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L'Iefp non è un canale formativo di serie B, anzi garantisce sbocchi occupazionali migliori delle scuole superiori

«Non è un canale formativo di serie B, ma un altro tipo di scuola». Antonio Varesi, presidente dell'Isfol - ente di ricerca su formazione e politiche sociali e del lavoro - spiega così sul sito dell'istituto il sistema educativo cosiddetto Iefp: l'istruzione tecnica, per dirla in parole semplici, entrata sperimentalmente nel regime scolastico italiano nel 2003 e oggi considerata a tutti gli effetti ordinamentale. Corsi triennali o quadriennali per ristoratori, elettrauti, operatori del benessere, erogati da scuole statali così come da agenzie formative (ce ne sono centinaia in ogni regione), sia pubbliche che convenzionate. Un'alternativa alla scuola tradizionale per l'assolvimento dell'obbligo scolastico per i 14-17enni, la cui competenza è in capo alle Regioni. E che conferisce un diploma di stato equivalente a tutti gli altri, con circa mille ore annuali spalmate su percorsi sia comuni che individuali di recupero, divise tra aule e laboratori, esperienze di alternanza scuola-lavoro incluse. Il dato principale è che la Iefp ha una discreta efficacia ai fini dell'inserimento lavorativo. Uno su due, dopo tre anni, ha un lavoro. Tra i diplomati 2011 "tradizionali", a tre anni dal titolo, ne risultavano invece occupati solo quattro su dieci, secondo le statistiche di Almadiploma. Un dato cruciale, sopratutto per uno dei paesi europei con la più alta concentrazione di Neet, l'ormai famoso acronimo che definisce i giovani inattivi. A testimoniare il buon funzionamento dell'Iefp è il rapporto che l'Isfol ha pubblicato poche settimane fa.«Se all'epoca del suo avvio si contavano appena 23mila iscritti» osserva Valeria Scalmato, ricercatrice responsabile del rapporto, «oggi sono quasi 330mila». L'incremento rispetto all'anno scorso è inoltre dell'8%. L'identikit dei diplomati - 75mila - è di maschi residenti per lo più al Nord (più di sei su dieci), mentre i settori più gettonati sono la ristorazione, il benessere e l'elettrico. La metà sembrerebbe destinata a trovare lavoro quasi subito - «a tre anni dalla qualifica gli occupati sono la metà» conferma lo studio - nonostante il calo rispetto all'indagine del 2011, che evidenziava un tasso di occupazione del 59%. Le migliori performance arrivano dalle agenzie formative accreditate, i cui allievi trovano lavoro nel 55% dei casi, mentre per le scuole la percentuale si ferma sotto di più di quindici punti. E i posti sono soprattutto stabili: «più di tre su quattro hanno una posizione da dipendente, la restante parte è suddivisa equamente tra lavoro autonomo e contratti atipici» spiega il rapporto. Un punto lascia però perplessi. Per la Iefp sono stanziati annualmente 780 milioni (590 dalle Regioni, 189 dal governo), con un costo medio per studente attorno ai 4.600 euro, con oscillazioni tra i 3.900 della Toscana e gli 8mila di Bolzano. Una somma arrotondata peraltro per difetto, che non considera la parte dei costi sostenuta per conto proprio dagli istituti professionali: «strutture, personale, spese di mantenimento didattico», si legge nel report. Una cifra consistente, visto il numero ridotto di chi frequenta la Iefp: sono appena 330mila, contro l'insieme degli studenti italiani della statale che raggiunge gli 8 milioni. Soprattutto se si pensa che sulla riforma della Buona scuola è stato messo non molto di più: un miliardo per il 2015 (una volta a regime saranno tre). Una sproporzione che mette in luce come questo sia uno dei settori di punta, o almeno tra i favoriti dalle recenti politiche di governo. Che funzioni, è innegabile: ma forse anche proprio perché può contare su un ammontare di risorse che la maggior parte degli studenti italiani si sogna. Sono anche altre le note di merito della Iefp. In primis «la capacità inclusiva della filiera», specie in favore delle categorie più deboli dal punto di vista occupazionale: «Gli iscritti di nazionalità straniera sono circa il 15% del totale» riferisce il rapporto. Gli stranieri sono anche i più motivati, con voti migliori e meno bocciature, e quelli che «scelgono in maggior misura il percorso formativo in prima battuta e non a seguito di un insuccesso scolastico». L'altro dato è infatti che gli studenti italiani Iefp sono spesso soggetti «a rischio di abbandono scolastico, con una scarsa consapevolezza dei propri mezzi e con un percorso irregolare». Non a caso entrano nel triennio formativo di solito dal secondo anno. La Iefp è insomma un valido «argine al fenomeno della dispersione formativa» sostiene l'Isfol nel rapporto.Tuttavia non mancano le consuete criticità del sistema occupazionale italiano: sono molto rilevanti, per esempio, le disuguaglianze territoriali perché si lavora sempre di meno al Sud, dove la quota di diplomati Iefp immessi nel mercato è di uno su tre, contro quasi il doppio del Nord est. E a prevalere è sempre la componente maschile, assunta nel 53,4% dei casi - da rilevare una contrazione di quasi dieci punti rispetto a quattro anni fa - giustificata nell'analisi dell'Isfol con «la forte crisi registrata nell’industria e nelle costruzioni, a vocazione tipicamente maschile». Ilaria Mariotti 

Legge Controesodo, il governo a sorpresa cambia le regole: sgravi fiscali meno forti per gli expat che tornano in Italia

Uno dei motivi per cui i giovani italiani vanno all'estero è, innegabilmente, che ci sono opportunità di lavoro migliori rispetto all'Italia. Poi restano lì, e non tornano, sopratutto per una ragione altrettanto innegabile: mediamente all'estero si guadagna di più. Eppure negli ultimi quattro anni sono rientrati in Italia 7mila expat: lo hanno fatto grazie a una legge chiamata "Controesodo", una sorta di incentivo fiscale che permetteva ai laureati rimpatriati dopo una significativa esperienza di lavoro o studio fuori dall'Italia di pagare le tasse per i primi tre anni non sul totale del proprio stipendio, bensì solamente sul 30% (per gli uomini) o 20% (per le donne). La legge era stata una delle poche conquiste "bipartisan" dell'ultimo governo Berlusconi: a inizio 2015, dopo molte tribolazioni, c'era stata una proroga che estendeva la possibilità di beneficiare delle agevolazioni fino a tutto il 2017. Ma a settembre è arrivata la tegola: un decreto ha cambiato le regole del gioco, stabilendo che i "talenti di ritorno" dovranno pagare le tasse sul 70% dei propri guadagni. Cosa succede adesso a quei 7mila che erano sicuri di poter usufruire del regime di vantaggio fino alla fine del 2017? Potranno fidarsi della parola data dal governo appena qualche mese fa? In effetti, i cambiamenti introdotti hanno ritoccato in maniera migliorativa altre condizioni, ma...→ Continua a leggere su Linkiesta

Fulbright, 20 borse di studio per laureati e ricercatori italiani che vogliono specializzarsi negli Usa

Sette borse di studio per Master e PhD e undici per soggiorni di ricerca di 6-9 mesi nelle università americane. Sono alcune delle borse di studio offerte per l’anno accademico 2016-2017 a laureati e ricercatori italiani dalla Us-Italy Fulbright Commission, che ogni anno mette a disposizione complessivamente, attraverso programmi specifici, circa 70 scholarships equamente divise fra quelle rivolte a italiani che desiderano andare negli Stati Uniti e quelle destinate a americani che aspirano invece a fare un’esperienza nel nostro Paese. Non tutte le borse vengono messe a bando nello stesso periodo e, se molte sono destinate a giovani, ce ne sono altre dedicate a profili più senior. La Repubblica degli Stagisti ha selezionato quelle rivolte a laureati e ricercatori italiani per cui le candidature sono ora aperte e si chiuderanno fra dicembre e gennaio.Cominciamo dallo studio. Quattro sono i bandi pubblicati sul sito ufficiale Fulbright per i laureati italiani che desiderino fare un Master o un PhD negli Usa. Per il prossimo anno accademico, due borse di studio fino a 50mila dollari disponibili per chi voglia fare un master in Business Administration (Mba) presso università americane con il Fulbright Ethenea Program. Una borsa fino a 38.500 dollari (Fulbright Santoro) è invece riservata a master programs in International Relations e un’altra, la Fulbright-Law da 20mila dollari, a master o PhD in Law. Per tutte le altre discipline (con l’unica eccezione di quelle che prevedano attività di tipo clinico, come le specializzazioni in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria, Psicologia e Veterinaria), sono disponibili tre borse di studio fino a 38mila dollari, valide solo per un anno accademico. Tutte le borse comprendono inoltre un contributo di 1.100 euro per le spese di viaggio tra Italia e Stati Uniti, l’assicurazione medica finanziata dallo Us Department of State e la sponsorizzazione del visto d’ingresso J-1.Per candidarsi a questi quattro programmi, compilando l’application sul sito e consegnando a mano, via posta o corriere i documenti aggiuntivi richiesti agli uffici della Commissione Fulbright (via Castelfidardo 8, 00185 Roma), c’è tempo fino all’11 dicembre. Tre i requisiti fondamentali: essere cittadini italiani, essere in possesso di un titolo di laurea triennale e/o magistrale, avere inviato la domanda di ammissione a un college statunitense. Richiesta ovviamente anche la conoscenza della lingua inglese, comprovata dalla certificazione linguistica Toefl o Ielts, con un punteggio accettato dall’università americana prescelta.Quali sono i criteri di valutazione delle domande? «Essenzialmente tre» spiega Sandro Zinani, Pr officer della Commissione Fulbright italiana «Il profilo accademico, la qualità delle tre lettere di referenza richieste e dei due saggi motivazionali: il personal statement in cui il candidato si presenta in forma narrativa e lo study project in cui spiega perché vuole frequentare quel determinato corso negli Usa. Oltre, naturalmente, al test di lingua». Per questo Zinani consiglia ai candidati «di non compilare in fretta l’application e di consultarsi con l’università statunitense prescelta, prendendo contatto con i professori». Essenziale è infatti che i candidati siano ammessi dai campus americani. «In genere una trentina di candidati passano la fase di pre-selezione sulla base dell’application inviata» spiega Zinani «e arrivano alle interviste del Comitato di selezione Fulbright», che si terranno il 16 febbraio 2016. Mentre l’esito finale sarà comunicato ai candidati fra maggio e giugno.Stesso iter diviso in due fasi, ma tempi diversi, per chi desidera candidarsi al bando Fulbright Research Scholar che per il prossimo anno accademico mette in palio 11 borse di studio dai 9 ai 12mila dollari (a seconda della durata dei soggiorni) per periodi di ricerca compresi fra i 6 e i 9 mesi in università statunitensi, destinati a assegnisti di ricerca che abbiano conseguito il dottorato da almeno due anni, ricercatori universitari a tempo determinato o indeterminato e professori associati in tutte le discipline ad eccezione delle materie cliniche di Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Veterinaria. Anche in questo caso sono previsti un contributo di 1.100 euro per le spese di viaggio, l’assicurazione medica e la sponsorizzazione del visto d’ingresso.I candidati qui, oltre alla cittadinanza italiana e all’ottima conoscenza dell’inglese, devono godere di un’affiliazione accademica presso un centro di ricerca o un’università italiana o europea, essere in possesso di almeno un titolo accademico rilasciato da un ateneo italiano e di una lettera di invito di da parte di un’istituzione accademica o di ricerca degli Usa. Per candidarsi a queste borse, attraverso il sito, c’è tempo fino all’8 gennaio 2016. Mentre i colloqui-interviste avranno luogo a Roma nella seconda metà del mese di marzo.Una particolare borsa di ricerca è invece quella attribuita attraverso il concorso Fulbright – Fondazione Falcone – Niaf, che offre a giovani studenti iscritti al corso di laurea magistrale o specialistica o al dottorato di ricerca in università della Sicilia l’opportunità di attuare un progetto di ricerca in Criminologia presso college americani, finalizzato al completamento della tesi di laurea o di dottorato. Possono presentare domanda i laureati in Criminologia o in Giurisprudenza, o in altre discipline a indirizzo giuridico-economico, sociologico e antropologico, il cui obiettivo di ricerca riguardi i temi della legalità e della lotta al crimine organizzato. Il progetto, sempre di durata compresa fra i 6 e i 9 mesi, potrà anche qui svolgersi nell’università prescelta dal candidato previa lettera d’invito da parte del campus stesso. E l’entità della borsa (da 9 a 12 mila dollari) dipenderà come di consueto dalla durata del soggiorno. Per candidarsi a questa borsa - con le stesse modalità descritte in precedenza - c’è tempo fino al 29 gennaio 2016.Uscirà a maggio 2016, infine, il bando per le borse di studio del Fulbright – Foreign Language Teaching Assistant Program, destinato a giovani insegnanti di inglese o a laureati che si stiano specializzando per diventare insegnanti, che vogliano fare un’esperienza di lettorato (assistendo docenti americani nell’insegnamento della lingua italiana o tenendo un proprio corso) in un college americano. Lo scorso anno le borse messe a bando furono quattro e anche per il prossimo, anticipa Zanini, «il numero sarà più o meno quello». Chi se la sente, e ha i requisiti giusti, può provarci: e sperare di poter vivere «lo “spirito Fulbright”», diventando anche un po' «ambasciatore del proprio Paese in America», come raccontava qualche tempo fa alla Repubblica degli Stagisti la veterinaria ed ex borsista Laura Cavicchioli. In bocca al lupo!Sara Grattoggi

A Roma tornano i makers. E Italia Lavoro ha deciso di premiarli

Stampano in 3D e programmano schede Arduino: sono i maker, gli artigiani digitali che stanno riscrivendo le regole dell'innovazione. I migliori a livello italiano si ritroveranno dal 16 al 18 ottobre alla Maker Faire di Roma. E per loro Italia Lavoro lancia una sfida: realizzare un prodotto che rappresenti al meglio le “Botteghe di mestiere e dell'innovazione”, iniziativa rivolta ai giovani disoccupati.Si svolgerà dunque questo fine settimana la seconda edizione della Maker Fair Roma, versione europea della manifestazione lanciata nel 2006 negli Stati Uniti dalla rivista Maker. Ospitata dall'università La Sapienza di Roma in uno spazio di oltre 15mila metri quadrati, metterà in mostra oltre 700 invenzioni presentate da più di 600 espositori, selezionati tra gli oltre 1.300 che hanno aderito alla Call for Makers: il bando, chiuso a metà giugno, ha permesso di selezionare i partecipanti. L'iniziativa è stata promossa da Asset Camera, azienda speciale della Camera di Commercio di Roma, e fortemente voluta da Massimo Banzi, ideatore della scheda di programmazione Arduino, e dal Digital Champion Riccardo Luna. Il tutto condito da un ricco programma di workshop e seminari e da un'area riservata ai più piccoli, dove bambini e bambine dai 5 anni in su potranno imparare a programmare.In una fiera dedicata all'innovazione non poteva mancare uno spazio dedicato ai droni. E infatti è stata allestita una voliera alta 22 metri che copre una superficie di 300 metri quadrati all'interno del quale i modelli ideati dai maker italiani potranno mostrare le loro capacità. Per non parlare del padiglione dedicato al cibo e all'agricoltura, dove sarà possibile stampare una crepe in 3D, bere un cocktail preparato da un robot e coltivare piante aromatiche in un orto verticale. Ma alla Maker Faire ci saranno anche i ragazzi selezionati tra gli oltre cento istituti tecnici che hanno partecipato alla Call for Schools. Sono trenta gli stand all'interno del quale questi giovani artigiani digitali potranno presentare i progetti che hanno ideato e realizzato durante l'orario scolastico. Accanto a loro università e centri di ricerca, anche loro pronti ad illustrare le loro idee per declinare l'innovazione.Protagonista di questa edizione sarà anche Italia Lavoro. Già lo scorso anno la società controllata dal ministero dell'Economia e delle Finanze aveva iniziato a sostenere il movimento Makers, presentando un manifesto in dieci punti, un documento che indicava le azioni che IL intendeva mettere in campo per sostenere l'occupazione giovanile attraverso l'artigianato digitale. In occasione della Maker Faire di quest'anno, la società controllata dal Mef ha indetto un concorso dal titolo “Una sfida per i makers”. Entro dopodomani, mercoledì 14 ottobre, gli artigiani possono inviare una loro idea per realizzare un gadget che racconti l'esperienza “Botteghe di mestiere e dell'innovazione”, un bando per l'inserimento di giovani disoccupati in azienda attraverso tirocini formativi che nella sua prima edizione ha coinvolto più di 2mila aziende riunite in 140 botteghe e ha permesso a 3.300 ragazzi e ragazze di effettuare uno stage.Il concorso mette a disposizione complessivamente 38mila euro, risorse che serviranno a finanziare la produzione dei gadget che risulteranno vincitori. La giuria terrà conto in modo particolare di quei progetti che rispetteranno i principi di autosostenibilità, prevederanno l'impiego di materiali riciclabili e di tecnologie innovative che abbraccino tutto il processo produttivo, dalla fase di progettazione a quella di commercializzazione. Un'attenzione verso il mondo makers che non si esaurisce qui: sta infatti per partire la seconda edizione di Botteghe di mestiere. Bando che questa volta prevederà dei meccanismi di premialità per quelle aggregazioni di imprese che parteciperanno garantendo attenzione al mondo dell'innovazione. Ad esempio coinvolgendo quelle realtà come i Fablab, così si chiamano le officine digitali, capaci di aggiungere know how alle aziende. E facendo così da cinghia di trasmissione dell'innovazione nel mercato del lavoro.Riccardo Saporiti 

Ancora ritardi nei pagamenti agli stagisti di Garanzia Giovani in Lazio: «Ma ora abbiamo un accordo con l'Inps» assicura l'assessore

Ritardi nei pagamenti, conguagli non pervenuti e dubbi sulle procedure di lavorazione delle pratiche. Sono alcuni dei nodi di Garanzia Giovani segnalati anche in questi ultimi mesi dai tirocinanti del Lazio, che già quest'estate avevano manifestato sotto la Regione. La Repubblica degli Stagisti ha quindi sottoposto all’assessore al Lavoro della regione Lazio le criticità e le richieste di chiarimento arrivate dai ragazzi.«Ho iniziato il mio tirocinio a aprile in un’azienda informatica a Roma» racconta ad esempio il 26enne Fabrizio «e nonostante avessi inviato tempestivamente i documenti e i dati per il pagamento, solo a fine agosto ho ricevuto l’indennità del primo bimestre. Mentre per quella del secondo sto ancora aspettando». «La situazione è caotica» prosegue Fabrizio «perché noi ragazzi non riusciamo a capire quali siano i criteri con cui la Regione inserisce o meno un tirocinante in una certa determina per il pagamento [erogato dall’Inps, ndr]: ci sono persone a cui i rimborsi di un tale bimestre vengono erogati prima, mentre altri ragazzi ancora attendono il pagamento del bimestre precedente e c’è chi non ha ancora ricevuto un euro pur avendo finito il tirocinio. Inoltre, da giugno la Regione ha aumentato i rimborsi, che sulla carta sono passati da 400 a 500 euro. Ma sia chi ha cominciato il tirocinio prima di giugno, sia chi lo ha cominciato dopo, continua a percepire solo 400 euro al mese, 800 a bimestre, e nessuno finora ha saputo dirci quando e con che modalità riceveremo il resto».Per fare il punto sulla situazione, la Repubblica degli Stagisti ha incontrato l’assessore regionale al Lavoro del Lazio, Lucia Valente [nella foto a sinistra], che a giugno – viste le tantissime segnalazioni di arretrati non pagati – aveva istituito una task force per «velocizzare il più possibile le procedure». «Effettivamente c’era un grosso problema, dovuto al boom di richieste e attivazioni di tirocini registrato in pochissimi mesi » ammette Valente. Ad oggi quelli partiti dall’inizio del programma sono 13mila: «La procedura è complessa e prevede molti controlli oltre a una precisa rendicontazione, quindi abbiamo creato una task force con dieci persone che si è occupata prima di tutto di ammortizzare i ritardi. Ora questa fase si sta chiudendo e stiamo lavorando sul flusso». «Ad oggi abbiamo maturato 14mila richieste di pagamenti dall’inizio del programma» prosegue l’assessore: ogni ragazzo nel corso del tirocinio semestrale ne deve infatti inviare tre, una per bimestre: «di queste 14mila, 10 mila erano corrette e complete e ne abbiamo saldate 9mila. Stiamo lavorando a pieno regime: stacchiamo determine per i pagamenti ogni settimana e il flusso su cui lavoriamo è di 3 mila indennità al mese».Ma quali sono i criteri con cui un ragazzo viene inserito o meno in una certa determina? «Il criterio è cronologico, in funzione dell’arrivo delle richieste di pagamento» assicura alla Repubblica degli Stagisti Silvia Stracqualursi, responsabile della task force per l’assessorato «se alcuni bimestri precedenti risultano non pagati, si vede che la documentazione inviata era errata o incompleta». Proprio questa, secondo Stracqualursi, sarebbe la ragione principale dei ritardi nei pagamenti riscontrati dai tirocinanti: «Molte pratiche nei mesi scorsi ci arrivavano incomplete: con documenti mancanti o errori nella compilazione. Sulle 14mila richieste di pagamento arrivate finora, lo erano ben 4mila». Molte volte nemmeno per colpa dei ragazzi: «Spesso i datori di lavoro, ad esempio, si dimenticano di inviarci la comunicazione obbligatoria di attivazione del tirocinio, forse perché credono non sia necessaria, in quanto non si tratta di un vero e proprio lavoro» spiega Stracqualursi alla Repubblica degli Stagisti. Anche per questo, considerando la mole e la complessità della documentazione richiesta, da luglio l’assessorato ha chiesto agli enti promotori che siano loro (e non più i tirocinanti) a compilare e inviare i moduli: «Se prima le pratiche incomplete erano circa il 30%, ora sono scese al 4%» spiega Valente.Si cercherà così di ottimizzare anche la comunicazione, un altro dei problemi segnalati dai ragazzi. Ad esempio, dopo aver terminato il tirocinio in un’azienda di Tarquinia che si occupa di riciclaggio dei materiali, senza aver ricevuto un euro in 6 mesi, il 27enne Raffaele ha scoperto solo pochi giorni fa che le sue pratiche non erano state lavorate «perché ci volevano i documenti originali e non bastavano le scansioni via email. Ma la cosa assurda è che in 6 mesi nessuno mi aveva contattato per segnalarmi il problema. E se non fossi stato io a contattare diverse volte la Regione per avere spiegazioni sui ritardi, probabilmente avrei continuato a aspettare invano». Per monitorare meglio le pratiche e gli eventuali problemi, e poterli segnalare tempestivamente ai tirocinanti o agli enti erogatori,  «da quest’estate abbiamo implementato il nostro sistema informatico “Tirocini online”» spiega Stracqualursi «in modo da avere un elenco aggiornato dell’inevaso e delle eventuali criticità legate a ciascuna pratica».La Repubblica degli Stagisti ha chiesto all’assessore Valente chiarimenti anche sui tempi e le modalità di pagamento delle indennità “aggiuntive”: i 100 euro mensili in più, previsti da giugno ma non ancora arrivati a nessun tirocinante. «La ragione per cui non abbiamo potuto pagarle subito è che la normativa antiriciclaggio che limita l’uso dei contanti impedisce di ritirare mille o più euro al mese alla Posta in un’unica soluzione». Nel Lazio infatti, secondo quanto prevede il bando Garanzia Giovani, l’indennità è rimborsata al tirocinante tramite l’Inps a mezzo di bonifico domiciliato presso Poste Italiane: «facendo pagamenti bimestrali da 500 euro al mese avremmo raggiunto i mille euro» spiega Valente. La soluzione trovata per i tirocini in corso, «dopo un accordo raggiunto con l’Inps, sarà quella di mantenere la rendicontazione bimestrale, ma di pagare i ragazzi con due distinti bonifici, uno per ciascun mese, che si potranno ritirare a un giorno di distanza» annuncia Valente alla Repubblica degli Stagisti. Già dalle prossime determine – assicura l’assessore – «si userà questo metodo».Resta però il problema dei ragazzi che hanno già terminato il tirocinio e devono ricevere un conguaglio da 600 euro. «Finora il sistema informatico dell’Inps non accettava l’integrazione dell’indennità, perché risultava che i ragazzi avessero già ricevuto pagamenti per tutti i bimestri di tirocinio effettuati. Ma, come dicevo, abbiamo raggiunto un accordo» conclude Valente «e ora il loro sistema informatico dovrà essere modificato per consentire il pagamento del conguaglio».Sara Grattoggi 

Blocco aliquota Inps e regime dei minimi illimitato: la road map del Colap per il lavoro autonomo

Ultima ruota del carro delle riforme in materia di occupazione e grande escluso dal Jobs Act: è il lavoro autonomo, uno dei comparti più dimenticati dalle politiche dei recenti governi. Proliferano così le iniziative delle associazioni di categoria a sua tutela e Colap (coordinamento libere associazioni professionali, che riunisce circa 200 sigle e più di 300mila iscritti, dai consulenti ai designer di interni) è una di queste. Con una serie di eventi che culmineranno in una presentazione a novembre (l'appuntamento è per il 23 a Roma), sta portando all'attenzione dell'esecutivo temi centrali per il settore: uno dei tavoli è per esempio al ministero della Sanità, per la regolamentazione delle professioni sanitarie. Si parte da un punto: i liberi professionisti hanno introiti sempre più risicati. «I redditi medi delle partite Iva afferenti alla Gestione separata dell'Inps si sono ridotti nel 2013 del 13,3% rispetto al 2012, passando da un lordo annuo di 18.257 a 15.837» si legge nel manifesto dell'associazione, una road map «per far ripartire l'Italia». E nonostante questi numeri, «la legge Fornero prevede l’innalzamento al 33% entro il 2018» ricorda alla Repubblica degli Stagisti Emiliana Alessandrucci, presidente del Colap. «Dalla legge di Stabilità del 2015 ci si attendeva il blocco, invece nulla». E il fatto che per quest'anno l'aliquota sia stata fermata al 27% non deve trarre in inganno perché «siamo ancora davanti a un provvedimento provvisorio. A fine anno saremo di nuovo davanti al rischio di vederla alzata». Fa riflettere questo scarto: con un'aliquota al 30%, «la partita Iva afferente alla Gestione separata avrebbe un reddito netto tra il 40% e il 50% inferiore a quello del lavoratore dipendente» è spiegato nel documento Colap. Secondo i calcoli dell'associazione, partendo da 12mila euro annui, «al freelance resterebbero 515 euro al mese, al dipendente 903». E oggi, «con un reddito lordo medio di 18.640 euro, il netto mensile è di euro 723, mentre con lo stesso reddito il lavoratore dipendente ottiene 1283 euro netti mensili». C'è però l'altra faccia della medaglia. Spiega Luca Caratti, esperto della Fondazione consulenti del lavoro, che le trattenute destinate all'Inps di un dipendente sono in realtà anche più elevate, solo che «Il 9,1% della retribuzione è a carico del lavoratore, mentre il datore paga ogni mese circa il 28%». Insomma, circa il 37% di quanto guadagnato dal dipendente finisce nel suo fondo pensione (ma una parte va anche a fondo disoccupazione, assegni nuclei familiari e altro). Il rischio concreto di un abbassamento dell'aliquota per i freelance è quindi di ricevere un domani un trattamento pensionistico ancora più scarso perché «l'autonomo è l'unico artefice del suo futuro pensionistico». E viste le «note resistenze agli aumenti dei compensi» sarebbe impensabile intervenire sulla rivalsa del 4% nei confronti del cliente a cui ha diritto l'autonomo.  La soluzione, propongono dal Colap, è la «divisione della Gestione separata tra professionisti a partita Iva e lavoratori parasubordinati, e il blocco dell’aliquota al 27% in via definitiva, con una riduzione per i giovani fino a 29 anni del 50% della contribuzione per fascia di reddito fino a 30mila euro». E per Caratti un'idea per poter contare su una pensione dignitosa sarebbe «consentire al lavoratore di scegliere un'altra gestione previdenziale, oltre l'Inps». Per smussare il maggiore onere contributivo, «dare poi la possibilità di dedurre le quote integrative dal reddito».  Oltre allo snodo previdenziale, al centro di tante proteste anche da parte di altre associazioni, c'è il capitolo regime dei minimi, di recente riformato. «Oggi ci troviamo davanti a due sistemi, tanto per semplificare!» osserva la Alessandrucci: «Il regime prorogato, quindi 30mila euro di fatturato e 5% di imposta mista per cinque anni, e quello dei 15mila euro di con tasso di redditività al 78% e imposta mista del 15%, senza limiti temporali». Quello che il Colap propone è invece «un regime sotto la soglia dei 30mila euro con imposta mista al 10%, senza limiti anagrafici o temporali e una decontribuzione per i primi tre anni al 50%».  La battaglia dell'associazione include anche le start up, per cui si chiede «una defiscalizzazione indiscriminata per i primi tre anni», e incentivi per la creazione di nuove imprese nelle categorie rappresentate dal Colap. «In Italia manca la cultura della professione come opportunità di occupazione, fattore di contribuzione al Pil, strumento per lo sviluppo del Paese» rilancia la Alessandrucci. Materie su cui il Colap ha aperto un tavolo al ministero dello Sviluppo economico: «Stiamo verificando insieme gli spazi per il microcredito, il finanziamento alle start up professionali e i tutoraggi». C'è poi la richiesta di «semplificazione dei centri per l’impiego, per garantire un più efficace orientamento al lavoro, in particolare per i giovani». Servono «maggiori sinergie tra associazioni, cpi e università per promuovere le professioni come opportunità occupazionali, creando punti di consulenza organizzativa e finanziaria presso cpi o privati accreditati. Oggi c’è una totale assenza di raccordo» chiosa la Alessandrucci. Le speranze di arrivare a queste misure di sostegno ci sono: «Voci di corridoio ci dicono che il governo vuole intervenire sul lavoro autonomo in maniera più strutturata». Come testimoniato dalla Repubblica degli Stagisti, l'orientamento sarebbe quello di intervenire ad esempio sulle partite Iva, stilando una lista di mestieri compatibili con tale inquadramento. Ipotesi che non piace alla Alessandrucci: «Non è questa la nostra esigenza: troppo facile archiviare il problema con un elenco, c'è già per questo la legge 4/2013 che aiuta a definire chi sono i professionisti e la legge Fornero con i suoi strumenti di verifica e controllo per stanare le false partite Iva».  Senza contare che la scadenza per ogni tipo di intervento non sembrerebbe la legge di Stabilità. «Questa intenzione ci crea qualche sospetto» dichiara la numero uno del Colap, «si rischia di rimandare ancora, lasciando i professionisti in un limbo di incertezze, costi, instabilità e futuro sempre più a rischio». Ilaria Mariotti

Se l'università al colloquio non conta più: in Inghilterra Deloitte passa ai curriculum "ciechi". E in Italia?

Dimmi da che università vieni e ti dirò che chance hai. Per lungo tempo, nel mondo del lavoro anglosassone, è stato così. Ma ora qualcosa in Gran Bretagna potrebbe cambiare: Deloitte UK, una delle principali aziende al mondo nel campo dei servizi di consulenza e revisione, ha annunciato qualche giorno fa la “rivoluzione dei curriculum ciechi”, come ha titolato il Corriere della Sera: le prossime assunzioni avverranno con curriculum in cui non saranno indicati il college o la scuola frequentati dai candidati. Questo per evitare che i selezionatori vengano influenzati troppo dalla nomea dell’università nella valutazione dei singoli e affinché privilegino altri aspetti, a cominciare dalla determinazione. Con il “contextualised recruitment”, i selezionatori avranno, infatti, a disposizione anche informazioni sul background economico e su eventuali situazioni personali particolari, così da poter valutare meglio il percorso e i risultati raggiunti a livello accademico dai candidati. Con l’obiettivo di assumere figure con caratteristiche (anche socio-economiche) diverse e di favorire la mobilità sociale, puntando tutto sul merito.Questo nel Regno Unito. Ma si tratta di una tendenza che potrebbe fare breccia anche nel nostro Paese? La Repubblica degli Stagisti lo ha chiesto direttamente a Deloitte Italia, e la risposta è no. Quantomeno per ora, da noi non è prevista l’introduzione di un nuovo protocollo “blind”, analogo a quello inglese. Anche se l’ufficio stampa assicura che «Deloitte orienta la sua ricerca di talenti a profili che possano vantare un percorso universitario di comprovato livello, con alte votazioni, in qualsiasi ateneo italiano». L'indicazione dell'università di provenienza dunque continuerà ad essere presente nei cv che verranno valutati dall'ufficio Risorse umane di Deloitte Italia: «Il merito è importante per noi: nel processo di selezione contano molto, oltre alla formazione, le caratteristiche e le attitudini personali. Il candidato ideale deve essere pronto a raccogliere le sfide dell’innovazione, a investire sulla propria crescita professionale, a rapportarsi con i nostri clienti in un’epoca di grandi trasformazioni».«In Italia non mi risulta ci siano, per ora, casi simili a quello di Deloitte UK» spiega alla Repubblica degli Stagisti Francesco Ferrante [nella foto a sinistra], professore di Economia politica alla Luiss di Roma e all’università di Cassino e curatore delle indagini del consorzio interuniversitario AlmaLaurea. Che aggiunge: «Da quanto emerge dalle nostre indagini, le imprese italiane non danno un peso significativo nell’attività di reclutamento all’università di provenienza dei candidati. Preferiscono affidarsi ad altri elementi: le conoscenze che il candidato ha del settore in cui andrà ad operare, le eventuali esperienze di lavoro pregresse, la conoscenza delle lingue e il possesso delle soft skills. Ad esempio, la capacità di adattarsi, di prendere decisioni e di affrontare i problemi con atteggiamento proattivo».Un’analisi condivisa anche da Roberto Torrini [nella foto a destra], economista del lavoro e direttore dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca: «Negli ultimi anni, molta letteratura ha dimostrato come le variabili non osservabili – come la motivazione o delle skills particolari – contino di più rispetto ai titoli che nel passato. E che i datori di lavoro italiani non tengano particolarmente conto, nella selezione, dell’università frequentata dai candidati. Questo anche perché in Italia la formazione data dalle università è molto più omogenea rispetto a quella dei Paesi anglosassoni».Nonostante ciò, l'impressione che si possa essere discriminati nelle selezioni di lavoro a seconda dell'ateneo dove si è studiato, e che una laurea alla Bocconi o al Politecnico di Torino valga più di una laurea all'università di di Macerata o del Piemonte orientale, è molto radicata nei giovani italiani. A fronte di questo, però, c'è un fenomeno per così dire “uguale e contrario": solitamente chi proviene da atenei meno blasonati può contare però su una manica larga al momento del voto di laurea: e un voto alto diventa un vantaggio nelle selezioni per il pubblico impiego. Perché se gli atenei prestigiosi possono pesare nelle selezioni del personale nel campo privato, nel pubblico invece chi riesce a ottenere un 110 e lode in un'università meno selettiva passa davanti, di diritto, a chi ha studiato in un'università meno incline a erogare voti alti, e dove magari lo stesso studente non avrebbe ottenuto un punteggio così elevato.Su questa linea di pensiero, l’estate scorsa un emendamento al disegno di legge di riforma della Pubblica amministrazione (subito ritirato, sull’onda delle polemiche e della levata di scudi di rettori, studenti e sindacati) aveva ipotizzato almeno per i concorsi pubblici il “superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l’accesso ai concorsi e possibilità di valutarlo in rapporto a fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato e al voto medio di classi omogenee di studenti”. L’ipotesi era, cioè, quella di “pesare” il voto di laurea a seconda dell’ateneo in cui era stato conseguito. Portando, di fatto, a attribuire un valore diverso alle varie università e ai titoli da loro rilasciati (più basso se le medie di un ateneo erano molto alte e viceversa). Una proposta di segno opposto rispetto ai “cv ciechi”. I cui «forti limiti» erano stati posti in luce anche da AlmaLaurea perché «posto che si ritenga opportuno intervenire, anche se appaiono esservi differenze nei metri di giudizio tra diverse realtà universitarie, sarebbe molto complicato sul piano metodologico procedere alla pesatura dei voti» sostiene Ferrante: «Qualunque soluzione darebbe luogo a una valanga di ricorsi con elevata probabilità di successo».La senatrice Francesca Puglisi [nella foto a sinistra],  responsabile Scuola, università e ricerca del Partitodemocratico, nega però che l’obiettivo dell’emendamento presentato dal dem Marco Meloni fosse quello di arrivare a una “graduatoria” delle università: «Il testo dell’emendamento era stato modificato rispetto alla formulazione originaria, che voleva solo eliminare la discriminazione del voto minimo di laurea per accedere a alcuni concorsi. E, se non si può negare che esistano differenze fra le nostre università, queste non sono forse così marcate come nel Regno Unito, ognuna fa didattica e ricerca. I nostri sistemi sono diversi e non raffrontabili. Quello che dobbiamo cercare di fare adesso è sostenere la qualità dei nostri atenei continuando su una strada di rigorosa valutazione, ma allo stesso tempo eliminando quei vincoli che restringono le maglie dell’autonomia».Sara Grattoggi

3500 opportunità per i giovani e impegno sull'orientamento: la Alliance for Youth di Nestlé traccia i “mestieri d'Italia”

50mila opportunità in tutta Europa offerte a giovani under 30 da 200 aziende “partner”, a vario titolo, di Nestlé. Sono le prime cifre di Alliance for Youth, la “Alleanza per i giovani”, stretta tra il colosso svizzero e le aziende – da quelle più piccole alle multinazionali – con cui intrattiene rapporti commerciali nelle sue varie sedi europee. Obiettivo: «giocare un ruolo attivo contro la disoccupazione giovanile». Nestlé – che in Italia aderisce da sempre al network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti, fregiandosi anche del Bollino OK Stage per le ottime condizioni offerte ai giovani – porta avanti da due anni un suo progetto peculiare, Nestlé Needs Youth, aprendo posizioni di stage e di lavoro al suo interno e lavorando sul territorio con attività di orientamento a favore dei Neet; attraverso la Alliance stimola le aziende con cui collabora a fare altrettanto. Quelle che hanno accettato di impegnarsi su questo progetto sono 200, di cui 13 in Italia: Accenture, Arti Grafiche Reggiane, Chep, Dhl Supply Chain, Dimension Data, DS Smith, FM Italia, Gi Group, Inalca, Nielsen, Praesidium, Publicis, Sit Group. E dato che il progetto Alliance for Youth è stato lanciato proprio un anno fa, adesso è tempo di primi bilanci. Le opportunità lavorative e di stage generate in Italia sono state 3.500: l'obiettivo iniziale di arrivare a 5mila entro il 2016 sembra dunque a portata di mano. Nestlé ha voluto trasformare la presentazione dei primi risultati, a Expo, in un'occasione di riflessione e di elaborazione di nuove proposte: «Il tema dell'occupazione dei giovani è molto importante e pesante», ha ribadito Leo Wencel, presidente e amministratore delegato di Nestlé Italia, dando il via al dibattito: «Oggi non presenteremo solo numeri ma anche riflessioni su come aiutare i giovani a trovare lavoro, e capire come investire nel passaggio dalla formazione al lavoro».«Lavorando sui giovani si può immettere linfa nuova nelle aziende, creare innovazione e aumentare la produttività» gli ha fatto eco Giacomo Piantoni, Human Resources head del Gruppo Nestlé in Italia, sottolineando i risultati incoraggianti dell'Alliance e rilanciando: «Cosa possiamo fare in più? Ci abbiamo riflettuto e stiamo ragionando su alcune idee, per esempio su formazione aziendale cross – strutturata», e sulla valorizzazione “incrociata” delle competenze acquisite: «Può capitare che al termine di uno stage in una delle aziende dell'Alliance non ci sia possibilità di assunzione lì, ma magari invece c'è un posto in un'altra». «Vogliamo parlare dei mestieri d'Italia, cioè quelli che rendono le nostre aziende competitive» anticipa Piantoni: «A volte sono completamente nuovi, come quelli del digital, altre volte sono mestieri che esistono da sempre ma che negli ultimi tempi hanno avuto una grande evoluzione». E se i giovani, come dice l'AD di Nielsen Giovanni Fantasia presentando i risultati di due ricerche sui Neet, «devono arrivare preparati all'appuntamento con il loro futuro», per arrivare preparati i nuovi mestieri bisogna conoscerli.Così parte la carrellata: il primo è il “consulente dell'innovazione”, descritto dal direttore Risorse umane di Accenture Paolo Galletti attraverso il racconto del «costumer innovation center» di Accenture: «Analizziamo le tendenze di consumo: i nostri consulenti devono capire come migliorare l'esperienza dei consumatori attraverso le nuove tecnologie, per aiutare le aziende ad essere sempre all'avanguardia. In questo centro l'età media è 28 anni, 50% uomini e 50% donne. Hanno energia, creatività, voglia di fare una esperienza internazionale, e lavorano su qualcosa che deve essere ogni giorno creato e portato alla luce».Si passa poi all'“esperto in e-commerce”: «Noi viviamo nello shopper marketing, segmento focalizzato sul processo di acquisto e su come il consumatore si muove» racconta Enrico Babucci, presidente di Praesidium: «Abbiamo lavorato su nuove professionalità, non ancora codificate, e per questo cerchiamo giovani che conoscano il linguaggio di comunicazione delle nuove tecnologie»Ma nel futuro c'è spazio anche per i vecchi mestieri, a patto che siano declinati nel senso dell'innovazione. Per esempio, della figura del venditore ci sarà sempre bisogno: «Ma oggi ha abbandonato la vecchia valigetta, gira con il tablet» rimarca Elena Savinelli, responsabile HR area vendite di Nestlé, ammettendo però con rammarico la grande «distanza da parte dei giovani nei confronti di questa professione, che invece merita di essere rivalutata. I percorsi scolastici e universitari proiettano sempre di più verso le aree di marketing e di strategia pura, ma é importante vivere l'esperienza diretta dell'area vendite. Il momento della verità è il momento dell'acquisto!». Una esperienza nel settore vendite, attraverso cui si sviluppano «le soft skills, come l'intraprendenza», può essere peraltro una «tappa di sviluppo che porterà poi magari al “desiderata” del marketing o del trade marketing». Cosa che è spesso accaduta anche all'interno di Nestlé con il progetto Sanpellegrino Sales Campus, che la Savinelli cita con orgoglio: «Abbiamo sviluppato un percorso di grande successo, il 90% dei giovani che hanno partecipato hanno trovato poi lavoro dentro Nestlé o in altre aziende».Nestlé si è anche cimentata in una sperimentazione di “stage doppio”, insieme a Chep: «Abbiamo realizzato un percorso di stage condiviso nella supply Chain, con la selezione e poi la formazione condivisa con Nestlé Waters» racconta Paola Floris, AD di Chep: «Obiettivo: creare una maggiore employability, dando la possibilità ai giovani di fare esperienza non solo in una sola azienda bensì in due. Per noi aziende è stata una occasione per condividere le best practice; e abbiamo acquisito una persona che aveva fatto uno stage in Nestlé ed è stata assunta poi in Chep».Anche settori iper tradizionali come la logistica stanno vivendo, con le nuove tecnologie, una piccola rivoluzione: «Il magazzino non è più un antro oscuro. Oggi le merci arrivano tracciate, gli operatori utilizzano sistemi di radiofrequenza» dice Marilina Raimondo, direttore risorse umane di Fm logistic: «Abbiamo necessità di esperti della logistica che sappiano organizzare questi mestieri, con competenze manageriali». «Non c'è più il magazzino buio, non abbiamo più i vecchi scaffali: abbiamo bisogno di professionalità specifiche. Cerchiamo ingegneri che non siano semplicemente ingegneri, devono avere uno spirito commerciale, conoscere la tecnologia, proporre soluzioni ai nostri clienti» le fa eco Anna Casali, vicepresidente di Dhl supply chain: «Cerchiamo  un background ingegneristico, ma anche il valore della spinta all'innovazione. Il settore del “Solution design” fa riferimento a un mondo di ricerca e sviluppo che difficilmente si trova nel nostro settore. Alcuni dei ragazzi che abbiamo inserito anche grazie a questa Alliance».E tra i lavori antichi, spazio all'accoppiatore e al fustellatore, operai specializzati «ma 2.0» specifica  Francesca Traversi, direttore HR di Arti Grafiche Reggiane: «Cerchiamo diplomati di istituti professionali e tecniche, ma devono sapere l'inglese per confrontarsi con i tecnici manutentori internazionali». Con una riflessione sulla alternanza scuola-lavoro, «per noi fondamentale: poter avere ragazzi tra i 16 e i 18 anni che cominciano subito un percorso di formazione nella cartotecnica per noi può cambiare la vita dell'azienda».Così come i mestieri che ruotano intorno alla valorizzazione dell'eccellenza agroalimentare italiana: «Il nostro è un settore “old economy”, una attività a servizio perenne della società: la macellazione delle carni. Abbiamo dunque  bisogno del macellaio, il “principe degli artigiani”, colui che gestisce il cibo più nobile» racconta Luca Macario, direttore comunicazione di Inalca: «Sembra incredibile ma oggi questa figura va scomparendo e non c'è una scuola di formazione, a parte qualche iniziativa a livello locale. Eppure ci sono competenze che si sono sviluppate nei secoli, pensiamo solo ai salumi. Noi ci siamo inventati una sorta di scuola: ogni anno circa 600 giovani, molti dei quali stranieri, fanno i nostri corsi con 2 mesi di parte teorica e 3-4 mesi di parte operativa. Il 90% trova lavoro, oppure torna in Russia o in Africa portando queste competenze e mettendosi in proprio. Pensiamo adesso di strutturare una Academy: stiamo formando dei giovani che in Congo, in Angola e in Russia potranno aprire dei centri di macellazione».E ancora: «Quello del designer tecnico è un mestiere antico ma in continua evoluzione: noi stiamo investendo molto su questa figura professionale. È difficile, servono conoscenze e capacità tecniche ma bisogna anche capire le nostre necessità produttive e avere cognizioni di marketing e di logistica» dice Luca Rizzo di DS Smith, passando poi il microfono al “testimonial” Nicolò Barbieri, che con i suoi 24 anni è il relatore più giovane: «Ho sempre saputo quello che volevo fare. Il passaggio dalla scuola al lavoro non è stato dei più semplici, ma con testardaggine sono riuscito a trovare una azienda come Ds Smith, che mi ha formato e mi ha dato la possibilità di andare all'estero, e di confrontarmi con colleghi e clienti di altre nazionalità».Dopo Barbieri, un altro ventenne si presenta alla platea per raccontare il suo mestiere del futuro: quello di “Innovatore in ricerca e sviluppo”. «Non bisogna pensare allo scienziato calvo chiuso nello sgabuzzino: oggi il ruolo è fortemente connesso con il business» assicura Alexandro Righi, 27 anni, da un anno e mezzo in Sit, azienda importante nel panorama del packaging flessibile: «Bisogna capire le esigenze del mercato, costruendo una strategia ragionata di innovazione».Anche mestieri relativamente giovani, come quelli della comunicazione, sono cambiati moltissimo negli ultimi anni: «Più di altri settori abbiamo subìto e sentito il peso della trasformazione del mondo della comunicazione da offline a online: internet ha cambiato il nostro modo di lavorare e quindi le competenze che noi cerchiamo all'interno del mercato del lavoro» spiega Giulia Vitetta, direttore risorse umane di Zenit Optimedia - Publicis, multinazionale francese della comunicazione: «Il “data scientist” analizza il grande mondo dei big data, uno dei fenomeni più importanti di questo momento storico; è diventata una vera e propria professione, non deve solo recuperare dei dati ma deve utilizzare e trasformare le informazioni che provengono dai siti per poterle utilizzare in ottica di sviluppo del business. Questa Alliance ci aiuta molto, speriamo che il mondo accademico ci supporti sempre di più perché i giovani possano arrivare da noi con qualche capacità tecnica in più».Ma come si instradano i giovani verso i mestieri che più il mercato del lavoro oggi richiede? «Noi cerchiamo di porci come intermediari. Dobbiamo puntare sull'alternanza scuola lavoro, portare i giovani in azienda» risponde Zoltan Daghero, direttore commerciale di Gigroup: «E poi dobbiamo creare academy per costruire quelle professionalità di cui le aziende hanno bisogno ma che non sono conosciute tra i ragazzi». La sfida dell'Alliance è anche questa: l'orientamento e la formazione.

Aspiranti diplomatici, nuovo bando per stage in ambasciata: 77 posti con 400 euro al mese di rimborso

Altre 77 opportunità di stage nelle ambasciate italiane in giro per il mondo. È stato pubblicato oggi, e resterà aperto fino a mercoledì 14 ottobre, il nuovo bando Maeci-Crui: 77 tirocini curriculari trimestrali presso le Rappresentanze diplomatiche del  Ministero degli Affari esteri e della cooperazione Internazionale. Il primo bando Maeci-Crui era stato pubblicato quest'anno, all'inizio di luglio, dopo oltre 2 anni in cui la Farnesina aveva chiuso le porte agli stagisti, per riorganizzarsi dopo i cambiamenti normativi in materia di stage e trovare il budget per poter garantire un minimo di rimborso spese: fino al 2012, infatti, gli stage - che all'epoca si chiamavano Mae-Crui - erano stati totalmente gratuiti.Il bando di luglio, che metteva a disposizione 82 stage su 53 diverse sedi di destinazione, è stato letteralmente sommerso dalle application degli aspiranti stagisti: 1.774 candidature pervenute nelle sole due settimane di apertura del bando, provenienti dagli studenti dei 43 atenei aderenti all’iniziativa. In particolare, nella scorsa tornata ad essere stati "presi d'assalto" sono stati i posti presso le sedi diplomatiche del Belgio (216 candidature), degli Stati Uniti (208), della Santa Sede (125) e della Spagna (106). Chi si è candidato per queste destinazioni ha avuto in effetti, realisticamente, basse chance di essere selezionato, proprio per la sproporzione numerica tra posti e candidati. Mentre chi ha dato la sua opzione per Eritrea, Sudan e Camerun, al contrario, ha avuto praticamente la certezza di essere prescelto, dato che per quelle destinazioni sono giunte al Maeci-Crui solamente pochissime richieste (3 nel caso dell'Eritrea, addirittura una sola per Sudan e per Camerun).Il nuovo bando ripete la strettezza dei tempi - solo due settimane per candidarsi, da oggi al 14 ottobre.  I 77 prescelti cominceranno il loro stage l'11 gennaio 2016, e lo termineranno l'11 aprile «senza possibilità di proroga». Confermata naturalmente anche in questo bando la novità più importante del nuovo corso del programma: il rimborso spese. Sempre 400 euro mensili, «di cui 200 euro sono pagati dalla Rappresentanza diplomatica presso la quale si svolge il tirocinio e 200 euro dall’università di appartenenza», con la possibilità di tramutare i 200 euro della rappresentanza in una sistemazione:  «la messa a disposizione di un alloggio sostituisce la corresponsione della quota a carico della Rappresentanza  diplomatica, pertanto ai tirocinanti che sceglieranno una sede con alloggio spetta un rimborso forfettario di 200 euro mensili». Usufruire o no dell'alloggio però non è una libera scelta da parte dei partecipanti al Maeci-Crui: «In caso di rinuncia all’alloggio per volontà del tirocinante, non è dovuto il rimborso monetario a carico della Rappresentanza diplomatica».Per la cronaca, comunque, solo 10 sedi diplomatiche - su un totale delle 48 comprese in questo bando - offrono agli stagisti l'alloggio: l'Ambasciata d'Italia a Madrid, quella ad Abidjan in Costa D'Avorio, di Addis Abeba in Etiopia, di Ankara in Turchia, di Baghdad in Iraq, di Dar Es Salaam in Tanzania, di Pristina in Kosovo, di Riad in Arabia Saudita; di Tbilisi in Georgia e di Teheran in Iran. Restano purtroppo fuori destinazioni in cui certamente la "contropartita monetaria" di 200 euro al mese non sarà minimamente sufficiente, agli stagisti, a coprire le spese di una stanza in affitto: la Rappresentanza permanente d'Italia presso le Nazioni Unite a New York, negli Stati Uniti, o l'Ambasciata d'Italia a Berna, in Svizzera, solo per fare due esempi.Per i molti che, nonostante le condizioni economiche non ottimali, vorranno comunque provarci, la condizione essenziale per candidarsi è quella di essere iscritti a una delle 43 università italiane aderenti al bando (non ci sono cambiamenti rispetto a luglio, gli atenei sono sempre gli stessi: qui sotto l'elenco). Il nuovo Maeci-Crui continua infatti ad essere aperto esclusivamente a studenti universitari, in quanto i tirocini proposti sono di tipologia curriculare. Attenzione anzi: «Lo status di studente deve essere posseduto al momento della candidatura e mantenuto per tutta la durata del tirocinio, pena esclusione». I laureandi sono avvisati quindi: possono candidarsi, ma se poi vengono selezionati, non potranno laurearsi prima del 12 aprile.I requisiti minimi di accesso sono come al solito la cittadinanza italiana, la fedina penale pulita,  l'età inferiore a 29 anni («non aver compiuto il ventinovesimo anno di età al momento della scadenza del presente bando»).Le facoltà ammesse non sono molte: in questo bando viene specificato esplicitamente che la rosa è stata mutuata scegliendo quei «corsi di laurea magistrale o a ciclo unico previsti dall’articolo 3, comma 1, lettera c) del DPCM 1 aprile 2008, n. 72, recante la disciplina per il concorso di accesso alla carriera  diplomatica». Dunque Giurisprudenza, Finanza, Relazioni internazionali, Scienze dell'economia, Scienze della politica, Scienze delle pubbliche amministrazioni, Scienze economiche per l'ambiente e la cultura, Scienze economico-aziendali, Scienze per la cooperazione allo sviluppo, Studi europei, Servizio sociale e politiche sociali e Sociologia e ricerca sociale.Resta perciò ancora esclusa la facoltà di Lingue, che rappresentava invece un bacino enorme per il "vecchio" programma Mae-Crui (addirittura un maecruino su 10 era studente o neolaureato - perché all'epoca erano ammessi anche i neolaureati - proprio in Lingue). Anche se ovviamente poi uno dei requisiti base richiesti è la «conoscenza della lingua inglese almeno a livello B2 del quadro comune europeo  di  riferimento  per  la  conoscenza  delle  lingue  (QCER),  certificata  da un organismo  ufficiale  di  certificazione o dall’Università (anche attraverso esami o idoneità attestanti il livello), e di una eventuale conoscenza della seconda lingua  straniera, se richiesto dalla sede ospitante».Come a luglio, le candidature dovranno pervenire «esclusivamente online collegandosi all’applicativo» entro le ore 17 del 14 ottobre, inserendo i dati anagrafici, il cv personale e quello universitario (con i dati dell'ateneo e l'elenco degli esami sostenuti con relativi voti) e la candidatura vera e propria. Ogni application dovrà contenere l'autocertificazione della veridicità delle informazioni fornite e del rispetto dei requisiti del bando, compilata riempiendo un apposito modulo di autocertificazione scaricabile dalla sezione “Candidatura” dell’applicativo, e una lettera motivazionale lunga al massimo 3mila caratteri (spazi inclusi).Come nel bando precedente, anche in questo è previsto che ciascun candidato indichi obbligatoriamente due sedi di destinazioni preferite, una all'interno del Gruppo 1 (zona che comprende Unione Europea, Santa Sede, Svizzera e Usa) e una all'interno del Gruppo 2 («Resto del mondo»). Una curiosità: nel bando di luglio la Santa Sede era nel Gruppo 2, adesso invece - forse a causa della valanga di candidature ricevute in quell'occasione - è stata spostata nel Gruppo 1.Nel bando si consiglia agli aspiranti maecicruini di «consultare attentamente il sito Viaggiaresicuri.it prima di selezionare le sedi di destinazione, in modo da avere consapevolezza del contesto territoriale di riferimento, di eventuali problematiche relative alla sicurezza o alle condizioni sanitarie, della documentazione necessaria e delle procedure di ingresso».Attenzione anche a controllare «che le singole sezioni siano state correttamente compilate perché una volta inviata tramite il software indicato, la candidatura non è più modificabile». Poi le candidature «saranno preselezionate dalle rispettive università di afferenza» che faranno pervenire quelle perfettamente possesso  dei requisiti indicati nel bando alla Commissione  congiunta -  composta da membri del ministero degli Esteri, del ministero dell'Istruzione e della Fondazione  Crui - cui sarà affidata la scelta finale dei 77 nuovi maecicruini.Chi non riceverà risposta dovrà intuire di essere stato escluso, mentre i prescelti avranno - di nuovo - pochissimo tempo per dare conferma: «La Fondazione Crui provvederà a comunicare esclusivamente i  nominativi dei candidati selezionati alle singole università. Gli Atenei, a loro volta, informeranno i vincitori che dovranno accettare o rifiutare l’offerta di tirocinio entro tre giorni lavorativi».Chiaramente c'è la possibilità di rinunciare («A fronte di una  rinuncia viene attivata una procedura  di  subentro attraverso cui il posto di tirocinio rimasto scoperto viene proposto al candidato nella posizione immediatamente successiva in graduatoria») ma attenzione a farlo con leggerezza: non potranno infatti più ricandidarsi ai bandi futuri Maeci-Crui «i vincitori che rinunciano al posto offerto». Unica eccezione, «potranno ricandidarsi i candidati selezionati per un subentro che rinunciano al posto offerto».Il Maeci-Crui vale almeno 2 crediti formativi universitari «per mese di attività effettiva», dunque in tutto 6 cfu dato che la durata è trimestrale. La Repubblica degli Stagisti fa un grande in-bocca-al-lupo a tutti gli studenti che vorranno provare a candidarsi!Università aderenti- Alma Mater Studiorum Università di Bologna- Libera Università "Maria SS. Assunta" - LUMSA- Libera Università di Lingue e Comunicazione - IULM- Sapienza Università di Roma- Università Ca' Foscari Venezia- Università Cattolica del Sacro Cuore- Università Commerciale "Luigi Bocconi"- Università degli Studi dell'Insubria - Università degli Studi di Bari "Aldo Moro"- Università degli Studi di Bergamo- Università degli Studi di Brescia- Università degli Studi di Cagliari- Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale- Università degli Studi di Catania- Università degli Studi di Firenze- Università degli Studi di Genova- Università degli Studi di Milano- Università degli Studi di Milano Bicocca- Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia- Università degli Studi di Napoli "Federico II"- Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"- Università degli Studi di Napoli "Suor Orsola Benincasa"- Università degli Studi di Padova- Università degli Studi di Palermo- Università degli Studi di Parma- Università degli Studi di Pavia- Università degli Studi di Perugia- Università degli Studi di Roma Tor Vergata- Università degli Studi di Roma Tre- Università degli Studi di Salerno- Università degli Studi di Sassari- Università degli Studi di Siena- Università degli Studi di Teramo- Università degli Studi di Torino- Università degli Studi di Trento- Università degli Studi di Trieste- Università degli Studi di Udine- Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo"- Università degli Studi di Verona- Università degli Studi Internazionali di Roma - UNINT- Università del Salento- Università per Stranieri di Perugia- Università Politecnica delle Marche

Tirocini all'Enac per studenti e laureati: nel nuovo bando c'è il rimborso spese, anche per i curriculari

Ancora dieci giorni di tempo per partecipare al bando di tirocini Enac – Fondazione Crui presso le sedi centrali e aeroportuali italiane dell’Ente nazionale per l’aviazione civile: giovedì 9 ottobre è l’ultimo giorno utile per candidarsi. I posti a disposizione sono una quarantina, 37 per la precisione, e la bella novità per gli aspiranti stagisti è la presenza di un rimborso spese non solo per i 13 tirocini extracurriculari che dureranno sei mesi, ma anche per i 24 tirocini curriculari che avranno invece una durata di quattro mesi. Una scelta notevole, visto e considerato che la legge non impone un rimborso spese per tutti quei tirocini diretti a chi ancora sta studiando, e svolge un tirocinio mentre è iscritto a un percorso di istruzione e formazione (per esempio all'università). In questo caso l'Enac, che è l'autorità di vigilanza e controllo nel settore dell'aviazione civile in Italia e si occupa della disciplina degli aspetti amministrativo-economici del sistema del trasporto aereo, ha previsto di erogare 600 euro mensili per i tirocini svolti da laureati, e di prevedere anche un rimborso di 300 euro al mese per i tirocinanti studenti universitari. Non è la prima volta che l’Enac attiva tirocini in accordo con la Fondazione Crui: già nel 2005 era stata infatti stipulata una convenzione per attivare tirocini presso le sedi italiane dell’ente nazionale per l’aviazione civile per un periodo di sei mesi. In quel caso erano tirocini formativi e di orientamento e coinvolsero principalmente studenti o neolaureati di formazione economica o ingegneristica. In totale i bandi pubblicati tra il 2005 e il 2011 sono stati cinque per 179 posti offerti, oltre 1.200 domande presentate e alla fine 66 tirocini attivati. Gli stage erano aperti a laureandi e neolaureati e non erano previsti rimborsi spese.   Dopo il 2012 l'Enac non ha più pubblicato bandi per l'ingresso in contemporanea di gruppi di tirocinanti come il progetto Enac-Crui, ma ha continuato ad attivare tirocini stipulando convenzioni direttamente con le università che lo richiedevano. «L'Ente ha continuato ad ospitare studenti proposti dalle stesse università o candidatisi spontaneamente tramite il portale Job Soul» precisa l'ufficio stampa Enac alla Repubblica degli Stagisti «ma solo per tirocini curriculari non dispondendo, in quel periodo, di alcun budget per l'indennità dei tirocini extracurriculari».A fine luglio di quest’anno è stata stipulata, invece, una nuova convenzione tra Enac e Crui per realizzare un programma di tirocini a favore di laureandi e laureati che si occupano di temi inerenti il settore dell’aviazione civile. E fin dalla firma di questo accordo l’ente ha deciso di mettere a disposizione un certo numero di tirocini con indennità «con la finalità di rendere effettivamente sostenibile l’acquisizione di competenze professionali sul campo, permettendo ai giovani di dedicarsi con maggiore serenità alla realizzazione dei progetti formativi». Una decisione che per gli stage extracurriculari era obbligata, visto che nel frattempo è sopraggiunta la riforma Fornero del 2013 e le successive normative regionali che hanno fissato il rimborso spese obbligatorio minimo tra i 300 e i 600 euro al mese (in Lazio, per esempio - l'Enac ha la sede centrale a Roma ed è rappresentato, nei maggiori aeroporti italiani, dalle Direzioni aeroportuali - l'indennità mensile minima è stabilita in 400 euro) rendendo impossibile l'attivazione di un tirocinio di questo tipo a titolo gratuito. Ma l'Enac si pone decisamente più avanti prevedendo un compenso anche per i curriculari, su cui la legge invece non si pronuncia. La convenzione Enac-Crui, che dura un anno ed è rinnovabile, è stata possibile anche grazie alla rinuncia del presidente Vito Riggio dei suoi compensi per l’anno 2014, con l'obiettivo di «devolvere l’equivalente del mancato compenso a favore di borse di studio per studenti e ricercatori». La proposta è stata poi accolta dal Consiglio di amministrazione: quasi un patto tra generazioni. I circa 121mila euro lordi destinati al presidente sono stati girati a finanziare borse di studio per giovani interessati al settore dell’aviazione civile.  I tirocini curriculari per studenti iscritti a un corso di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, provenienti dalle università convenzionate con la Crui sono destinati a posizioni di stage negli aeroporti italiani, mentre quelli extracurriculari destinati a laureati di I o II livello entro 12 mesi dall’acquisizione del titolo si svolgeranno presso la sede centrale Enac di Roma o negli aeroporti del Lazio.  Tra i requisiti necessari per i curriculari c’è l’età, non superiore ai 28 anni, una media di voto degli esami non inferiore a 27/30 e la conoscenza della lingua inglese almeno a livello B1 del quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue. Mentre per i tirocini extracurriculari è necessario anche aver avuto un voto di laurea non inferiore a 100/110 e non aver superato i 12 mesi dal conseguimento del titolo all’avvio dello stage. Per candidarsi è necessario collegarsi a questo link entro le ore 17 del 9 ottobre e compilare tutte le sezioni, ricordandosi di selezionare due sedi di destinazione e di sceglierle (l’elenco di città, abilità richieste e livello di conoscenza della lingua necessario sono indicati sul bando) solo nella categoria studenti o laureati, a seconda del caso, per non incorrere nell’esclusione della candidatura. I tirocini avranno inizio l’11 gennaio e il rimborso spese previsto sarà erogato in un’unica soluzione alla fine dello stage. Una volta scaduti i termini per la presentazione delle candidature, le università che aderiscono al programma verificheranno il possesso dei requisiti controllando l’idoneità. A questa seguirà una selezione ad opera di una commissione congiunta Enac-Fondazione Crui. Una bella opportunità per i giovani interessati all'aviazione civile, ma sopratutto un bell'esempio per tutti gli altri enti pubblici: se si vuol trovare la copertura finanziaria per accogliere stagisti offrendo loro una dignitosa indennità, lo si può fare. Questo bando dell'Enac ne è la prova: la speranza adesso è che altri enti pubblici seguano questo esempio, rintracciando tra le pieghe dei propri bilanci i fondi necessari.    Foto rettangolare: di Khaosaming in modalità Creative Commons