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Alternanza scuola lavoro, la grande incognita: le aziende apriranno le porte a mezzo milione di studenti?

L'alternanza scuola-lavoro, uno dei temi più forti e innovativi della riforma della Buona scuola, è al centro di "Job & Orienta", il Salone partito oggi a  Verona che fino a sabato vedrà passare tra gli stand migliaia di giovani ma anche di insegnanti, educatori e policy makers, tutti interessati a focalizzare le novità in materia di didattica e dialogo tra mondo della scuola e mondo dell'impresa. Domani mattina il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini farà il punto della situazione nel corso di un convegno intitolato proprio “La buona alternanza scuola lavoro nella legge 107/2015” cui parteciperanno tra gli altri anche Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere e vicepresidente di Confindustria Education e Marco Gay, presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, con la giornalista Maria Latella come moderatrice. Ma che cos'è l'alternanza scuola-lavoro? Si tratta dello strumento attraverso cui si cerca di avvicinare il mondo della scuola a quello del lavoro, facendo fare agli studenti delle esperienze “on the job” di qualche settimana, solitamente a cavallo tra giugno e luglio, in aziende private ma anche in studi professionali, enti pubblici, associazioni non profit. Tecnicamente si tratta di stage di orientamento e formazione, anche se non è purtroppo così chiaro il quadro normativo di riferimento.«L'alternanza scuola lavoro esiste in realtà dal 2005, la introdusse il ministro Moratti, ma come finora l'abbiamo praticata è stata molto interna alla scuola. Negli ultimi anni però si è cambiato passo: la Buona Scuola codifica questo processo» ha spiegato di recente Carmela Palumbo, direttore generale per gli Ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione del ministero dell'Istruzione, a un convegno organizzato da Nestlé per illustrare i progressi del suo progetto “Alliance for Youth”: «È in atto un grande processo di rinnovamento della scuola. Si è tanto parlato di assunzioni del personale, ma ci sono altri importanti azioni che il nostro ministero sta portando avanti, in stretto coordinamento con quello del Lavoro, per ridurre il disallineamento tra i sistemi formativi e le competenze richieste dal mercato del lavoro e risolvere il problema della disoccupazione giovanile».Il cambiamento più significativo è che se prima questi “mini-stage” erano una possibilità, adesso diventano un obbligo. Fino all'anno scorso erano i singoli dirigenti scolastici a decidere se attivarsi per realizzare a favore dei propri alunni queste “esperienze on the job”: se non lo facevano – e la stragrande maggioranza delle scuole italiane, infatti, non lo faceva – nessuno diceva nulla. Per questo motivo il numero di studenti delle scuole superiori coinvolti in progetti di alternanza è sempre stato bassissimo, e praticamente confinato agli istituti tecnici. «Ora invece l'alternanza è un diritto-dovere per tutti gli studenti delle terze, quarte e quinte classi delle scuole superiori, non solo studenti delle scuole tecniche e professionali ma anche dei licei» ribadisce Palumbo: «400 o 200 ore all'anno da fare in azienda, in una realtà lavorativa, tutti i luoghi dove si lavora. La grande novità che si è sviluppata negli ultimi anni è che finalmente si esce dall'idea che i nostri studenti debbano prima studiare a scuola e poi lavorare, in una scissione anche temporale». Una rivoluzione culturale che si ispira a “best practice” già praticate da decenni all'estero, «a cominciare dai Paesi che hanno risolto il problema della disoccupazione giovanile, come per esempio la Germania e la Svizzera». L'obiettivo che il governo Renzi si prefigge è quello di «uscire dal paradigma “prima studio, poi lavoro” ed entrare in una logica in cui accanto allo studio delle competenze di base, come l'italiano e la matematica, durante il percorso scolastico si possano e debbano costruire anche competenze spendibili nel mondo del lavoro».Rispetto all'attuazione delle nuove disposizioni in materia di alternanza scuola-lavoro, però, c'è un ostacolo da superare: il numero degli studenti delle scuole superiori è infatti enorme. Passare da poche decine di migliaia di “mini-stage” all'anno (secondo il report Indire - Miur per esempio, per l’anno scolastico 2012/13, solamente 45.365 percorsi di alternanza scuola-lavoro erano stati svolti all'interno di imprese) a oltre un milione (solo i 16enni, oggi in Italia, sono 572mila) è un triplo salto carpiato che necessita di uno sforzo titanico sia per le scuole, chiamate ad attivarsi a livello organizzativo, sia per il tessuto produttivo, perché per ciascuno di questi giovani ci deve essere un'azienda che apre le porte. «Dal punto di vista pratico la nuova legge, per permettere questo salto di qualità, prevede una attuazione graduale» puntualizza Palumbo: «Quest'anno concentriamo la nostra attenzione sulle terze classi della scuola superiore». Il segmento conta, secondo i dati forniti dalla dirigente del ministero, un po' meno di mezzo milione di allievi. Vorrebbe comunque dire di fatto raddoppiare, da un anno all'altro, il numero degli stage attivati (oggi intorno ai 500mila all'anno): e sopratutto vorrebbe dire raddoppiare il numero di “soggetti ospitanti” (così si chiamano, in gergo tecnico, le realtà – aziende private, enti pubblici, associazioni non profit, studi professionali – disponibili appunto a ospitare i ragazzi in stage). Pensare di riuscire a raggiungere questo obiettivo in pochi mesi è velleitario, anche considerando la scarsa adesione che le aziende hanno dato a iniziative simili come per esempio Garanzia Giovani, che pur era fortemente incentivata anche dal punto di vista economico. Del resto già qualche mese fa Chiara Manfredda aveva chiarito la posizione di Assolombarda, l'associazione che riunisce le imprese industriali e del terziario che operano nelle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza: «Nell'ambito delle nostre imprese ospitiamo ogni anno 4mila ragazzi in alternanza, sono numeri importanti», ma infinitesimali di fronte all'esercito di giovani che da quest'anno dovrebbe essere coinvolto nella alternanza obbligatoria. Manfredda, che in Assolombarda è responsabile del capitale umano, aveva anticipato che «numericamente e quantitativamente» Assolombarda non prevedeva di riuscire ad attuare, almeno per il primo anno dell'entrata in vigore della riforma della Buona Scuola, tutti i tirocini previsti: e se non ce la farà la Lombardia, cioè la regione italiana a più alto tasso imprenditoriale, figuriamoci le altre. Allora che si fa? «Stiamo sviluppando il discorso della didattica laboratoriale, senza spostare necessariamente i ragazzi nelle aziende» aveva spiegato Manfredda: sostituendo cioè i tirocini in azienda con dei laboratori all'interno delle scuole.Una scelta al ribasso? Secondo Carmela Palumbo no: «È l'impresa formativa simulata, una forma che è prevista dalla stessa legge 107, e non è figlia di un dio minore. L'alternanza si sviluppa su tre anni e dunque per il primo anno può consistere in una attività di orientamento. Quando si dice che tutti gli studenti, compresi i disabili, debbono fare questa esperienza, si dice qualcosa di molto importante, che porta a numeri enormi. L'obiettivo è molto ambizioso». In concreto la dirigente del ministero spiega che per far fronte a questi numeri, tolti i giovani che troveranno posto per fare la loro alternanza nelle imprese, ci si affiderà alla “Piattaforma SimuCenter”, che è «gestita dall'Indire e che eroga anche pacchetti per l'impresa simulata». Attraverso questo sistema «si può riuscire molto bene a similare l'esperienza in azienda», assicura la Palumbo, rivolgendo però contestualmente un appello al mondo delle imprese: «Anche le associazioni datoriali devono fare uno scatto culturale. Noi stiamo lavorando con Unioncamere per costruire una sezione del registro delle imprese in cui inserire le aziende che si offrono di ospitare ragazzi in alternanza, indicando anche in quali periodo».Lavorare su un più stretto legame tra aziende e scuole è certamente un primo passo. Ma non bisogna nemmeno sottovalutare il fatto che mandare uno studente di scuola superiore, minorenne, a fare uno stage non è purtroppo così facile, tra leggi da rispettare e passaggi burocratici da espletare. Per esempio, ogni studente prima del suo periodo di alternanza dovrebbe seguire un breve corso di formazione sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. «Questi corsi sono a carico dell'azienda», con il rischio che doversi sobbarcare questa incombenza scoraggi già in partenza le aziende a dare la propria disponibilità ad ospitare i ragazzi: «La legge dice che le scuole potranno farsi carico dell'organizzazione di questi corsi, così come tutte le spese che attengono agli aspetti formativi dell'alternanza».Il punto fondamentale, che la dirigente del ministero dell'Istruzione sottolinea con entusiasmo, è che sulla questione dell'alternanza scuola lavoro la riforma non ha solo scritto belle parole, ma ha anche previsto un finanziamento adeguato: «La Buona Scuola mette a disposizione, a regime a partire dal primo gennaio 2016, uno stanziamento dedicato e fisso per l'alternanza scuola lavoro. Finora abbiamo goduto di un finanziamento incerto e instabile: abbiamo avuto negli anni ministri più sensibili a questo tema, e in quei casi abbiamo ricevuto fino a 32 milioni di euro, e anni in cui siamo scesi a 11 milioni di euro». Con risorse così ballerine, difficile realizzare progetti di ampio respiro: «Questa incertezza di quadro normativo non ci ha permesso di radicare la alternanza scuola lavoro su tutte le scuole» conferma infatti Palumbo, e per questo «ci siamo dovuti concentrare sulle scuole professionali. Ora a regime abbiamo un capitolo in bilancio che ci dà 100 milioni di euro all'anno: questo cambia completamente i nostri orizzonti». Un finanziamento ingente e sopratutto sicuro dovrebbe cioè permettere al ministero di far finalmente decollare lo strumento dell'alternanza scuola-lavoro e di coinvolgere centinaia di migliaia di ragazzi che finora sono rimasti esclusi: «Abbiamo diramato una guida operativa per le scuole, un vero e proprio manuale, perché alcune già sanno come attuare questi percorsi, ma altre ovviamente no. Vogliamo accompagnare quelle scuole che non hanno mai fatto alternanza a fare percorsi di coprogettazione della formazione». Carmela Palumbo è entusiasta della prospettiva che si sta aprendo: «Incardiniamo l'alternanza scuola lavoro stabilmente nel curriculum degli studenti». L'auspicio è che questo possa rendere i cv di questi ragazzi più forti, un domani, quando affronteranno il mare aperto del mondo del lavoro.Eleonora Voltolina

Legge Controesodo, girandola di emendamenti: l'Italia manterrà la parola sugli incentivi o tradirà gli expat rientrati?

Ci sono circa 10mila laureati italiani che, negli ultimi 4 anni, sono rientrati in Italia dall'estero e che adesso rischiamo di perdere di nuovo. Di far ripartire ancor più arrabbiati di quando erano partiti la prima volta: traditi da uno Stato che ha fatto loro una promessa, per convincerli a tornare, e che adesso vorrebbe rimangiarsela.I 10mila di cui parliamo sono tornati grazie a una legge che si chiama Controesodo, la n° 238 del 2010, e che prevede dei benefici fiscali per chi sceglie di rientrare in Italia. Questo perché uno dei problemi maggiori di competitività del mercato del lavoro italiano, specialmente per quanto riguarda i giovani, sta proprio nelle retribuzioni: lo stesso trentenne, con lo stesso curriculum e le stesse capacità professionali, in Italia guadagna purtroppo molto meno che nel resto del mondo. Non si tratta di ipotesi, ma di realtà tangibili, confermate da studi e ricerche. Per colmare dunque questo gap, nel 2010 alcuni parlamentari - capitanati da Guglielmo Vaccaro e Alessia Mosca - riuscirono a far approvare una legge bipartisan, garantendo un vantaggio economico a quegli expat che avessero deciso di scommettere sull'Italia, riportando qui cervello e competenze. Una legge facile e vantaggiosa, che diceva in sostanza: sei una laureata under 35 che da almeno 2 anni risiede stabilmente fuori dall'Italia? Se torni, per alcuni anni pagherai solamente il 20% delle tasse che dovresti pagare sui tuoi guadagni, con un abbattimento del restante 80%. Idem per gli uomini, con un abbattimento leggermente minore, pari al 70%. Condizioni ovviamente allettanti: da allora ad oggi, migliaia di giovani - 6mila tra il 2010 e il 2012, poi con un ritmo di circa 1.500 "singoli rientrati" all'anno, con un impatto in termini di "famiglie" ancor più importante - hanno usufruito di questa legge, che nel frattempo è stata a rischio cancellazione, e poi invece prorogata proprio a gennaio del 2015 fino a tutto il 2017.Ora però è successo un pasticcio enorme. Perché con un decreto legislativo del settembre 2015, “Disposizioni recanti misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese”, all'articolo 16 è stato predisposto un nuovo “regime speciale per lavoratori rimpatriati”. Per accedere a questo nuovo "scudo fiscale" cambiano i requisiti (almeno cinque anni all'estero anziché due, attività o studi di particolare rilevanza, ma niente più limiti di età): la misura è meno vantaggiosa nell'immediato (abbattimento solamente del 30% per tutti, e non più dell'80% per le donne e del 70% per gli uomini) ma ha una durata stabile e predefinita di cinque anni dal rientro anziché una data di scadenza. Il punto è che questo decreto legislativo confligge in maniera clamorosa con la legge Controesodo. E allora il decreto legislativo, semplicemente, ha abrogato la proroga approvata a gennaio. Cancellando di fatto Controesodo.Eppure questa legge non genera maggiori oneri per lo Stato. A confermarlo è la Ragioneria dello Stato: «In sede di valutazione della norma […] non sono stati ascritti effetti sul gettito, in considerazione della tendenza annuale di rientri dei soggetti numericamente esigua (ove non nulla). In particolare, gli effetti positivi sul gettito determinati dalla tassazione (ancorché agevolata) dei redditi dei soggetti che decidono il rientro in Italia in conseguenza della norma, appaiono più che adeguati a coprire gli eventuali modesti effetti negativi». Confermando in maniera chiara «la neutralità finanziaria della disposizione». Insomma, questi incentivi alla fine allo Stato non costano nulla.E allora perché cancellarli? Un "ex expat controesodato", Francesco Rossi, ha lanciato una petizione online su Firmiamo.it, raccogliendo finora 900 firme, con l'obiettivo di sensibilizzare le istituzioni e allertare tutti i controesodati rispetto quanto successo, dato che «la vicenda dell'abrogazione della 238 è stata caratterizzata da poca visibilità mediatica e da messaggi contraddittori da parte delle istituzioni: continuiamo ad entrare in contatto con persone che scoprono oggi quanto successo con stupore e preoccupazione». Rossi, 37 anni, laureato in Economia alla Bocconi con passione per i mercati finanziari, ha passato 8 anni a Dublino come manager nella società di gestione del risparmio del gruppo Unicredit: «Già allora non c'era confronto fra condizioni lavorative estere ed italiane, fra stipendio, tassazione, welfare, ambiente di lavoro stimolante internazionale, giovane e aperto». É rientrato in Italia nel 2010 insieme a sua moglie, anche lei italiana ex expat: «Il prezzo da pagare é stato uno stipendio più basso del 30% per me, e per entrambi rinunciare a qualsiasi prospettiva di carriera interna». Adesso fanno base a Milano, hanno avuto due figli, ma l'insoddisfazione è forte: «In questi anni varie volte ci siamo guardati indietro e abbiamo pensato di ritrasferirci fuori, sia per noi che per i figli». Non che manchi il lavoro, ma c'è l'amarezza di sentirsi traditi: «Sulla proroga della legge Controesodo onestamente abbiamo fatto affidamento anche per comprarci casa. I benefici fiscali non sono mai l'unico fattore in queste decisioni di vita, anzi altre variabili pesano di più, ma possono far pendere l'ago della bilancia, magari a favore di un paese che i lavoratori dipendenti giovani e ad elevata professionalità penalizza su tanti altri fronti». Un Paese come l'Italia, insomma.Il fronte degli "ex expat" sta cercando sponde in Parlamento per sanare il pasticcio. «Sono stati presentati vari emendamenti al Senato, dove è cominciato l'iter del ddl stabilità, per intervenire sul problema» riassume Rossi: «Noi siamo stati in contatto con il deputato Alessandro Pagano, che come capogruppo di Area popolare in commissione Finanze alla Camera si è fatto promotore di un emendamento che va nella direzione auspicabile di sanare gli effetti distorsivi dell'abrogazione per le persone già rientrate in Italia ripristinando per loro il regime delle agevolazioni della legge 238; e inoltre, guardando al futuro, va a estendere gli incentivi previsti dalla nuova legge alle categorie di soggetti individuati dalla legge 238, con agevolazioni rafforzate per i giovani, facendo sì che la legge Controesodo continui a vivere accanto al nuovo regime».Parallelamente gli ex expat hanno anche contattato il ministero dell'Economia, che si sarebbe impegnato «a intervenire all'interno della legge di stabilità», e il governo, «che si è mostrato ricettivo e sembra aver individuato una soluzione tecnica, da mettere in pratica tramite un emendamento, che andrebbe comunque a sanare in modo soddisfacente la situazione evitando di penalizzare i soggetti rientrati in Italia fino al 31.12.15, permettendo loro di accedere ai benefici della 238 come prorogati a gennaio 2015». Il governo starebbe aspettando però che l'iter degli emendamenti in commissione sia terminato per andare a presentare il proprio: «Sia questa soluzione sia quella Pagano sono a nostro avviso buone soluzioni, ma al momento siamo preoccupati in quanto constatiamo che ci sono altri emendamenti contrari e rimaniamo quindi nell'incertezza fino all'ultimo». Gli emendamenti presentati effettivamente sono diversi, alcuni «di senso anche opposto e discordante». Quello che preoccupa di più i controesodati è stato presentato ieri in Senato dalle relatrici al disegno di legge di stabilità, Magda Zanoni (Pd) e Federica Chiavaroli (Ap): nella sua formulazione vorrebbe salvaguardare solamente gli expat rientrati in Italia tra il 1° marzo e il 6 ottobre 2015. Quando invece la logica vorrebbe che tutte le persone già rientrate in Italia potessero continuare a beneficiare fino a fine 2017 delle le vecchie regole: pacta sunt servanda.C'è anche chi dice che Controesodo affrontasse il problema della fuga dei giovani dall'Italia con l'approccio sbagliato. Che non si dovrebbe favorire il rientro di chi è andato all'estero con benefici fiscali, perché non è a fronte della garanzia che si pagheranno meno tasse che i giovani dovrebbero aver voglia di tornare. Rossi risponde pacatamente a queste critiche indirette: «È una considerazione corretta: soltanto i benefici fiscali non sono sufficienti a fare recuperare al Paese competitività e attrattività per il capitale umano. È evidente che si devono creare opportunità occupazionali con una serie di misure su più fronti. La legge 238 è stata però un punto di partenza; non dobbiamo dimenticare che le figure professionali che queste misure cercano di attrarre sono figure per cui il mercato del lavoro di riferimento è almeno di dimensione europea, sono cioè individui ad elevata mobilità; diversi altri paesi europei prevedono incentivi simili per chi si trasferisce dall'estero». Rilevando mestamente che una delle carenze più importanti del sistema italiano, al di là all'aspetto economico, in questa vicenda viene drammaticamente alla luce: «Un altro aspetto fondamentale per attrarre capitale, umano e fisico, e investimenti, è certamente la certezza del diritto. E quanto successo con gli incentivi della 238, prorogati a gennaio e abrogati a ottobre, non è certamente un esempio edificante».Insomma il rischio legato a questa vicenda è quello che gli expat guardino ancora una volta all'Italia con scetticismo, e che non si fidino più di programmi di incentivo del rientro: «Se la situazione non viene corretta, la percezione sarà negativa riguardo all'affidabilità di ogni regime agevolativo futuro: oggi c'è, domani chissà. La percezione sarà di un approccio "estemporaneo" e non strutturale a questo tema, che guarda alla visibilità mediatica di una stagione più che all'impatto strutturale nel tempo».«Molti “controesodati” rischiano di trovarsi a metà del guado, con un contratto di lavoro all’estero lasciato alle spalle e di fronte un Paese che conferma tutte le sue contraddizioni e incertezze del quadro legislativo» conferma Alessandro Rosina, docente di Demografia alla Cattolica di Milano e presidente dell'associazione Italents: «Come pensiamo di attrarre investimenti o talenti stranieri se trattiamo così i giovani laureati italiani disposti a riportare il proprio talento nel paese di origine? Nella parabola del figliol prodigo il padre decide di offrire il vitello grasso al figlio tornato. Un figlio che non si era certo distinto positivamente nel suo soggiorno altrove e che torna come ripiego, non come talento di successo. L’Italia invece ha molti veri talenti, che hanno lasciato un percorso professionale di valore, rischia di offrire solo una presa in giro. Prima la promessa di un incentivo a tornare e poi, una volta lasciato il lavoro e progettato il rientro, lo scontro duro con una politica inaffidabile. Se volevamo alimentare e consolidare nei giovani espatriati un senso di sfiducia verso il paese lasciato, questa è la strada giusta».Se la situazione degli incentivi non verrà risolta è probabile che i controesodati scelgano di abbandonare nuovamente l'Italia: «Senza i benefici fiscali, la bilancia penderà sempre più verso l'estero» ammette Rossi.«Quella norma per me era un riconoscimento. Era come sentirmi dire "Lo sappiamo cosa hai passato, ma sei stata in gamba. Noi te lo riconosciamo e siamo davvero felici che tu sia di nuovo a casa"» gli fa eco Stefania Pizzuto, 32 anni, rientrata da Londra pochi mesi fa: «Sono riuscita quest'anno finalmente ad ottenere grazie alla mia società un posto nella filiale italiana, "certo" - mi sono detta - "andrò a guadagnare di meno, ma grazie alla normativa sugli incentivi fiscali sento comunque di avere capitalizzato quello che ho fatto in questi anni". Il mio commercialista mi aveva confermato che ero in possesso di tutti i requisiti per ottenere quei benefici di cui parlava la normativa - che felicità». E invece, se la spuntasse l'emendamento Zanoni-Chiavaroli, lei per pochi giorni verrebbe esclusa dagli incentivi: «Oggi sono arrabbiata. E riconosco a tratti la stessa identica sensazione per cui, pur se combattuta, sono andata via quattro anni fa. Sapere che in fondo poco è cambiato è incredibilmente frustrante».Ma Guglielmo Vaccaro, uno dei promotori della legge Controesodo, promette ancora una volta il suo impegno: «Non ho parole per il pasticcio. Nel passaggio alla Camera presenterò un emendamento che ripristini la norma per tutti. Suggerisco intanto a tutti i rientrati e i "rientrandi" di far arrivare la loro voce di protesta a tutti i parlamentari: magari riusciremo a fare giustizia».Eleonora Voltolina

GaranziaHack, in palio 10mila euro per inventare un'app dedicata a Garanzia Giovani

Un hackathon per sviluppare un'applicazione che permetta di rendere più efficaci i servizi legati a Garanzia Giovani. Scadono mercoledì 25 novembre i termini per iscriversi all'iniziativa promossa dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali rivolta a giovani tra i 15 e i 29 anni. In palio 10mila euro per realizzare il progetto vincitore.Si chiama “GaranziaHack: partecipa, sviluppa, vinci!” il concorso lanciato dal governo per rendere più efficace l'azione del programma Garanzia Giovani attraverso l'utilizzo delle banche dati messe a disposizione dal dicastero guidato da Giuliano Poletti. Obiettivo: utilizzare la tecnologia per semplificare l'accesso ai database legati alla misura finanziata dalla Comunità europea e volta a favorire l'occupazione giovanile. Si tratta, ad esempio, di permettere di conoscere sia i curriculum sia le offerte di tirocinio pubblicate dalle aziende. Ma anche di geolocalizzarle su una mappa, piuttosto che di profilare i candidati in modo tale che questi ultimi possano ricevere una notifica push che segnali l'apertura di posizioni lavorative affini alle loro competenze ed esperienze. Oppure creare un percorso di gamification che porti gli utenti ad individuare le offerte di tirocinio più consone alle loro caratteristiche. Ma questi sono solo gli spunti contenuti nel bando di concorso: non c'è alcun limite posto a coloro che vogliano candidarsi.Possono partecipare i giovani di età compresa tra 15 ed i 29 anni che abbiano aderito al programmaGaranzia Giovani e siano stati presi in carico dai centri per l'impiego alla data di presentazione della candidatura. Possibile anche prendere parte all'iniziativa in team formati da un minimo di due e da un massimo di cinque persone. In questo caso sarà necessario indicare un coordinatore al quale verranno inviate le informazioni operative e logistiche. Le domande di iscrizione si presentano on line sul sito Garanziahack.it entro le 13 del 25 novembre prossimo.Gli iscritti saranno quindi coinvolti in un hackathon, una maratona di programmazione che si svolgerà venerdì 4 dicembre in 50 sedi sparse su tutto il territorio nazionale. Il bando è aperto anche alle strutture che volessero candidarsi per ospitare l'evento: una possibilità offerta a università, consorzi universitari, laboratori di ricerca accademici ed aziendali. Anche se una corsia preferenziale sarà riservata agli incubatori di impresa certificati. Le modalità e i termini di presentazione della candidatura sono identiche a quelle per i giovani che vorranno sviluppare un'applicazione. Al termine di questa giornata di programmazione verrà individuato il vincitore, che avrà 45 giorni di tempo per consegnare l'applicazione funzionante. Solo allora riceverà i 10mila euro messi in palio. «Da oggi gli iscritti al programma Garanzia Giovani avranno la possibilità di mettersi in gioco e sviluppare le proprie competenze in materia di applicazioni e tecnologie digitali, al fine di incrementare le proprie opportunità occupazionali» è il commento che il ministro Poletti ha affidato ad una nota: «l'era digitale è caratterizzata da una generazione giovane, nata con le nuove tecnologie, alla quale intendiamo offrire l'occasione di mettere in pratica le attitudini personali».L'iniziativa è interessante, anche se presta il fianco a una critica. Se Garanzia Giovani è stata creata per aiutare i Neet a trovare una collocazione nel mercato del lavoro, cioè per sostenere quelli con curriculum più deboli, si può ragionevolmente intuire che tra i quasi 900mila iscritti vi siano ben pochi programmatori, sviluppatori e grafici web - coloro che tradizionalmente sono coinvolti negli hackaton. Queste professionalità infatti sono molto richieste sul mercato del lavoro, e dunque è improbabile che giovani capaci di programmare una app siano a spasso e abbiano deciso di iscriversi a Garanzia Giovani.D'altra parte però, potrebbe anche verificarsi un circolo virtuoso: e cioè che qualche giovane iscritto al programma abbia usufruito dell'opzione dei corsi di formazione e abbia così sviluppato negli ultimi mesi delle competenze informatiche che prima non possedeva. Se così fosse, l'hackaton promosso dal ministero del Lavoro sarebbe certamente un buon modo per valorizzare la crescita professionale realizzata grazie a Garanzia Giovani.Da quando è stato lanciato, nel maggio dello scorso anno, il programma finanziato dalla Comunità europea ha preso in carico più di mezzo milione di giovani, su un totale di 861mila iscritti alla piattaforma, che diventano poi poco più di 750mila se si eliminano quelli che si sono cancellati. Un dato da considerare con attenzione è che, dei giovani registrati, 250mila vengono da due sole regioni: quasi 160mila dalla Sicilia e 96mila dalla Campania (rispettivamente 143mila e 72mila, al netto delle cancellazioni). Andando poi a spulciare l'ultimo report pubblicato dal ministero del Lavoro pochi giorni fa si scopre che sono 222mila quelli che sono stati avviati ad almeno una delle misure previste. Ovvero l'offerta di un ulteriore periodo di formazione, l'accompagnamento al lavoro, un contratto di apprendistato, un'opportunità di tirocinio, un percorso di servizio civile, il sostegno all’autoimprenditorialità o una proposta di mobilità professionale all’interno del territorio nazionale o in Paesi Ue. Molto bene sta andando un'altra iniziativa legata a Garanzia Giovani, lanciata dal governo in collaborazione con Google ed Unioncamere: la piattaforma Crescereindigitale.it, che permette di approfondire le proprie competenze digitali attraverso un corso on line della durata di 50 ore. A sei settimane dal lancio sono addirittura più di 34mila i giovani iscritti. Una volta terminato questo percorso di formazione, è possibile che venga loro offerto un percorso di tirocinio all'interno di un azienda: al momento sono 1.493 quelle che si sono dette interesserate, mettendo a disposizione 2.222 percorsi di stage. Ma chissà che qualcuno degli iscritti a questo corso non decida prima di mettere a frutto quanto imparato partecipando a GaranziaHack.Riccardo Saporiti Photo credit1: Flickr Licenza CC BY-SA 2.0Photo credit2: Flickr Licenza CC BY-NC-ND 2.0

Giornata internazionale degli stagisti, nel "day after" parte l'appello ai ministri: «Stop agli stage gratuiti e normativa comune»

Il giorno dopo la prima Giornata internazionale degli stagisti, balzata in cima alle tendenze dei social network con l'hashtag #internsday, è già tempo di proposte. Eleonora Voltolina, direttore della Repubblica degli Stagisti - che è stata promotrice dell'evento italiano della giornata a Trento - rilancia il tema con due appelli ai due ministri italiani che sono competenti in materia di tirocinio. Ospite questa mattina di Sky Tg 24, Eleonora Voltolina ricorda per prima cosa al ministro Stefania Giannini, titolare del ministero dell'Istruzione Università e ricerca, che in questo momento e ormai già da tre anni di fatto i tirocini curriculari si trovano in un paradossale vuoto relativo: «È un caso di vacatio legis. Dopo i cambiamenti normativi avvenuti a cavallo tra il 2012 e 2013, che hanno di fatto “mandato in pensione” il vecchio decreto ministeriale del 1998 che regolamentava tutti gli stage senza fare distinzione tra extracurriculari e curriculari, questi ultimi sono finiti in un limbo. Si tratta di quelli che vengono effettuati durante il percorso di studio, perlopiù da studenti universitari. In questo caso la competenza è statale, dunque starebbe al ministero dell'Istruzione il compito di regolamentarli, attraverso per esempio un nuovo decreto ministeriale. Con la Repubblica degli Stagisti avevamo già rivolto a Maria Chiara Carrozza, che aveva rivestito l'incarico di Ministro dell'istruzione nel governo Letta, l'appello che oggi rinnoviamo all'indirizzo di Stefania Giannini: non è accettabile che questi tirocini restino sprovvisti di normativa. Anche perché, secondo le nostre stime, si tratta di circa 250mila stage all'anno. Il nostro auspicio è che nella prossima Giornata internazionale degli stagisti, nel 2016, si possa annunciare che questo vuoto normativo è stato finalmente colmato. Anche i tirocinanti curriculari devono essere inseriti in un chiaro quadro di diritti e doveri, scongiurando la possibilità - purtroppo sempre concreta - che il vuoto normativo crei delle sacche di abuso».Coerentemente con uno dei messaggi principali della Giornata internazionale degli stagisti, e cioè la lotta senza quartiere agli stage gratuiti (al grido di “unpaid is unfair”), l'auspicio di Eleonora Voltolina è che anche per i tirocini curriculari venga introdotto, così come già accade oggi in Italia per quelli extracurriculari, l'obbligo di un rimborso minimo: «Noi suggeriamo al ministro Giannini che andrebbe definito un compenso mensile minimo, sull'ordine dei 200-250 euro al mese, da corrispondere obbligatoriamente a tutti coloro che fanno uno stage curriculare di durata superiore alle quattro settimane. Questo certamente comporterebbe una netto miglioramento delle condizioni di stage e anche di vita delle decine di migliaia di studenti, universitari e non, che ogni anno svolgono questo tipo di formazione on the job».Il secondo appello della Repubblica degli Stagisti è invece rivolto al ministro del Lavoro Giuliano Poletti, e in generale all'intero governo Renzi. Il punto qui è la semplificazione: «Sembra incredibile a dirsi, ma oggi in Italia esistono ben 21 leggi diverse in materia di tirocini extracurriculari. Eh sì, perché essendo la formazione professionale una materia di competenza esclusiva regionale, ci troviamo nel bel mezzo di un cortocircuito normativo per il quale uno stagista deve sottostare a regole diverse a  seconda della regione dove svolge il suo tirocinio. A noi tutto questo sembra folle e bizantino: la riforma del Titolo V della Costituzione, in agenda proprio nei prossimi mesi, sia una straordinaria occasione per rimettere le cose a posto. Il nostro suggerimento è che lo Stato recuperi almeno una parte della competenza e che, similmente a ciò che già accade per l'istituto dell'apprendistato, Stato e regioni siano competenti insieme sulla materia dello stage. In questo modo lo Stato potrebbe produrre una legge quadro in materia, per garantire a tutti gli stagisti su tutto il territorio nazionale una piattaforma comune di diritti, che poi le regioni potrebbero naturalmente integrare tenendo conto delle caratteristiche specifiche del proprio sistema produttivo, delle condizioni economiche e del mercato del lavoro. Avere 21 normative diverse in materia di stage è fonte di grande confusione» conclude Eleonora Voltolina: «Anche qui il rischio di abuso è dietro l'angolo».La Giornata internazionale degli stagisti ha quindi avuto anche in Italia il merito di rimettere sotto i riflettori il tema dell'occupazione giovanile e soprattutto della transizione dalla formazione al lavoro.

10 novembre, prima Giornata internazionale degli stagisti: a Trento l'evento italiano con la Repubblica degli Stagisti

Stagisti di tutto il mondo unitevi. Era con questa frase ad effetto - ricalcata sul più famoso motto comunista in cui a doversi unire per una battaglia comune erano i proletari - che tanti anni fa cominciava in Italia l'avventura della Repubblica degli Stagisti, uno spazio online dedicato ai giovani nel momento molto delicato della transizione della formazione al lavoro. Martedì 10 novembre questa frase si traduce in realtà con la prima International Interns' Day, la Giornata internazionale degli stagisti, ideata dall'associazione InternsGoPro e dallo European Youth Forum e promossa da alcune realtà, tra cui la Repubblica degli Stagisti in Italia, che sono nate nel corso degli anni in tanti paesi europei ma anche in Stati Uniti e in Australia proprio per tutelare e difendere la categoria dei tirocinanti - generalmente ignorata, sottovalutata dalla quasi totalità del mondo politico e sindacale. Tutto il mondo è paese, insomma e i problemi che già da anni riscontrano gli stagisti italiani sono più o meno gli stessi, mutatis mutandis, che incontrano i loro colleghi francesi, inglesi, belgi, americani… La Giornata internazionale degli stagisti vedrà quindi la realizzazione di eventi in città lontanissime ma con un intento comune: portare all'attenzione pubblica l'ingiustizia degli stage gratuiti - balzata all'attenzione mediatica, quest'estate, anche per il caso dello "stagista in tenda" che ha denunciato pubblicamente l'insostenibilità dei tirocini gratuiti dell'Onu - e proseguire la battaglia affinché venga riconosciuto prima di tutto un giusto compenso a tutti coloro che svolgono un'attività di formazione on the job. A Bruxelles ci sarà la manifestazione principale: la capitale belga, che è anche sede principale del Parlamento europeo, è diventata negli ultimi anni un hub per i movimenti a difesa degli stagisti, anche per la capacità di coordinare le varie realtà sul territorio europeo per formulare delle azioni comuni. Alcuni eurodeputati hanno già dato il loro endorsement all'iniziativa: tra questi anche Brando Benifei, trentenne del Partito democratico che fa parte della Commissione Lavoro, secondo cui il tema della disoccupazione giovanile e delle condizioni dei giovani nel mercato del lavoro è sempre più centrale: «Dobbiamo assicurarci che questi temi vengano posti al centro dell'agenda politica dell'Unione europea, non solo adesso ma per i prossimi cinque anni».Per l'Italia il testimone dell'International Interns' Day è affidato naturalmente alla Repubblica degli Stagisti, che di tutte queste realtà a livello internazionale è, insieme a Génération Précaire, decisamente la più antica e longeva, e anche quella che hai ispirato molte delle attività di altre associazioni in giro per il mondo.L'evento italiano avverrà a Trento dove Eleonora Voltolina, la giornalista che ha fondato e dirige la Repubblica degli Stagisti, è stata invitata a partecipare a una manifestazione organizzata dalla provincia autonoma di Trento intitolata "In partenza per l'Europa". Un appuntamento, ormai giunto alla sua sesta edizione, che ha l'obiettivo di informare tutti giovani, specialmente quelli che stanno facendo le scuole superiori e sono iscritti all'università, rispetto alle possibilità che l'Unione Europea mette in campo per la formazione e anche per svolgere una esperienza all'estero, sempre più preziosa per arricchire il proprio curriculum nell'ottica di essere cittadini europei.A Trento dunque Eleonora Voltolina interverrà nella tavola rotonda della mattina, alle 11:30, presentando e lanciando la Giornata internazionale degli stagisti; poi la Repubblica degli stagisti sarà presente per tutta la giornata con un suo stand per rispondere alle domande dei ragazzi fornire informazioni e anche raccogliere storie e proposte. In particolare alle 15 lo stand si trasformerà infine nel teatro di un flash mob che avrà come protagoniste le scarpe, diventate uno dei simboli di questa Giornata. Con l'hashtag #‎UNPAIDisUNSEEN si vuole veicolare un messaggio chiave: e cioè che se vengono lasciati senza compenso, i tirocinanti diventano invisibili, e di loro restano solamente le scarpe. Le foto sono un progetto della giovane Teuta Turani, che sta svolgendo uno stage all'Onu senza percepire alcun compenso.L'evento italiano su Facebook: → a questa paginaDove? a Trento, nell'ambito dell'evento "In partenza per l'Europa" promosso dalla Provincia autonoma di Trento attraverso l'ufficio Servizio Europa (Europe Direct Trentino), in piazza Dante 15 presso la sede della Regione Trentino-Alto Adige.Vivi a Trento? Partecipa al nostro flash mob! Conosci qualcuno che vive a Trento? Invitalo all'evento tramite FB o condividendo questo articolo sui tuoi social network!I sostenitori dell'evento:Pay Your Interns Initiative - Geneva, SwitzerlandGénération Précaire - Paris, FranceStagiares Sans Frontières - Paris, FranceInterns Australia - Melbourne, AustraliaRepubblica Degli Stagisti - Milan, ItalyBrussels Interns NGO - Brussels, BelgiumAgora Jeunes en Europe - Paris, FranceGanhem Vergonha - Porto, PortugalCanadian Intern Association - CanadaGeneva Interns Association - Geneva, SwitzerlandInternational Young Professionals Foundation - Canberra, AustraliaFair Internship Initiative - New York, USAJunior Chamber International - Brussels, BelgiumIntern Labor Rights - Washington D.C., USAMake Sense - Paris, FranceProject 668 - Brussels, BelgiumUniplaces - London, UKThink Young - Brussels, BelgiumDrop’pin@EURES - Brussels, BelgiumBelieve and Achieve Programme - Brussels, BelgiumL'evento internazionale su Facebook: → a questa pagina

Il servizio volontario europeo, un'esperienza che cambia la vita: i giovani volontari a raccolta a Messina

Per i giovani che hanno voglia di fare una esperienza all'estero, usufruendo dei programmi di mobilità dell'Unione europea, una delle opzioni è lo SVE: il servizio volontario europeo. Si tratta di un periodo di volontariato in un Paese straniero, di durata variabile da 2 settimane a 12 mesi; non prevede per il volontario una retribuzione, ma tutte le spese - viaggio, vitto, alloggio - sono coperte (attraverso il finanziamento ricevuto dal Programma Erasmus+) e in più si mette nel proprio bagaglio un'esperienza utile sotto tanti punti di vista. Innanzitutto si impara una lingua; si acquisiscono poi competenze di tipo professionale e anche relazionale, dato che quasi tutti i percorsi di volontariato SVE prevedono l'interazione con gruppi di persone svantaggiate (bambini negli orfanotrofi, disabili fisici e mentali, ragazzi disagiati…). Senza contare che il fatto di trasferirsi - anche se solo temporaneamente - in un altro Paese è di per sé una esperienza che arricchisce.Oltre alla preparazione pre-partenza, alla formazione all’arrivo e al supporto linguistico, ogni volontario può contare su due figure di riferimento: quella del tutor che lo segue nelle attività quotidiane e quella del mentor che lo aiuta ad inserirsi nella comunità locale e lo supporta nel processo di acquisizione di competenze personali / professionali attraverso la compilazione dello Youthpass, lo strumento di certificazione delle competenze acquisite, previsto dal Programma Erasmus+: Gioventù in Azione.Una delle particolarità dello SVE è che è molto aperto: possono candidarsi tutti coloro che abbiano tra i 17 e i 30 anni, non è richiesto un titolo di studio particolare, e non è richiesta nemmeno la cittadinanza(basta risiedere in modo legale in uno dei Paesi UE).Negli ultimi due giorni a Messina si è tenuto l'EVS Annual Event 2015, l’appuntamento annuale - alla sua seconda edizione - promosso dall’Agenzia Nazionale per i Giovani, per coinvolgere i ragazzi rientrati dal Servizio Volontario Europeo, le associazioni e gli aspiranti volontari e offrire una panoramica delle opportunità offerte dall’Unione Europea.Oggi, nella giornata conclusiva, è prevista la tavola rotonda «Cambia vita, apri la mente con il Servizio Volontario Europeo!», con il sottotitolo «Volontari del Servizio Volontario Europeo e rappresentanti delle Istituzioni a confronto, per scoprire insieme il valore dello SVE». Dopo i saluti del sindaco di Messina Renato Accorinti, il dibattito vedrà coinvolti il "padrone di casa" - il direttore generale dell'Agenzia Giovani - Giacomo D’Arrigo, l'europamentare catanese Michela Giuffrida, il consigliere comunale di Reggio Calabria Mauro Riccardo, e poi il presidente del Centro Orientamento e Placement dell'università di Messina Dario Caroniti e il direttore del Centro Servizi Volontariato di Messina Rosario Ceraolo. A moderare gli interventi, e sopratutto a intramezzarli con i contributi dei giovani volontari europei, sarà Eleonora Voltolina, fondatrice e direttore della Repubblica degli Stagisti e anche membro del consiglio direttivo dell'Agenzia Giovani.La Repubblica degli Stagisti ha raccontato, nell'ultimo anno, molte storie di giovani che hanno fatto una esperienza di SVE. Dalla 25enne emiliana Sonia, che grazie ai 10 mesi passati ad  Amstetten, avendo imparato perfettamente il tedesco, dopo solo un mese dalla laurea ha trovato subito un lavoro in Italia proprio in virtù di questa competenza linguistica, al 29enne sardo Carlo, che stava facendo il suo SVE in Nepal proprio nel periodo in cui il tremendo terremoto ha squassato il Paese; dall'abruzzese Pietro, 29enne appassionato di educazione non formale che ha potuto mettersi alla prova con un progetto nelle scuole di Burgas, in Bulgaria, alla 24enne Diana, originaria della provincia di Varese, che in Croazia ha passato un anno facendo animazione in un centro giovanile.Il servizio volontario europeo viene raccontato da tutti i giovani che lo hanno fatto come un'esperienza che cambia, effettivamente, la vita. Ogni anno sono 600 gli under 30 italiani che partono con questo progetto; inversamente, l'Italia ospita mediamente 650 volontari SVE provenienti da altri Paesi. Tecnicamente, lo SVE è un progetto di mobilità inserito nel programma europeo ERASMUS+:Gioventù in Azione. Venne istituito nel 1998, all’interno del Programma “Servizio Volontario Europeo per i Giovani”, e ad oggi ha coinvolto oltre 55mila giovani.Per chi volesse provarci, il consiglio è quello di leggere questo nostro vademecum e poi cercare sul database delle organizzazioni accreditate SVE, all’interno del Portale Europeo per i Giovani, le informazioni sulle organizzazioni di invio. L'offerta è talmente ampia che è quasi impossibile non trovare qualcosa che rispecchi i propri interessi. E un periodo di servizio volontario europeo, similmente a un anno sabbatico, può servire per uscire dalla propria quotidianità, mettersi alla prova e riformulare le proprie aspirazioni.

I "500 giovani per la cultura" ora chiedono un percorso di stabilizzazione: ma «si rischia la guerra tra poveri»

Hanno risposto a un bando uscito ormai quasi due anni fa, nel dicembre del 2013. E dopo un lungo processo di selezione (e un complesso iter burocratico scandito da decine di atti amministrativi), da fine maggio di quest'anno hanno cominciato il loro programma formativo. Al termine delle 100 ore di lezione in aula, dal 1° settembre hanno iniziato la seconda fase, che li vedrà impegnati fino a giugno 2016 in attività di catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale presso Poli museali, soprintendenze, biblioteche e archivi di Stato facenti capo al ministero dei Beni culturali. Sono i “500 giovani per la cultura”, i laureati selezionati dal Mibact per svolgere un “programma straordinario di formazione” della durata di 12 mesi, che già dall’uscita del bando aveva suscitato aspre polemiche, seguite con attenzione dalla Repubblica degli Stagisti, per le condizioni proposte (5 mila euro di rimborso spese complessivo per un anno).Ora i ragazzi hanno dato vita al “Comitato nazionale 500 giovani”, con l’obiettivo di chiedere al ministero di essere inseriti, alla fine dell’esperienza, in un «percorso di stabilizzazione». Nonostante nel bando del 2013 si specificasse che “il rilascio dell’ attestato di partecipazione non comporta alcun obbligo di assunzione da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”. A riaccendere le speranze dei ragazzi (ragazzi per modo di dire, dato che il bando permetteva di candidarsi a chi avesse meno di 35 anni) è stato l’annuncio di “un concorso per l'assunzione a tempo indeterminato di 500 professionisti del patrimonio culturale” fatto dal ministro, Dario Franceschini, lo scorso 15 ottobre. Un concorso per “funzionari dei beni culturali selezionati tra antropologi, archeologi, architetti, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, esperti di promozione e comunicazione, restauratori e storici dell’arte”. «Profili che coincidono, almeno in parte, con quelli dei 500 giovani» spiegano dal Comitato, chiedendo al Mibact di «dare un futuro - se non per forza con il concorso per funzionari, con future iniziative ad hoc – anche ai giovani professionisti che sta formando, impiegando tra l’altro ingenti risorse economiche».«Siamo stati selezionati attraverso una procedura concorsuale con criteri alquanto rigidi: la prima scrematura è avvenuta sulla base dei titoli documentati, ove le attività che contavano di più erano proprio le collaborazioni, i lavori e gli stage svolti per la pubblica amministrazione. A questa prima fase di cernita è seguita una prova scritta che affrontava varie tematiche: storia, Codice di Tutela dei Beni Culturali, logica e informatica» spiega Marta Laureanti del Comitato.  «La selezione ha dato vita ad una graduatoria con tanto di atti consultabili» prosegue «sono stati individuati dei vincitori di bando pubblico per un “programma di formazione straordinario” che di fatto non hanno un contratto di lavoro, ma non sarebbero nemmeno tirocinanti (come spiega la circolare n. 62/2015)». E che sono oggi impegnati «in progetti ambiziosi e complessi, che necessitano di continuità». In quest’ottica, sostengono i ragazzi in un comunicato pubblicato sul loro sito, "vorremmo adesso avere la speranza che l'impegno ministeriale e personale non si perda nel vuoto, ma anzi sia convertito in possibilità e opportunità concrete per le future e necessarie assunzioni e regolarizzazioni all'interno del Ministero, con un concreto riconoscimento del programma di formazione straordinario fino ad ora intrapreso”.Una richiesta che rischia di innescare una «guerra fra poveri» secondo Salvo Barrano [nella foto a sinistra], presidente dell’Associazione nazionale archeologi. «È giusto che ogni esperienza, come un tirocinio o il programma di formazione a cui hanno partecipato i “500 giovani”, sia ben valorizzata e “pesata” in sede di concorso attribuendole un congruo punteggio, l’importante però è che non diventi discriminante» avverte Barrano. «Non può essere, in questo caso, un titolo preferenziale perché ci sono moltissimi professionisti dalla consolidata esperienza che non hanno potuto partecipare a quel bando perché si prevedeva un’età massima di 35 anni o che non hanno voluto, viste le condizioni che il Mibact offriva, ma che hanno tutti i titoli per partecipare al futuro concorso per l’assunzione di 500 funzionari, con cui il ministro Dario Franceschini ha dimostrato di tenere fede agli impegni presi».Se Barrano plaude all’ultimo annuncio del ministro, si dice però critico nei confronti della scelta del Mibact di continuare a bandire selezioni per tirocini formativi. Dopo il bando per il programma annuale dei “500 giovani”, infatti, nel 2014 ne è seguito un altro (con limite di età a 29 anni, durata semestrale e rimborso spese aumentato a mille euro lordi al mese) per 150 laureati, che hanno già effettuato i 6 mesi di tirocinio previsti da febbraio a agosto 2015. E un mese e mezzo fa è stato pubblicato un altro avviso di selezione, con relativi bandi, sempre per tirocini formativi semestrali (e sempre con limite d’età a 29 anni e rimborso spese di mille euro lordi al mese) che coinvolgerà altri 130 laureati in progetti finalizzati a sostenere attività di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale. «Questi tirocini in passato sono serviti al ministero per tappare i buchi» spiega Barrano «ma la via d’accesso per entrare nell’amministrazione pubblica deve essere esclusivamente quella dei concorsi pubblici».Anche perché è possibile che anche questi 150 + 130 ragazzi si vadano a unire, una volta terminato il tirocinio, ai 500 predecessori, bussando al Mibact per chiedere una stabilizzazione.Sara Grattoggi

Trovare lavoro all'estero, la piattaforma Eures si rafforza: "Obiettivo 900 contratti in due anni"

29mila curriculum caricati sulla piattaforma EUJOB4EU, 350 aziende registrate, 1.200 contratti attivati in tre anni, grazie al matching fra i profili dei candidati e le richieste delle imprese. Sono i numeri raggiunti nel primo triennio dai progetto pilota di “Your first Eures job” (YfEj) coordinati dal ministero del Lavoro e dalla Città metropolitana di Roma (l'ex Provincia di Roma), che Marie Debicki, assistant manager del progetto per la Città metropolitana di Roma, ha illustrato alla Repubblica degli Stagisti in occasione di uno dei due seminari dedicati al tema “Lavoro, apprendistato e tirocini in Europa: Your first EURES Job”, nel corso dello Young International Forum [nella foto a destra] organizzato qualche giorno fa a Roma da Italia Orienta.Nel corso del seminario, Debicki ha descritto l’iniziativa, cofinanziata dall’Unione Europea (all'incirca 4 milioni di euro il budget per il primo triennio), che dallo scorso febbraio vede la collaborazione di altri 8 ministeri del Lavoro europei (Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna) insieme a un ampio network di partner associati.Se l’iniziativa in Italia era partita con una serie di progetti pilota (due della ex Provincia di Roma, uno del Ministero del Lavoro e altri realizzati da enti pubblici e privati), dallo scorso febbraio il coordinamento è unitario. E il nuovo progetto, che si chiama YfEj 4.0 ed è finanziato dal programma europeo EaSI (Employment and social innovation) con altri 3 milioni di euro, prevede nel biennio febbraio 2015 - febbraio 2017 «di arrivare all’attivazione di 900 nuovi contratti per il progetto coordinato dall'Italia, che coinvolge però anche ragazzi di altri Paesi» spiega Debicki.Obiettivo dell’iniziativa, partita nel 2012 è infatti quello di favorire la mobilità e aiutare giovani dei 28 Stati dell’Unione europea e di Islanda e Norvegia a trovare un impiego (tirocinio, apprendistato o posto di lavoro) in un altro dei Paesi coinvolti. Ma anche aiutare le aziende a trovare la forza lavoro di cui hanno bisogno e che non riescono a reperire nel proprio Paese.I requisiti per beneficiare dei servizi offerti per chi è in cerca di lavoro sono la nazionalità e la residenza in uno dei 30 Paesi coinvolti e l’età, compresa fra i 18 e i 35 anni. Le aziende, invece, che devono avere sede in uno dei 30 Paesi, devono offrire un contratto retribuito della durata minima di 6 mesi, full-time o part-time, che sia conforme alla legislazione nazionale.Per partecipare al progetto basta compilare il proprio cv in inglese sulla piattaforma dedicata. «È importante riempire tutti i campi previsti, perché altrimenti non possiamo validare il curriculum» spiega Debicki. Siccome in passato accadeva che molti ragazzi lasciassero alcuni campi vuoti, come il “desired occupational field”, pensando forse di non precludersi così alcuna possibilità, «da alcuni mesi è stata modificata la piattaforma» precisa Debicki «permettendo così di inserire due settori di preferenza e non più uno solo. Ma è importante che i ragazzi sappiano che queste indicazioni non li escluderanno mai da un’offerta di lavoro anche in altri settori, perché il nostro metodo di selezione si basa su una serie di filtri per parole chiave».Per questo «è fondamentale che i ragazzi, nel redigere il cv, siano il più esaustivi possibile, al contrario di quel che si raccomanda invece, solitamente, per chi si candida a un’offerta di lavoro specifica. Se un’infermiera, poniamo il caso, durante gli studi ha fatto spesso la babysitter, non deve sottovalutarlo, perché nel caso ci sia una posizione aperta in un reparto pediatrico anche questo elemento potrebbe contare. Così come consigliamo a un informatico, ad esempio, di inserire tutti i programmi che sa usare, perché potrebbero rientrare fra le parole chiave della nostra ricerca». In un secondo momento, nel caso in cui arrivi un’offerta specifica, «possiamo però contattare i ragazzi e chiedere loro di preparare un cv più specifico».Quando arriva un’offerta da un’azienda, parte subito la preselezione. «Generalmente non pubblichiamo le offerte di lavoro sul sito, ad eccezione di quelle inserite nella sezione “Hot Jobs” che sono quelle per cui non troviamo profili idonei già registrati nel nostro database o che vengono reiterate periodicamente» puntualizza Debicki «Contattiamo subito, però, i ragazzi potenzialmente adatti, anche perché ci impegniamo a dare risposta alle aziende entro cinque giorni. Per questo è fondamentale che i ragazzi ci rispondano velocemente per proseguire nella selezione».Ma quali sono i settori e le professioni più richieste al momento? «Abbiamo moltissime richieste per infermieri. Ma anche per informatici e ingegneri. Contemporaneamente, siamo alla ricerca di parrucchieri e chef e di personale da impiegare nel settore turistico e dei servizi» racconta Debicki. «Abbiamo, invece, difficoltà con le professioni autonome per cui in genere non è previsto un vero e proprio contratto di lavoro, come gli architetti o altre professioni artistiche. Questo perché al momento, ad esempio, nessuno studio di architettura si è iscritto sulla nostra piattaforma».Per tutti i ragazzi preselezionati per un impiego tramite la procedura sopra descritta, “Your first Eures Job” mette a disposizione anche una serie di aiuti finanziari, destinati a agevolare l’inserimento lavorativo in mobilità. Fra questi, un’indennità forfettaria per coprire le spese di viaggio di chi sia chiamato per un colloquio in un altro Paese - la cifra è calcolata sulla base della distanza da coprire - e un’indennità di trasferimento, con importo variabile a seconda del Paese di destinazione, per chi sia stato selezionato per un impiego e sia pronto a fare le valige. Ma anche un contributo, fino a un massimo di 1.270 euro, per la formazione linguistica, sottoforma di rimborso per i corsi effettuati. E un altro, fino a mille euro, per le spese eventualmente necessarie per il riconoscimento delle qualifiche all’estero. Infine, i giovani preselezionati con bisogni specifici (per questioni di salute, contesto socio-economico o geografico) possono beneficiare di un assegno di trasferimento supplementare, erogato sulla base del rimborso delle spese ammissibili dichiarate fino a 500 euro. Oltre agli aiuti finanziari, i servizi di YfEj prevedono anche attività di formazione di base o linguistica, attraverso seminari tematici organizzati periodicamente.Sara Grattoggi

Disoccupazione giovanile, in Italia è la più persistente: per sei su dieci va oltre l'anno

L'Italia batte un triste record mondiale: i suoi giovani disoccupati sono tra quelli che restano tali per più tempo in tutto il mondo. La notizia arriva dal Global Employment Trends for Youth 2015, il report che analizza l'andamento mondiale della disoccupazione giovanile pubblicato dall'Ilo, l'Organizzazione mondiale del lavoro. E il risultato è chiarissimo: superata da Croazia e Bulgaria, l'Italia detiene il triste primato insieme alla Grecia di 15-24enni senza un'occupazione per più di un anno consecutivo. Con una tendenza in crescita, perché se nel 2012 questa condizione riguardava circa la metà della popolazione sotto i 24 anni senza un impiego, due anni dopo la percentuale è salita al 60%. L'essere a spasso diventa una situazione cronica, senza speranza. Tanto che gli analisti dell'Ilo parlano di «una disoccupazione di lungo periodo che sta diventando un fenomento strutturale» per alcuni paesi come l'Italia e la Grecia.Per capirne la portata basta un confronto con la media Ue, i cui giovani senza lavoro sono poco meno di uno su tre, la metà rispetto all'Italia. La stessa Spagna non arriva a tanto. Sotto il tasso medio europeo si attestano per esempio Francia, Belgio, lo stesso Portogallo. C'è chi come la Germania e il Regno Unito è poco sopra il 20%, senza contare i soliti virtuosi del Nord (Finlandia, Svezia, Danimarca, Norvegia), tutti molto più in basso. Tradotto significa che in Italia non avere un lavoro a vent'anni può tradursi in uno stigma perenne. Una condizione molto pericolosa, come fa notare alla Repubblica degli Stagisti Massimiliano Mascherini, research manager all'Occupazione presso Eurofound: «Se la disoccupazione di breve periodo è quasi naturale nella transizione scuola-lavoro, è con quella di lungo periodo che si creano danni rispetto alle future prospettive occupazionali, fino al rischio di un lifelong disengagment dal mercato del lavoro». Cioè un distacco dalle prospettive professionali per tutta la vita.Quello dell'Italia è però un caso talmente circoscritto - solo la Grecia vanta percentuali analoghe - che gli esperti del rapporto minimizzano, facendo un paragone con la condizione perfino più pesante degli adulti: «Per loro i valori di disoccupazione di lungo termine sono maggiori, con una media Ue del 52% in crescita di più di dieci punti sul 2008». Tutto sommato farebbe più paura questo dato, se non fosse che gli italiani fanno ancora peggio, scalzando ogni indicatore per gli under 24. E i primati negativi per l'Italia non finiscono qui. «Grecia, Italia, Portogallo e Spagna hanno sperimentato aumenti del tasso di disoccupazione giovanile tra il 2010 e il 2014 tra i dieci e i venti punti percentuali» ricorda il report, «ben al di sopra della media Ue, che è stata di circa un punto». La quota per questi paesi si è attestata sopra il 21%, e la tendenza è stata verso la decrescita. Per tutti, tranne per l'Italia, l'unica a veder crescere il numero dei suoi disoccupati sui 32 paesi analizzati. Insomma finora a poco sembrerebbero valsi per ora gli sforzi dei vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni, anche se a onor del vero bisogna sottolineare che gli effetti di Garanzia Giovani non possono ancora rientrare in queste rilevazioni, dato che il programma è stato lanciato a maggio del 2014 e ha cominciato a dispiegare i suoi effetti solamente a partire dalla fine del 2014. Nel frattempo però i Neet, i giovani inattivi, si sono moltiplicati. Anche qui il nostro paese è isolato: è superato solo dalla Grecia (dove comunque sono il 20% contro il nostro 22), mentre gli altri 'pigs' – Spagna, Portogallo, Irlanda – ne contano sempre di meno. È questa la categoria più a rischio secondo Mascherini: «Se andiamo a disaggregare la popolazione dei Neet, vediamo che in Italia un quarto di loro è un long-term unemployed, mentre un restante 14% è uno scoraggiato». Se si sommano però le due quantità «arriviamo a concludere che circa il 40% dei Neet italiani è a alto rischio di disengagement».Solo da una visione più complessiva, inquadrata a livello globale, arriva qualche speranza. Innanzi tutto perché – ed è questo il principale esito del rapporto – i giovani disoccupati stanno diminuendo. Se erano 76 milioni con il picco della crisi, adesso sono calati di 3 milioni. Una discesa che – a sorpresa – è iniziata ben prima degli anni di recessione: nel 2004, osservano dall'Ilo, «la disoccupazione giovanile era sopra il 40%, oggi è inferiore di cinque punti». E infatti i senza lavoro under 24 agli inizi degli anni Duemila erano ben di più che ora, a quota 78 milioni. Adesso siamo all'incirca al livello del 1998. Dunque non è vero che per i giovani sia questo il periodo più nero in assoluto. Chi, nel mondo, aveva vent'anni o giù di lì nel 2002 se la passava decisamente peggio. E c'è anche un elemento da non sottovalutare: in circa vent'anni, dai primi anni Novanta a oggi, la forza lavoro attiva si è molto contratta - dal 59 al 47%, sottolinea lo studio. «Ma il principale fattore dietro il calo è la tendenza delle nuove generazioni a proseguire negli studi» ragionano gli analisti. E questa è senz'altro una buona notizia.  Ilaria Mariotti 

I giovani devono poter esprimere il loro spirito d'iniziativa, per l'Agenzia Giovani «#lascommessaseitu»

Oltre duecento ragazzi riuniti a Roma, al Tempio di Adriano, per una due giorni organizzata dall'Agenzia nazionale per i giovani dal titolo «La scommessa sei tu» (con un hashtag, #lascommessaseitu, che ha raccolto centinaia di tweet e menzioni sui social network), con l'obiettivo di «supportare e valorizzare lo spirito d’iniziativa e auto imprenditorialità dei giovani». Giovani tra i 20 e i 30 anni soprattutto, selezionati in tutta Italia (per aderire bisognava candidarsi tramite cv), che mercoledì e giovedì hanno partecipato a caccia di spunti e informazioni per la ricerca di un lavoro, o meglio per tentare di procacciarselo, ideando progetti e trovando finanziatori. Un evento che ha fornito un'occasione per riflettere sul loro futuro interrogando i fautori delle politiche giovanili di questi anni.Tanti gli interlocutori nella maratona di interventi moderati da Gianluca Semprini, giornalista di SkyTg24, e Eleonora Voltolina, direttore della Repubblica degli Stagisti: tra loro anche il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, l'imprenditore e consigliere del presidente del Consiglio sull’Innovazione sociale Paolo Barberis, il presidente del Coni Giovanni Malagò, il neopresidente di Unioncamere Ivan Lobello, l'amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri, e poi Diego Ciulli di Google Italia, Laura Bononcini di Facebook Italia, la direttrice dell'Agenzia per la coesione territorialeMaria Ludovica Agrò e molti altri. Non sono mancati da parte dei ragazzi gli interventi e le riflessioni, propositive e talvolta anche critiche, di fronte a un sistema che spesso li fa sentire abbandonati nella pianificazione di un percorso professionale. Con Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, intervenuto nella discussione nella prima giornata, si è entrati nel cuore delle problematiche del mondo occupazionale. A cominciare dal Jobs Act, che Poletti ha difeso rispedendo al mittente le critiche e rispondendo alla domanda sul numero effettivo di occupati generati dalla riforma: «Sappiamo che abbiamo 325mila occupati in più agosto 2015 su agosto 2014: è un più 8 per cento, che è comunque un numero importante» ha sottolineato, pur ammettendo di non sapere ancora se si tratta di «contratti precari o meno».Sta di fatto, ha ribadito Poletti, che «veniamo da vent'anni di precarizzazione del lavoro, e noi abbiamo fatto una cosa banale: rendere questi contratti meno convenienti». Con le nuove assunzioni a tempo indeterminato i giovani «possono farsi una vita, prendersi un mutuo». Per incentivare questi contratti sono serviti molti soldi: «Ma se vuoi rovesciare una cultura devi spostare almeno un milione di posti di lavoro, con 5mila non cambi lo stock». Sull'articolo 18 ha invece minimizzato: «Non è quello che mi chiedono i datori di lavoro quando li incontro: gli imprenditori vogliono essere più liberi nel momento in cui si espandono o assumono. E noi abbiamo dato regole chiare per esserlo. E non è nemmeno quello che mi chiedono i ragazzi, che sono interessati sopratutto ad avere più opportunità».Rispondendo a chi, dalla platea, chiedeva - «dopo un dottorato, un master, due stage a titolo gratuito e ancora nessun lavoro in vista» - cosa pensa di fare il governo per rimediare (tasto dolente, almeno stando al forte applauso spontaneo generato dalla domanda), Poletti ha riconosciuto che «c'è bisogno di politiche attive strutturali, come Garanzia Giovani: finora sono state attuate logiche sbagliate, di protezione dell'esistente. A cominciare dalle rendite, che invece si proteggono da sole» sbotta. Per ripartire bisogna fare invece una rivoluzione culturale. Lo ha sottolineato più volte nel suo intervento Alessandro Rosina, ordinario di Demografia alla Cattolica di Milano e curatore del Rapporto Giovani dell'Istituto Toniolo: basta con «le nuove generazioni destinatarie passive delle politiche di governo: devono comportarsi da protagoniste, costruirsi un percorso professionale e di vita già dalle superiori. Non devono porsi il problema del posto di lavoro dopo la laurea, bensì prima, optando per una determinata facoltà pensando già da subito al percorso da seguire». Sulla stessa linea anche il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba: «Occorre fare delle scelte a monte, di medio-lungo periodo, per evitare che si faccia la fine degli avvocati di Roma che – si dice spesso – sono più di quelli della Francia intera» e rimangono poi a spasso. Insomma non aspettarsi un lavoro che venga a cercare a casa, ma «crearselo da sé» ragionando in anticipo sulla strada da intraprendere, e sopratutto intercettando i lavori del futuro: sia quelli nati grazie alle nuove tecnologie, sia i vecchi mestieri "modernizzati" in chiave contemporanea. Un esempio? La Agrò ha ricordato che «di giuristi ci sarà sempre bisogno», anche per modernizzare quelle branche del diritto che sono più esposte alle innovazioni: «il diritto d'autore, per dirne una, che oggi ha bisogno di una profonda revisione per restare al passo con i tempi che cambiano».Il digitale è la fucina dalla quale partire, fonte com'è di nuova occupazione. Tra le professioni ancora semi-sconosciute che spuntano, per esempio, c'è quella del 'digitalizzatore'. Lo ha ricordato Ciulli di Google Italia (dove, come ovvio, «si entra solo tramite application online»): «Noi cerchiamo ragazzi che vadano in giro a parlare con le imprese, per spiegare cosa possano fare con Internet e quali vantaggi potrebbe trarne l'azienda»; una figura di cui in Italia c'è fortemente bisogno perché purtroppo ancora «quattro imprenditori su dieci ritengono inutile l'apporto del web alle proprie aziende» ha evidenziato con rammarico Poletti. Si tratta del fulcro di 'Crescere in digitale' una iniziativa che implementa Garanzia giovani, che consente agli iscritti di seguire un corso a cui può poi seguire un tirocinio di sei mesi «per affiancare le imprese nel digitale». Da parte loro gli imprenditori possono invece candidarsi per accogliere un tirocinante – sempre in ambito Garanzia giovani - «a supporto delle attività sul web».Un'idea per creare un punto di incontro tra i due mondi, giovani e datori di lavoro, e per dare concretezza a quella parola, la «corresponsabilità», più volte uscita nel corso del dibattito e tra le domande dei partecipanti: a dire che – se è vero che i ragazzi devono impegnarsi per crearsi un futuro – chi detiene il potere ha il dovere di fare la sua parte. Lo ha sintetizzato Giacomo D'Arrigo [nella foto a fianco, insieme ai quattro protagonisti del dibatttito sulle startup: da sinistra Anna Amati di ItaliaStartup, Hagaj Badash di NanaBianca, Roberto Macina per Qurami, D'Arrigo e Benedetto Linguerri di H-Farm], presidente dell'Agenzia giovani, nel suo intervento conclusivo. L'Agenzia ha come sua mission principale l'assegnazione di fondi europei (come quelli di Erasmus+) a progetti rivolti ai giovani o da loro messi in piedi: «Io sono, voglio essere corresponsabile. Noi con l'Agenzia non vogliamo limitarci a fare il nostro "compitino", che sarebbe quello di dare soldi e poi rendicontare» ha detto. «Vogliamo fare un passo in più, insieme a voi, creando un contatto con le imprese, con le istituzioni, creando la Rete per le opportunità, lavorando in partnership con le altre istituzioni, in modo da "scaricare a terra" energia moltiplicata. Abbiamo cominciato a farlo attraverso La scommessa sei tu, adesso la cosa più importante è mantenere il contatto e proseguire su questa strada».Ilaria Mariotti