Diritti degli stagisti diversi da Paese a Paese, il compenso è nodo della discordia: l’analisi europea

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 15 Feb 2024 in Notizie

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Sono passati dieci anni – correva l’anno 2014 – dalla pubblicazione della raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea per tirocini di qualità negli Stati membri. Un ulteriore elemento per approfondire il tema arriva ora da un report della Corte dei Conti europea presentato pochi giorni fa: “Azioni dell’Ue a sostegno dei tirocini destinati ai giovani”.

Il documento, in realtà, non introduce nuovi elementi e non anticipa le azioni prossime venture del Consiglio: è semplicemente un’analisi basata in parte su informazioni di dominio pubblico e in parte su materiale raccolto appositamente o durante precedenti lavori di audit. In pratica una fotografia dello stato dell’arte.

L’obiettivo principale è quello di «fornire ai portatori d’interesse e al grande pubblico una fonte di informazioni obiettiva e utile in vista dell’aggiornamento del quadro strategico dell’Ue relativo ai tirocini, al momento in corso», riassume Eva Lindström della Corte dei Conti Europea, responsabile dell’analisi. C’è un messaggio principale che arriva dalla relazione: «Ormai da dieci anni abbiamo una norma priva di efficacia vincolante e possiamo vedere che la maggior parte degli Stati membri non l’ha attuata pienamente», si rammarica Lindström. Il momento è «tempestivo», in quanto il dibattito pubblico sui tirocini “equi” è più che mai attuale: anche per questo Lindström si augura che la relazione venga «presa in considerazione dagli stakeholder».

A parte la constatazione che se già gli stati in questi dieci anni avessero attuato la raccomandazione del 2014 pienamente la situazione sarebbe migliore, i punti chiave del documento sono tre: una definizione di tirocinio – che al momento differisce tra i vari Stati membri – e poi una maggiore disponibilità di dati attendibili e un accesso più equo alle opportunità, che non lasci fuori i giovani che arrivano da contesti sociali differenti.

«I tirocini sono diventati molto importanti per accedere al mercato del lavoro. Se funzionano bene creano una situazione vantaggiosa per i tirocinanti e per i datori di lavoro. Certo c’è il rischio che alcuni sfruttino gli stagisti per sostituirli ai dipendenti e ci sono forti preoccupazioni anche sulla qualità degli stage offerti» spiega Lindström alla Repubblica degli Stagisti.

La Corte dei Conti europea ha utilizzato due fonti principali, i sondaggi Eurobarometro del 2013 e del 2023, confrontandoli, e ha condotto una propria indagine presso le autorità di gestione all’interno dei singoli Stati membri. «I dati sui tirocini non si riflettono bene nelle statistiche ufficiali e oggi non esiste una loro raccolta sistematica. Per esempio, non ci sono informazioni precise sugli importi o sul numero esatto di formatori che beneficiano dei fondi europei» premette Lindström.

Sulla base dei dati a disposizione, la Corte dei Conti europea stima che ogni anno ci siano circa 3,7 milioni di giovani europei che intraprendono un tirocinio come prima esperienza nel mondo del lavoro, al di fuori del percorso di studi (ovvero quelli che in Italia chiamiamo extracurriculari), a cui si aggiungono i tirocini nel sistema educativo – i curriculari. «Se dovessimo stimare il numero totale di tirocini nell’intera Unione europea, penso che arriveremmo a circa 13 milioni all’anno, compresi anche i formativi». Almeno 700mila avvengono in Italia, «veramente tanti» osserva Lindström. Che allontana però l’idea secondo la quale ridurre il numero degli stage potrebbe aumentarne la qualità: «Non vedo perché: non c’è una quantità definita per cui più tirocini hai, meno qualità ottieni. È una responsabilità dei datori di lavoro, certamente, ma anche del legislatore».

Tornando al documento, Lindström si sofferma sul raffronto tra il rapporto Eurobarometro 2023 e quello del 2013: nel più recente si nota come «lo svolgimento di tirocini di qualsiasi tipo è diventato molto più frequente. Quindi aumentano i numeri, ma non esiste una definizione chiara di cosa sia uno stage, con 16 membri su 27 che non hanno una definizione giuridica del tirocinio».

La raccomandazione del 2014 (che peraltro non era vincolante, cioè non prevedeva per gli Stati membri l’obbligo di recepirla ed emettere normative corrispondenti ai principi che vi erano espressi – insomma, era sostanzialmente solo parole) non chiariva, poi, se e a quali condizioni i tirocinanti potessero o dovessero essere considerati lavoratori. Una questione invece «importante da affrontare: c’è competenza dell’Unione europea nella politica sociale rispetto alle condizioni di lavoro dei lavoratori, quindi se i tirocinanti fossero considerati tali, sarebbero protetti dalla legislazione europea».

In pratica, osserva Lindström, sul tema tirocini c’è confusione, addirittura per alcuni Paesi non è contemplata una definizione giuridica del tirocinante. Le raccomandazioni del Consiglio dell’Ue stabiliscono poi una sorta di requisito minimo per tirocini “di buona qualità”, ma solo una minoranza di Stati membri ha allineato il proprio quadro giuridico alle raccomandazioni. E questo «potrebbe comportare il rischio di sfruttamento dei giovani».

E poi c’è una questione chiave, da sempre sostenuta dalla Repubblica degli Stagisti: la sostenibilità economica dello stage. «La questione del compenso è il punto di disaccordo tra le parti interessate quando si parla di tirocini di qualità. Da una parte i sindacati e le organizzazioni giovanili si sono battuti per vietare gli stage gratis» riassume Lindström: «Dall’altra le aziende affermano che il tirocinio è un’esperienza di apprendimento e come tale non è lavoro. Non solo, hanno anche sostenuto che se si dovesse avere l’obbligo di retribuire i tirocinanti, le aziende avrebbero più costi e anche un maggiore onere amministrativo».

Svolgere un periodo di stage gratuitamente, però, comporta disparità di opportunità, perché non tutte le famiglie possono sobbarcarsi le spese connesse al mantenimento di un figlio stagista per settimane o addirittura mesi. Il rapporto non ignora questo tema, evidenziando anzi il problema dell’assenza di rimborso spese e il grande disaccordo che c’è sulla tematica, ma non offre indicazioni su cosa fare.

Lindström, però, non si sottrae alla domanda se la remunerazione oggi sia un fattore di qualità: «Penso di sì. Ricordiamo però che si tratta sempre di un mercato del lavoro, quindi nessuno è obbligato a fare un tirocinio. Oggi è diventato normale farlo, e questo potrebbe portare alcuni giovani a pensare che sia più o meno necessario avere un certo numero di stage nel curriculum per poter entrare nel mercato del lavoro. Mettendo alcuni di loro in una situazione molto difficile, con la sensazione di essere costretti a fare non solo uno, ma forse due o tre, magari senza rimborso spese, per potere fare poi domanda per un lavoro. Non tutti, però, hanno la disponibilità economica per farli gratuitamente».

La responsabile dell’analisi della Corte dei conti europea evidenzia anche che in ben dieci Stati europei non vi è alcun obbligo legale di pagare gli stagisti neppure nel caso dei tirocini nel “mercato libero” (ovvero quelli extracurriculari, non legati all’acquisizione di qualifiche professionali). La raccomandazione del 2014 del Consiglio dell’Unione europea non viene applicata in modo uniforme dai vari Paesi e questo anche perché è una soft law, ovvero una norma priva di efficacia vincolante diretta. «Sono dieci anni che usiamo questa soft law e ancora non è stata implementata da tutti!», sottolinea Lindström, convinta che nella prossima revisione i legislatori dovrebbero partire innanzitutto dalla definizione di tirocinio.

In realtà, anche se i politici europei ora dovessero decidere di produrre una nuova raccomandazione, non ci sarebbe comunque di nuovo alcun obbligo per gli Stati membri di applicarla. «La questione su cui si sta concentrando ora il legislatore è se sia sufficiente produrre una nuova soft law o se si dovrebbero compiere ulteriori passi verso una sorta di testo più vincolante». Produrre una nuova raccomandazione, infatti, significherebbe ancora lasciare su base volontaria dei singoli Paesi la scelta di applicarla. Perché l’istruzione, aggiunge un senior auditor della Corte, «è di competenza degli Stati. Il ruolo dell’Unione è quello di sostenere e integrare, non può fare molto altro».

Il testo sui tirocini pubblicato pochi giorni fa dalla Corte serve quindi per esaminare le informazioni sul tema di dibattito e fornire un’analisi che dia sufficienti notizie a politici e parti interessate sullo stato attuale della situazione.

Per capire l’applicazione della precedente raccomandazione del Consiglio, del 2014, bisogna approfondire i dati della relazione. Nelle legislazioni nazionali c’è, di solito, un buon grado di attuazione dei tirocini collegati alle politiche attive del mercato del lavoro (Paml) e un grado minore per quelli del libero mercato, totalmente vietati in Francia.

Gli unici Paesi in cui i principi di qualità del 2014 nei tirocini Paml sono attuati pienamente sono l’Austria e il Belgio. Quelli in cui sono attuati parzialmente sono, invece, Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Lettonia, Estonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Croazia, Slovenia, Grecia e Malta. Negli altri i principi di qualità del 2014 sono stati in gran parte applicati. Diversa la situazione per i tirocini nel libero mercato, ovvero secondo l'analisi della Corte quella parte di stage extracurriculari che non sono collegati a politiche attive nel lavoro ma guidati da un accordo tra tirocinante e datore di lavoro, poco comuni in Italia, Slovacchia, Estonia, Finlandia e Svezia; vietati in Francia e Lettonia; attuati parzialmente in Irlanda, Paesi Bassi, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Austria, Ungheria, Croazia e Grecia; e attuati in gran parte solo in Spagna, Belgio, Slovenia, Romania, Bulgaria e Lituania.

A rendere difficoltosa la comprensione di questi dati è la modalità di categorizzazione dei tirocini, molto diversa da quella usata in Italia – dove i tirocini extracurricolari sono, appunto, 320mila all'anno, quindi non pochi. In sostanza la Corte dei Conti europea distingue innanzitutto due macrocategorie, stage formativi e  stage “nel mercato del lavoro”, che sono quello che noi chiamiamo curricolari ed extracurricolari. Ma poi ciascuna di queste macrocategorie è a sua volta scomposta in altre due aree. I curricolari vengono suddivisi in un primo segmento, quello dei tirocini “collegati a programmi di istruzione”, e in un secondo segmento di tirocini “professionali obbligatori”. Gli extracurricolari invece possono essere “legati alle politiche attive per il mercato del lavoro” oppure quelli “nel libero mercato”. Questi ultimi sono i meno regolamentati, non legati a qualifiche riconosciute, e in pratica dipendono da un singolo accordo tra il datore di lavoro e il tirocinante, e sono infatti indicati come "poco comuni" in Italia.

Adesso sta ai legislatori farsi carico delle decisioni politiche per cambiare il quadro di qualità dei tirocini e introdurre i giusti elementi per vederne l’applicazione omogenea sul territorio. Qualcosa si muove: la scorsa settimana c’è stato un nuovo dibattito in Parlamento europeo con la Commissione europea in cui sono state rimarcate le richieste arrivate lo scorso anno dal Parlamento per norme chiare su durata e compenso dei tirocini oltre all’accesso alla protezione sociale. Tutto tace però sul fronte del nuovo testo del Consiglio, di cui al momento non circola nemmeno una bozza. 

Marianna Lepore

Foto in alto a destra: ECA copyright
Foto di apertura: da Freepik in licenza gratuita

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