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Emilia Romagna, Toscana e Lazio: tutti i bandi per le startup

Oltre 36 milioni di euro per le startup e le pmi fra Toscana, Emilia Romagna e Lazio. Sono i fondi che le tre Regioni hanno deciso di mettere a disposizione di chi vuole lanciare o rilanciare la propria impresa e provengono soprattutto dal Fesr, il Fondo europeo di sviluppo regionale. I settori che, in base alle scelte dei bandi, potranno beneficiare di diversi tipi di finanziamenti riguardano manifattura, commercio, servizi. La regione più “generosa” nei confronti degli startupper è l’Emilia Romagna che ha stanziato 14 milioni di euro divisi in due bandi: Startup innovative 2014 che eroga contributi fino a 100mila euro  e Ingenuim Emilia-Romagna II che può fornire fino a un milione di euro in 12 mesi. La Toscana invece ha scelto di creare un programma di bandi molto articolato ed ha istituito macro-contenitore chiamato Startup House (che a sua volta fa parte di Giovanisì) per la distribuzione delle risorse. Oltre ai 9 milioni e 400mila euro del fondo Fesf, dalla Giunta sono arrivati altri 2 milioni di euro per la ristrutturazione di ambienti e locali da mettere a disposizione delle startup.  La regione Lazio, infine, mette a diposizione due bandi per un totale di 11,5 milioni di euro: 1 milione e mezzo per il bando Fondo per le Startup Innovative (fondi regionali) e 10 milioni  nell’ambito del programma Lazio Innova, (fondi Fesr). E’ giusto ricordare che i finanziamenti Fesr sono prestiti concessi  a tasso agevolato, ma una volta erogati l’impresa dovrà restituire il credito entro il termine stabilito. Fra i bandi delle tre regioni ci sono delle differenze, per esempio l’età dei soggetti e  l’”anzianità” delle imprese che possono fare richiesta dei contributi, ma in tutti i bandi l’idea è quella di spingere le giovani imprese con particolare attenzione per quelle a quelle alto tasso di innovazione.  Repubblica degli Stagisti ha provato a fare una panoramica di tutte queste opportunità:ToscanaE’ quella che ha creato il programma più differenziato.  Quattro bandi e diversi tipi di finanziamento: microcredito o voucher a seconda del settore dell’impresa. Per le micro e le piccole imprese del settore manifatturiero sono previsti prestiti agevolati senza garanzie personali e a tasso zero per investimenti e liquidità. L'importo del finanziamento va da un minimo di 5 mila euro a un massimo di 15 mila euro per ogni singola domanda e può coprire fino al 100% delle spese sostenute. La durata del finanziamento va da 36 a 120 mesi.  Un sistema simile è previsto anche dal bando per le startup dei settori turismo, commercio, cultura e terziario. In entrambi i casi chi fa domanda non deve avere più di quaranta anni e le domande online possono essere presentate entro il 27 febbraio. Con finanziamenti in conto capitale  tramite il sistema dei voucher verranno finanziate altre due tipologie di imprese: ICT,  fotonica, chimica, fabbrica intelligente e nanotecnologia da una parte e  servizi di alloggio, di ristorazione, di informazione e comunicazione, attività artistiche dall’altra. Per queste ultime due fattispecie l'investimento massimo ammissibile, che può essere coperto fino al 100% delle spese, non può superare 36.000 euro; l'investimento minimo, in relazione alle dimensioni dell'impresa è pari a 10 mila euro per la microimpresa,  12mila e cinquecento per la piccola impresa, 20.000 per la media impresa, Consorzi, ATI/RTI e Contratti di rete. Il totale delle risorse che la Regione mette a disposizione per questi settori ammonta a 500 mila euro. Le domande possono essere presentate entro il 16 novembre 2015 da soggetti fra i 18 e i 40 anni.  «Per quanto riguarda il programma Por Fesr 2007-2013» fanno sapere dalla Giunta della Regione «a fronte di circa 660 milioni di risorse programmate, registra impegni di spesa per il 95% (pari a euro 630 mln di euro) e pagamenti per l'82,8%, (545 milioni di euro) Sono oltre 61 mila i progetti finanziati a beneficio di due mila e seicento destinatari, di cui più del 54% di genere femminile. La fascia di età da 15 a 29 anni raggiunge il 34,4% sul totale dei destinatari»Emilia Romagna Con il metodo del finanziamento in conto capitale eroga finanziamenti anche il bando Startup Innovative 2014 della regione Emilia Romagna. Per presentare la domanda a c’è tempo fino al 31 marzo 2015 ed è destinato alle imprese  costituite dopo il 1 gennaio 2011 e iscritte alla Sezione speciale in qualità di Start up innovativa nel registro delle imprese presso la Camera di Commercio.  Il bando prevede un finanziamento che copre fino al 60% delle spese sostenute (che non devono essere inferiori a 75mila euro) fino ad un massimo di 100mila euro. Le startup che alla fine del progetto prevedono un incremento di almeno tre dipendenti assunti a tempo indeterminato potrà usufruire di una maggiorazione del 10%  del contributo percepito. «Il bando Startup Innovative si ripete con cadenza annuale dal 2010» spiega Silvano Bertini, responsabile delle politiche di sviluppo della regione Emilia Romagna «e abbiamo già erogato una cifra vicina ai sette milioni a oltre cento imprese». Quelle iscritte al portale Emilia Romagna Startup, invece, sono oltre trecento. «Abbiamo creato questo strumento per facilitare l’incontro e lo sviluppo di nuove imprese. Molte delle startup iscritte hanno ricevuto finanziamenti e qui possono trovare assistenza, accedere a consulenze di primo livello come per esempio il commercialista, ma soprattutto possono conoscersi e  a volte nascono delle pertnership». Il passo successivo per le startup che operano  in settori ad alta tecnologia è Ingenium II. Il fondo investe in imprese e idee e in particolare sostiene le strategie di sviluppo e di investimento. Fra i beneficiari del fondo, in questo caso, non ci sono  lo start up, ma anche le imprese esistenti purché appartenenti al settore del manifatturiero. «Ingenium funziona da acceleratore per quelle sturtup che già sono sul mercato, ma hanno bisogno di crescere. A differenza di Startup Innovative 2014 è uno strumento più selettivo e con un’ottica profit. E’ un fondo per il 70% pubblico e per il 30% privato» precisa Bertini.  Per accedere ai finanziamenti di Ingenium bisogna compilare il Form online e chiedere una valutazione del progetto.Lazio Il bando “Fondo per prestiti partecipativi alle start up” si rivolge ad imprese nate da non più di 48 mesi nella forma di società di capitali, con esclusione di quelle a socio unico, con sede operativa nella regione Lazio.  I progetti imprenditoriali possono essere presentati compilando il bando disponibile online  fino al 17 febbraio 2015 saranno valutati da una commissione di valutazione indipendente dal punto di vista della sostenibilità economico-finanziaria dell’iniziativa, della sua innovatività e del potenziale di sviluppo.  L’agevolazione, fino a 200mila euro è concessa sotto forma di finanziamento a tasso agevolato (1%) di durata pari a 5 anni, di cui due di preammortamento. L’erogazione viene effettuata in un’unica soluzione alla firma del contratto di finanziamento; il capitale deve essere rimborsato per il 75% a partire dall’inizio del terzo anno in quote trimestrali posticipate, e per il restante 25% in un’unica soluzione alla scadenza del prestito.  Il bando Startup Innovative, invece, prevede un finanziamento a fondo perduto  e sono ammissibili i progetti imprenditoriali in linea con il più ampio programma regionale denominato Smart Specialisation Strategy (S3) che riguarda questi settori d’impresa: aereospazio, scienze della vita, patrimonio culturale e tecnologie della cultura, industrie creative digitali, agrifood, green economy e Sicurezza. Sturtup Innovative è stato lanciato a novembre 2014  ed è possibile presentare le domande fino all’ esaurimento dei fondi. «L’obiettivo è trasformare il Lazio nella Regione dell’innovazione. Grazie all’ampio programma “Startup Lazio!”, presentato all’inizio di dicembre dell’anno scorso, hanno trovato sostegno ben oltre cento startup d’impresa e di idee» dichiara  l’assessore Guido Fabiani «si tratta di energie imprenditoriali giovani, creative, innovative e, soprattutto, coraggiose: oggi sono piccole realtà che potranno dare grandi frutti, anche perché nell’ecosistema laziale ci sono tutte le condizioni affinché ciò avvenga».

Garanzia Giovani, l'assessore al lavoro della Lombardia: «Fieri dei primi risultati, ora bisogna semplificarla per le imprese»

«Siamo fierissimi dei primi risultati della Garanzia Giovani in Lombardia»: l'assessore al Lavoro della Regione Valentina Aprea vede decisamente il bicchiere mezzo pieno. Mentre sulla Garanzia Giovani piovono critiche e da più parti emerge insoddisfazione se non proprio delusione, la Aprea sceglie di andare controcorrente e di difendere pubblicamente la messa in pratica di questa iniziativa di matrice europea per sostenere l'occupazione giovanile, quantomeno nella sua regione. Evidenziando alcuni dati statistici, tra cui uno spicca sugli altri: quasi un giovane su cinque (per la precisione il 19,2%) tra coloro che hanno richiesto di fruire della GG in Lombardia è stato non solo già richiamato, incontrato e profilato, ma anche «attivato nel mercato del lavoro» secondo una delle varie misure previste dall'iniziativa. L'occasione è quella di una mattinata di dibattito promossa qualche giorno fa dalla Regione, con il titolo «La sfida per l'occupazione, parliamo di mercato del lavoro». L'assessore Aprea parte ricapitolando in cosa consista il “modello lombardo” dei servizi al lavoro: «Nel 2006 con la legge regionale 22 abbiamo innovato le politiche regionali in materia di lavoro. Da quel momento abbiamo superato il recinto del servizio pubblico inteso come unico servizio per l'impiego, e oggi abbiamo ottimi servizi». Dietro la schiena dell'assessore, alcune slide danno i numeri della situazione: in Lombardia la sussidiarietà orizzontale permette di avere 781 sportelli lavoro e 189 realtà accreditate al lavoro, di cui 129 accreditate anche alla formazione. Il fulcro del sistema lombardo di sostegno a chi cerca lavoro è rappresentato dalla Dul, la Dote Unica Lavoro (qui un recente approfondimento della Repubblica degli Stagisti). La Aprea lo definisce «un esempio di innovazione e di successo» e ricorda che al momento dell'insediamento, poco meno di due anni fa, «la giunta Maroni ha rilevato alcune – poche – criticità» nello strumento fino a quel momento in uso, la “dote lavoro”: «e siamo così passati alla Dul. Io ho personalmente voluto che venisse posto al centro il risultato e non la semplice erogazione del servizio, e il risultato è l'esito occupazionale», monitorato «almeno una volta alla settimana con tutte le agenzie». Che si trasforma anche in un risparmio per le casse pubbliche: «un investimento di successo sulle politiche attive che ha consentito di spendere di meno sulle politiche passive». Privilegiando l'attivazione dei disoccupati con servizi ad hoc anziché l'erogazione passiva di sussidi economici, insomma, la Lombardia sarebbe insomma un apripista per il Jobs Act: il che fa dire alla Aprea che «questa è la logica che ha sposato il ministro Poletti e che porterà avanti attraverso le riforme». E la Garanzia Giovani in tutto questo? «Si è innestata su questo sistema» dice la Aprea, ricordando che il sistema in Lombardia è riuscito a servire non solo i Neet: «Noi abbiamo scelto una curvatura più ampia e una attuazione letterale del principio della raccomandazione europea. Puntiamo a garantire il servizio davvero a tutti i giovani: dunque all'occupabilità universale». E lancia un appello a tutte le strutture formative del territorio: «Non solo i 700 punti di servizi al lavoro, ma anche le scuole e tutte le agenzie che hanno in carico giovani devono sentirsi impegnate nella ricerca entro 4 mesi di una opportunità occupazionale». Più di 39mila under 30 si sono già iscritti richiedendo di fruire del servizio in Lombardia: «Noi abbiamo mantenuto nella Garanzia Giovani i principi della Regione di libertà di scelta» spiega l'assessore: «Il giovane che si iscrive al nostro sistema non va direttamente a un centro per l'impiego, ma sceglie l'operatore, e con il sistema georeferenziato può scegliere quello più vicino a dove si trova in quel momento». Secondo i dati rilevati dalla regione, 17mila degli iscritti - quindi più o meno il 44% - sono stati già convocati da un operatore, quasi 15mila hanno effettuato il primo colloquio e 7.500 sono stati già attivati nel mercato del lavoro. E poiché tra chi fa richiesta di aderire al programma ve ne sono anche alcuni che non risiedono in Lombardia – il sistema della Garanzia Giovani permette infatti di iscriversi anche in un'altra regione rispetto a quella della propria residenza – «visti i potenti mezzi tecnologici oggi a nostra disposizione, abbiamo proposto al ministero di poter fare il primo colloquio via Skype» racconta la Aprea: «Sopratutto per venire incontro a quei giovani di altre Regioni, che si iscrivono alla GG di Regione Lombardia magari dalla Campania e che non hanno i soldi per il biglietto per venire qui». Una buona idea certamente: chissà se praticabile.Ma anche secondo l'assessore non è tutto rose e fiori: «Sono contenta ma non del tutto, perché il sistema è ancora troppo farraginoso: in Lombardia possiamo fare di più». Il punto più dolente sta nella scarsa partecipazione delle aziende: «Lo voglio denunciare pubblicamente: ci sono aziende che dicono “noi abbiamo bisogno di quei giovani ma non facciamo Garanzia Giovani per colpa di tutte le carte e tutto quello che dobbiamo fare per ottenere quegli incentivi”» . Eppure sul piatto ci sono ben 52 milioni di euro, solo in Lombardia, per le realtà che daranno lavoro ai giovani iscritti: «Il numero delle imprese potrebbe crescere enormemente, e potrebbe rendere sempre più trasparente il mercato del lavoro e sopratutto quello dell'occupabilità» chiude la Aprea: «Ma il modo di effettuare il matching domanda-offerta di lavoro e di richiedere l'incentivo deve diventare più veloce».

Smart&Start Italia, 200 milioni di euro per le startup innovative

Duecento milioni di euro e un servizio di tutoraggio e consulenza per lanciare le startup innovative italiane. Parte oggi, lunedì 16 febbraio, la nuova avventura di Smart&Start Italia, l’incentivo promosso dal ministero dello Sviluppo economico e gestito da Invitalia, a favore delle nuove imprese ad alto tasso di innovazione.La prima edizione, rivolta solo alle startup del mezzogiorno e del cratere aquilano, si era chiusa con oltre 1200 progetti presentati e oltre tremila persone coinvolte. Dalle ore 12 di oggi si apre la nuova edizione rivolta alle startup di tutta Italia. Come? Con lo sportello online, unica modalità per caricare le domande, complete di piani di impresa e di tutta la documentazione necessaria. «Con Smart & Start, per la prima volta in assoluto la Pubblica Amministrazione compie un’operazione totalmente paperless: la procedura di richiesta e concessione dei contributi avviene  infatti esclusivamente on line» spiega Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia. Non si tratta però di un click day: «Smart&Start Italia è una misura a sportello, il che significa che le domande possono essere presentate fino a che vi sono risorse finanziarie disponibili», si legge nelle Faq sul sito. In pratica, non c’è una data di scadenza per candidarsi e l’erogazione del finanziamento dipende dalla bontà dei progetti presentati, che saranno giudicati entro 60 giorni dalla presentazione della domanda. Le istruttorie seguiranno l’ordine di arrivo, ma da Invitalia c’è l’invito a non farsi prendere dalla fretta. Conta la qualità, più della velocità. E un budget di 200 milioni non andrà esaurito in pochi clic. Meglio prendersi qualche giorno in più per presentare progetti mirati piuttosto che rischiare l’esclusione: «Per noi è importante ricevere dei buoni progetti, non quelli più veloci», raccomanda Lina D’Amato, responsabile Gestione Incentivi, Finanza e Impresa di Invitalia. «Spesso rischiamo che, aprendosi uno sportello, tutti pensano che chi prima arriva prende il finanziamento. Ma il finanziamento viene preso sulla base di un percorso istruttorio importante, che prevede un colloquio che Invitalia realizza con i proponenti». Che il focus sia il valore dei progetti presentati lo rivela anche uno dei requisiti di base per poter partecipare: Smart&Start è rivolto alle startup costituite da non più di 48 mesi, ma anche a quelle da costituire. «Parliamo di start up innovative nell'economia digitale, che nascono come iniziative di valorizzazione dell'attività di ricerca e che si collocano nei processi di trasferimento tecnologico e che quindi hanno come cuore delle attività l'innovazione di prodotto o di processo. Quindi, siamo sulla fascia alta di quello che è il processo di creazione di impresa» specifica la D'Amato. Conta l’idea, quindi, e a presentarla può essere anche un gruppo di persone fisiche, «anche se residenti all’estero o di nazionalità straniera», specifica il sito, e che poi dovranno formalizzare la nascita della società. La chiave sta nell’aggettivo “innovativo”:  l’iniziativa è dedicata alle oltre 3200 startup già iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese, ma anche a progetti “innovativi” d’impresa, e cioè che offrono prodotti o servizi ad alto valore tecnologico. Una prospettiva che, assicurano da Invitalia, tiene aperta la porta a tutti: non solo a chi non ha formato ancora una società ma anche alle startup già nate ma non ancora iscritte al Registro speciale. L’importante è il valore del progetto. I 200 milioni di euro stanziati potranno finanziare programmi di spesa tra 100mila e 1,5 milioni di euro, sotto forma di mutuo agevolato a tasso zero. La copertura sarà pari al 70% delle spese ammissibili ma potrà arrivare fino all’80% (per un massimo di 1,2 milioni di euro), se la startup è costituita da giovani o donne, o nel caso in cui abbia tra i soci un “cervello di ritorno”, ovvero un dottore di ricerca che rientra dall’estero. Resta inoltre un’attenzione particolare per le imprese con sede nel Sud Italia (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) e nell’area del terremoto aquilano, che potranno beneficiare di un ulteriore contributo a fondo perduto pari al 20% del finanziamento. In alcuni casi, inoltre, Invitalia potrà sostenere con ancor più forza il capitale delle startup partecipanti entrandone a far parte come socio. Nel concreto, lo strumento Smart&Start potrà coprire spese di investimento in impianti, macchinari e attrezzature tecnologiche, ma anche materiale hardware e software, nonché spese per brevetti, licenze, know-how e consulenze specialistiche. Sul fronte della gestione, il programma potrà finanziare spese per il personale, per licenze e diritti di proprietà industriale, per servizi di accelerazione e canoni di leasing, fino a interessi su finanziamenti esterni. Il business plan «deve contenere alcuni elementi fondamentali sulla base dei quali viene poi valutato, quali l'idea, la capacità imprenditoriale, la coerenza del soggetto con l'idea stessa, la capacità di rendere evidente l'innovazione di prodotto e di processo all'interno, il grado di innovatività e la sostenibilità economica e finanziaria dell'iniziativa, la capacità di rendere evidente il vantaggio competitivo dell'iniziativa», precisa ancora Lina D’Amato. L’efficacia prima di tutto, insomma.La domanda va presentata esclusivamente online, creando un profilo sulla piattaforma di Invitalia, dove caricare il business plan e tutti i documenti necessari, accompagnati da una firma digitale (qui la lista riepilogativa dei documenti per le startup innovative e per le startup ancora da costituire, oltre alla guida per la compilazione della domanda). Una volta firmato il contratto di finanziamento, ogni startup avrà 24 mesi per realizzare il proprio programma di investimento. Ma non è solo una questione di euro, perché Smart&Start Italia mette a disposizione un servizio di accompagnamento per la presentazione della domanda, oltre ad offrire nei prossimi mesi anche occasioni di formazione con webinar online e con appuntamenti informativi in tutta Italia. Per le startup che non abbiano superato i 12 mesi dalla fondazione sarà attivo anche  un servizio di tutoraggio: «È  un servizio specialistico che serve per ridurre il rischio di avvio di queste iniziative», precisa D’Amato. «Serve, infatti, ad aiutare la nuova iniziativa a utilizzare al meglio le agevolazioni, anche a risolvere problemi amministrativi».Le attese, per tutta l’iniziativa Smart&Start, sono alte: «La prima versione dell’incentivo, destinato solo alle regioni del Sud, ha registrato un risultato superiore ad ogni previsione, con circa 370 imprese finanziate in un anno», ricorda l’ad Domenico Arcuri. «Ora, con l’estensione all’intero Paese, ma con condizioni di maggior favore per i neo-imprenditori del Sud, la misura avrà sicuramente un impatto maggiore e contribuirà non solo a sviluppare l’innovazione ma anche a trattenere o riportare in Italia le migliori energie». Maura Bertanzon

Stage in Europa, la qualità è un work in progress: «Inaccettabile l'assenza di un obbligo di compenso» secondo lo Youth Forum

«Non è stato fatto abbastanza per assicurare che gli stagisti abbiano un compenso equo per il loro lavoro». Non è per niente tenera con le istituzioni europee Tinkara Oblak, membro del board dello Youth Forum, organismo che riunisce le associazioni giovanili di tutta Europa e che a Bruxelles vigila sull’evoluzione di tutte le politiche che hanno al centro i giovani. Al centro dell’attenzione, lo European Quality Framework for Traineeships, ovvero la raccomandazione adottata nel marzo 2014 dal Consiglio europeo per le Politiche sociali (EPSCO), sulla base di una proposta della Commissione, per  garantire standard minimi di qualità per i tirocini extracurriculari comuni a tutti gli Stati. A un anno dalla sua approvazione, si è tornati a fare il punto a Bruxelles, in una conferenza organizzata al Parlamento europeo dalla Ong Bingo (Brussels Interns Ngo) e da Epsa, l’associazione degli stagisti parlamentari. Risultato: se è vero che l’Ue si è finalmente data delle regole comuni sugli stage non compresi nei percorsi formativi, la loro applicazione è un work in progress, affidata (molto) alla buona volontà dei singoli stati dell’Unione. Perché il documento approvato dagli Stati membri include sì l’obbligo che l’accordo di tirocinio sia ora un accordo scritto, che specifichi gli obiettivi formativi, le condizioni lavorative, diritti e obblighi per entrambe le parti e indicazioni precise sulla durata. Però sì tratta sempre di una raccomandazione e, in quanto tale, di un documento non vincolante per gli Stati membri. In più, il testo finale adottato l’anno scorso non impone nessun obbligo di assicurare compensi di sorta. Troppo poco, per lo Youth Forum: «È  inaccettabile che questo punto non sia compreso» dice Tinkara Oblak, insistendo sulla proposta di “un rimborso minimo nazionale pari al 60% del reddito medio” per gli stage extracurriculari. Già l’anno scorso il Forum aveva definito «fiacco» il risultato della contrattazione istituzionale a dodici stelle, considerandola un’occasione mancata per incidere sugli Stati membri, che restano i veri detentori della competenza sulla materia del lavoro e dei contratti. E sì che le premesse erano buone, con la stessa Commissione europea che si era ispirata alla European Quality Charter on Internships and Apprenticeships (la Carta europea per la qualità dei tirocini e dei praticantati elaborata da diversi attori della società civile, tra cui lo Youth Forum e la Repubblica degli Stagisti) per scrivere il Framework  portato in discussione al Consiglio nel dicembre 2013. Il Consiglio Ue, però, alla fine ha giocato al ribasso, escludendo dal testo finale il diritto ad un congruo compenso per gli stage extracurricolari. L’Italia avrebbe voluto molto di più, ma mette al sicuro un risultato non scontato: «Siamo stati in favore fin dall’inizio. Abbiamo spinto per  un riferimento ad un rimborso certo ma siamo rimasti isolati. Al Consiglio sono stati tre mesi di battaglia intensa e inaspettata», ricorda Tatiana Esposito, che da consigliere della Rappresentanza permanente presso l’Unione europea (in pratica, l’ambasciata italiana presso l’Ue) ha vissuto in prima persona le contrattazioni nel Coreper, il comitato dei rappresentati permanenti, responsabile della preparazione dei lavori dei vari Consigli tematici dell’Ue. «Hanno pesato le posizioni di molti Stati membri, specie del Nord Europa, non abituati ad esempio ad avere accordi scritti di tirocinio», dice. «Avremmo voluto un provvedimento ancora più ambizioso, ma il risultato del negoziato è già qualcosa». I dati di un sondaggio dell’Eurobarometro della primavera 2013 indicano quella che durante la conferenza Ulrike Lunacek, vicepresidente del Parlamento Ue, ha definito «Generazione Stage» (“Generation Internship”): la metà dei giovani europei ne ha fatto almeno uno. Secondo l'immagine dipinta ormai due anni fa dall'Eurobarometro, un terzo degli stage non rispetta standard adeguati in merito alle condizioni di lavoro o ai contenuti formativi. Quattro stagisti su dieci non hanno mai visto un accordo scritto di tirocinio o un contratto e quasi sei su dieci (il 59%) non sono stati pagati. «Per molti di loro si sussegue uno stage dopo l’altro», osserva la vicepresidente. «Potrebbero diventare una lost generation, una generazione “perduta”? Non credo, ma dobbiamo affrontare con forza il fenomeno». I conti, però, si faranno solo alla fine di quest’anno, con un convegno in cui la Commissione Lavoro (EMCO) della Commissione europea chiamerà gli Stati a fare il punto sulle iniziative messe in campo  a livello nazionale. L’intento è quello di avviare una revisione del Quality Framework entro la fine dell’anno. Un secondo sondaggio sugli stage dell’Eurobarometro, previsto nel 2016, scatterà una nuova foto alla condizione degli stagisti europei. L’Italia, per ora, vede il bicchiere mezzo pieno: gli standard imposti dalla Raccomandazione approvata a marzo, già contenuti nella legge 92/2012 sui tirocini,  «sono già stati raggiunti, almeno sulla carta: la regolazione degli stage è competenza delle Regioni, che presentano realtà molto diverse e frammentate. Tutte, però, hanno adottato entro lo scorso ottobre le linee guida nazionali contenute nella legge», ricorda Tatiana Esposito. Tra queste, una durata massima fissata a sei mesi (eccetto nel caso di tirocini legati al reintegro nel mercato del lavoro, che possono prolungarsi fino a un anno, o di tirocini rivolti a disabili, nel qual caso la durata può essere raddoppiata), l’obbligo di un progetto formativo, di un accordo scritto, di condizioni lavorative garantite (come l’assicurazione) e, sì, anche di un rimborso. Una condizione che ha portato alla chiusura di programmi illustri, come i tirocini Mae-Crui presso il Ministero degli Esteri. «Un’opportunità persa, certo, ma anche un segno di cambiamento», rimarca Esposito. Ciò non significa che dall’oggi al domani l’Italia sia diventata l’isola felice degli stagisti: «Nella realtà esistono ancora molti, troppi ‘abusi’. Ma almeno ora c’è un punto fermo su cui lavorare, a livello sia italiano che europeo. Quello che possiamo fare è cambiare le regole e spingere perché siano applicate». Maura Bertanzon 

Universo stage, situazione ancora critica: meno di un'assunzione su dieci, troppe leggi differenti

Com'è ad oggi il quadro dell'universo stage in Italia? In che modo viene utilizzato questo strumento, e sopratutto: la situazione è migliorata negli ultimi anni? Si sa che solamente un tirocinio su dieci si trasforma in contratto di lavoro. Non è, in realtà, una notizia: è infatti un dato ormai assodato, stabile da anni, con leggere variazioni in su o in giù. Lo calcola Unioncamere ogni anno attraverso una piccola sezione della sua indagine "Excelsior", quella dedicata ai fabbisogni formativi delle imprese e ai tirocini. A dicembre è stata presentato da Unioncamere il dossier che presenta i dati relativi al 2013. Attenzione, non 2014: proprio 2013. Bisogna infatti ricordare che i dati di Excelsior (e in particolare quelli sui tirocini) vengono sempre resi pubblici con grande ritardo: oggi, febbraio 2015, stiamo infatti parlando degli ultimi dati disponibili che si riferiscono agli stage effettuati nel corso del 2013. Purtroppo il sistema è congegnato in questo modo, e sembra che non si possa "velocizzare" per fornire i dati con maggiore celerità. Bisogna anche tenere a mente che però comunque - con tutti i suoi ritardi e sebbene i numeri non siano dati generali completi ma solo una "campionatura" con risposte raccolte attraverso un questionario e con l'ulteriore elemento "riduttore" di un raggio d'azione limitato agli stage attivati nelle sole imprese private - l'indagine Excelsior di Unioncamere è finora praticamente l'unica a offrire dati nazionali e affidabili sull'utilizzo dello strumento dello stage in Italia. Questo perché mancano sistematiche rilevazioni statali o regionali sul tema: nel corso del 2015 verranno resi pubblici i primi dati di monitoraggio dei tirocini dopo le nuove leggi regionali, ma anche questi saranno parziali perché riguarderanno solo quelli extracurriculari (cioè svolti al di fuori del periodo di studi). E poi chissà se tutte le regioni li elaboreranno in maniera soddisfacente. La terza pecca di questi dati è legata alla scelta di Unioncamere di non modificare il panel di domande sui tirocini, malgrado nel 2013 sia stato rivoluzionato il quadro normativo relativo a questo tema: non vi è dunque una distinzione tra tirocini curriculari e tirocini extracurriculari, pur avendo essi adesso addirittura due competenze normative differenti (lo Stato per i curriculari, con una clamorosa vacatio legis, e le Regioni per gli extracurriculari) Fatta questa premessa, ecco quel che dice Unioncamere sui tirocini. Innanzitutto, il numero: nel 2013 sono stati effettuati nelle imprese private italiane 310.540 stage. L'anno precedente erano stati lievemente di meno (306.580), dunque l'1% in più: una variazione davvero minimale, che non può essere "caricata" di alcun valore positivo o negativo. Del resto, come la Repubblica degli Stagisti ha fatto notare a più riprese, il numero degli stage non si è ridotto, durante la crisi, in maniera proporzionale a quello dei contratti di lavoro. Ciò significa, come è facile intuire, che molti datori di lavoro hanno preferito ridurre il numero dei contrattualizzati - salariati, mantenendo però invariato il numero di stagisti: in un certo senso si tratta di un doping del mercato del lavoro. Qui la Repubblica degli Stagisti ha dunque un punto di vista e una lettura del dato opposta rispetto a quella di Unioncamere, che nel dossier descrive questo 1% in più come «un risultato abbastanza soddisfacente alla luce delle enormi difficoltà del mercato del lavoro italiano, soprattutto per i giovani, che sono la componente più penalizzata e, al tempo stesso, la più interessata a stage e tirocini formativi».Un aspetto opinabile del dossier di Unioncamere è che viene usata l'aggettivo «retribuiti» in riferimento ai tirocini, per indicare quelli dove è previsto per lo stagista un compenso monetario, spiegando che a partire dall’edizione 2012 «l’indagine Excelsior ha investigato il tema dei tirocini e stage anche in chiave previsionale, chiedendo quanti tirocinanti e stagisti le imprese ipotizzano di ospitare nell’anno in corso» e specificando che «si tratta, a differenza dei dati a consuntivo fin qui analizzati, di informazioni riferite esclusivamente ai tirocinanti e stagisti retribuiti». Eppure è bene ricordare questa parola non andrebbe mai usata quando si parla di stage - perché la retribuzione è un concetto che implica un rapporto di lavoro, mentre lo stage non è mai inquadrabile come lavoro. C'è un altro aspetto che pone delle criticità. Nel documento si legge che dal 2012 al 2013 «è aumentata, tra tirocinanti e stagisti, la quota dei laureati o laureandi, dal 30,4 al 32,3%». Ma il fatto di conteggiare insieme laureandi e laureati è quantomeno improprio, sopratutto oggi, perché i laureandi svolgono stage definiti curriculari, mentre i laureati svolgono stage extracurriculari. La distinzione, ufficializzata solo da un paio d'anni dalle ultime normative, non è da poco: le due tipologie di stage hanno addirittura due competenze normative differenti (lo Stato è competente per quelli curriculari, per i quali in questo momento vi è una grave situazione di vuoto normativo; mentre le Regioni sono competenti per i tirocini extracurriculari), ed essere inquadrato come tirocinante curriculare piuttosto che come tirocinante extracurriculare comporta diritti e doveri molto diversi. Un esempio per tutti: per gli stage extracurriculari è previsto l'obbligo da parte del soggetto ospitante di erogare un rimborso spese (le cifre minime variano da 300 a 600 euro e sono state decise Regione per Regione), mentre quelli curriculari possono ancora essere gratuiti. Dunque se un universitario attiva uno stage una settimana prima di laurearsi ricade nel novero degli stage curriculari e può essere "stagista aggratis"; se lo attiva una settimana dopo ricade invece nel novero degli stage extracurriculari e può rivendicare il diritto a ricevere un rimborso spese pari almeno al minimo fissato dalla Regione dove svolge il tirocinio.Questa distinzione non viene presa in considerazione da Unioncamere, forse perché nel corso del 2013 non ancora tutte le Regioni avevano provveduto a emettere la propria normativa regionale in materia: è da auspicare che le rilevazioni in corso sul 2014 prevedano invece di distinguere i laureandi dai laureati, o ancor meglio, gli stage curriculari da quelli extracurriculari.L'indagine Excelsior conferma poi che le imprese medio-grandi sono quelle che più abitualmente ospitano stagisti, mentre la micro e piccola impresa ancora usa poco questo strumento; inoltre, il numero di stagisti aumenta con l'aumentare del «livello tecnologico o qualitativo dei beni prodotti e dei servizi offerti». Cioè più un'azienda si occupa di high tech e offre servizi qualificati, più frequentemente utilizza stagisti. In particolare, «i valori minimi e massimi di imprese “ospitanti” tirocinanti e stagisti per macro-settore stanno in un rapporto di uno a tre: nell’industria si va dall’8% del comparto del legno e del mobile al 25,5% di quello chimico-farmaceutico-petrolifero, nei servizi dal 9,8% delle attività di trasporto e magazzinaggio al 28,2% di quelle della sanità, dell’assistenza sociale e dei servizi sanitari privati».Un dato per certi versi sconcertante che emerge dalle rilevazioni di Unioncamere è che il 40% degli stage svolti nelle imprese private ha una durata inferiore a un mese. Con tutta probabilità questa percentuale dipende in gran parte dai tirocini curriculari universitari, inseriti nei piani di studio degli studenti, che spesso prevedono tirocini di 120 o 150 ore (pari appunto a 3 o 4 settimane). Una durata inferiore a un mese pone però seri elementi problematici: si può predisporre un percorso formativo in un tempo tanto breve? Pochi giorni sono sufficienti all'azienda per trasferire competenze al giovane, e al giovane per assimilarle? In sostanza: ha senso un tirocinio di 150 ore, o addirittura meno?Il giudizio complessivo di Unioncamere sullo strumento stage è comunque positivo: «I fondamentali risultati dell’indagine, quasi tutti di segno positivo, sono piuttosto confortanti: confermano il carattere formativo di questa esperienza, che consente ai giovani in uscita o appena usciti dai diversi cicli di istruzione di completare e integrare la preparazione ricevuta, e la sua importanza per le imprese, che in questo modo possono verificare nel concreto la preparazione effettiva dei giovani in uscita dal sistema scolastico, la loro capacità di integrazione nell’ambiente di lavoro e l’interesse per le prospettive professionali che l’azienda può loro offrire». Eppure a fronte di questa «importanza per le imprese», rimane il dato magrissimo delle trasformazioni di stage in contratti: 9,5% è infatti una percentuale decisamente bassa.Interessante a questo punto è affiancare a questa indagine il recente paper dell'associazione Adapt che valuta invece nel complesso i cambiamenti legislativi intervenuti sullo stage negli ultimi due anni. Il giudizio è assai meno positivo: «Le normative regionali differiscono tra di loro, talvolta in maniera significativa, su alcuni aspetti fondamentali della regolamentazione dei tirocini come la durata, i limiti numerici e le indennità da erogare. Il risultato finale è una proliferazione di tante discipline differenti quante sono le Regioni» scrivono i ricercatori del centro studi fondato da Marco Biagi: «L’effetto standardizzazione che stava alla base della Riforma Fornero sembra del tutto mancato. Le ripercussioni concrete di questo esito non sono di poco conto. A seconda del territorio in cui un tirocinio viene attivato valgono regole diverse. Caso eclatante pare essere quello delle indennità. Tra una Regione e l’altra – e spesso tra Regione limitrofe – per la stessa esperienza un soggetto ha diritto a corrispettivi differenti». Bisogna qui ricordare che l'Adapt parte da una sorta di preconcetto nei confronti del compenso agli stagisti, giudicato a priori dal suo direttore scientifico Michele Tiraboschi come elemento negativo; e dunque il paper "forza" un po' il giudizio sulla leopardizzazione dei diritti degli stagisti (ampiamente prevedibile del resto, basti ricordare le parole di due anni fa del costituzionalista Francesco Clementi in un'intervista alla Repubblica degli Stagisti ), affermando che «la natura formativa del tirocinio non è stata compresa nemmeno dai legislatori regionali che hanno, al contrario, interpretato lo strumento come una sorta di “lavoretto” a basso costo».L'Adapt mette poi in evidenza la concorrenza sleale, già molte volte denunciata dalla Repubblica degli Stagisti, tra stage e apprendistato: «La ricostruzione dei dati disponibili a livello regionale mostra una tendenza generalizzata al restringimento dell’apprendistato – sia in termini assoluti che relativi – a partire dal 2010/2011 e, parallelamente alla progressiva espansione del tirocinio». Aggiungendo con onestà che questa tendenza non è «ascrivibile, data la tempistica, alle Linee-guida di per sé, quanto piuttosto alla crisi economica che potrebbe aver spinto l’utilizzo, anche improprio, del tirocinio in luogo di rapporti di lavoro subordinato», e concludendo che «l’accelerazione nel ricorso ai tirocini riscontrabile in alcune Regioni anche nell’ultimo biennio 2013-2014 (dati disponibili tuttavia fino al III trimestre 2014), suggeriscono il possibile effetto di ulteriore promozione del tirocinio a discapito dell’apprendistato apportato dalle Linee-guida».Ma questo effetto non potrà davvero essere noto prima di avere i dati completi del 2014. In sostanza, nel dossier Excelsior vi sono informazioni molto utili; sempre però tenendo a mente i limiti di questa rilevazione, e sperando che Unioncamere avvii una riflessione per rivedere almeno in parte le domande del suo questionario focalizzate sul tirocinio, per poter fornire a partire dal prossimo anno delle indicazioni più precise. E dalle analisi dell'Adapt si possono trarre spunti di riflessione non banali sugli effetti a breve, medio e lungo termine delle nuove leggi su lavoro e tirocinio. L'importante è che poi i decisori politici interpretino con competenza questi dati, e correggano il tiro là dove si dimostri che lo strumento dello stage è utilizzato in maniera impropria o addirittura controproducente.

Tesi di laurea, i migliori premi in scadenza: oltre 60 mila euro complessivi in palio

Inflazionata o meno, la laurea è comunque una soddisfazione. Se poi la qualità dell'elaborato viene anche premiata con una somma in denaro, la soddisfazione è doppia. A chi si è laureato negli ultimi anni può quindi interessare l'ultima ricognizione della Repubblica degli Stagisti dei premi di laurea più interessanti.Si parte con un avviso last minute, utile magari per chi vive o è vicino a Roma, dove ha sede il ministero per il lavoro. La sua direzione generale per il lavoro e la formazione gestisce infatti un premio in memoria del giuslavorista Marco Biagi, promosso insieme al centro studi Adapt, per l'assegnazione di due premi da 3mila euro lordi l'uno alla migliore tesi di laurea biennale e tesi di dottorato in diritto del lavoro e relazioni industriali discusse nell'ultimo anno esatto. Un plico chiuso con modulo di domanda, elaborato digitale su cd, abstract e copia del documento di identità deve pervenire entro la mezzanotte di domani, 5 febbraio, presso gli uffici di via Fornovo 8 (fermata metro Lepanto). Mettere insieme i documenti richiesti non porta via molto, volendo si è ancora in tempo. Fino al 15 febbraio invece Aicun, Associazione italiana comunicatori di università mette a bando due premi per chi ha concluso uno qualsiasi dei livelli di studio universitario (compresi master e dottorati) nell'anno accademico 2012-2013. Tema cardine sono le attività di comunicazione, sia interna che esterna, delle organizzazioni universitarie e di ricerca. Per provare a vincere i 500 euro destinati alla migliore tesi triennale, o i 1500 destinati alla sua controparte biennale o di dottorato, bisogna spedire una mail a infoaicun [chiocciola] gmail.com con copie digitali di: certificato di titolo conseguito, curriculum studiorum, copia pdf del lavoro, una sua sintesi ed eventuali pubblicazioni. L'associazione ha sede in Lombardia, ma è a Roma che si svolgerà la premiazione, il prossimo 20 marzo. C'è poi l'università di Pavia che gestisce diversi premi per i propri laureati di secondo livello degli anni solari 2013 e 2014, in vari ambiti di studio. Le domande vanno spedite per raccomandata A/R, per PEC all'indirizzo amministrazione-centrale [chiocciola] certunipv.it (da indirizzo intestato al candidato) o consegnate a mano ai servizi archivistici di Via Mentana.  La composizione della candidatura varia leggermente di caso in caso, ma per lo più sono richiesti modulo di domanda, copia digitale dell'elaborato, cv, copia del certificato o autocertificazione di laurea e copia del documento di identità. Scadono dunque lunedì 16 febbraio (non fa fede il timbro postale) i termini per partecipare al premio "Claudia Maccabruni": 2mila euro netti riservati alla migliore tesi di secondo livello - o di dottorato - in archeologia classica, senza riferimenti specifici sul tema, in memoria della docente del dipartimento di Scienze dell'antichità. Come per tutti gli altri premi, può partecipare anche chi ha goduto già di altri sussidi da parte dell'ateneo, purché ne faccia esplicita menzione. Lo stesso termine vale anche per un "bando rosa", intestato a Marina Chiola, dipendente del comitato pari opportunità dell'ateneo, e destinato ad una laureata dell'area umanistico sociale che ha discusso una tesi sui gender studies, ottenendo una votazione non inferiore a 108/110. Per la vincitrice la famiglia Chiola riserva mille euro netti, ufficialmente conferiti in una cerimonia pubblica la prima domenica di maggio. Un'altra doppia scadenza da segnare per i laureati dell'ateneo pavese è il 27 febbraio, termine ultimo per partecipare al premio dedicato a  "Massimo Ghimmy", libraio noto tra gli studenti, con cui la famiglia mette a disposizione 1200 euro netti per premiare una tesi di secondo livello in uno dei corsi afferenti a Lettere europee e americane, sempre discussa tra il primo gennaio 2013 e il 31 dicembre 2014 e con una votazione di almeno 108/110. Il secondo bando, promosso dai locali Lions Club e Rotary Club, conferisce invece 2mila euro netti al migliore elaborato in Scienze motorie che discuta di disabilità nella pratica sportiva, senza sbarramenti sul voto. Infine, in ambito storico e in tema di conflitti mondiali del XX° secolo, fino al 6 marzo il premio "Giuseppe Mango" mette a bando 1600 euro lordi in onore della lotta per la democrazia, di cui Mango è superstiste. Fin qui, i bandi per chi si è laureato da poco, ma studenti e laureandi dell'università di Pavia possono tenere d'occhio la pagina dedicata ai premi di studio, sempre piuttosto ricca.L' Istituto veneto di scienze, lettere e arti  assegna poi il  premio "Alessandro Valcanover" alla migliore tesi di dottorato che dall'inizio del 2013 alla data di scadenza del bando, il 20 febbraio, abbia analizzato un tema legato alla montagna da una prospettiva ambientale, geologica o forestale. I  2500 euro del riconoscimento, offerti dai genitori di Valcanover, saranno consegnati nel corso della cerimonia di chiusura dell'anno accademico, tra maggio e giugno prossimi. Per partecipare è sufficiente inviare per mail a premiconcorsi [chiocciola] istitutoveneto.it insieme a cv e copia pdf del lavoro.Un altro bando, davvero super, è quello promosso dall'associazione di professionisti ICT, Aica, insieme a Rotary International. Si chiama Etic - Etica delle tecnologie dell'informazione e comunicazione e fino al 28 febbraio assegna ben dieci premi da 2400 euro ciascuno a autori e autrici di tesi di laurea o dottorato che abbiano guardato alle implicazioni etiche e sociali dell'uso delle tecnologie digitali, nei più vari ambiti: formazione, lavoro, salute, ricerca. Indispensabile un voto di almeno 106/110 e, per i dottorati, di 96/100 dopo la discussione, che deve essere avvenuta tra il primo marzo 2014 ed il 20 febbraio. La domanda va fatta online, allegando copia pdf di certificato di laurea o dottorato, lettera di presentazione del relatore, eventuali pubblicazioni e una presentazione di cinque pagine della tesi, non l'intero lavoro, che sarà chiesto solo alla rosa dei finalisti. I dieci vincitori si ritroveranno poi a Torino per la cerimonia di premiazione, a giugno.Stessa scadenza, il 28 febbraio, per il riconoscimento che un gruppo di Lions Club veneti riserva ai laureati in Medicina dell'anno solare 2014 che si siano interessati alle malattie rare, ereditarie e metaboliche. In palio ci sono tre somme da 2mila, mille e 500 euro, destinate ai primi tre classificati. Chi pensa di volerci provare deve spedire cv e quattro copie cartacee della tesi (non necessariamente per raccomandata A/R) più una digitale alla sede del Lions Club capofila dell'iniziativa, a Padova. Su un versante ibrido tra tecnologia e giurisprudenza, il Cei - Comitato elettrotecnico italiano invece torna con un premio consolidato, quest'anno alla sua 19esima edizione. L'avviso è per tre riconoscimenti, rispettivamente del valore di 2500, 2mila e 1500 euro per le tre migliori tesi dedicate allo sviluppo della normativa -  italiana e non - in un ampio ventaglio di settori: elettrotecnico, elettronico, delle telecomunicazioni, commerciale e terziario. Destinatari sono tutti i laureati, sia triennali che di biennio, in Ingegneria, Economia, Giurisprudenza e Scienze politiche che abbiano concluso o concluderanno gli studi tra il primo gennaio 2014 e il prossimo 28 febbraio. Modulo di domanda, copia della tesi rilegata, copia del certificato di laurea e una nota del relatore che avalla  la partecipazione al premio devono pervenire per raccomandata A/R alla sede del Comitato, a Milano, entro il 15 marzo. Ai vincitori verrà poi richiesto un estratto di venti cartelle, da presentare nella cerimonia pubblica di premiazione, per la quale il comitato si fa carico delle spese di viaggio e alloggio (solo per i vincitori distanti da Milano più di 100 km).Chi infine ama il territorio del Sulcis Iglesiente, nell'estremo sud ovest della Sardegna, e vi ha dedicato il proprio lavoro di tesi, può partecipare al bando promosso dalla locale divisione Cgil e dal centro studi della Cgil sarda. Sono ammessi tutti i laureati italiani degli anni 2012/2013 e 2013/2014 con meno di 35 anni, sia di primo che di secondo livello, che abbiano guardato alla regione analizzando le ripercussioni su di essa della crisi economica e occupazionale, le politiche di sviluppo industriale e sociale o che abbiano elaborato progetti di salvaguardia e recupero del territorio. Al primo e secondo classificato tra i laureati triennali andranno rispettivamente mille e 500 euro netti; ai colleghi senior 1500 e 750 euro. Entro il 30 marzo dovranno pervenire (consegnate a mano o per raccomandata A/R alla sede territoriale della Camera del lavoro, a Carbonia) solo i moduli di domanda, in carta semplice. Per spedire la tesi, richiesta sia in formato cartaceo che digitale, c'è tempo invece fino al 30 aprile, secondo le stesse modalità. Una copia digitale del lavoro va poi obbligatoriamente inoltrata anche a sulcis [chiocciola] cgilsarda.it.Annalisa Di Palo

WingLights, la startup che ha messo le frecce alle biciclette

«Why does your bicycle not have indicator?», perché la tua bicicletta non ha gli indicatori di direzione luminosi? si legge sulla home page del loro sito. La domanda se la sono posta Luca Amaduzzi e Agostino Stilli, entrambi under 30 emigrati a Londra per completare gli studi, ma anche ciclisti per passione e per necessità. La loro risposta si chiama Winglights, il primo dispositivo che consente di montare le cosiddette frecce anche sulle biciclette. Amaduzzi frequenta il master in innovation creativity and leadership alla City University London, Stilli ha scelto un dottorando in robotica  a Londra dopo una la laurea in ingegneria in Italia ed entrambi per spostarsi nella “city”  usano la bicicletta. «Essendo abituato in Italia a guidare l’auto sentivo la mancanza delle frecce» racconta Luca Amaduzzi alla Repubblica degli Stagisti:  «Go provato a cercare su internet, ma non c’era nessun prodotto che permettesse di applicare gli indicatori di direzione anche sulle biciclette, così mi sono detto “perché non inventare qualcosa?”. Ho parlato dell’idea al mio coinquilino Agostino e insieme abbiamo deciso di provarci».   Qui la storia smette di essere italiana e comincia quella tutta londinese di una startup che dopo solo un anno è pronta a diventare un’impresa. «E’ successo tutto molto velocemente» racconta ancora Amaduzzi: «Burocrazia? Con 25 sterline, poco più di 30 euro, abbiamo aperto la società. Tutta la procedura si fa online». E poi l'accesso al credito? «Con il Sirius Programme dell’UKTI, lo United Kindom Trade & Investment, la nostra idea è stata selezionata per entrare a far parte di un accelleratore d’impresa finanziato dallo Stato che per un anno ci ha messo a disposizione tutto ciò di cui ha bisogno una startup: possiamo interagire con un gruppo di mentor esperti che ci consigliano su ogni aspetto, dalla produzione al marketing, ma la cosa più importante sono i contatti. Se chiediamo di poter presentare il nostro prodotto, loro ci mettono in contatto con potenziali clienti». In pochi mesi i due startupper hanno bruciato le tappe, certo aiutati da un contesto che aiuta i giovani. E che succede mancano un ufficio e una vera e propria sede di produzione? «All’inizio ci siamo un po’ divertiti con stampi fatti in casa e silicone liquido» prosegue Amaduzzi: «e una volta raggiunto un risultato soddisfacente abbiamo realizzato dei prototipi con le stampanti 3D dell’università. L’idea è piaciuta così tanto che la stessa università attraverso uno spin-off  ci ha messo a disposizione un ufficio, gratis». L’unico costo che i due hanno sostenuto è stato il viaggio in Cina per scegliere la linea di produzione che avrebbe realizzato in serie il loro prodotto: «Se le cose non fossero andate bene l’avremmo presa come una vacanza, ma là abbiamo capito che bastava qualche piccolo ritocco al prodotto per poter davvero entrare in produzione».Studiando le macchine utilizzate per la manifattura Amaduzzi e Stilli hanno deciso di sostituire la plastica utilizzata nei primi prototipi con l’alluminio «e il prodotto» dicono «è diventato ancora più gradevole esteticamente. Per noi quel viaggio è stato fondamentale, abbiamo toccato con mano e visto con i nostri occhi la filiera produttiva».  Ma per il primo stock di produzione ci vuole un finanziamento. La “banca” che ha sostenuto il vero lancio di Winglights si chiama Kickstarter, una delle più grandi piattaforme online per la raccolta di fondi: «Abbiamo proposto il prodotto e grazie al crowdfunding abbiamo raggiunto il budget per iniziare la produzione. Le circa 600 persone che ci hanno dato un contributo riceveranno in omaggio il prodotto, il resto andrà in commercio».Winglights è un oggetto semplice e innovativo allo stesso e per capire come funziona bastano pochi click sul sito internet, dove è già possibile pre-ordinare l’oggetto. Si inserisce all’estremità del manubrio un supporto in gomma e su questo, attraverso un magnete, si applica il vero e proprio indicatore luminoso. Per attivarlo e disattivarlo basta premere con la mano sulla luce e la freccia si accende o si spegne. Ma portarsi dietro un paio di frecce può non essere pratico: i due startupper hanno risolto anche questo problema. Appena scesi dalla bici basta infatti staccare le frecce e avvicinare i due magneti per portarle comodamente in borsa o nello zaino senza il rischio di perderle. E possono essere usate anche come portachiavi. Il video promozionale realizzato per il sito internet mostra quanto WingLights sia un prodotto facile da insatallare e da usare, ma soprattutto quanto sia utile per la sicurezza chi sceglie la bicicletta come mezzo di trasporto. Un’idea italiana che all’estero ha trovato la strada per diventare un’impresa.  «Se fossimo stati in Italia non so se che cosa sarebbe successo» ammette Amaduzzi un po’ sconsolato: «Qui abbiamo trovato un ambiente molto favorevole per realizzare la nostra impresa. A me l’Italia piace tantissimo e adoro la mia Firenze o la Sardegna dove i miei genitori gestiscono un hotel, ma le possibilità per i giovani, qui a Londra, sono molte di più».  

Volontariato in crescita: chi lo fa è anche più felice

Sarà perché il lavoro è sempre più scarso, la disoccupazione sale e tante persone hanno, volenti o nolenti, molto tempo libero. Sarà che a volte, in un mondo di consumismo, fa bene ritrovare il valore della semplicità e del dono. Sta di fatto che il volontariato, così come in generale tutto il terzo settore o comparto non profit che dir si voglia, è in forte ascesa. E non certo solo per la malavita che – come informa la cronaca  – ha attinto a piene mani da questo bacino. Chi sceglie questa strada lo fa perché ci crede davvero e per un'autentica spinta altruistica. Del resto chi l'ha detto che la soddisfazione personale arrivi solo dalle occupazioni retribuite? A censire il fenomeno è stato l'Istat insieme a CSVnet (Coordinamento nazionale centri servizio per il volontariato) e Fondazione Volontariato e Partecipazione.A «offire il proprio tempo per gli altri» fa sapere alla presentazione Tania Cappadozzi, responsabile della ricerca, «sono 6,63 milioni di volontari operativi, di cui 4,14 attivi in organizzazioni». Considerando una settimana lavorativa standard da 36 ore, l’ammontare del lavoro volontario equivale a quello di circa 875mila unità occupate a tempo pieno. La sezione più cospicua è quella dei 45-65enni, quasi un quinto del totale. Più pigri i 25-44enni, che costituiscono solo 15% del totale. Al Nord est è concentrata la parte più attiva dei volontari (16%), seguiti da Nord ovest (13%) e Centro quasi a pari merito. Il Sud è invece fanalino di coda con un più ristretto 8% di persone che si impegnano per il prossimo. Ed è sbagliato credere che a dedicarsi agli altri siano risorse con poche chance di essere occupate: al contrario, la maggior parte di loro possiede una laurea e ha anche già un impiego.La decisione di utilizzare quel tempo che avanza dopo il lavoro (sempre che ci sia, il lavoro) è quindi dovuta a una voglia di darsi da fare che prescinde dalla ricompensa economica. Corollario di questo profilo stilato dalla Cappadozzi è che il «benessere soggettivo», come lo definisce la ricercatrice, è più spiccato nei volontari rispetto al resto della popolazione. Tra i volontari organizzati - quelli cioè che prestano servizio per organizzazioni vere e proprie, a differenza dei non organizzati, che agiscono per conto proprio - la fiducia nel prossimo è superiore di quasi quindici punti rispetto agli altri: 35 contro 20%. Di pari passo cresce la soddisfazione nei confronti della propria vita (+11%) e l'ottimismo verso il futuro (+6%). Il ritorno sul piano umano per chi esercita una qualche attività di volontariato è indiscusso: tantissimi dicono di «sentirsi meglio con se stessi, di aver allargato la propria rete di conoscenze, di aver addirittura cambiato modo di vedere le cose», sottolinea Riccardo Guidi della Fondazione Volontariato e Partecipazione, che ha curato una ripartizione dell'esercito dei volontari italiani particolarmente interessante. Ci sono quelli che lo abbracciano per «sopperire ai bisogni non soddisfatti della comunità e dell'ambiente», la metà circa, abitata soprattutto dalla fascia di mezzo dei 45-54enni (58%). Ci sono i volontari per amicizia, che lo praticano «per stringere e coltivare nuovi rapporti» (il 30% che però diventa il 40 nei ragazzi tra i 15 e i 24 anni), o per credo religioso (il 25%). E poi c'è anche una piccola fetta che lo fa invece per «valere, ossia mettersi alla prova, valorizzare le proprie capacità o accrescere la propria occupabilità». Sono il 17% dei 4 milioni di volontari italiani organizzati, ma «i giovani tra i 14 e i 24 anni e tra i 25 e i 34 anni caratterizzano significativamente questo gruppo», spiega Guidi. Ed è qui che infatti si ristabilisce un ponte tra terzo settore e mondo del lavoro, tutt'altro che separati. Marco Musella, docente di economia politica alla Federico II di Napoli, ha illustrato nella sua ricerca come «il volontariato sia infatti propulsore di nuove professioni». Il professore lo ritiene «sperimentatore di nuove professioni, strumento di accumulazione di capitale umano e facilitatore dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro». È in questo campo che si crea infatti l'esigenza di «operatori di primo contatto, che si dedichino all'accoglienza» ad esempio. Insieme a loro si rendono necessari «animatori di centri socio-educativi» che accompagnino le persone nella crescita e nel benessere personale attraverso la cosiddetta 'education', ovvero l'insieme dei processi formativi. Per rendicontare i progetti si crea spazio poi per «figure gestionali e amministrative di vari livelli», sottolinea Musella, che «reperiscano risorse e organizzino processi produttivi sui generis». E poi ci sono i progettisti, quelli che per mestiere devono conoscere le caratteristiche dei bandi pubblici e quindi essere in grado di formulare progetti che possano vincerli.Qui si aprono possibilità anche per «un profilo alto, di tipo manageriale, del quale si avverte il bisogno in settori come la cultura, l'ambiente, il sociale, dove i processi produttivi avvengono sfruttando le reti relazionali corte e lunghe». Il volontariato «contribuisce alla creazione di capitale umano e all'incremento delle competenze trasversali». Non a caso le principali attività svolte nelle organizzazioni di volontariato sono in mano a specialisti delle scienze gestionali (per il 76% dei casi).  Il volontariato agevola pure il matching tra domanda e offerta di lavoro: anche nel non profit, come altrove, la partecipazione delle persone rende più facile la circolazione delle informazioni e quindi la creazione di nuovo «capitale umano». Ilaria Mariotti 

Servizio civile, 50mila i volontari previsti nel 2015. Al via progetti per zone di guerra

Buone notizie per il servizio civile nazionale. Dopo stagioni di stallo – qualche anno fa il bando fu perfino soppresso – l'operazione di rilancio promessa dal governo, il cosiddetto servizio civile universale per 100mila ragazzi, sembra dare i primi frutti. Sperando che agli annunci seguano i fatti. La prima novità riguarda il bando per i Corpi civili di pace, in dirittura d'arrivo – forse già nelle prossime settimane – e destinato a 500 giovani da inviare in zone di post conflitto o emergenza ambientale. Nove milioni i fondi stanziati. «Nel 2015 daremo attuazione mediante un decreto ministeriale a una norma già prevista nella legge di stabilità 2013 che prevedeva un intervento sperimentale di tre anni per la creazione di corpi speciali per 500 giovani» ha spiegato il sottosegretario al lavoro Luigi Bobba in conferenza stampa a Palazzo Chigi. Un progetto inedito per l'Italia, che pone anche qualche serio problema di sicurezza considerata l'emergenza bellica internazionale. Per questo, ha assicurato Bobba, «sarà coinvolta anche la Farnesina per individuare le località adeguate».Sempre per il 2015 è previsto anche l'avvio di un altro progetto sperimentale, il servizio civile europeo IVO4 ALL, in vigore dal primo febbraio con l'ok della Commissione europea. Come rivelato dal sottosegretario, proprio dopo gli attentati di Parigi dalla Francia è stata avanzata la richiesta di un servizio civile obbligatorio europeo, di cui IVO4 ALL rappresenterebbe un abbozzo. Per questa fase provvisoria, i paesi partner sono Francia, Germania, Italia, Lituania, Lussemburgo e Regno Unito. I fondi sono in questo caso più esigui, tre milioni, di cui quasi due provenienti dall'Europa, e i restanti suddivisi tra gli stati partecipanti. I volontari saranno infatti un numero ridotto di 100, e l'Italia avrà il ruolo di «paese leader» specifica il comunicato, insieme a Francia e Regno Unito. Per gli altri i compiti saranno minori, di «comunicazione o di semplici spettatori».Confermata poi l'introduzione del servizio civile dentro il programma Garanzia giovani, un'idea che non tutti hanno salutato con favore (convinti che il programma europeo anti-disoccupazione debba soprattutto preoccuparsi dell'occupazione). Finora i posti disponibili sono stati 5504, offerti dalle dieci regioni partecipanti: Abruzzo, Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia e Umbria. Quest'anno si aggiungerà anche il Molise, e il numero complessivo delle partenze – con i nuovo bandi in uscita entro il primo semestre sarà portato a 7500.Ma sono anche altri i rami in cui si diversificherà, almeno nelle intenzioni, il servizio civile. Ci sono infatti i progetti autofinanziati in Italia da enti o amministrazioni che li hanno proposti (tra questi Anpas, Codacons, Regione Puglia, Regione Campania e Regione Lombardia), per un totale di 1304 volontari. Ci sono poi «i protocolli di intesa e gli accordi di programma» ricordati nel comunicato, «firmati negli ultimi due mesi del 2014 per avviare al servizio civile nazionale 2662 volontari». Le sedi di accoglienza saranno i ministeri dei Beni culturali, dell'Ambiente e dell'Interno, l'Autorità nazionale anticorruzione, e lo stesso Expo 2015. Quanto alle coperture finanziarie, si attingerà ancora dal bacino di Garanzia giovani (il 50% viene da lì), e da «risorse delle varie amministrazioni» per la restante metà. Contando anche i bandi straordinari per grandi invalidi e ciechi (da emanare entro gennaio) per 954 persone, «il dato previsionale 2015» riassume il comunicato, ammonta a 48mila partenze. Solo nel 2005-2006 ci si era avvicinati a questa cifra, con 45mila posti, poi drasticamente tagliati di anno in anno fino agli 893 del 2013.A una domanda sullo status giuridico dei selezionati il sottosegretario Bobba ha ricordato: «Non perché ci sia un rimborso spese, vuol dire che non si tratta di volontariato. Un emolumento è ammesso anche dalla legge sul volontariato in alcuni casi». Di buono ai fini dell'occupabilità c'è però che d'ora in poi il servizio civile nazionale potrebbe assumere valore grazie al sistema di certificazione delle competenze. «L'Isfol è stato incaricato di approntare un sistema di validazione e certificazione delle competenze acquisite dai volontari» preannunciano dal Dipartimento della gioventù. Segnando forse così un ulteriore passo in avanti.In un paese dove i Neet sono ai massimi livelli, anche queste opportunità di servizio civile sono preziose. I giovani hanno entusiasmo e voglia di mettersi in gioco. Lo ha raccontato Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e statistica sociale, illustrando i risultati del Rapporto giovani dell'Istituto Toniolo condotto su circa 1800 19-30enni. «La condizione peggiore per i giovani italiani è quella di rimanere inattivi e inoperosi senza vere opportunità per mettere alla prova le proprie abilità, il proprio saper essere e saper fare» è scritto nel riassunto del report. «La grande maggioranza presenta una grande volontà di essere attiva e partecipativa e una forte predisposizione all'intraprendenza». E infatti sfiora l'80 per cento la quota di intervistati nel sondaggio che si dice disposta a tentare la strada del servizio civile, qualora gliene venisse offerta la possibilità. Ilaria Mariotti 

Tito Boeri alla presidenza dell'Inps: perché non piace ai vecchi, perché dovrebbe piacere ai giovani

Tito Boeri è da poco diventato presidente dell'Inps. Anzi, in realtà bisognerebbe dire che per adesso è solo stato nominato: il consiglio dei ministri ha annunciato il suo nome, ma ora c'è da espletare la trafila burocratica. Che prevede alcuni passaggi: al momento il testo della delibera che sancisce la sua nomina è in commissione lavoro in entrambe le Camere, per un parere; quando li avrà ottenuti dovrà essere votata, poi tornerà al Governo e quindi al Quirinale e infine diventerà un dpr, cioè un decreto del presidente della Repubblica. In caso il successore di Giorgio Napolitano non fosse ancora stato nominato, il decreto potrà comunque essere firmato dal presidente del Senato Pietro Grasso, che al momento ne fa le veci. La nomina è passata un po' sotto silenzio perché è arrivata il giorno della vigilia di Natale. Sul sito web ufficiale dell'Inps, a poco meno di un mese dall'annuncio di Renzi, non vi è alcuna traccia di Boeri - tutto è fermo infatti al commissario Treu. Eppure salvo rivoluzioni tra poco il docente di economia alla Bocconi, tra i fondatori del sito La Voce, dovrebbe insediarsi. E si tratta di una notizia importante.Boeri, oggi 56enne, è stato infatti in questi anni in prima linea nel denunciare le storture e le iniquità del mercato del lavoro italiano, i soprusi subiti dai giovani dal punto di vista della retribuzione e delle tutele, il grande pericolo della scarsa contribuzione che porterebbe - porterà - nel 2030-2040 a una schiera di pensionati poveri: i sottopagati di oggi che diventeranno domani sottopensionati. Boeri ha detto e scritto queste cose innumerevoli volte, ha lavorato a proposte di legge per riformare il mercato del lavoro. Una volta che si sarà insediato al vertice dell'Inps, potrebbe fare la differenza. Le due richieste che già gli avanza la Repubblica degli Stagisti sono semplici. La prima: mandare finalmente le famose "buste arancioni" a tutti gli iscritti alla gestione separata, con il prospetto dell'ammontare dell'assegno pensionistico futuro in base ai contributi finora versati. Gli iscritti sono quei circa tre milioni e mezzo di persone che non hanno un contratto di lavoro di tipologia subordinata e non fanno riferimento a casse previdenziali di categoria (come l'Inpgi gestione separata per i giornalisti, etc). Questi tre milioni e mezzo di contribuenti ogni anno versano otto miliardi di euro nelle casse dell'istituto alla cui testa tra poche settimane arriverà Tito Boeri. Sono anni che si parla di queste famose buste arancioni, ma il precedente presidente - il famoso Antonio Mastrapasqua, quello con i venti e più incarichi - a un convegno nell'ottobre del 2010 si lasciò scappare la celeberrima frase «Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale» e infatti continuò per anni a rimandare, sperando che tutti se ne dimenticassero. Non ce ne siamo dimenticati. Dunque professor Boeri, bando alle ciance: mandi ai precari i prospetti delle pensioni, si prenda la responsabilità di alzare il sipario sul futuro, in modo che anche la politica possa prendere finalmente coscienza del problema e agire di conseguenza.La seconda richiesta: fare chiarezza sull'ammontare dei contributi silenti, cioè quelle quote contributive versate dai lavoratori che non sono sufficienti ai fini della maturazione di una pensione minima, e che però non vengono restituite - come accade in molti Paesi civili - ai contribuenti né sotto forma di prestazione previdenziale, né come rimborso in un’unica soluzione. Questi soldi vengono incamerati dall'Inps e usati per pagare le pensioni a chi ne ha maturato pieno diritto.Boeri conosce bene la materia. Prova ne sia che tra le altre cose, nel 2011 aveva anche firmato l'introduzione del saggio Senza pensioni, scritto da Walter Passerini e Ignazio Marino e pubblicato dalla casa editrice Chiarelettere, definendo così il merito del libro: «documentare queste iniquità, per una volta soffermandosi soprattutto su quelle intragenerazionali anziché solo su quelle intergenerazionali» e complimentandosi con gli autori per aver fatto emergere  «le differenze fra i trattamenti riservati ai lavoratori dipendenti e a quelli di diverse categorie di lavoratori autonomi» e «gli effetti dell’assenza di tetti alle pensioni definite con il metodo retributivo, con trattamenti pensionistici che superano i 90mila euro all’anno». Rileggere quelle pagine è molto interessante per capire l'approccio del prossimo presidente dell'Inps rispetto al tema delle pensioni come voce principale di spesa dello Stato italiano: «La spesa corrente è fatta per più del 40 per cento di pensioni. La parte restante è rappresentata dalla spesa per beni pubblici quali difesa, istruzione, giustizia, sanità, ambiente, cultura, ammortizzatori sociali e assistenza. Se non si toccano le pensioni bisogna operare tagli della spesa per istruzione, sanità, giustizia e per gli altri beni pubblici dell’ordine del 12 per cento in un biennio». Ovviamente Boeri è convinto che gli sprechi nella gestione dei fondi pubblici siano molti, e che sarebbe possibile cominciare a tagliare quelli prima di andare a ridurre prestazioni essenziali come l'istruzione e la cultura, ma è ben consapevole che le spending review "ragionate" non piacciono ai politici, poco inclini a ridurre le proprie prebende; e dunque che se non si riducono le pensioni tagli consistenti alla spesa pubblica «possono essere conseguiti in tempi ristretti solo facendo pagare di più gli utenti di questi servizi (la spesa alberghiera negli ospedali, la scuola ecc.) che oggi vengono già in Italia forniti in quantità e qualità minore che in molti altri paesi a simile grado di sviluppo. Non sembra perciò neanche immaginabile un processo di riduzione del debito pubblico senza intervenire sulla spesa previdenziale». L'idea di fondo di Boeri è che in Italia per molti anni si sia andati in pensione troppo presto: «Negli ultimi 40 anni, abbiamo guadagnato circa 10 anni di vita. La longevità è cresciuta a un ritmo impressionante e imprevisto: due anni e mezzo ogni dieci». Il professore certamente non si rammarica di questo aumento dell'aspettativa di vita, ma osserva che esso incide non poco sull'equilibrio finanziario del sistema previdenziale e sulle casse dello Stato: «Non sarebbe stato un problema per la sostenibilità della spesa pensionistica, se le persone avessero cominciato a lavorare più a lungo, destinando la stessa percentuale di tempo di vita all’inattività. Invece, mentre aumentava la speranza di vita, gli italiani hanno iniziato a lavorare sempre di meno». E gli esempi che porta sono impressionanti: «I nati nel 1925 lavoravano, in media, 45 anni, mentre i nati nel 1945 lavorano 8 anni in meno. Il fatto è che si inizia a lavorare più tardi e ci si ritira prima dalla vita attiva: negli anni Sessanta si andava in pensione a 63 anni, oggi a 59. Ne consegue che le pensioni oggi vengono erogate per molti più anni, facendone lievitare i costi».E chi paga queste pensioni? Boeri spiega che «questi trattamenti pensionistici sempre più costosi vengono pagati da chi lavora, con la promessa che, quando andranno in pensione, verranno trattati allo stesso modo. Ma il maggiore costo delle pensioni unito al calo delle nascite (quindi del numero di coloro che in futuro pagheranno le pensioni di chi si ritira dalla vita attiva) hanno reso questo patto intergenerazionale insostenibile e iniquo». I giovani di oggi si ritrovano dunque un macigno sulle spalle, costituito dall'ammontare delle generose pensioni di chi ha già smesso di lavorare o smetterà nei prossimi anni: «Oggi chi lavora versa, tra contributi e tasse sui redditi, circa il 45 per cento dei propri salari a chi è in pensione e che, a suo tempo aveva trasferito ai pensionati di allora non più del 30 per cento del proprio stipendio. Di più, chi ha iniziato a lavorare negli ultimi 10 anni sa che riceverà una pensione molto più bassa (dal 20 al 30 per cento inferiore, in rapporto all’ultimo salario) di chi va oggi in pensione». Risultato, nessuno vuole più saperne di contributi così alti: «La tassa imposta da chi è in pensione su chi lavora sta diventando così alta che i datori di lavoro la pagano sempre di meno: si creano posti che prevedono contributi previdenziali più bassi (dai Co.co.co. ai contratti a progetto) e si pagano salari inferiori, il che significa che la tassa viene fatta pagare ai lavoratori. Chi oggi inizia a lavorare ha un salario netto di ingresso del 15 per cento inferiore a chi iniziava a lavorare dieci anni fa. Il risultato è che questi nuovi entrati rischiano, pur lavorando 45 anni come si faceva una volta e pagando ai pensionati una tassa molto più alta di allora, di non arrivare a maturare i requisiti per una pensione al di sopra del livello di sussistenza. Cornuti e mazziati, verrebbe da dire. E non serve alzare i contributi, se non si riduce la tassa previdenziale che grava sul lavoro».In quelle pagine Boeri non si è limitato a descrivere l'esistente e tessere le lodi del libro, ma ha indicato con decisione la necessità da parte della politica di farsi carico del problema e di immaginare soluzioni sostenibili e immediatamente efficaci: «È molto importante andare oltre la denuncia dello status quo. Un sistema pensionistico sostenibile ed equo dovrebbe definire il livello dei trattamenti pensionistici in base a quanto si è effettivamente versato durante tutta la vita lavorativa e tenere conto del numero di anni in cui si finirà, presumibilmente, per fruire del trattamento». Uno scontro frontale con i sostenitori - quasi tutti, va da sé, pensionati o pensionandi - del vecchio sistema retributivo, ormai non più in vigore, che ha assicurato per decenni a chi andava in pensione la corresponsione di un assegno pensionistico mensile praticamente uguale all'ultimo stipendio, indipendentemente dall'ammontare dei contributi versati negli anni lavorati. Un vero e proprio regalo "a babbo morto", che adesso si ritrovano a dover pagare tutti quelli nati dagli anni Settanta in poi.Boeri però non è d'accordo nemmeno con chi propone di tagliare le pensioni in essere: «Dato che non si è fatto nulla quando si poteva intervenire sull’età di pensionamento, adesso i politici che vogliono ridurre la spesa pensionistica rivolgono sempre di più la loro attenzione sulle pensioni in essere. Si prospettano cambiamenti nelle regole di indicizzazione, se non veri e propri tagli forzosi delle prestazioni più alte. Si tratta di interventi del tutto arbitrari, il cui unico scopo è fare cassa, ignorando o addirittura aumentando le storture, le sperequazioni del nostro sistema previdenziale» - da notare che queste righe erano state scritte prima della riforma Fornero. «Sarebbe molto più equo, perché coerente con la transizione al sistema contributivo, indicizzare le pensioni al di sopra dei minimi sociali, alla crescita economica, così come avviene in Svezia» concludeva Boeri nell'introduzione del saggio di Passerini e Marino: «Non solo permetterebbe di ottenere risparmi sostanziali sulla spesa pensionistica in caso di bassa crescita, ma determinerebbe una compartecipazione dei pensionati alle perdite o ai guadagni dell’economia. Perché sin quando le pensioni saranno una variabile indipendente, la crescente popolazione dei pensionati non avrà alcun interesse a sostenere politiche per la crescita». La maggior parte dei pensionati di oggi infatti non gradisce la sua nomina: quelli di domani invece dovrebbero, perché se Boeri manterrà saldi i principi che ha sempre predicato negli ultimi anni, lavorerà per ridurre le iniquità e per assicurare ai venti-trentenni di oggi una pensione dignitosa per domani.