Si chiama Italia 2020 il «Piano di azione per l’occupabilitá dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro» presentato qualche settimana fa da Mariastella Gelmini e Maurizio Sacconi [nelle foto], che da un anno e mezzo guidano rispettivamente il ministero dell'Istruzione e quello del Lavoro, salute e politiche sociali.
Il documento parte con una promessa impegnativa: «I nostri giovani prima di tutti. È questo il nostro impegno per l’Italia del futuro». I due ministri non negano che la situazione sia difficile: «Condividiamo il giudizio e la preoccupazione di molti. I giovani italiani sono oggi penalizzati da una società bloccata. Piegata su se stessa. Incapace di valorizzare tutto il proprio capitale umano, di riconoscere il merito e premiare i molti talenti. Ciò che invece non condividiamo è la retorica deresponsabilizzante del precariato, quale inesorabile destino per le nuove generazioni».
Le nuove forme di lavoro flessibile vengono indicate come il naturale risultato della «necessaria modernizzazione delle regole di funzionamento di un mondo del lavoro che cambia con una rapidità senza precedenti». Sacconi e Gelmini sono convinti che la soluzione non stia, come indicano molti politici e specialisti di diritto del lavoro (per esempio il senatore Pietro Ichino, qui il suo progetto di legge) in una riforma del mercato del lavoro: «Non è a colpi di leggi e decreti che si contrasta il precariato e si combatte il profondo senso di disagio e insicurezza che affligge i nostri ragazzi. Dobbiamo spiegare ai giovani e alle loro famiglie che i processi di vero cambiamento non possono mai prescindere dall’impegno e dalla responsabilità personali. Che le riforme utili – quelle fatte e ancor di più quelle ancora da fare – non sostituiscono, ma semmai stimolano i buoni comportamenti delle persone e delle istituzioni».
Il piano dei due ministri si articola su sei punti: facilitare la transizione dalla scuola al lavoro; rilanciare l’istruzione tecnico-professionale; rilanciare il contratto di apprendistato; ripensare l’utilizzo dei tirocini formativi, promuovere le esperienze di lavoro nel corso degli studi, educare alla sicurezza sul lavoro, costruire sin dalla scuola e dalla università la tutela pensionistica; ripensare il ruolo della formazione universitaria; e infine aprire i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro.
Il problema principale è che i giovani arrivano al lavoro tardi e per vie tortuose: «Rispetto ai coetanei di altri Paesi i nostri giovani incontrano il lavoro in età troppo avanzata e, per di più, con conoscenze poco spendibili anche per l’assenza di un vero contatto con il mondo del lavoro in ragione del noto pregiudizio che vuole che chi studia non lavori e che chi lavora non studi. Quasi del tutto assenti, nonostante gli sforzi compiuti in questi anni, sono moderni servizi di collocamento e orientamento al lavoro che possano agevolare una più celere transizione verso il mercato del lavoro consentendo altresì, alle istituzioni scolastiche e alle università, la continua riprogettazione e l’adattamento della offerta formativa e un costante contatto con il territorio in cui operano». Sacconi e Gelmini si ripromettono, nel documento, di agire per modificare questo stato di cose: «Non occorre inventarci nulla di nuovo. Dobbiamo semmai portare a definitivo completamento, pezzo dopo pezzo, i processi di riforma già avviati anche nel nostro Paese nel decennio passato. Ci riferiamo, in particolare, alla leggi Biagi e ai diversi interventi di riforma in atto della Scuola e della Università, ancora oggi largamente inesplorate nelle loro enormi potenzialità e accolte con spirito conservatore, se non ideologico, a causa di una concezione vecchia, ma assai radicata, dei modelli educativi di istruzione e di formazione. Una concezione lontana dalla realtà. Che porta ancora a vedere nella scuola e nel lavoro due mondi alternativi e inesorabilmente separati. Con la conseguenza di perpetuare artificiosamente una sequenza di sviluppo della persona che vuole dissociate le fasi dell’apprendimento e dello studio da quelle del lavoro e della partecipazione alla vita attiva».
E per unire queste due fasi i ministri vogliono puntare sopratutto su due azioni: rilanciare il contratto di apprendistato e anticipare il più possibile le esperienze di stage. «Il collegamento stabile tra la scuola e il mondo del lavoro, anche attraverso tirocini ed esperienze di lavoro, assume un ruolo decisivo per promuovere e sostenere lo sviluppo e la diffusione della cultura della prevenzione negli ambienti di vita, studio e lavoro» scrivono, responsabilizzando poco più avanti le università e mettendole in guardia dal promuovere stage troppo brevi [esistono tirocini curriculari da sole 150-250 ore, equivalenti a 3-4 settimane di stage, ndr] e ribadendo il loro dovere di «vigilare sul buon andamento dei progetti formativi avviati dagli studenti all’interno delle aziende».
In diciassette pagine Mariastella Gelmini e Maurizio Sacconi riassumono insomma la loro ricetta per migliorare le condizioni lavorative dei giovani italiani nei prossimi dieci anni, ripartendo dalla scuola e dalla formazione sul campo. Ora però si aspetta il prossimo passo: le "disposizioni di attuazione", per così dire, di questo manifesto. Cioè le azioni concrete che i due ministri metteranno in atto per raggiungere gli obiettivi che si sono prefissati.
Eleonora Voltolina
Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
- Luci e ombre del contratto di apprendistato - una buona occasione, ma preclusa (o quasi) ai laureati
- Apprendistato questo sconosciuto – Tiraboschi: «No allo stage come "contratto di inserimento": per quello ci sono oggi altri strumenti»
- Rapporto Excelsior 2009: sempre più stagisti nelle imprese italiane, sempre meno assunzioni dopo lo stage
Community