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Mercato del lavoro, senza gli immigrati in Italia starebbe peggio

Il mercato del lavoro in Italia sta male, ma senza gli immigrati starebbe peggio. A guardare i numeri raccolti dal ministero del Lavoro nel quinto rapporto sul mercato del lavoro degli immigrati, i lavoratori stranieri stanno risalendo la china della crisi più e meglio di quanto non stiano facendo gli italiani. Crescono i disoccupati e gli inattivi, ma anche gli occupati. Si tratta però soprattutto di lavori poco qualificati e scarsamente retribuiti. Come per l’Italia, anche per gli stranieri la disoccupazione si concentra tra i giovani: più della metà di quelli che sono in cerca di un lavoro ha meno di 34 anni. E i Neet, i ragazzi che non sono impegnati né nel lavoro né nello studio, si trovano pure tra gli immigrati. Su oltre 2,4 milioni di Neet italiani, quasi 347mila sono stranieri, ovvero il 14,4 per cento. Ma emerge anche una grossa percentuale di imprenditori stranieri, soprattutto tra i giovani. Se i lavoratori in proprio under 34 italiani sono il 7,5%, tra gli stranieri questa percentuale sale al 23,4. In generale però i giovani immigrati, anche quelli più istruiti, svolgono mansioni di basso livello ben più dei coetanei italiani...→ Continua a leggere l'articolo su Linkiesta

Lavoretti estivi, come orientarsi in Italia e in Europa

Ci sono i classici lavoretti estivi, camerieri, animatori e baristi, o quelli che possono aiutare a trovare la propria strada professionale. Tutti con un comune denominatore: andare all’estero e imparare, o meglio perfezionare, una seconda lingua e confrontarsi con una realtà differente. Il panorama di possibilità, soprattutto per i più giovani, per passare un’estate in un altro paese è vasta e conta su diversi canali, sia istituzionali che privati. Orientarsi non è semplice perchè online si trovano centinaia, se non migliaia, di pagine che promuovo un impiego per il periodo estivo. In generale il consiglio è di iniziare la ricerca per tempo, verso marzo o aprile, perchè spesso viene richiesto un impegno di almeno due o tre mesi. Ma per chi volesse partire last minute si trovano ancora diverse possibilità, soprattutto per settembre.Fondamentale riuscire a far emergere una propria peculiarità. «Bisogna sempre cercare di far emergere una propria specificità» spiegano dall’Informagiovani di Torino «ad esempio qualche tempo fa era venuta una ragazza bravissima nel preparare i cappuccini e che sapeva fare diversi disegni con la schiuma. Questo le ha consentito di essere presa in un bar in Spagna che non avrebbe avuto motivo di assumerla al posto di uno spagnolo, ma per loro quella competenza era preziosa». In generale a questo punto i villaggi turistici e gli hotel hanno già coperto le esigenze di organico e bisogna essere disposti a fare un po’ da jolly e accettare eventuali sostituzioni dell’ultimo minuto.  Per iniziare a cercare si possono utilizzare i siti dell’Informagiovani di ogni città in cui si trovano consigli e rimandi ai siti web europei e di altri paesi che offrono opportunità di lavoro. In tutti viene indicato il sito di Eures, la rete europea di cooperazione dei servizi pubblici per l'impiego in cui sono presenti oltre un milione di offerte di lavoro in 32 Paesi. Il numero maggiore di offerte si trovano tra Regno Unito e Germania, ma anche Paesi Bassi , Polonia, Svezia e Francia. Si possono poi consultare le offerte anche sulle maggiori agenzie per il lavoro che hanno un profilo europeo. Anche il lavoro stagionale ha subito la crisi e ora è tutto più veloce e più facile che in passato trovare qualcosa anche all’ultimo minuto. «Si trovano ancora offerte per settembre» spiegano all’Informagiovani torinese «ad esempio ci sono delle opportunità a Disneyland Paris, ma soprattutto in agricoltura con la raccolta della frutta e in Francia per la vendemmia». Per scegliere bisogna prima di tutto capire per quanto tempo si è disposti a stare fuori casa e a quali condizioni: ci sono opportunità, come i soggiorni alla pari, che consentono  in cambio di aiuto in casa e con i bambini, di avere ospitalità e un piccolo compenso. Si deve anche valutare il proprio livello linguistico, a seconda del paese scelto, e gli eventuali costi da sostenere nel caso si debba procurarsi vitto e alloggio. Per il lavoro alla Pari di solito viene richiesto un impegno di un paio di mesi minimo e cercando si trova ancora qualcosa per settembre anche se le offerte sono molto ridotte.  I diritti e i doveri della persona collocata alla pari, nonché i diritti e i doveri della famiglia ospitante, devono essere concordati per iscritto. Ci sono diverse formule orarie e di compenso a seconda dei paesi. In generale si riceve vitto e alloggio dalla famiglia ospitante, per quanto possibile in camera singola. Il compenso medio settimanale varia, ma in generale non può essere inferiore ai 70 euro settimanali. Per le formule più impegnative, (collaborazione in famiglia sei giorni a settimana per massimo 40 ore) si ha diritto a un pocket money di circa 85-95 euro che arrivano a 120 euro per un impegno di 50 ore settimanali. A tal proposito il sito Easyaupair può risultare molto utile. Tra i  lavori estivi più gettonati ci sono quelli in alberghi, villaggi, navi e ristoranti: animatori, cuochi, baristi camerieri e dj. «Faccio lingue all’università e volevo provare a vedere come me la sarei cavata da solo all’estero» racconta Marco, 22 anni di Torino «così l’anno scorso dopo Pasqua ho iniziato a guardare un po’ su internet quali possibilità c’erano. Volevo qualcosa che mi permettesse anche di divertirmi, era pur sempre la mia estate!». Alla fine Marco, attraverso degli annunci di agenzie online, ha trovato un lavoro di animatore in un villaggio turistico a Palma di Maiorca. «Appena arrivato avrei voluto tornare indietro» spiega «c’erano ragazzi da altri paesi e tutti parlavano senza difficoltà inglese tra loro. Capivo la metà delle cose. Tutti però mi hanno aiutato e dopo una settimana comprendevo quasi tutto. Alla fine del primo mese ero in grado di intavolare una conversazione quasi su ogni argomento senza difficoltà. A volte ho anche fatto qualche sogno in inglese!». Il suo contratto stagionale prevedeva un impegno di 40 ore settimanali «ma alla fine si lavorava sempre di più. Da contratto mi davano 500 euro al mese oltre al vitto e alloggio. Non nascondo che il lavoro è stato abbastanza faticoso, ma mi sono anche divertito. Senza contare che ora me la cavo anche con un po’ di spagnolo!» racconta Marco, che conclude «è un’esperienza che mi ha cambiato, mi ha fatto capire che posso cavarmela da solo». C’è invece chi come Roberta, 28 anni, ha fatto di un’esperienza estiva il suo lavoro. «Ho studiato biologia marina all’università di Genova perchè ho sempre voluto lavorare sul mare»  spiega «per questo l’estate della laurea ho deciso di partire e ho accettato di fare la guida marina per un villaggio turistico in Egitto. Ora lavoro per un tour operator alle Maledive e porto i turisti alla scoperta delle meraviglie della barriera corallina». Oltre al settore turistico esistono anche una serie di opportunità con contratti temporanei in catene commerciali, call center e grande distribuzione che in questo periodo offrono posti per delle sostituzioni. Per lavorare in Europa basta la carta di identità e a  volte è richiesto un certificato medico di buona salute. Per i paesi extra Ue è invece necessario un visto temporaneo con procedure che variano da paese a paese. In questo periodo però è sicuramente più semplice trovare lavori dell’ultimo minuto all’interno dell’Unione Europea. Per farlo bisogna però avere le idee chiare. «Spesso arrivano da noi ragazzi che dicono di voler andare a lavorare all’estero, senza avere un’idea precisa di qual è il loro obiettivo e anche delle proprie possibilità» spiegano all’Informagiovani di Torino. «Noi cerchiamo di fornire gli strumenti per poi riuscire a trovare quello che fa per loro. La cosa fondamentale, anche per un lavoro stagionale, resta comunque la lingua anche se dipende dal tipo di mansione che si va a svolgere. In quelle che non sono a contatto con il pubblico, come ad esempio il lavapiatti, di sicuro incide meno. Però tutti devono mettere in conto che magari gli verrà chiesto di fare un colloqui via skype, pratica ormai molto diffusa. Bisogna informarsi bene e non fare un salto nel buio. Per aiutare a orientarsi tra i vari paesi e i requisiti necessari abbiamo preparato sul nostro sito varie schede orientative». Un'ulteriore opportunità è rappresentata dalle Città dei Mestieri, una rete internazionale nata nel 1993 a Parigi con l'apertura della prima Cité des Métiers, per aiutare a orientarsi su percorsi formativi, lavorativi e professionali in tutta Europa. Nel corso degli anni la Rete si è sviluppata e oggi ne fanno parte oltre 40 realtà  in Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, Germania, Svizzera, Mauritius e Cile. Nel nostro paese si trova a Milano, Genova, Treviso, Roma, e, da luglio, anche a Torino. L’accesso è libero e gratuito e oltre a materiale informativo si trovano esperti in vari ambiti, dalla formazione all’orientamento scolastico e professionale, a cui chiedere consiglio. Sara Settembrino

Un'università a misura di giovani mamme (e papà), Cagliari e Campobasso apripista della conciliazione

«Studentessa universitaria, sfiori la tua pancia dentro c'è una bella novità, che a primavera nascerà per farti compagnia ... e la sera ti ritrovi a pensare al futuro e ti sembra più vicina la tua serenità» cantava, forse con troppo ottimismo, Simone Cristicchi nel 2008. Ma per le studentesse universitarie che lo hanno ispirato non è facile proseguire gli studi e venire incontro alle esigenze familiari. E, nonostante le continue promesse di politiche in funzione delle famiglie, quasi nessun ateneo italiano prevede misure specifiche per chi ha figli a carico o in arrivo. Non è nemmeno facile capire quante siano nel nostro paese le giovani madri alle prese con esami e lezioni: dalll'ultima analisi statistica sulla maternità, pubblicata alla fine del 2014 dall'Istat,  Avere figli in Italia negli anni 2000, risulta che l’età media della nascita del primo figlio è arrivata a 30 anni. Nel 2014 sono stati partoriti poco più di 500mila bambini e il totale medio di numero di figli per donna è sceso a 1,29. Rispetto a dieci anni fa le madri under 25 sono passate dal 13% all’11,4%: fra di loro solo l'8,7% ha la cittadinanza italiana. Nel 2013 le partorienti sotto i 19 anni sono state 8.085 - con un calo del 17% rispetto a tre anni prima. Interessante la distribuzione sul territorio: le mamme giovanissime vivono soprattutto nel sud e nelle isole (60,4%), mentre nel nord-ovest sono il 16,6%, nel nord-est il 10,3% e nel centro il 12,7%. Un altro dato incontrovertibile che emerge anche dall'analisi Istat è che più il livello d'istruzione è alto, più il numero di figli è basso. Non solo: se la mamma è altamente istruita, partorirà più tardi il figlio.Eppure ci sono ancora giovani donne che vivono una maternità precoce senza rinunciare a portare avanti studi universitari. Larisa Petean, 29 anni, iscritta al corso di laurea specialistica di Economia e commercio all'università di Perugia, racconta la sua esperienza a Repubblica degli Stagisti: pochi mesi fa, il primo aprile 2015, ha messo al mondo una bambina e per il momento ha messo da parte lezioni e prove. «Mi mancano solo quattro esami alla fine e non ho intenzione di lasciar pedere, ma sono sola e in questo primo periodo la mia bambina ha un sacco di necessità. L'ultimo esame sostenuto? A febbraio, con le nausee, ma non sono stata affatto facilitata». Non appena ha scoperto di essere incinta Larisa si è rivolta alle segreterie di ateneo e di facoltà, ma le è stato detto che non erano previste facilitazioni. Anche quest'anno dunque Larisa ha pagato circa 400 euro di tasse, divise in tre scadenze. Poi ha parlato anche coi professori: «Sapendo che non sarei riuscita a frequentare regolarmente le lezioni come negli altri anni, ho chiesto di poter comunque sostenere gli esoneri. Ma tranne in un caso, non mi è stato  permesso». Larisa conclude parlando dei parcheggi: «Non ci sono posti riservati alle donne in gravidanza e non sono mai arrivata tanto in anticipo da trovarlo a meno di un chilometro dalla facoltà. Perugia è una città in salita e all'ottavo mese di gravidanza mi sarei risparmiata volentieri tutte quelle scale». «Il baby parking mentre sostengo gli esami? Se ci fosse lo sfrutterei volentieri, ma la vedo un'ipotesi irrealistica qui».Invece a Cagliari sarà realtà già dal prossimo anno accademico: se ne è parlato pochi giorni fa durante la presentazione dell'offerta formativa dell'ateneo più frequentato della Sardegna. Una delle novità sarà infatti la tessera baby istituita, come ha spiegato lo stesso rettore Maria del Zompo, insieme ad altre misure «per evitare che gli studenti abbandonino gli studi». La speciale card darà diritto a parcheggi riservati negli spazi dell'ateneo, priorità presso gli uffici, agevolazioni nella scelta dell'orario per sostenere esami di profitto. Ma anche l'accesso gratuito al materiale dei corsi on line e alla "stanza baby", uno spazio per stare con il proprio figlio in un momento di pausa tra una lezione e l'altra. L'obiettivo è anche quello di creare due baby parking, uno a Cagliari e l'altro a Monserrato (sede del campus universitario dell'ateneo) dove poter lasciare i bambini durante l'attività accademica. «L’iniziativa è nata da una mail: una studentessa "in dolce attesa", intenzionata a non abbandonare gli studi, esponendo le sue difficoltà ha chiesto se fossero già previste agevolazioni per la sua particolare condizione» racconta alla Repubblica degli stagisti il responsabile dell'ufficio stampa dell'ateneo: «Il prorettore Mola ha voluto incontrarla e, grazie all’attività del Comitato unico di garanzia presieduto dalla dottoressa Orrù, abbiamo predisposto queste iniziativa. A breve, e in base alle risposte che riscontreremo, arriveranno anche altre attività». Cagliari sembra seguire il buon esempio dell'ateneo di Campobasso, che a marzo ha aperto la prima nursery universitaria italiana, riservata a  mamme studentesse, ricercatrici e docenti dell'università del Molise. "Universomamma" è uno spazio sperimentale allestito all'interno del Dipartimento di Scienze umanistiche, sociali e della formazione primaria dell’ateneo molisano, unica nel suo genere. Si tratta di un'area comfort dotata di fasciatoio, giochi, riviste di settore.  Ma come è nato il progetto? «L'idea, come spesso accade, è venuta fuori da una situazione reale, davanti ai nostri occhi. Alcune ragazze del dipartimento di Scienze della formazione frequentavano i nostri corsi con bambini al seguito, così abbiamo pensato di dare loro un aiuto tangibile nel conciliare tempi di studio, di lavoro e di maternità. Speriamo di contribuire in questo modo alla loro realizzazione» racconta alla Repubblica degli Stagisti Elisa Novi Chavarria, consigliera del rettore per le Pari opportunità, soddisfatta dei primi risultati di questo piccolo grande esperimento: «Facciamo parte di un ateneo e un territorio di modeste dimensioni, quindi mentirei se le parlassi di centinaia di adesioni, ma sicuramente c'è stata una grande risposta da parte degli studenti e di chi lavora all'università. E proprio  l'entusiasmo di chi ha partecipato ci ha spinto a proseguire l'esperimento puntando a una vera e propria calendarizzazione per tutto l'anno accademico». Infatti per il 2015 sarà inaugurato un servizio aggiuntivo con personale specializzato che si prenderà cura dei piccoli quando le mamme o i papà saranno a lezione. Inoltre, grazie a una convenzione con il Centro sportivo universitario sarà possibile inserire alcune lavoratrici con contratti part-time, in base al numero delle richieste ricevute. A parte queste due eccezioni, e pochi altri casi - per esempio il Politecnico di Torino che previa compilazione di una domanda specifica, offre un servizio di babyparking cui hanno accesso i figli di studenti e dipendenti dell'ateneo - gli atenei italiani non riservano grandi attenzioni alle studentesse mamme o in dolce attesa, che possono al massimo usufruire dell'estensione di servizi previsti per altre categorie. «Abbiamo molti tipi di agevolazioni, come il "bonus Fratelli e Sorelle"» dice per esempio alla Repubblica degli Stagisti Valentina Alvaro dell'ufficio stampa della Sapienza di Roma, il più grande ateneo d'Europa: «Ma per il momento per le mamme e neo mamme non sono previste agevolazioni». Idem l'università Cattolica di Milano: l'ateneo non prevede alcuna agevolazione, ma «i singoli casi possono essere esposti alla Commissione contributi» specificano dall'ufficio stampa «che verifica di volta in volta se e in quali termini offrire un supporto agli studenti/ studentesse che ne fanno richiesta». . Da qualche anno poi all'università Statale di Milano è stato introdotto il «tempo parziale», una formula che prevede l’adattamento del percorso di studio, dal punto di vista organizzativo ed economico, ai singoli casi degli studenti. nche in questo caso non si tratta di un servizio pensato apposta per gli studenti-genitori, dato che può essere fruito da chi assiste un nonno o un familiare non autosufficiente e da chi lavora almeno sei mesi all’anno, nonché da sportivi e artisti con impegni professionali comprovati; ma è aperto anche a chi sta per diventare mamma (o papà) o ha figli piccoli sotto i cinque anni. Anche l'università di Padova si è dotata del tempo parziale, e anche in questo caso tra i potenziali beneficiari figurano gli studenti genitori.Un'altra possibilità è quella di sospendere momentaneamente l'attività accademica in concomitanza con la nascita del figlio, e qui il vantaggio è sopratutto economico: evitare di pagare le tasse universitarie per i periodi in cui si sa già che non si potranno frequentare le lezioni né sostenere esami. A questo proposito, all'università di Bologna - l'ateneo più antico d'Europa - è possibile avviare la procedura d'interruzione anche per le studentesse in stato di gravidanza o che abbiano appena partorito un figlio. L'interruzione dà diritto alla sospensione del pagamento delle tasse per un anno. Dall'anno prossimo tasse dimezzate per le mamme con un figlio piccolo o in dolce attesa all'università di Torino. Agevolazioni previste anche per le mamme iscritte all'università di Catania: «Già da molti anni, le studentesse ragazze madri con figli di età inferiore ai cinque anni, sono esonerate dal pagamento della tassa regionale per il diritto allo studio, fissata dalla Regione Siciliana in 140 euro» spiega alla Repubblica degli Stagisti il capoufficio stampa dell'ateneo siciliano Mariano Campo: «Il Senato accademico dell’università di Catania ha inoltre appena approvato delle proposte per agevolare la carriera universitaria di studentesse con figli fino a cinque anni di età, studentesse in gravidanza, dall’ottavo mese o con diagnosi di gravidanza a rischio. Le mamme  dunque dal prossimo anno accademico potranno usufruire della riduzione dell’obbligo di frequenza, sostenere gli esami negli appelli straordinari e partecipare a specifiche attività di supporto didattico».Dunque agevolazioni a discrezione dell’ateneo e nessun dato ufficiale. Ma il problema esiste e c’è chi ha aperto un blog sul tema: mammastudia ha attualmente 30 anni, è ingegnere e ha avuto suo figlio Dede a 4 esami dalla laurea. Le sua pagina Facebook ha più 700 mi piace e il forum è pieno di lettere di ragazze di diverse facoltà, ma nella medesima situazione. Nella sua presentazione l'autrice (che mantiene l'anonimato) spiega perché ha aperto un blog: «Ho iniziato a scoprire il mondo delle mamme blogger e alla fine mi sono decisa e ho pensato: "perchè no? Lo apro anche io così intanto scrivo e mi sfogo, in più dò qualche notizia utile o faccio ridere qualche mamma, e magari chissà mi viene un lampo di genio e poi torno a studiare" . Ho ritrovato la motivazione e la forza, ho finito i miei progetti per l'esame e mi sono messa sotto a studiare... ho passato l'esame finale, preparato la tesi e finalmente mi sono laureata!». E con tutta probabilità in prima fila ad applaudire il neoingegnere c'era anche il piccolo Dede.Silvia Colangeli

Estate di stage in Europa: selezioni alla Corte dei conti e al Comitato delle regioni Ue

Le opportunità di stage in Europa non finiscono mai. Nel caso della Corte dei Conti Ue, per esempio, le candidature sono aperte tutto l'anno. Per chi fosse appassionato di revisione contabile è possibile fare domanda presso questo ente incaricato di «controllare le finanze dell'Ue», si legge sul sito, «principalmente nei settori riguardanti crescita e occupazione, valore aggiunto, finanze pubbliche, ambiente e azione per il clima». Gli stage durano cinque mesi e si svolgono a Lussemburgo, sede dell'istituzione.Non ci sono periodi determinati, qualsiasi data è possibile per un eventuale inizio: «La Corte dei Conti organizza periodi di tirocinio nel corso dell'anno nelle aree di interesse del suo lavoro» è specificato fin dalla homepage, senza però aggiungere dettagli sul numero di ammessi. Quello che si sa è che il rimborso è abbastanza sostanzioso, di 1120 euro mensili per gli stage con indennità (perché attenzione, in questa istituzione sono anche previsti tirocini senza borsa). Vista l'entità del rimborso e «le restrizioni di budget a cui è sottoposta la Corte» viene spiegato ancora sul sito, «il numero di posizioni con emolumento è molto ristretto». Del resto anche l'organico è piuttosto piccolo, composto dai soli 28 giudici – uno per ogni stato membro – eletti per sei anni dal Consiglio della Ue.  Per accedere sono richieste ai candidati caratteristiche ben precise: oltre alla nazionalità europea, un diploma universitario o almeno il completamento di quattro semestri di studio in uno dei campi di interesse per la Corte (si intende quindi giurisprudenza, economia, senz'altro scienze politiche), la conoscenza approfondita di una lingua europea e quella soddisfacente di una seconda. Ma devono rispettarsi anche requisiti motivazionali come ad esempio la volontà di svolgere un periodo di pratica presso la Corte e essere dotati di un buon carattere. L'application si spedisce online, compilando un form con i propri dati e titoli, il tutto in inglese. L'invio di documentazione cartacea è previsto solo in caso di superamento della selezione.Per tutto l'anno sono aperte anche le candidature al Comitato delle regioni Ue di Bruxelles, «voce delle regione e delle città europee». Qui le sessioni annuali sono due, entrambe di cinque mesi: dal 16 febbraio al 15 luglio (sessione primaverile), per cui si candida chi si iscrive ora fino alla fine di settembre, e dal 16 settembre al 15 febbraio (sessione autunnale). I posti sono limitati - le statistiche non vengono rese note ma tutto lascia pensare che non si superino le poche decine di tirocinanti all'anno - e a ogni ammesso viene riconosciuto un rimborso mensile equivalente al 25% di un funzionario di livello AD 5. Circa 900 euro lordi mensili, che diventano 1000 per chi è sposato o ha figli, oltre alle maggiorazioni per disabili e rimborso delle spese di viaggio.Eccettuati quelli che abbiano già alle spalle esperienze di tirocini o collaborazioni presso enti europei con rimborso o retribuzione, può farsi avanti chi ha la nazionalità europea, possiede una laurea almeno triennale e conosce almeno due lingue europee di cui una in modo approfondito (in questo caso o l'inglese o il francese). Gli ammessi vengono assegnati ai vari dipartimenti, «dalla cui attività dipendono le mansioni degli stagisti: alcune aree sono più orientate alla politica, altre al lavoro amministrativo». Le selezioni si svolgono online, partendo dall'application form, da compilare e inviare. Da quel momento in poi ogni dipartimento esamina le candidature, puntanto sui candidati più appetibili ai fini della loro attività.Ai "finalisti" verrà richiesto di caricare documentazione scannerizzata sul sito per poi essere eventualmente contattati telefonicamente per un colloquio. Entro dicembre, a tutti viene notificato l'esito della candidatura, e anche per i non finalisti c'è speranza: si finisce in un elenco di riserva da cui attingere in caso di «eccezionali circostanze». Chi non la spunta, sottolineano i selezionatori, non deve disperarsi: «Non essere selezionati non significa non essere qualificati, significa che si è trovata una migliore combinazione e non un miglior candidato». Ilaria Mariotti 

Commissione e Consiglio Ue, 800 posti di stage a 1000 euro al mese

Nuova opportunità di tirocini alla Commissione europea. Le selezioni per la prossima "tranche" sono cominciate l'altroieri - il 15 luglio - a mezzogiorno, e si chiuderanno il 31 agosto. Per chi si candiderà in questo periodo, e avrà la fortuna di venire scelto, le porte dell'organo di governo Ue si apriranno dal 1° marzo 2016 per un periodo di stage di 5 mesi. Ottimo il rimborso spese: oltre ai mille euro mensili (e qui bisogna fare attenzione, per quanto riguarda il netto e il lordo, alla propria situazione finanziaria e interpellare un commercialista), si può contare su un'indennità forfettaria per il viaggio di andata e ritorno da Bruxelles, a patto che la distanza superi i 50 chilometri.  Quanto ai requisiti per fare domanda, si ripete il solito schema degli stage europei: laurea almeno triennale, ottima conoscenza di almeno l'inglese o il francese e di una seconda lingua europea. Gli stage vengono realizzati praticamente in tutti settori della Commissione: «Potresti prestare servizio nel settore legale, risorse umane, politiche ambientali» si legge sul sito, «il tuo lavoro quotidiano consisterà in organizzare meeting, working group, conferenze, ricerca di documentazione e reportistica, collaborazione a progetti».I posti sono tanti per ogni edizione: 1400 suddivisi nelle due tornate, quindi circa 700 per ciascuna "tranche". Per candidarsi si compila il form online (qui) in inglese. La procedura prevede una prima scrematura, che confluisce in una short list (il famoso Blue Book), e poi una selezione finale attraverso colloqui telefonici. Il tutto è tracciabile sul sito: in ogni momento il candidato può accedere nel suo account e verificare lo stato di avanzamento della propria candidatura. C'è da tenere presente che il numero di domande è davvero consistente. «Il boom persiste, questo è sicuro» conferma Federica Funelli, dell'ufficio traineeship: le richieste erano state circa 18mila nel 2012, hanno raggiunto quota 28mila l'anno successivo, per poi arrivare a 14mila nella sola prima sessione del 2014. Gli italiani? Sempre la fetta principale, a conferma che il fuggi fuggi è ancora in atto: si sono fatti avanti in 4mila nel 2012, in 6.500 nel 2013 e in 4.400 nella sola prima tranche del 2014: un terzo del totale. Interessante anche un altro dato, che riguarda però tutti i candidati: «Sempre più tirocinanti hanno un master (77%), pochi hanno solo il diploma triennale (17%), alcuni hanno addirittura un dottorato (5%)». Insomma a cercare opportunità altrove sono sempre i più qualificati, pure nel resto d'Europa. Un'altra chance è poi quella al Consiglio dell'Unione europea, «l'organo che decide le proprità politiche della Ue e la generale direzione politica». Gli stage offerti ogni anno sono circa 120, suddivisi in due periodi, ciascuno di cinque mesi. Il primo va dal 1° febbraio al 30 giugno, il secondo dal primo settembre al 31 gennaio. Per entrambi le candidature si accettano dal primo giugno al 31 agosto dell'anno precedente. Il rimborso è più o meno lo stesso di quello concesso dalla Commissione: quasi 1100 euro al mese lordi, a cui aggiungere buoni pasto e indennità di viaggio. Per candidarsi bastano una laurea, almeno triennale, la conoscenza dell'inglese o del francese e la nazionalità europea.Chi ha studiato giurisprudenza, scienze politiche, relazioni internazionali e economia ha qualche probabilità in più di finire tra i prescelti, ma il bando non esclude chi abbia titoli in comunicazione, grafica, biologia, traduzione per esempio. Sono inammissibili solo, come per ogni organo europeo, le candidature di chia abbia già prestato servizio presso un ente dell'Unione, con compenso, per più di otto settimane. Le candidature si spediscono online, in inglese, e comportano un procedimento di validazione per cui è bene prepararsi per tempo, compilarle per intero e spedirle in una sola volta. Il rischio altrimenti è quello di veder scadere la sessione e dover ricominciare da capo. È bene sapere che anche qui il numero dei competitor è alto e in progressiva crescita: le domande «sono state 3970 nel 2013, e 5265 nel 2014» fa sapere alla Repubblica degli Stagisti Tamás Záhonyi dell'ufficio tirocini: ben un terzo in più da un anno all'altro. «Tra il 20 e il 45% la provenienza è italiana» aggiunge, specificando che gli ammessi sono circa 60 a turno di stage.Al solito si tratta di opportunità che fanno gola ai tanti giovani in cerca di occupazione, in Italia e non solo. E per chi tenta la sorte con il Consiglio, dita incrociate tra settembre e gennaio, mesi in cui la candidatura viene esaminata (e in cui potrebbe capitare la famosa intervista telefonica, non indispensabile però). Poi il responso, che arriva a tutti, via mail: una volta tanto, in questo caso, un feedback è promesso sia ai selezionati sia agli esclusi. Ilaria Mariotti    

Non solo Mae-Crui, stage in ambasciata anche per 15 aspiranti diplomatici della Sioi: ma il rimborso è di 150 euro al mese

Uno stage a Baghdad, in piena estate, a 150 euro al mese, mentre si studia per preparare il concorso per diplomatici. Per chi aspira a una carriera in ambasciata sarà (di nuovo) possibile da quest'anno fare uno tirocinio presso le rappresentanze del ministero degli Esteri nel mondo grazie a un'intesa siglata dalla Farnesina con la Sioi, la Società italiana per l'organizzazione internazionale, «ente morale sottoposto alla vigilanza del ministero degli Esteri, che ha come finalità istituzionale la formazione e la ricerca sui temi della organizzazione e cooperazione internazionale», presieduto oggi dal'ex ministro Franco Frattini. La Sioi organizza ogni anno una serie di master di formazione per carriere di stampo internazionale. Tra tutti spicca quello per diplomatici, attivo da ben cinquant'anni: nove mesi all'anno full time per due classi da circa 50 persone ciascuno (i candidati sono circa 150 a tornata).La notizia del ripristino degli stage Mae-Sioi in ambasciata è uscita ovviamente un po' in sordina rispetto a quella della riattivazione del Mae-Crui (riveduto e corretto in "Maeci-Crui"), per il quale le selezioni si sono chiuse proprio lunedì scorso registrando un numero di candidati enorme, 1774. Ma le condizioni offerte agli stagisti Mae-Sioi destano qualche perplessità. Questi stage sono riservati a chi sta frequentando il master del Sioi: «La possibilità esisteva anche in passato. Avevamo una stretta collaborazione con il Mae: loro ci chiedevano, noi mandavamo, senza però mai superare il numero di una ventina di stagisti all'anno», spiega alla Repubblica degli Stagisti la direttrice della scuola Sara Cavelli [nella foto]: «Il programma di stage è stato interrotto a causa della nuova normativa sugli stage», quella del 2012, che aveva introdotto il principio dell'obbligo di rimborso spese poi concretizzato attraverso le linee guida concordate in sede di Conferenza Stato-Regioni all'inizio del 2013. Del resto, la stessa sorte era toccata anche ai famosi Mae-Crui oggi redivivi. La soluzione che si è trovata a partire da quest'anno per il Sioi è quella di attivare 15 stage, prevedendo per ciascuno di essi una indennità di 150 euro mensili. Un totale di 450 euro, che moltiplicato per il numero di stagisti ammessi fa 6.750 euro di stanziamento complessivo. Vero è che «tecnicamente si tratta di tirocini curriculari, perché svolti all'interno di un percorso formativo, e dunque non scatta per legge l'obbligo di rimborso spese» si giustifica la Cavelli: «Potrebbero essere a titolo gratuito senza andare incontro a nessuna violazione di legge». Così come anche i Maeci-Crui, del resto. Difficile però non ammettere che si tratta di un rimborso davvero esiguo,  che non basterà agli aspiranti diplomatici quasi neppure per coprire le sole spese di viaggio. Un volo di andata e ritorno per una delle destinazioni indicate non costa infatti meno di 200 euro, e questo considerando il Roma-Madrid, ma per Bagdad o altre destinazioni più "esotiche" il costo può lievitare anche a 600 euro.  Sorprende che non sia riuscito a fare di meglio un ente che può contare su risorse sostanziose, come ha certificato la Corte dei conti nel 2010, in un documento in cui attesta che «le risorse finanziarie della Sioi sono costituite da contributi dello Stato, delle regioni e di enti locali, quote dei soci, rendite derivanti dal proprio patrimonio, contributi di enti sostenitori e da convenzioni con altri enti (corsi di preparazione al concorso per la carriera diplomatica), proventi derivanti dalle attività svolte». Tanto che solo in quell'anno poteva contare su entrate pari a 1 milione e 500mila euro, di cui una buona fetta a carico degli studenti. La retta di iscrizione al master per diplomatici, per fare un esempio, ammonta a 5.500 euro: la direttrice assicura che esistono anche borse di studio a copertura totale - ma non specifica quante, né se vengano assegnate tutti gli anni o no, e sul sito ufficiale non si trovano informazioni in merito. In pratica la Sioi dal solo master per diplomatici guadagna ogni anno almeno 500mila euro: è come se per gli stagisti mettesse sul piatto poco più di una delle quote di iscrizione, a fronte di un introito, derivante dalle sole rette a carico degli iscritti, che ammonta a quasi cento volte tanto. In più, i corsisti-stagisti inviati nelle sedi straniere non sono semplici studenti prossimi alla laurea, ma persone già laureate e spesso molto qualificate che per entrare al master hanno sostenuto un duro esame di accesso «con prove di diritto internazionale, economia, storia delle relazioni internazionali oltre alla conoscenza della lingua inglese e di un'altra lingua», come conferma alla Repubblica degli Stagisti la direttrice: «Senza quelle competenze non potrebbero mai passare il concorso finale». Eppure, in piena estate, in sedi spesso disagiate come Algeri, Bagdad, Pristina, Riad o Tbilisi, questi giovani aspiranti ambasciatori dovranno cavarsela con appena 150 euro al mese. A fianco di 'colleghi' che invece percepiscono indennità d'oro, come di norma per chi è assunto dalla Farnesina. «Avranno comunque l'alloggio garantito» assicura la Cavelli: «Dodici sedi hanno dato il loro assenso e alcune di queste ospiteranno più di uno stagista» perché nessuno rimanga fuori. Come si legge nel comunicato di lancio dell'iniziativa, «l’intesa segue quella già conclusa tra Maeci, Miur e Fondazione Crui l’11 giugno, che offre la stessa opportunità agli studenti delle università italiane che aderiranno all’iniziativa». Gli aspiranti diplomatici della Sioi hanno subìto una selezione prima di partire. Una conferma che si aggiudica uno di questi prestigiosi stage solo chi davvero se lo merita: «I candidati erano 30, ne abbiamo scelti la metà in base ai titoli», fa sapere la Cavelli. A fare la valige saranno insomma i più brillanti della scuola che, per tre mesi, si troveranno in zone di crisi a mettere a frutto tutte le loro competenze. Con il lauto contributo di 150 euro al mese. E la domanda resta sempre la stessa: ma ai suoi giovani migliori, l'Italia non è davvero capace di offrire opportunità a condizioni migliori?Ilaria Mariotti 

Nuovo apprendistato, più incentivi alle imprese e niente obbligo di assunzione

Rendere l'apprendistato più appetibile per le imprese. È l'obiettivo che si prefiggono alcune misure approntate dal governo e da introdurre nei prossimi decreti attuativi del Jobs Act, sempre che il parlamento dia il suo beneplacito - per ora si tratta di uno schema di decreto legislativo. Lo ha annunciato il sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba alla presentazione del rapporto Isfol sull'apprendistato, da cui è emersa l'ennesima conferma che questa tipologia di contratto tiene nonostante la crisi, senza però riuscire a decollare. Le assunzioni in apprendistato sono di nuovo scese nel 2015 del 14%, dopo una lieve salita - 4% - nel primo trimestre del 2014. Delle tre tipologie esistenti - professionalizzante, per il diploma e la qualifica professionale e di alta formazione - l'unica applicata nella pratica continua a essere solo la prima, che da sola copre il 91% di tutte le assunzioni in apprendistato.Dati insomma non confortanti, a cui si vuole tentare di porre un argine intervenendo sugli incentivi alle imprese. In primis con l'aliquota contributiva: oggi è al 10%, la si vorrebbe portare al 5% «a titolo sperimentale, per le assunzioni con contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma dì istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore a decorrere dalla data di entrata in vigore dei presente provvedimento e fino al 31 dicembre 2016», come si legge sulla bozza del provvedimento in esame alla commissione Lavoro alla Camera.Verrò poi eliminato il «contributo di licenziamento» e introdotto «lo sgravio totale dei contributi a carico del datore di lavoro, incluso il contributo di finanziamento dell'Aspi», oltre a un finanziamento pari a «27 milioni di euro per ciascuna annualità da destinare ai finanziamento dei percorsi formativi degli anni 2015/ 2016 e 2016/2017 rivolti all'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore». Una tentativo per ridare slancio alle tipologie di apprendistato meno diffuse e provare a realizzare quel sistema duale alla tedesca a cui il governo Renzi guarda dall'inizio del suo mandato.I vantaggi per gli imprenditori sono anche quelli già entrati in vigore con il decreto legislativo 81, già legge dal 15 giugno. «Per i datori di lavoro che occupano almeno 50 dipendenti scompare l'obbligo di stabilizzazione per gli apprendisti assunti con contratto di primo e terzo livello» ha chiarito Bobba «e non vi è vincolo di retribuzione per il periodo di formazione svolto fuori dell’impresa, mentre è fissata nel 10% la retribuzione del periodo di formazione dentro l’impresa».Per la scuola è stata poi introdotta la possibilità di conseguire la maturità con l'apprendistato con un monte ore formative da svolgere in impresa da determinarsi tramite decreto interministeriale, oltre all'opzione di sviluppare percorsi di alternanza scuola-lavoro di 200 o 400 ore a seconda della filiera liceale o tecnica. Per il sistema duale, si è pensato invece a un meccanismo che preveda il conseguimento della qualifica e del diploma professionale nel regime di apprendistato con la metà dell'orario svolto nella istituzione formativa e l'altra metà in azienda. In più la possibilità di conseguire i medesimi titoli sviluppando percorsi di alternanza al posto dell'apprendistato, con 400 ore annue di formazione in impresa.«La strategia di questo governo per l'apprendistato è provare a far decollare quelli di primo e terzo livello, cioè quelli con preminente valenza formativa, per ridurre la dispersione scolastica e creare un collegamento stabile tra scuola e lavoro» ha spiegato Bobba in un'intervista disponibile sul sito dell'Isfol. Specificando che «il ruolo delle imprese è essenziale perché se non decidono di diventare formative prendendo giovani o in alternanza scuola-lavoro o in apprendistato avremo avuto grandi propositi ma la realtà resterebbe tale e quale».E c'è da sperare che le imprese collaborino davvero, perché il contenuto del provvedimento è una virata tutta a loro favore, come si evince dai primi decreti attuativi del Jobs Act e dalla legge sulla Buona scuola appena approvata in Parlamento.Ilaria Mariotti 

Contratto a tutele crescenti, apprendistato, alternanza scuola-lavoro servono ad assumere? La parola alle aziende

«Ci sono dei neolaureati in ingegneria che una vite non l'han mai vista: c'è davvero un impatto fortissimo tra formazione e mondo del lavoro»: lapidario, anche se il tono è scherzoso, è il commento di Paolo Citterio alla presentazione della ricerca annuale di Gidp sui neolaureati in azienda. Gidp, gruppo intersettoriale direttori del personale, è una associazione che federa oltre 3mila direttori del personale di aziende medio-grandi, ubicate sopratutto in Lombardia: a loro viene ogni anno somministrato un questionario per indagare le tendenze e le policy rispetto all'inserimento di giovani in azienda. Dall'utilizzo dello stage alla trasformazione in contratto, dai livelli salariali alle lacune che gli hr manager rilevano nella preparazione dei candidati: la ricerca [qui i principali risultati], pur non essendo basata su un campione rappresentativo, risulta comunque sempre una interessante cartina di tornasole per fare luce su come le aziende si rapportano ai giovani, anche in considerazioni delle novità normative. E l'evento di presentazione è sempre anche una buona occasione di approfondimento, con relatori autorevoli: quest'anno i temi di dibattito principali sono stati come prevedibile il Jobs Act, la riforma della Buona scuola e la Garanzia Giovani.«Anche se ovviamente sono molti e complessi i fattori che determinano la ripartenza dell'occupazione, il contratto a tutele crescenti ha reso meno drammatica la scelta verso l'assunzione»: così ha esordito Maurizio Del Conte, avvocato e docente di Diritto del lavoro  dell'università Bocconi, ricordando peraltro che «c'è una sostenuta richiesta, tuttora, sul contratto a tempo determinato: le aziende sono sufficientemente mature, oggi, per distinguere tra necessità temporanea e prospettiva di stabilità». Insomma «le imprese sono più intelligenti di quanto i commentatori non le facciano»: il riferimento è ai molti giornali che, più o meno schierati contro il JobsAct, hanno predetto che al termine dei tre anni - cioè della fase di incentivi contributivi - le aziende si disferanno dei dipendenti assunti in questi mesi con il contratto a tutele crescenti. «Chi oggi ha investito in questo contratto ha sicuramente tratto vantaggio dalle decontribuzioni e dalla facilità di licenziamento, ma lo ha fatto in una prospettiva di lungo periodo» ha ribadito Del Conte: «Prima il sistema dava una forte disincentivazione a usare contratti a tempo indeterminato, vi era una grande concorrenza da parte dei cocopro e di molte altre tipologie che costavano meno. Oggi invece il clima è cambiato, almeno parzialmente». Togliendosi anche un altro sassolino dalla scarpa, relativo al balletto di cifre che quotidianamente va in scena attraverso i media: «Noi oggi lavoriamo sulle emozioni del giorno, crisi greca, crisi cinese… Bisognerebbe invece avere più attenzione alla media dei diagrammi che non alle loro oscillazioni. Guardare troppo le rilevazioni settimanali o mensili dell'Istat o del ministero del Lavoro non dà un quadro veritiero». Un parere in larga parte condiviso anche da Gianfranco Rossini, esperto di valutazione HR e di settore pubblico: «Il contratto a tutele crescenti chiude la fase dei contratti temporanei, un processo che era già stato parzialmente avviato con la riforma Fornero. Inoltre riduce il costo del lavoro, adesso la decontribuzione è temporanea ma con tutta probabilità si andrà verso una riduzione stabile del costo. E infine dà alle aziende una certezza dei costi. Tre elementi che sono a favore di questo contratto e il legislatore è stato intelligente, ha messo la sostanza della flessibilità dei contratti di lavoro in una forma più stabile». Ma il contratto a tutele crescenti non è l'unico contratto in discussione in questi giorni. «Noi ci ostiniamo a pensare, senza nulla togliere a questa novità, che l'apprendistato sia il contratto più giusto per i giovani per il ruolo della formazione» è la posizione espressa da Chiara Manfredda, responsabile capitale umano di Assolombarda: «Non vogliamo certamente imporlo, ma auspichiamo una ulteriore semplificazione. Abbiamo un progetto del nostro piano strategico che si chiama “apprendistato semplice”, per fare in modo che le aziende lo usino come strumento privilegiato per l'inserimento dei giovani». L'apprendistato e il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti sono insomma «due opportunità» per i giovani, per poter essere assunti con tutti i crismi e poter contare su garanzie solide: «Dal punto di vista del vantaggio del contenimento dei costi, il contratto di apprendistato è stato cannibalizzato dal contratto a tutele crescenti, quantomeno per il 2015». Ma la Manfredda è convinta che vi siano ancora grandi spazi di crescita per l'apprendistato, sopratutto in collaborazione con il mondo universitario: «Stiamo avviando in Lombardia una sperimentazione pilota: inseriremo una ventina di ragazzi in un percorso di alternanza all'interno del corso di laurea triennale in informatica della Statale». Pare infatti che il corso di laurea abbia un problema (che molti giovani potrebbero considerare benedetto!): «Gli iscritti spesso non lo completano, perché vanno a lavorare prima di laurearsi». Il progetto di Assolombarda si propone di cercare di far raggiungere a questi studenti il titolo di studio: «Il primo anno i ragazzi saranno impegnati solo in università, il secondo anno stiamo ragionando con le aziende partner, tra cui Bosch, su un tirocinio curriculare, e nel terzo anno avvieremo un apprendistato di alta formazione». Al termine dei tre anni, dunque, questi 20 studenti inseriti nel pilota avranno non solo la laurea in tasca, ma anche un bagaglio di competenze pratiche molto più ricco: «Consideriamo questo progetto una occasione per rivitalizzare il contratto di alto apprendistato».  Ancor prima dell'apprendistato c'è però la formazione, e ancor prima della formazione c'è l'orientamento: su questa direttrice Roberto Zecchino, HR manager del gruppo Bosch in Italia - azienda virtuosa che dallo scorso anno fa anche parte dell'RdS network - ha raccontato il progetto “Allenarsi per il futuro”: «Siamo partiti dalla problematica della disoccupazione giovanile. Abbiamo fatto 105 visite a scuole, dalle medie alle università, perfino due scuole elementari, incontrando finora 11mila studenti. A loro lo diciamo apertamente: l'avversario da sconfiggere, il 44% di disoccupazione giovanile, è tostissimo». Il fulcro del progetto è entrare in contatto con questi giovanissimi e gettare un seme: «Usiamo i grandi campioni dello sport per avere l'attenzione dei ragazzi e perché attraverso la metafora dello sport si passa il messaggio che non si diventa campioni dalla sera alla mattina, ci vuole concentrazione e spirito di sacrificio. Anche il racconto di saper accettare le sconfitte rappresenta un esempio e una ispirazione. Ai ragazzi dobbiamo dire che bisogna avere dei progetti, e anche le aziende devono fare la propria parte: vanno bene gli stage per i neolaureati ma è già troppo tardi, dobbiamo aiutare i ragazzi già quando hanno 14-15 anni. Ci piacerebbe che molte più aziende partecipassero a queste nostre piccolissime attività, che venissero con noi nelle scuole: il costo, lo assicuriamo, è molto basso». All'interno di Bosch anche la possibilità di fare quelle speciali brevi esperienze on the job pensate per gli studenti delle scuole superiori, la cosiddetta "alternanza scuola-lavoro": «Abbiamo attivato ad oggi 110 stage in alternanza: ospitiamo ragazzi del liceo classico, dell'artistico, dello scientifico.  Anche gli amministratori delegati e i manager si prendono sotto la propria ala questi ragazzi, ospitandoli nel proprio ufficio. A volte questi percorsi durano 2-3 settimane, a volte solo 5 giorni, in un format che abbiamo chiamato “dammi il cinque”. I genitori e gli stessi ragazzi sono entusiasti». Ma secondo Zecchino ci vuole pazienza, non si può pensare di importare dall'oggi al domani in Italia il modello duale alla tedesca, che molti invocano: «Il modello duale è un'altra cosa, ci vuole del tempo per arrivarci: sarebbe come non avete la patente e voler guidare una Ferrari». Una piccola stoccata alla legge sulla Buona Scuola, appena licenziata dal Parlamento? «Per quanto riguarda l'impegno delle aziende sulla collaborazione con il sistema formativo, nella Buona scuola c'è una sfida enorme per il sistema imprese» è la considerazione di Chiara Manfredda: «Sono state rese obbligatorie 400 ore di alternanza scuola-lavoro per gli istituti tecnici professionali e 200 ore per i licei». La rappresentante di Assolombarda considera l'alternanza «una cosa completamente diversa dai tirocini», essenzialmente perché essa implica l'obbligo di «coprogettare dei percorsi che mettano insieme scuole e aziende con la finalità di far apprendere in modi e luoghi diversi: il tema della coprogettazione è importantissimo. Le aziende saranno sollecitate a lavorare con le scuole del territorio». Ma questa «alternanza pesante», secondo la definizione della Manfredda, non sarà realizzabile inviando tutti i ragazzi a fare 2,3 o 6 settimane nelle aziende. Non tutti perlomeno, e non subito: «Nell'ambito delle nostre imprese ospitiamo ogni anno 4mila ragazzi in alternanza, sono numeri importanti», ma assolutamente irrisori di fronte all'esercito di giovani che dal prossimo anno dovrà essere coinvolto in questa alternanza: basti pensare che solo i 16enni oggi in Italia sono 572mila (dati Istat). Comprensibile dunque che la Manfredda metta le mani avanti: «Numericamente e quantitativamente non ce la faremo: stiamo allora sviluppando il discorso della didattica laboratoriale, senza spostare necessariamente i ragazzi del quarto e quinto anno di scuola superiore nelle aziende». E se la Buona Scuola è comunque un passo avanti per riformare la scuola secondaria, non bisogna dimenticare l'università: «Sul 3+2 universitario dobbiamo recuperare il tempo del 3» chiude: «Se nessuno si ferma dopo il 3 vuol dire che qualcosa non va. Vanno fortemente riabilitate le triennali, altrimenti la riforma del 199 non avrà significato nulla».

I ricercatori italiani brillano in tutta Europa con gli Starting grant: e qualche volta riescono anche a tornare in Italia

Intuizioni e metodologie aggiornate sui papiri con testi latini, piante e animali del Mesolitico europeo, storia del plurilinguismo nell'età medievale e filosofia della farmacologia: su questi argomenti si concentrano, e continueranno a misurarsi, quattro eccellenze della ricerca italiana che hanno vinto il bando 2014 della Starting grant finanziata dall'European research council. Tutti e quattro hanno ottenuto il massimo, ovvero circa un milione e mezzo di euro per ciascuno. La Repubblica degli Stagisti ha chiesto a questi ricercatori di raccontare il loro progetto, le aspirazioni e che cosa è cambiato nella loro vita dopo la vincita della prestigiosa e ricca borsa di studio. Il ricercatore che vince può infatti decidere di spostarsi, o di dividere fra due atenei il lavoro da svolgere in cinque anni.Nel bando 2014 lo European Research Council ha valutato 3.273 progetti. 375 sono stati finanziati, e 36 di questi sono italiani. Tra loro la più giovane è la trentenne Maria Chiara Scappaticcio dell'università Federico II di Napoli, dove si è laureata in filologia classica e ha conseguito il dottorato, preferendolo addirittura a quello della Normale di Pisa. E' stata visiting scholar due volte negli Stati Uniti e ha conseguito un post doc in Belgio a Liegi: ha trascorso anche un anno a Parigi e poi è rientrata a Napoli come vincitrice di un'altra borsa. Il 2013-2014 l'ha passato tra la capitale francese e la sua città, dove intanto aveva ottenuto un posto da ricercatrice. Il suo progetto  è partito il primo aprile ed è incentrato sullo studio della lingua e della letteratura latina attraverso i testimoni - cioè i documenti scritti - su papiro. «Napoli è il posto ideale per fare ricerca nel mio campo. C'è una grande tradizione accademica e sono contenta di portarla avanti proprio qui. Ho ottenuto più o meno un milione e mezzo di euro e sono felice che il mio ateneo mi abbia permesso di tenere questo budget interamente a disposizione del mio progetto: ho assunto e sto assumendo altro personale accademico e potrò implementare la mia ricerca in diversi modi. Stiamo creando anche un sito(http://platinum-erc.it) e in autunno terremo una grande conferenza proprio a Napoli, con studiosi provenienti da tutto il mondo».La ricerca si svolgerà principalmente in Italia, ma è di respiro europeo: l'istituzione ospitante del progetto è Napoli, ma Scappaticcio ha stabilito partnership con prestigiosi centri di studi a Parigi, Liegi e Heidenberg in Germania. «E' possibile fare ricerca libera in Italia, nel sud  e ritengo che rimanere nel proprio paese, fargli ottenere prestigio e soldi sia una vera forma di lotta e resistenza intellettuale» racconta orgogliosa: «e se ci si crede veramente è possibile». Ma sul lato economico e contrattuale le soddisfazioni arrivano più lentamente. Per un ricercatore italiano a tempo determinato il salario non supera i 1800 euro. «Dopo aver vinto il bando, il lavoro e le mie responsabilità si sono moltiplicate» racconta la ricercatrice «senza che la normativa italiana presupponga, per la mia posizione attuale, un riconoscimento per la crescita dell'impegno scientifico che dirigere un progetto del genere naturalmente implica».Grazie alla starting grant dello European Research Council è invece arrivato il "rientro del cervello" di Antonio Montefusco, 36 anni, filologo e storico medievale. Da anni al lavoro tra Parigi e Düsseldorf, dove ricopriva il ruolo di «Alexander von Humboldt fellow» alla Heinrich Heine University, ora Montefusco tornerà in Italia e sbarcherà a Venezia, all'università Ca' Foscari, che gli ha offerto una cattedra come professore associato in Filologia medievale e umanistica. La prestigiosa borsa di ricerca europea è stata conquistata dal professore con un progetto sul plurilinguismo nell’Italia dell’età di Dante. La borsa gli permetterà di creare il team di ricercatori necessario a portare avanti il progetto quinquennale. «E pensare che non ero affatto sicuro che sarei riuscito a proseguire con la carriera accademica» racconta alla Repubblica degli Stagisti: «Sono di Tuglie, in provincia di Lecce: ho fatto il liceo scientifico a Maglie, poi mi sono spostato a Roma per  l'università e il dottorato. Nel frattempo ho lavorato anche nel mondo dell'editoria. Sono fuori dall'Italia da quasi 5 anni, oltre alla Francia e alla Germania sono passato anche per Vienna». Il progetto di Montefusco è italiano, ma anch'esso coinvolgerà altri atenei: per metà si svolgerà nella parigina Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, dove il professore era borsista e dove, se non fosse arrivata la chiamata dall'Italia, avrebbe dovuto proseguire il progetto. «Sono davvero orgoglioso di contribuire a portare fondi, risorse umane e prestigio in Italia:Venezia è una sede importante e adatta al mio progetto. Sono tornato anche perchè avrò il tempo indeterminato: diventerò professore associato». Lo stipendio in Italia per questo inquadramento contrattuale si aggira sui 2.500 euro al mese. Non molto distante dunque dal compenso di un ricercatore senior in Germania o in Francia. Ai giovani dottorandi o studenti che aspirano alla carriera accademica Montefusco dà due consigli: «Portate avanti esperienze anche in altri settori professionali e non abbiate paura di andare all'estero, la mobilità non deve necessariamente trasformarsi in fuga: senza drammatizzazioni, fa parte del lavoro accademico e la arricchisce». La dura selezione dell'Erc ha permesso a Ca' Foscari di assumere il professore per chiamata diretta: il ministero dell’Istruzione ha autorizzato la chiamata e inoltre finanzierà il 50% del costo della posizione da professore.Nonostante le intenzioni iniziali, non ha potuto sfruttare invece l'opzione della chiamata diretta per tornare in Italia Barbara Osimani, 45enne marchigiana, assistant professor e vincitrice del prestigioso finanziamento con un progetto di filosofia della  scienza incentrato sulla sicurezza dei farmaci che è nato e che sarà sviluppato alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco. La ricercatrice è approdata in Germania dopo aver cominciato il suo percorso accademico in una università del centro Italia: «Mi sono laureata in Lingue a Macerata; poi ho fatto un master in Canada e il dottorato in Svizzera, e alcune consulenze in aziende private. Ho ottenuto una borsa da ricercatrice post doc all'università Cattolica di Milano con il progetto Gen-etica presso il Centro di Ateneo di Bioetica, poi sono stata a Camerino come research fellow. E ora lavoro in Germania come professore: grazie alla borsa Erc ho potuto assumere tre ricercatori per lavorare al mio progetto, che potrei portare ovunque. Da Camerino, dove ero ricercatrice, a qui, il mio stipendio è più che triplicato e questo centro di studi è davvero il massimo per il mio settore. Ma se mi offrissero il tempo indeterminato... forse tornerei in Italia». La starting grant prevede che una parte dei fondi ottenuti dal ricercatore, il 25%, venga messo a disposizione dell'ateneo ospitante (cosiddetto "overhead"). «Nel caso dei vincitori della starting grant la convenzione tacita è che la totalità o almeno la maggior parte di questa cifra sia messa comunque a disposizione del ricercatore che ha vinto il finanziamento» spiega la Osimani: «Il vantaggio di questo bando, che funziona in maniera davvero meritocratica, è la libertà di scegliere l'argomento di ricerca e la possibilità offerta al ricercatore di mettersi in mostra e proseguire il suo progetto nella migliore delle condizioni. Io per esempio ho progettato focus group che attireranno i  massimi esperti del settore a Monaco da tutto il mondo».Sul sistema accademico italiano, invece, molta amarezza: «Non c'è solo il problema della fuga dei cervelli: nonostante la ricchezza offerta dal patrimonio culturale, l'Italia non è per niente attrattiva per i ricercatori di altri paesi. La Germania per esempio punta molto a sostenere e promuovere le eccellenze universitarie». Lei per esempio racconta di essere stata molto assistita nella seconda fase di selezione del bando proprio dal KoWi, l'ente tedesco di riferimento per i finanziamenti europei della ricerca: «Invece l'Apre, a cui io stessa mi sono rivolta, si è rivelato totalmente inefficiente».«Il mio consiglio per i ragazzi, se ne hanno la possibilità, è quello di tentare già il dottorato all'estero». A dirlo è Emanuela Cristiani, 39enne eccellenza romana del campo dell'archeologia ormai trapiantata a Cambridge. Anche lei ha ottenuto il massimo del finanziamento, in questo caso per un singolare progetto sull'alimentazione: «M'interessa capire se gli uomini vissuti da 40 mila fino a 8mila anni fa utilizzassero piante e radici per nutrirsi. L'istituzione ospitante sarà Cambridge, ma per i prossimi cinque anni ci muoveremo in Italia e nei Balcani alla ricerca di resti su cui lavorare. Me ne sono andata da Roma perchè, volendo proseguire gli studi, non c'era altra scelta» dice con grande sincerità: «Fino al dottorato ho lavorato gratis in un clima di pessimismo e di subalternità. Poi per fortuna ho tentato la Marie Curie: mi si sono aperte tante prospettive e mi è tornato l'ottimismo». Dopo aver vinto la borsa Marie Curie la Cristiani ha fatto un semestre alla Colombia University di New York e poi è tornata a Cambridge: «Come borsita Marie Curie guadagnavo 3.700 pound al mese» [circa 5.150 euro, ndr] «Avendo iniziato il primo luglio, devo ancora percerpire il salario nella mia nuova posizione lavorativa ma certamente sarà altrettanto competitivo e molto più alto di quello di un mio collega italiano nella stessa situazione. Di sicuro aumenterà il carico di lavoro e di responsabilità: anch'io mi sto occupando delle assunzioni del mio team di ricerca, saranno tre ricercatori di formazione archeologica, ma specializzati in settori diversi». Dopo aver vinto il bando dell'Erc, in realtà la Cristiani ha tentato di tornare alla Sapienza - dove si è laureata, ha fatto scuola di specializzazione e dottorato - ma senza successo: «So che il rettore si era mostrato favorevole, ma la cosa non è andata in porto. La chiamata diretta è consentita dalla legge: ma, tranne che a Venezia, è rimasta inattuata». A Cambridge invece, il finanziamento dell'Erc le ha permesso l'assunzione  anche di una figura amministrativa per il suo progetto: «Sgravata dal peso della burocrazia e dall'insegnamento, mi sento davvero libera di dedicarmi alla mia ricerca». Silvia Colangeli

Mercato del lavoro, l'allarme dell'Ocse: l'Italia è ferma

L’Ocse ha appena pubblicato l’edizione 2015 dell’Employment Outlook. Andamento congiunturale del mercato del lavoro, relazione fra domanda e offerta delle competenze, impatto della loro distribuzione delle stesse sulla disuguaglianza: questi i principali focus del rapporto, che permettono fare luce sui problemi strutturali del mercato del lavoro italiano e sulle sue possibili cure. Ad esempio, che la disoccupazione nel nostro Paese sia aumentata sensibilmente dal 2007. Siamo il quarto paese peggiore fra quelli Ocse, in buona compagnia degli altri PIIGS. A differenza di Spagna, Irlanda e Portogallo, il nostro mercato del lavoro è, però, fermo. Cosa che è vera soprattutto per i giovani. La cosa più grave, tuttavia, è che - come fa notare l’Ocse, giustamente - gran parte dei lavori distrutti nella recessione, che come spesso capita è un laboratorio di “igiene economica” brutale, non ritornerà facilmente nei paesi avanzati. I posti di lavoro persi per esempio nella manifattura, checché vi diranno gli esperti del “back to manufacturing”, non riappariranno per magia...→ Continua a leggere l'articolo su Linkiesta