«Tranquillo prof, la richiamo io», il mondo della scuola raccontato al contrario

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 19 Apr 2016 in Notizie

formazione La buona scuola

Due motivi: quello politico di raccontare il mondo della scuola in cui i ragazzi «sono responsabili e gli insegnanti totalmente incompetenti», e quello letterario «di scrivere un romanzo comico che rovesciasse i canoni della letteratura realistica». Da qui è partito Christian Raimo, 40enne scrittore, traduttore, insegnante, per scrivere Tranquillo prof, la richiamo io, pubblicato qualche mese fa da Einaudi.

Raimo in questi mesi ha anche curato per Minimum fax
il libro intervista di Luigi Manconi, Corpo e anima - Se vi viene voglia di fare politica, che presenterà oggi pomeriggio a Roma alla libreria Ibs-Libraccio. Intanto racconta alla Repubblica degli Stagisti i motivi che l’hanno spinto a raccontare in modo comico grottesco la scuola di oggi e il rapporto docente-studente. 

«Sono un lettore della tradizione italiana della narrativa comica che va da Boccaccio a Guareschi, da Giovanni Mosca fino ai contemporanei Paolo Novi o Tiziano Scarpa. Mi interessava da sempre lavorare anche sulla letteratura di tipo scolastico, in cui i protagonisti sono i professori. Penso a Cuore, alle Le parrocchie di Regalpetra di Sciascia, fino al Maestro di Vigevano di Mastronardi. In tutta questa letteratura classica italiana» spiega Raimo «ho trovato che ci fosse sempre un elemento distintivo comune: un professore idealista e in cattive condizioni economiche e dall’altra parte degli studenti sgarrupati ma pieni di buone intenzioni. Mi interessava ribaltare questo modello e raccontare un professore totalmente inadeguato e degli studenti responsabili e capaci».

Così nasce l’idea di scrivere «il mondo della scuola al contrario», e prende forma questo romanzo che sperimenta anche una nuova forma di scrittura, dove i «dialoghi sono in realtà monologhi» e dove tutte le forme di comunicazione, «telefonate, mail, messaggi, tutta la grandissima possibilità che abbiamo per esprimerci porta a ridursi a forme di monologo ossessivo nel quale si diventa stalkizzati da qualcuno».

Perché Radar, questo il soprannome che il professore vuole i suoi studenti usino per chiamarlo, è un docente ossessionato dai suoi alunni. Un personaggio “esagerato” in cui sono state sintetizzate tutte le paranoie, i lati grotteschi, le frustrazioni che alcuni docenti hanno e che qui sono state esagerate per rovesciare la figura classica dell’insegnante solitamente raccontato nei libri.

Qui, invece, il prof è «una figura incapace, imbranata, che non sa relazionarsi con gli altri e non sa fare l’educatore, anche se pensa di saperlo fare nel migliore dei modi possibili».

Il libro
però non vuole essere una critica alla classe docente. «Scrivo di scuola spesso dal punto di vista saggistico e giornalistico e questa volta mi interessava fare un’azione di rovesciamento» spiega l’autore alla Repubblica degli Stagisti: «E poi volevo raccontare le contraddizioni del dibattito pedagogico. Oggi siamo pieni di retoriche e innovazione 2.0. C’è gente che non capisce nulla di questa roba e spreca milioni di euro nella fuffa del digitale. Per non parlare della retorica delle competenze: è come quella dell’empatia, del rapporto diretto, emotivo con gli studenti. A me interessava mettere in burla un po’ di queste retoriche. E cucirle addosso a delle figure di insegnanti».

Così nasce la figura di Radar, che non è ispirata a qualcuno in particolare ma condensa le «caratteristiche un po’ macchiettistiche della classe docente». Radar è «un cattivo insegnante, nonostante abbia masticato tutte queste forme retoriche: l’empatia, il patto formativo, il rapporto orizzontale. Sa parlare di tutto ma compie quello che a mio avviso è il delitto maggiore» riassume Raimo: «eliminare la centralità della materia. Il rapporto tra studente e docente funziona, infatti, se al centro c’è la materia, altrimenti è un rapporto promiscuo, ibrido. Il professore non è un amico, padre, assistente, psicologo. Ha un ruolo diverso, forse più difficile che è quello di creare un vero rapporto profondissimo attraverso la disciplina della materia».

L'autore ribadisce di non aver voluto scrivere un libro di critica agli insegnanti: «Credo che oggi la classe docente stia facendo un lavoro di supplenza enorme alle carenze politiche strutturali». Eppure, oggi, sono proprio gli insegnanti ad essere spesso criticati dall’opinione pubblica. «Forse accade non perché si vuole valutare il ruolo dei docenti quanto quello dell’educazione. La scuola, oggi, è rimasta l’ultima grande palestra di uguaglianza nella società contemporanea. Le altre, penso alla famiglia, ai partiti, ai sindacati, si sono indebolite duramente. La scuola, invece, resiste, molto più dell’università. In una classe tu sei uguale al tuo compagno di banco anche se tu sei ricco e lui no, tu cattolico e lui no, tu bianco e lui no. Questo è la base della scuola. E mettere in discussione il ruolo degli insegnanti e l’educazione significa prima di tutto mettere in discussione questo principio di uguaglianza. Si cerca di costruire una società di disuguali esaltando il fatto che si può fare a meno della scuola».

Una buona riforma della scuola dovrebbe contenere secondo Raimo la formazione obbligatoria di qualità. «Bisognerebbe cercare di fare una riforma che non lavori sull’aspetto organizzativo, come è stato fatto male nella Buona scuola. Ma che lavori sull’aggiornamento professionale anche da un punto di vista disciplinare. Se insegno filosofia devo essere aggiornato anche sul dibattito filosofico contemporaneo. Stessa cosa per matematica o scienze. E poi bisognerebbe portare l’innovazione del dibattito pedagogico all’interno della scuola. Perché la maggior parte degli insegnanti demotivati sono persone che non hanno una formazione adeguata dal punto di vista pedagogico. E questo è impensabile nel 2016».

Magari grazie a una formazione obbligatoria di qualità si riuscirebbe a far diventare migliori gli insegnanti non bravi. Anche se su un punto Raimo è categorico: «Non voglio una scuola di insegnanti eccellenti, ma di insegnanti medio buoni. Perché tutti i ragazzi hanno il diritto ad averli. Con una formazione obbligatoria di qualità potrei portare gli attuali “insegnanti cattivi” a livelli sufficienti e selezionare meglio i prossimi». Ma la formazione obbligatoria dovrebbe essere tutt’altra cosa dei corsi che oggi vengono propinati. «Ho fatto due anni di scuola di specializzazione obbligatoria: ho imparato pochissimo e c’era un’informazione pessima. Perché è ovvio: costa formare i formatori. Però dipende tutto da quello che si vuole. Se la gente vuole che gli insegnanti si arrangino, va bene. Il problema è che questi docenti insegneranno a tuo figlio, che avrà dei professori non validi».

Mentre un buon insegnante, al contrario del protagonista del libro, Radar, non deve cercare di essere un amico. Ma deve mettere in pratica delle modalità di insegnamento che valorizzino le forme di educazione tra pari. «Che poi è quello che chiedevano gli studenti 10-15 anni fa. Perché oggi molte delle competenze non si imparano dai docenti: scrivere una mail, fare un curriculum, migliorare l’inglese o usare powerpoint. Si imparano da amici. E in questo senso anche in classe è possibile capitalizzare queste capacità di ri-education, quindi di educazione tra pari e dei rapporti tra novizio ed esperto». Perché oggi, è il messaggio finale di Raimo, l’insegnante non è più solo quello che sta sopra la cattedra e dall’alto dice cosa è giusto o sbagliato. Ma è chi ti sta accanto e ti aiuta a interpretare il mondo che è intorno.

Marianna Lepore

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