche ufficiali, le candidature totali sono passate dalle 7mila del marzo 2013 alle 15mila di oggi. Più del doppio in due anni. E ancora di più colpisce il fatto che gli italiani siano ormai da tempo saldamente in testa in questa corsa: ci hanno provato in 1500 a inizio del 2013 e sono triplicati (4500) all'ultimo bando. Crescono di pari passo con la disoccupazione giovanile galoppante, in parallelo a altri loro colleghi europei sempre mal messi in fatto di occupazione come gli spagnoli. Che però sono passati "solo" da 800 a 1400. Tra le ragioni del successo di questo programma di tirocini ci sono certamente le ottime condizioni offerte. Ad esempio, tra i benefit garantiti c'è il rimborso delle spese di viaggio, anche se il sito non anticipa nulla riguardo gli importi: «I tirocinanti assunti possono ricevere un'indennità di viaggio in funzione della disponibilità di bilancio» si legge, ma è «l'ufficio tirocini che definisce il metodo di calcolo dell'indennità, le modalità e la procedura da seguire». Lo stesso vale per le eventuali missioni a titolo individuale fuori dalla capitale belga, rimborsate ma con indennità variabili: «si applica il regime generale previsto dallo statuto dei funzionari delle Comunità europee». Esiste anche la possibilità di essere assegnati alla Direzione generale della stampa o a qualche rappresentanza sparsa tra Lussemburgo, Dublino o Londra. In questi casi il regime economico cambia: questi stagisti «riceveranno, oltre all'indennità di viaggio, un'indennità giornaliera (pro die) nel corso delle conferenze introduttive a Bruxelles, all'inizio del tirocinio». Insomma, se per ragioni di lavoro ci si deve spostare nella sede centrale, il rimborso delle spese sostenute è garantito.Va segnalato che la domanda di tirocinio può essere indirizzata verso due opzioni, quella amministrativa o quella delle traduzioni. Ed è proprio per chi si candida a questa ultima che i requisiti di ammissione si fanno più stringenti: se a tutti è rivolta la richiesta del diploma almeno triennale, una buona conoscenza di inglese, francese o tedesco più quella di una seconda lingua europea, per la Translation Directorate General si esige anche la capacità di tradurre verso la propria lingua madre da altri due idiomi ufficiali Ue. Le lingue conosciute devono in sostanza salire a tre. Universale e automatica è invece l'esclusione di chi abbia prestato servizio presso qualsiasi istituzione europea per più di sei settimane, «sia rimborsato che non» chiarisce il sito. La domanda si spedice online e gli step da seguire sono due. Ci si registra creando un account e si compila l'application, anche in più fasi, salvandola sul web di volta in volta. L'importante – sottolineano dall'ufficio tirocini – «è non aspettare gli ultimi giorni per inviarla». Sia per la grande quantità di candidature inviate – come accennato, nell'ordine delle migliaia ogni anno – sia «per rispondere alle richieste di supporto, che non sono immediate e che possono tardare anche tre giorni». Nella selezione prevalgono i criteri del «profilo accademico, conoscenze linguistiche e titoli aggiuntivi». Ne viene fuori una shorlist di circa 2800 finalisti, che finiscono nel famoso 'blue book'. Poi la seconda scrematura a carico delle singole direzioni «in base a specifiche esigenze e criteri», e non da ultimo anche grazie a contatti diretti che i candidati stabiliscano con i membri della Commissione, e infine la selezione di un gruppo di circa 650 stagisti a ogni sessione (la prima dell'anno va da marzo a agosto). È possibile verificare in ogni momento la fase a cui è sottoposta la propria posizione cliccando qui, ed è assicurata – anche per gli esclusi – una mail finale con l'esito del procedimento. Peccato che le speranze per i giovani che partono per Bruxelles si limitano ai mesi di tirocini, non essendoci nessuna chance ulteriore – al netto dell'arricchimento curriculare –, e nessun trampolino di lancio verso un impiego. «I tirocinanti possono essere assunti, dopo aver completato il loro periodo di tirocinio, purché le condizioni e le norme definite per l'assunzione nella categoria del personale corrispondente siano state applicate e osservate. Lo stesso vale per gli ex tirocinanti che sono selezionati a seguito di inviti a presentare candidature o ad esprimere interesse» spiega il regolamento. Che tradotto significa che sono bandite le scorciatoie: per entrare bisogna passare per uno dei concorsi ufficiali banditi dall'Epso. Quella in Commissione non è però solo «un'esperienza professionale», ma formativa a più largo spettro: come scritto sul sito sono tantissime le attività sociali che si organizzano tra stagisti, «dal futbol alla degustazione di vini fino alla moda». È lo Stage Committee che se ne occupa, organizzando decine di «feste e eventi sociali tra Bruxelles e Lussemburgo». I motivi per farsi avanti non mancano.  Ilaria Mariotti 

Selezione di stagisti alla World Bank, per entrare «usate i social network»

C'è tempo fino al 31 gennaio per candidarsi alla nuova tornata di tirocini offerti dalla World Bank, l'organizzazione internazionale la cui mission istituzionale è quella di portare entro il 2030 al di sotto il 3% la soglia di persone che nel mondo vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. Obiettivo ambizioso, che la rende luogo di eccellenza per chi abbia mire professionali nella cooperazione internazionale. La sede principale è Washington, quindi è qui che gli stagisti vengono destinati, benché – puntualizza con la Repubblica degli Stagisti Roberto Amorosino, responsabile delle risorse umane alla Banca Mondiale – non possano escludersi altre mete, essendo 120 le sedi distaccate: per esempio la stessa Roma, che però «ha una struttura molto piccola, dunque le possibilità qui sono limitate». La particolarità di questi tirocini sta anche nel rimborso spese, che è orario: si può andare «da un minimo di 11 a un massimo di 30 dollari l'ora», spiega Amorosino, quindi dai 9 a 25 euro. Alla fine si arriva a un importo medio di circa 2mila dollari al mese, circa 1700 euro, più le coperture per il viaggio di andata e ritorno verso Washington Dc o la destinazione del caso. Per capire però nel dettaglio i criteri adottati nella determinazione dei pagamenti bisogna ricorrere al sito, dove si precisa che «il rimborso dipende da una comparazione di mercato basata sul profilo accademico e sulle esperienze professionali, potendo anche variare di anno in anno in base al budget disponibile». Quel che certo è però che mentre gli interns statunitensi ricevono una borsa lorda soggetta a tassazione, lo stesso non vale per gli stranieri, a cui invece viene versato un importo già al netto dei tributi. Quanto alla data della partenza, «non ci sono date prestabilite» fa sapere Amorosino. Le candidature attuali sono collegate alla sessione estiva, edizione tra le più antiche essendo cominciata negli anni Settanta, e che va da giugno a settembre. Ed è nell'arco di quei mesi che andranno svolte le settimane di tirocinio, da un minimo di quattro a un massimo di sedici, cioè per tutta l'estate. «Non si accettano proroghe» aggiunge il responsabile del personale. Esiste anche una parallela tranche invernale, da dicembre a marzo, per la quale le application vanno inviate tra settembre o ottobre. Per i requisiti, rispetto agli stage nelle istituzioni europee vi sono regole abbastanza diverse. Non è più richiesto come titolo base un diploma di laurea triennale, ma si alza il tiro perché è necessario «essere studenti a tempo pieno all'interno di un master post laurea o di un Phd», quindi un dottorato,  come viene chiarito nelle faq. Questo è di fatto l'unico paletto ufficiale. Dopodiché, sottolinea ancora il responsabile delle risorse umane, è fondamentale un'azione di lobbying per «incrementare la propria visibilità attraverso contatti diretti con aree e professionisti che operano nell’ambito di interesse per il candidato». Importante anche «dimostrare familiarità con le problematiche e le sfide che l’organizzazione affronta nel proprio settore di studi e interesse professionale» e quindi sfruttare in questo senso «i blog e i social media». Il messaggio è dunque che i canali informali - al netto del profilo accademico - fanno più di tutto il resto. E infatti anche le aree di specializzazione più quotate sono tra le più vaste: «economia, finanza, sviluppo, antropologia, sociologia, agricoltura, ambiente» sono alcuni dei campi del sapere citati nel regolamento. Le conoscenze linguistiche sono un punto in più, specie dell'inglese, che deve essere «fluente»; la capacità di parlare lingue come il francese, lo spagnolo, l'arabo, il portoghese o il cinese «può avvantaggiare nella selezione». La domanda di candidatura va fatta online creando un account sul sito (qui alcuni consigli pratici per la procedura). Per le notizie sul superamento o meno della selezione non si devono nutrire troppe speranze, perché le uniche comunicazioni ufficiali arrivano «in caso di buon esito della candidatura. L'ostacolo è soprattutto rappresentato «dal gran numero di applications ricevute ogni anno, circa 5mila per il programma estivo e circa 2-3mila per quello invernale». Da tenere in conto poi che il numero di selezionati varia di anno in anno, ma si può collocare al massimo fra 8-15 stagisti per il periodo invernale e 25-40 per quello estivo a detta di Amorosino. Non si capisce dunque il motivo per cui sul sito si parli di cifre ben più elevate - ovvero circa 200 persone - e non si provveda a correggere l'informazione. Certo è che la scrematura è feroce. Del resto anche le modalità di accesso allo stage lo confermano: si tratta di una graduatoria giustificata sì dai titoli, ma agevolata soprattutto dai contatti che si riescano a creare con i vari manager della Banca Mondiale. Un po' sulla falsariga di quanto accade per la Commissione europea, dopo l'inserimento nel famoso blue book. Per le prospettive future purtroppo anche per la World Bank le opportunità scarseggiano. L'esperienza «resta comunque disegnata per studenti che devono tornare a continuare o completare il programma di master o dottorato e perciò è difficile prevedere possibilità di sbocchi immediati» commenta Amorosino. Di sicuro c'è tuttavia che cinque mesi negli States possono pesare molto nella vita professionale di uno studente, se non altro perché – confermano sul sito – si garantisce un «incremento delle proprie competenze» potenziato «dall'esperienza in un ambiente multiculturale». Ilaria Mariotti 

Erasmus Mundus direzione nord Africa: trenta borse, bando aperto fino al 16 gennaio

L'acronimo è impegnativo, ma riassume un principio importante: Battuta  sta per Building Academic Ties Towards University Training Activities – costruire legami accademici per le attività di formazione universitaria  – ed è un'asse di attività di Erasmus Mundus, il programma con cui la Commissione Ue finanzia la mobilità nel campo dell'istruzione superiore fuori dai confini europei. Battuta opera sull'asse Europa-nord Africa e per l'anno accademico 2015-2016 offre una trentina di borse per studiare o lavorare in una delle undici università africane partner. I termini scadono il prossimo 16 gennaio, e in autunno  si aprirà una seconda call for application.Destinatari sono innanzitutto gli studenti universitari europei, di vario livello:  iscritti a corsi  laurea triennale al secondo anno, a corsi specialistici o a ciclo unico iscritti al quarto anno complessivo di studi, master, dottorato e post-dottorato. Una buona parte delle borse, il 30%, invece è destinata al personale universitario, accademico ma anche amministrativo. La durata della mobilità varia a seconda della categoria di partecipante, ma è in genere di cinque o dieci mesi, tranne per i dottorandi (dieci mesi) e per lo staff (solo un mese). Lo stesso vale per il grant, variabile: mille euro netti al mese per studenti di primo e secondo livello, 1500 per frequentare parte di un dottorato, 1800 per un post-dottorato, 2500 per il mese da docente o amministrativo in prestito alla sponda sud del Mediterraneo. Per tutti invece è previsto viaggio a/r pagato e assicurazioni sanitaria, civile e sul trasporto. Le mete sono Algeria (città di Costantina, Mostaganem, Bejaia), Marocco (Marrakesh, Settat, Béni Mellal, Fès), Tunisia (Sfax), Libia (Tripoli) ed Egitto (Alessandria), dove hanno sede gli undici atenei nordafricani partner. Capofila del progetto è l'Università di Rouen, a cui sul versante europeo fanno invece riferimento altre otto istituzioni - tra cui, unica in Italia, l'Orientale di Napoli. Qui  – oppure in Francia, Spagna, Portogallo, Romania e Lettonia – saranno ospitati invece i candidati di successo provenienti dagli stessi Paesi terzi. Il progetto, che fino al 2017 ha preventivato almeno 285 borse totali, ne riserva infatti il 70% alla mobilità in ingresso dall'Africa verso l'Europa (201 borse totali, di cui una parte ad esclusivo beneficio di studenti bachelor che sono rifugiati politici o in cerca di asilo) e il 30% (84 borse totali, 28 all'anno) al flusso inverso. Per gli aspiranti candidati il punto di partenza è la pagina delle offerte formative disponibili. Scelta la direttrice "Europa > Africa" e il livello di studi, si ottengono dei risultati divisi per atenei e aree di studio, con vari corsi all'interno. È possibile esprimere fino a tre preferenze, considerando però che ci deve essere massima corrispondenza tra il proprio corso di laurea e quello scelto, ed è indispensabile conoscere la lingua di insegnamento (indicata) - per quanto la certificazione non sia obbligatoria. Lo step successivo è l'attivazione veloce di un account, che una volta superate alcune domande di verifica di eligibilità dà accesso alle dieci sezioni della candidatura online, disponibili fino a tutta la giornata di venerdì 16 gennaio. L'ultima sezione è dedicata tutta all'upload dei documenti, che quindi vanno digitalizzati. Alcuni sono semplici da ottenere, altri richiedono più pazienza. Il certificato di laurea ad esempio va tradotto in inglese o francese, mentre il certificato storico va bene in italiano ma deve essere vidimato dall'università; altri documenti vanno prima scaricati dallo stesso sistema di candidatura, poi compilati e fatti timbrare – ci si può rivolgere all'ufficio mobilità – per poi essere caricati online: è il caso ad esempio del certificato di riconoscimento accademico, un consenso ufficiale dell’università allo scambio e una garanzia al riconoscimento dei crediti maturati all'estero, e della dichiarazione d’onore, un’autodichiarazione di veridicità. Chi poi si candida per un dottorato, deve allegare anche una lettera formale di invito dell'istituzione ospitante.Un volta premuto il tasto "Submit", la candidatura è definitiva; se delle modifiche sono necessarie, va fatta una domanda ex-novo. La valutazione preliminare spetta all'università di Rouen, poi la palla passa all'ateneo partner individuato come ospitante. Carriera di studi ed esperienza lavorativa sono le variabili di maggior peso nello scrutinio; seguono la motivazione e la conoscenze linguistiche dichiarate o certificate. I risultati definitivi sono attesi per inizio maggio, mentre il flusso di partenze è in programma a settembre.Annalisa Di Palo

Vulcanus in Japan, quaranta tirocini a cinque stelle nella terra del Sol levante. Domande fino al 20 gennaio

Non è certo un mistero: c’è stage e stage. Alcuni servono, altri meno, altri per nulla - quando non sono addirittura deleteri. Un tirocinio Vulcanus in Japan rientra con tutta probabilità nella prima categoria: un anno di esperienza lavorativa e di vita nella terra del Sol levante riservata a una quarantina di studenti europei di facoltà tecnico scientifiche e finanziata in toto da Commissione europea e aziende giapponesi. Le candidature per l’anno accademico 2015-2016 rimarranno aperte fino al prossimo 20 gennaio. Ecco tutto quello che c’è da sapere.Il programma prevede una permanenza in Giappone di dodici mesi, quattro dei quali destinati ad un corso preliminare di lingua a Tokyo e otto ad un tirocinio in un'azienda locale, prevalentemente nel settore tecnologico. Destinatari sono infatti tutti gli studenti europei di facoltà come Ingegneria (tutti i tipi: meccanica, civile, delle telecomunicazioni, aerospaziale, biomedica), Informatica, Scienze dei materiali, Fisica, Chimica, Biologia; purché iscritti almeno al quarto anno complessivo di studi (cioè, nella maggior parte dei casi, al primo anno della specialistica).Il finanziamento complessivo ammonta a 13mila euro, ovvero 1 milione 900 mila yen, e viene erogato in varie tranche, una più consistente alla partenza e altre più piccole scansionate nel corso dell’anno. La somma copre  i costi di viaggio e le spese personali: l’alloggio è gratuito, fornito dall'azienda ospitante per tutti i mesi di permanenza, sia per i primi quattro destinati al corso di lingua (gratuito e obbligatorio), sia per i successivi otto nella città sede del tirocinio. Gli oltre mille euro a disposizione ogni mese sono quindi sufficienti a vivere bene, senza troppi sacrifici; né del resto sarebbe possibile integrare con lavoretti vari, considerato che con il tipo di visto concesso non è possibile ottenere legalmente un lavoro.A finanziare il programma, giunto ormai alla 17esima edizione, sono per il 40% le industrie giapponesi coinvolte e per la restante parte l’Eu-Japan Center for Industrial Cooperation, promotore e gestore dell’iniziativa. Nato nel 1987 per iniziativa della Commissione Ue - Direzione generale per le imprese e l’industria e del ministero per l’economia giapponese, l’ente non profit si propone di rafforzare i legami industriali tra Europa e Giappone e dal 1997, anno di lancio di Vulcanus, ad oggi da Bruxelles sono arrivati finanziamenti a copertura di oltre 400 borse di placement dall’Europa verso il Giappone. La direttrice è per altro a doppio senso: esiste anche Vulcanus in Europe per gli studenti giapponesi, gestito dall’ufficio di Tokyo.Le domande per l’anno accademico 2015-2016 sono aperte fino al prossimo martedì 20 gennaio, ma la candidatura richiede tempo e attenzione, quindi agli interessati conviene muoversi subito. Il modulo va compilato al computer - naturalmente in inglese - stampato e inviato per posta al centro, a Bruxelles (fa fede il timbro postale), insieme ad altri otto documenti più una USB contenente un Excel con i dati personali. Attenzione ai dettagli, che possono costare l'esclusione: i documenti devono rispettare l'ordine indicato nel modulo di domanda e riportare (a matita, in alto a destra) il rispettivo numero assegnato in lista, non vanno spillati, e devono essere raccolti in un'unica cartella. Una seconda cartella raccoglie invece le fotocopie degli otto allegati originali. Tra i documenti obbligatori c'è anche una lettera di presentazione a firma di un docente universitario (sempre in inglese), il certificato storico accompagnato da un prospetto che spieghi come viene valutato il profitto nell'ateneo  (anche stampato da web) e un certificato medico recente. Questi ultimi allegati sono ammessi anche in italiano. Infine, due ultime annotazioni: i candidati vincitori dovranno versare un deposito di 200 euro, che verrà restituito solo una volta completato il Vulcanus, e l'esperienza in Giappone non potrà costituire argomento di tesi.La shortlist viene stilata in genere dopo un mese dalla chiusura del bando; un altro mese ancora - quindi fine marzo - e ci sono anche i nomi dei quaranta vincitori. Le date di inizio e fine del programma sono uguali per tutti e non flessibili. Si parte obbligatoriamente il primo settembre 2015 e si rientra il successivo 30 agosto, in modo da assecondare i ritmi dell'anno accademico. La prenotazione dei biglietti aerei è coperta dal progetto ma spetta ai vincitori, e deve rispettare queste date, senza eccezioni. Obbligatorio anche partecipare al meeting preparatorio che si terrà presso l'Eu-Japan Center di Bruxelles a luglio, per il quale è assicurata la copertura delle spese di alloggio.E il matching con le aziende giapponesi? È competenza del centro, che gestisce anche le loro candidature e cerca il più possibile di rispettare eventuali preferenze degli studenti indicate nel modulo. Dal 9 gennaio in poi le imprese selezionate potranno - non dovranno - pubblicare le loro offerte sulla pagina ufficiale del progetto. La lista completa sarà disponibile poi solo per gli studenti preselezionati, insieme a delle proposte di matching, che sarà definitivo a fine giugno. Per avere un'idea, i nomi più frequenti sono: NTT, Hitachi, Schlumberger, Sanyo, Canon, Honda, Toyota, e JFE Steel. Altri dubbi? Le Faq possono aiutare, il web anche, e la Repubblica degli Stagisti sta raccogliendo e pubblicherà nei prossimi giorni le voci di alcuni ex.  Vulcanus in Japan è un'esperienza bella e importante, su cui però riflettere bene prima di candidarsi. Anche perché l'eventuale interruzione del tirocinio è - confessa Bruxelles - «materia delicata»: in Giappone non c’è una cultura dello stage ed è molto difficile far capire e accettare uno stop senza che ciò intacchi la buona reputazione del centro. «Le industrie giapponesi – spiega alla Repubblica degli Stagisti Maarten Van Zantvliet, giovane coordinatore del programma [a fianco in foto] – hanno un modo particolare di assumere personale con alti livelli di formazione. Sono assunzioni programmate e numericamente consistenti, che interessano giovani appena usciti dall’università e senza esperienze pregresse. Si potrebbe parlare di recruiting simultaneo e periodico di nuovi laureati. Questo perché si preferisce plasmare gli impiegati alla cultura aziendale.  Ciò che conta maggiormente è il curriculum di studi e il prestigio dell’università. L'esperienza sul campo il laureato la ottiene una volta assunto, quindi gli stage sono molto rari». Quali sono i vantaggi per le aziende giapponesi dunque, se vogliono e possono attingere ad un così vasto bacino di brillanti laureati? «Il vantaggio principale è dato dal contatto con la mentalità, il modo di comunicare, le pratiche di business, il modo di risolvere difficoltà tecniche tipiche dell’occidente e dell'Europa» aggiunge Van Zantvliet. «Le aziende vogliono familiarizzare con la nostra cultura. Vulcanus non prevede nessun tipo di incentivo nei loro confronti».Per il passato anno accademico, a Bruxelles sono arrivate più di 900 candidature, 120 delle quali sono affluite nella short list. Tra queste ultime, quelle dei 45 vincitori. In un'indagine lanciata nel 2012 in occasione del quindicesimo anno di vita del programma si è calcolato che, con una media di cinque presenze per sessione, la Polonia è di gran lunga il Paese meglio rappresentato su base annuale. Considerando però i dati a partire dal 1997, anno di avvio del programma, i due principali beneficiari sono la Spagna (73 partecipanti totali) e l’Italia (63); poi la Polonia (50). Il perché è presto detto: «in questi Paesi è più difficile trovare un lavoro negli ambiti finanziati da Vulcanus in Japan» nota VanZantvliet. «Nei Paesi del nord Europa, la maggior parte degli studenti di ingegneria e simili trova un lavoro abbastanza facilmente, a volte anche prima ancora di essersi laureato. Un'esperienza in un programma prestigioso come questo invece può fare la differenza nel curriculum di un ragazzo del sud Europa».Bassa la percentuale di vincitrici donne, circa il 15% per quanto riguarda l'Italia, percentuale simile a quella delle candidature al femminile, quindi le studentesse italiane che fanno domanda hanno ottime chance. I partecipanti provengono soprattutto da corsi di Informatica (16% dei partecipanti), Ingegneria elettrica ed elettronica (10%), Scienze dei materiali (8%), Fisica e Chimica. Meno frequenti ma comunque presenti discipline come Architettura, Biologia e Scienze Ambientali. In merito alla destinazione, con il 30% di europei ospitati sono le industrie della regione del Kanagawa quelle più accoglienti, cioè quelle di città come Yokohama, Kawasaki e Atsugi. Dove una discreta percentuale rimane anche dopo: il 15% degli ex Vulcanus si ferma o ritorna stabilmente in Giappone per studio o lavoro, con una permanenza media di oltre tre anni.Annalisa Di Palo