Categoria: Approfondimenti

Timbuktu: è italiano il magazine per bambini più scaricato dall'Apple Store

Ancora doveva nascere e già riceveva un premio. Lo scorso 23 febbraio, sul palco dell'Italian innovation day ospitato dall'università di Berkeley, in California, sono salite Elena Favilli  e Francesca Cavallo [a sinistra nella foto], rispettivamente amministratore delegato e direttore creativo di Timbuktu Labs, la start-up che hanno poi fondato, sull'onda di questo successo, nel maggio del 2012 e che realizza una rivista per bambini pensata per essere visualizzata sui tablet iPad. «La tesi di Elena, che si è laureata in Semiotica all'università di Bologna, era dedicata al tema nei nuovi media e giornalismo e si occupava della realizzazione di un magazine innovativo per iPad», racconta alla Repubblica degli Stagisti Francesca Cavallo, «io sono sempre stata appassionata di pedagogia (nonostante una laurea in Scienze della comunicazione alla Statale di Milano, ndr); dal nostro incontro il progetto ha preso la strada di un magazine per connettere grandi e piccini». Perché Timbuktu è esattamente questo: non si tratta semplicemente di un giornale per bambini che, adeguatosi ai tempi, non si trova in edicola ma si scarica gratuitamente dall'Apple store. Questa rivista, pubblicata esclusivamente in inglese, prende spunto dall'attualità per raccontarla ai bambini, combinando elementi puramente ludici ad altri di natura educativa, nella convinzione che i bambini imparino divertendosi. Non solo: a differenza dei tradizionali videogiochi, questo strumento è pensato per essere visualizzato insieme da genitori e figli. Tanto che lo slogan che accompagna le presentazioni del progetto è «Timbuktu makes family the coolest place to be». Ovvero, grazie a questo magazine, la famiglia è il posto più bello che c'è.A questo progetto le due fondatrici sono arrivate da percorsi molto diversi. Elena, 30 anni, dopo la laurea ha svolto alcuni stage nella sede di San Francisco di McSweeney's, in quella di New York della Rai e alla redazione fiorentina di Repubblica, quindi ha lavorato come giornalista a Colors Magazine e Il Post. La formazione di Francesca, invece, è legata al mondo del teatro. Oltre a due tirocini come assistente alla regia di Paolo Rossi e dei tedeschi Familie Floez, nonostante abbia appena 29 anni ha lavorato come regista, ha fondato la compagnia Kilodrammi e ha dato vita al festival internazionale Sferracavalli. Il loro incontro è avvenuto proprio a Bologna, nell'ambito della premiazione di Working capital, un premio indetto da Telecom Italia per le tesi di laurea al quale hanno partecipato entrambe. E che ha visto Elena vincere 25mila euro, soldi utilizzati per avviare il magazine.Il primo numero, dal titolo «The ice issue», è nato di notte e durante i fine settimana, come un progetto alternativo al lavoro di entrambe. Da subito, però, Elena e Francesca hanno coinvolto due amici: Samuele Motta, oggi direttore artistico, e Diego Trinciarelli, che si occupa dello sviluppo web. La versione beta, la prima ad essere pubblicata nella primavera dello scorso anno, è stata scaricata 20mila volte in tre mesi. Un risultato che ha convinto le due giovani che ci fossero i margini per fare il salto di qualità. Ma in particolare è l'incontro con Joe Petillon, partner del fondo d’investimento americano Banner Ventures, avvenuto nel giugno del 2011 alla Startup Initiative di Intesa San Paolo, a cambiare il destino di Timbuktu.Petillon si è appassionato al progetto e ha fatto da mentore alle ideatrici di questo magazine. Ed è grazie a lui se, a novembre, Elena e Francesca hanno partecipato a Mind the Bridge, iniziativa che vuole creare un ponte tra le start-up italiane e quelle della Silicon Valley, e hanno vinto la possibilità di trascorrere tre mesi in California. Ecco allora il volo per San Francisco e un periodo molto intenso: di giorno il lavoro a Timbuktu, di sera le feste che animano la baia. Alle quali le due imprenditrici non partecipavano per diletto, ma per fare networking. Ovvero per conoscere potenziali investitori interessati al loro progetto. Ed è proprio grazie a questa intensa attività di pubbliche relazioni che sono state selezionate per l'Italian Innovation Day. Nel frattempo, hanno lanciato il secondo numero del magazine intitolato «The night issue», che ha ottenuto 8mila download nella prima settimana. E poi c'è stata la premiazione, a febbraio di quest'anno, nell'ambito dell'IID. Ma è un'altra la notizia che ha fatto partire, effettivamente, il progetto: l'ingresso in 500Startups, forse il più importante incubatore di impresa americano, che accoglie Timbuktu a partire dal maggio di quest'anno, data che coincide con la nascita ufficiale dell'azienda.Elena e Francesca hanno fondato la loro società a Mountain View, la cittadina della contea di Santa Clara dove è nato Google e dove ora risiedono. Nonostante la sede si trovi in California, però, le due giovani hanno scelto una forma societaria tipica della costa orientale degli Usa: la loro, infatti, è una Delaware corporation. Vengono chiamate così quelle aziende che scelgono questo stato dell'East Coast per insediare la propria sede legale. Ad attirare le aziende nel 'first state'  sono una legislazione molto snella, un tribunale che si occupa esclusivamente delle controversie legate al mondo del lavoro, ma soprattutto il fatto che lo Stato non applichi alcun tipo di tassa sugli utili. «Noi abbiamo scelto di dar vita alla nostra azienda con questa forma giuridica perché facilita la raccolta di capitale negli Stati Uniti ed è relativamente agile da costruire», spiega Francesca. Per quanto una delle principali difficoltà, all'inizio, sia stata rappresentata dagli aspetti legali: «sono abbastanza stressanti. Nonostante negli Usa pare che sia più semplice che in Italia, ci sono comunque montagne di documenti da guardare, capire, firmare».Grazie ai 25mila euro messi a disposizione da Telecom Italia, Timbuktu ha potuto finanziare le prime spese legate all'acquisto della strumentazione tecnologica e al pagamento degli artisti che hanno realizzato l'impianto grafico, per un totale di 20mila euro. Mentre dei contenuti degli articoli si sono occupate direttamente Elena e Francesca. Nato senza alcun tipo di ricerca di mercato e senza contributi pubblici di alcuna natura, nel maggio del 2012 Timbuktu è entrato in 500Startups, che ha messo a disposizione un investimento di 65mila dollari, una sede fisica ed un mentore che segue lo sviluppo dell'attività, chiedendo in cambio il 6,5% delle quote societarie. Oggi l'azienda è in una fase pre-revenue, il che significa che ancora non sta fatturando. «Stiamo investendo nello sviluppo dell'azienda e riusciamo a coprire le spese», spiega Francesca. Tanto che sono già alla ricerca di due stagisti nelle università vicine alla Silicon Valley, per un progetto formativo di 3 mesi che prevede un rimborso spese di 10 dollari l'ora. Mentre, almeno per il momento, non sono previsti stipendi né per le due fondatrici, né per il direttore artistico, né per il responsabile Web. Una situazione che Elena e Francesca si augurano di poter cambiare presto. Magari già a metà luglio, quando 500Startups ha in programma un demo day, ovvero una giornata di presentazione a potenziali investitori delle diverse realtà incubate. Un momento cruciale per il futuro di quest'azienda, che ha bisogno di recuperare fondi per 500mila euro per raggiungere il pareggio di bilancio, risultato che si punta ad ottenere nel giro di un anno e mezzo. All'evento di quest'estate le due giovani imprenditrici si presenteranno forti dei risultati della loro rivista che, per quanto ancora non abbia una periodicità ed abbia pubblicato solo due numeri, a marzo è arrivata nella Top5 dell'AppStore statunitense.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- ApparatiEffimeri, la pubblicità giovane si proietta sugli edifici- Dalla pianta di jatropha il seme di una start-up, anzi due- Non più i bambini: oggi Le Cicogne portano le babysitter- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partire

Riforma del lavoro approvata: e adesso che succede?

La riforma del lavoro è stata approvata in via definitiva dalla Camera lo scorso 27 giugno. Il testo è stato firmato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed è stato pubblicato ieri sulla Gazzetta ufficiale. La riforma sarà efficace a partire dal 18 luglio, in seguito al normale periodo di vacatio legis pari a 15 giorni. L’iter normativo, quindi, può dirsi concluso. Non tutte le novità però entreranno in vigore contemporaneamente.Avranno effetto immediato tutte le norme in materia di licenziamenti, che modificano i casi in cui il giudice può disporre la reintegra o il risarcimento del lavoratore. La modifica dei termini per l’impugnazione del licenziamento, e il nuovo rito abbreviato per le cause in materia, verranno applicati a tutte le nuove controversie sorte a partire dal momento stesso dell’entrata in vigore della legge. Anche le norme sulle partite Iva e sui contratti a progetto si applicano per i nuovi rapporti instaurati subito dopo la vacatio legis; per le partite Iva in corso, invece, le norme saranno valide dopo un periodo di 12 mesi.A partire dal 2013 scatteranno invece i nuovi ammortizzatori sociali (Aspi, mini-Aspi e indennità una tantum per i cococo e cocopro). L’Assicurazione sociale, in particolare, sostituirà gradualmente l’indennità di mobilità per entrare a pieno regime entro il 2016. A partire dal primo gennaio 2013, senza alcun effetto sui contratti in essere, verrà abrogato il contratto di inserimento e verranno applicati i nuovi limiti all’assunzione di apprendisti e il divieto di utilizzo con somministrazione. Sempre in tema di apprendisti, per i primi 36 mesi dall’entrata in vigore della legge i nuovi inserimenti saranno subordinati alla prosecuzione del rapporto di lavoro per almeno il 30% degli apprendisti esistenti; dopo tre anni, il tetto minimo salirà al 50%. A partire dal 2013 entreranno in vigore anche i nuovi termini per impugnare i contratti a tempo determinato in sede giudiziale (da 270 a 180 giorni) e stragiudiziale (da 60 a 120 giorni).  Parziale retromarcia invece su quello che i giornali avevano definito il «salario di base per i contratti a progetto»: non sarà più il ministero del Lavoro a stabilire una cifra minima valida per tutti i settori, come prevedeva la prima versione dell'emendamento Castro-Treu. Nel testo approvato dal Senato si fa invece riferimento a un compenso «non inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività [...] sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro»; in assenza di contrattazione collettiva viene specificato che «il compenso non può essere inferiore [...] alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto». Questo cambiamento, sebbene renda l'articolo immediatamente operativo per tutti i nuovi contratti (mentre la precedente versione prevedeva che la cifra fosse stabilita dal ministero tramite decreto ministeriale «emanato entro dodici mesi dalla citata data di entrata in vigore della presente legge»), rischia però di impantanare l'applicazione del principio: moltissimi contratti a progetto infatti vengono attivati in settori e per mansioni prive di contrattazione collettiva specifica, e sarà quindi probabilmente molto difficile stabilire un compenso adeguato.  Resta invece su altri punti la necessità di attendere decreti attuativi che chiariscano gli aspetti rimasti in sospeso nella riforma. Il più importante riguarda proprio il mondo degli stage: entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano dovrà raggiungere un accordo per definire le linee-guida in materia di tirocini. L’obiettivo fissato dalla riforma consiste nel contrastare l’uso distorto di questa tipologia di contratti, individuarne gli elementi essenziali, e riconoscere la “congrua indennità” per i tirocinanti.Spetta invece al ministero del Lavoro, di concerto con quello dell’Economia, il compito di emanare, entro 180 giorni, un decreto per regolare le modalità e i limiti entro i quali sarà possibile liquidare l’Aspi in un’unica soluzione a chi voglia mettersi in proprio.Gli stessi ministeri del Lavoro e dell’Economia dovranno adottare, nel giro di un mese, i decreti attuativi che fissano i criteri di accesso e l’importo economico dei voucher per le mamme lavoratrici, una tra le misure sperimentali per sostenere la genitorialità (insieme alle ferie obbligatorie per i padri) che entreranno in vigore nel 2013 fino al 2015.Sempre al ministero del Lavoro è attribuita la facoltà di individuare delle modalità semplificate (rispetto a quanto già stabilito dalla riforma Fornero) per accertare la volontà dei lavoratori a rassegnare le dimissioni. Un ulteriore decreto attuativo è atteso in tema di contratti a tempo determinato. Questi vengono automaticamente considerati a tempo indeterminato se proseguono per più di 30 o 50 giorni (a seconda che siano di durata inferiore o superiore ai 6 mesi) oltre la loro scadenza naturale. Al datore di lavoro spetterà l’onere della comunicazione della prosecuzione dei contratti al Centro per l’impiego competente. Il ministero del Lavoro emanerà, entro un mese dall’entrata in vigore della riforma, il decreto attuativo indicante le modalità di comunicazione. Un altro decreto servirà invece per definire le modalità di comunicazione (via sms, fax o e-mail) che riguardano il lavoro intermittente.Anche in tema di fondi di solidarietà bilaterali servirà un decreto attuativo del ministero del Lavoro e dell’Economia, per determinare i requisiti di professionalità e onorabilità dei soggetti preposti alla gestione dei fondi stessi; i criteri e i requisiti per la contabilità dei fondi; le modalità volte a rafforzare la funzione di controllo sulla loro corretta gestione e di monitoraggio sull’andamento delle prestazioni. Un secondo decreto istituirà un fondo di solidarietà residuale per i lavoratori dei settori non coperti dalla normativa in tema di integrazione salariale, e per i quali non siano stati attivati dei fondi di solidarietà ad hoc.Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Riforma Fornero, cosa non va secondo i sindacalisti esperti di precariato- Il contratto di apprendistato dopo l'esame del Senato- Aspi, Miniaspi e una tantum: come sono usciti dal Senato gll ammortizzatori per chi perde il lavoro

ApparatiEffimeri, la pubblicità giovane si proietta sugli edifici

«Già in epoca romana gli apparati effimeri erano una forma di decorazione temporanea. Noi però ci ispiriamo soprattutto al periodo barocco, quando vennero interpretati come delle scenografie urbane per momenti di festa, celebrazioni di eventi». Federico Bigi spiega così la scelta di battezzare ApparatiEffimeri l'azienda che ha fondato a maggio del 2010 a Bologna insieme al socio Marco Grassivaro [a sinistra nella foto].Quasi coetanei - 32 anni il primo, 34 il secondo - hanno frequentato entrambi il Dams nel capoluogo emiliano: Federico ha scelto l'indirizzo cinematografico, Marco quello artistico. Ma si sono incontrati solo dopo aver terminato l'università, nel 2006, sul set di un cortometraggio. «Abbiamo messo insieme la mia passione per l'animazione e il movimento con la sua per il visivo e le forme e ci siamo accorti che stavamo sperimentando cose che potevano funzionare anche in altri contesti» racconta Federico. Le prime collaborazioni sono andate in scena nelle discoteche di Bologna, dove Marco lavorava come veejay. Mentre il suo futuro socio lavorava nei set bolognesi: «Facevo di tutto, dal macchinista all'elettricista, mi pagavano alla giornata o con contratti di prestazione occasionale. Ma a un certo punto ho capito che o andavo a Roma a fare cinema, oppure avrei inseguito un'utopia». E così «ho trovato un appiglio con l'animazione».Un appiglio che ha sfruttato lavorando nelle discoteche con Marco. È stato durante queste serate che i due hanno perfezionato una tecnica che ora applicano nel mondo della pubblicità. Più precisamente, in quel settore del marketing che si occupa di «proiezioni in outdoor su edifici: sono delle pubblicità che hanno la caratteristica di essere altamente emozionanti, che fanno arrivare il messaggio attraverso canali alternativi a quelli normali». I due ragazzi, insieme ai loro collaboratori, realizzano in buona sostanza uno spot, lavorando prima sui contenuti e poi sugli aspetti grafici. La differenza sta nel fatto che, invece di vederlo trasmesso in continuazione in televisione lo proiettano sulla facciata di un edificio. «Le prime esperienze di questo tipo si sono cominciate a vedere nel 2007. Noi siamo stati tra i primi a muoverci in questo settore».Fino ad arrivare, nel luglio del 2009, a proiettare un video sulla Rocca Malatestiana di Cesena. «Il filmato di quella serata è diventato virale, è stato cliccatissimo in Rete». Sulla scorta di questa esperienza, nel maggio del 2010 i due hanno dato vita ad ApparatiEffimeri. «Prima eravamo free-lance, ma ad un certo punto ci siamo resi conto che riuscivamo a lavorare per una serata, non certo nei grandi eventi, piuttosto che nell'ambito del marketing non convenzionale». Ecco allora la decisione di costituirsi in società non classificata, la formula giuridica più semplice per una realtà di questo tipo. «Abbiamo iniziato con nostri proiettori personali, finché hanno retto. Per il resto, abbiamo investito i nostri risparmi: circa 5mila euro per acquistare i computer, le licenze software, un ufficio fisso. Certo, abbiamo cercato sempre di scegliere le soluzioni più economiche, ma non abbiamo mai definito un vero e proprio budget: all'inizio siamo partiti quasi per gioco».La faccenda si è però fatta presto seria. Tanto che, all'inizio del 2012, ApparatiEffimeri si è trasformata in una società a responsabilità limitata, con un capitale versato pari a 10mila euro. L'occasione per questo cambiamento è rappresentata dalla volontà di partecipare al bando IncrediBol!, promosso dal comune di Bologna e dalla Fondazione Carisbo. ApparatiEffimeri è stata premiata, aggiudicandosi oltre ad un contributo di 5mila euro - di cui un quarto da restituire il resto a fondo perduto - anche la possibilità di accedere ad una serie di servizi. In particolare «ci siamo appoggiati alla consulenza gestionale, ci serviva un aiuto di questo tipo: sia io che Marco veniamo da percorsi che nulla hanno a che fare con gli aspetti economici e di gestione aziendale». Per aggiornarsi su questi temi i due startupper si sono anche iscritti ai corsi After, organizzati a Bologna dal Cnr. E si sono rivolti allo Studio Capizzi, una realtà «che fa assistenza alle aziende appena nate: ci aiuta per la contrattualistica e per la stesura dei preventivi».Dopo tre anni di attività, ApparatiEffimeri ha raggiunto un fatturato di 100mila euro l'anno ed un portafoglio clienti nel quale figurano aziende come Lavazza, Bmw e Bacardi. «Siamo arrivati sulla linea di galleggiamento, anche se il punto di pareggio si sposta sempre più in là, hai continuamente bisogno di nuove attrezzature e nuovi collaboratori». Al momento, cinque persone lavorano con Federico e Marco, con contratti a progetto o a partita Iva. Queste forme di contratto «riducono il costo del lavoro, per noi un'assunzione al momento costa troppo». Per ora l'azienda non ha fatto ricorso a stagisti, ma è un percorso che sta valutando: «Noi cerchiamo delle persone che poi possano rimanere in azienda. Vogliamo provare con percorsi di sei mesi, offrendo un rimborso spese che ancora dobbiamo quantificare». L'idea è quella di formare i tirocinanti e poi farli entrare in azienda a tutti gli effetti. Così che anche loro contribuiscano alla costruzione degli ApparatiEffimeri.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Dalla pianta di jatropha il seme di una start-up, anzi due- Non più i bambini: oggi Le Cicogne portano le babysitter- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partire- Milano si impegna per attrarre i cervelli in fuga

Fotovoltaico, non solo energia pulita ma anche migliaia di nuovi posti di lavoro

Poche settimane fa il ministro dell’ambiente Corrado Clini ha proposto un piano per i settori dell'“economia verde”, per uno sviluppo sostenibile e per una crescita pulita, rivolto ai giovani laureati e ricercatori, capace di creare 60mila nuovi posti di lavoro. Il progetto prevede incentivi alle aziende che assumeranno giovani nel campo delle rinnovabili: in tale ambito il settore fotovoltaico in particolare, come spiega il rapporto Cresme (Centro ricerche economiche sociali di mercato per l'edilizia e il territorio), ha generato in Italia 400mila posti di lavoro negli ultimi quattro anni. Il fotovoltaico è inoltre recentemente diventato la prima fonte energetica rinnovabile d’Italia, ad eccezione dell’idroelettrico. A rilevarlo è l’ufficio studi di Confartigianato che sottolinea come oggi, soltanto con l’energia prodotta dal fotovoltaico, potrebbe essere soddisfatto il fabbisogno energetico delle famiglie di tutto il Sud Italia (14.451 GWh). Nelle scorse settimane sono stati pubblicati anche diversi studi che hanno diffuso dati di previsione in termini di ricadute occupazionali generate dal mercato delle rinnovabili. «Anche noi dell’Aper» spiega Fabiola Bruno, 28 anni, che da un anno lavora nel settore fotovoltaico dell’Associazione produttori energia da fonti rinnovabili «nel dossier Energie senza Bugie abbiamo analizzato l’impatto occupazionale connesso allo sviluppo delle rinnovabili. Per il 2011 la stima degli addetti operanti nel solo settore fotovoltaico si aggira intorno alle 90mila unità con una ottimistica previsione di raddoppio al 2020». Secondo le stime riportate dal Solar energy report 2012, nel 2011 le imprese operanti lungo tutta la filiera nazionale del fotovoltaico sono aumentate del 6% rispetto al 2010 e sono circa 850, dislocate in tutta Italia. È nei settori relativi alla distribuzione dei componenti e della progettazione e installazione che le imprese italiane hanno giocato un ruolo predominate. Le figure più richieste restano gli installatori e manutentori di pannelli, la cui professionalità è acquisibile in poco tempo: per diventare installatori fotovoltaici basta infatti seguire un corso di formazione, per accedere al quale è richiesto in genere solo il diploma di scuola superiore. E vista la già discreta diffusione degli impianti in Italia, in ambito fotovoltaico continuano ad essere molto richieste figure junior, neo ingegneri elettrici/elettrotecnici per occuparsi della manutenzione degli impianti, della connessione alla rete e del loro corretto funzionamento. Sempre aperte nelle aziende del settore anche le ricerche di nuove risorse commerciali.Ma sembra che la variabile per il futuro delle opportunità professionali nel settore fotovoltaico sia costituita dagli incentivi: in Italia, l’energia elettrica prodotta mediante impianti fotovoltaici beneficia di un proprio sistema incentivante denominato “Conto energia” fotovoltaico. Il Conto energia rientra nella famiglia dei feed-in premium, con il quale è incentivata la produzione di energia fotovoltaica ed è regolato dalla legge. Quanto influirà, dunque, l'andamento legislativo sul settore? «Considerando lo sviluppo sembrerebbe che le modifiche introdotte dai continui e repentini cambiamenti legislativi nel sistema incentivante non abbiano comportato una drastica riduzione degli occupati, anzi, nel periodo 2008-2011 nel fotovoltaico si è osservato un incremento degli occupati da poco più di 2mila a circa 64mila addetti: gli attuali 13.4 GW di potenza installata, di cui solo 9,5 realizzati nel 2011, devono aver evidentemente contribuito ad accrescere le opportunità professionali nel settore della solar economy», prosegue Bruno.Installare Gigawatt di potenza equivale a installare nuovi impianti: il boom degli ultimi tre anni ha dunque contribuito a creare nuovi posti di lavoro.  Pertanto, nonostante sia difficile immaginare una crescita esponenziale come quella avuta negli ultimi anni, ci si augura che il settore non sia drasticamente stravolto da nuove novità normative che rischierebbero di frenare il comparto delle rinnovabili, che ormai contribuisce al 7,4% della produzione elettrica nazionale e bloccare investimenti ed opportunità di sviluppo nel nostro Paese.Ma la variabile che più impatterà sul futuro del fotovoltaico in Italia sarà lo sviluppo del decreto Quinto conto energia.  Ad oggi la legge che regola il settore fotovoltaico segue il Quarto conto energia, che ha come obiettivo il raggiungimento della potenza installata al 2016 di 23mila MW a fronte di una spesa complessiva annua tra i 6 e i 7 miliardi. Al raggiungimento di questi 6 miliardi sarà rivisto il meccanismo del Conto energia e verrà messo in vigore il Quinto conto (la cui entrata in vigore è stata spostata all’ottobre 2012).All'inizio di giugno i testi presentati dal ministero allo sviluppo e da quello dell’ambiente hanno avuto il parere positivo da parte delle Regioni nella Conferenza unificata. L’esito finale è stato raggiunto a condizione che vengano rivisti dal governo alcuni punti. Le associazioni di settore però, non sono contente e temono che i cambiamenti che il Quinto Conto apporterà possano frenare brutalmente il settore: «Abbiamo fatto presente alle regioni le principali criticità del Quinto Conto e in che modo poter intervenire per riparare il riparabile» riassume Bruno: «Il testo del nuovo decreto stabilisce infatti un limite di budget per gli incentivi di 500 milioni di euro, e tale limite rischierebbe di non contribuire alla crescita annua di 2-3 GW prevista dai ministeri. Al fine accompagnare il fotovoltaico verso la competitività ed al di fuori degli schemi di sostegno ne è stato richiesto l’innalzamento a mille milioni di euro, per un costo complessivo di sette miliardi di euro all'anno». Nonostante il periodo sia caratterizzato da forti incertezze normative, sono diversi i settori dell’energia fotovoltaica nei quali si può prevedere una crescita in futuro e in particolare le opportunità si intravedono nel comparto del green building dove l’integrazione del fotovoltaico diventa complementare ad interventi di efficienza energetica. Di questa complementarietà sembra essersi accorto anche il governo, che intende promuovere la crescita e l’utilizzo di queste nuove tecnologie: «È incoraggiante l’annuncio di qualche giorno fa del ministro Clini: l’approvazione di una misura che prevede, a partire dal 2013, l’applicazione di un credito d’imposta alle aziende operanti nella green economy che assumeranno a tempo indeterminato giovani under 35», commenta Bruni. In particolare le nuove figure saranno inserite nei settori della ricerca, dello sviluppo e della produzione di tecnologie innovative nel solare.Gli esperti non si sbilanciano in previsioni sulla nascita di nuove imprese o sull’ampliamento di quelle già esistenti: «Visto le nuove disposizioni normative e l’attuale contesto economico le aziende già esistenti tenderanno a specializzarsi nei settori del fotovoltaico integrato e dell’efficienza energetica in cui cercheranno figure professionali qualificate. Un’ulteriore prospettiva di crescita del settore, che segue la naturale evoluzione del mercato fotovoltaico, sarà il mondo delle Esco, Energy service companies, soggetti che andranno realizzare in finanziamento impianti fotovoltaici anche sui tetti a fronte della vendita agli utenti finali dell’energia elettrica prodotta. Si tratta dei cosiddetti Sistemi efficienti di utenza, che possono essere creati e gestiti anche da privati e premiano lo sviluppo dell’autoconsumo».Come prepararsi per un futuro nel fotovoltaico? «Preparazione, specializzazione e collaborazione», conclude la Bruno «sono sicuramente requisiti fondamentali di una risorsa. Non basta però, per avere delle buone prospettive professionali, possedere delle solide basi di conoscenza del settore: è importante seguire le proprie attitudini. Infine è necessario avere ottime capacità di collaborare e lavorare in team: avviene frequentemente che il progettista architetto o l’ingegnere debbano avvalersi delle competenze di persone che hanno dei differenti background - dall’economista, al legale, passando anche per l’installatore».In un periodo in cui il mondo del lavoro e lo sviluppo sembrano essere immersi in una coltre di fitta nebbia il settore del fotovoltaico apre uno spiraglio di luce: lo sviluppo delle rinnovabili infatti va in controtendenza e, oltre a creare nuove opportunità professionali, sembra favorire anche la creazione di nuove imprese.Giulia CimpanelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Neolaureati, le aziende vi vogliono così: ecco i risultati dell'indagine Cilea - Stella- Almalaurea, crollano occupazione e stipendi dei laureati. E chi fa uno stage ha solo il 6% in più di opportunità di lavoro- Stagisti laureati, solo nelle imprese private sono 100mila. Un esercito che però difficilmente trova lavoro: gli ultimi dati dell'indagine Excelsior-Unioncamere   E anche:- Il deputato Aldo Di Biagio spiega la sua interrogazione: «Bisogna difendere chi ha lauree "deboli" dalla discriminazione nelle selezioni»

«La riforma del lavoro? Non è una riforma» secondo i consulenti del lavoro

Si è concluso da poco il Festival del lavoro organizzato dall’ordine dei consulenti del lavoro a Brescia: un’edizione quest’anno più che mai ricca di argomenti, a pochi giorni dalla fiducia alla Camera del ddl Fornero. La Repubblica degli Stagisti c’era per capire da vicino quali sono le opinioni e gli argomenti che animano il mondo della politica, dei sindacati e delle aziende sull’argomento più delicato del momento: la riforma del lavoro.L’opinione prevalente emersa dalle analisi e dagli interventi al festival è riassunta nelle parole della presidente del consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, Marina Calderone: «La soluzione alla polemica sulla riforma del lavoro è semplicemente non chiamarla più così, perché non ne ha le caratteristiche né tecniche né di sostanza». Una “non legge” quindi approvata il 27 giugno definitivamente alla Camera.Interessanti spunti di confronto sono emersi nel dibattito «Flessibilità è precarietà?», che doveva inizialmente prevedere la presenza di ben quattro ex ministri del lavoro (Tiziano Treu, Roberto Maroni, Cesare Damiano e Maurizio Sacconi). In realtà poi se ne sono presentati solo due, Treu e Sacconi, perché Damiano e Maroni hanno dato forfait: ma il parterre era comunque ben ricco e accanto a Marina Calderone c’erano Daniele Molgora, presidente leghista della provincia di Brescia, e il giornalista Alessandro Rimassa, autore del bestseller Generazione mille euro.Al centro della discussione i punti di forza del disegno di legge per la riforma del lavoro ma anche le lacune che potrebbero contribuire a non fare di questa legge il fulcro di una decisiva svolta. Secondo il 62enne Sacconi, socialista "storico" prima di entrare nel PdL, non è vero che in Italia ci sono 46 tipologie contrattuali: «la logica della precarizzazione non esiste. In futuro si dovrà lasciare il posto al singolo rapporto di lavoro costituito in una contrattazione individuale e le persone dovranno solo preoccuparsi di essere occupabili attraverso una formazione aggiornata e completa». Ciò che immagina il diretto predecessore della Fornero è quindi un mercato all’insegna della deregolamentazione, quasi all’opposto degli intenti espressi dal ddl che, sempre secondo Sacconi, «punta ad una presunzione tendenziale di non corretta applicazione di ogni contratto che non sia a tempo indeterminato, stimolando un’intensa attività ispettiva; il contratto unico rischia di soffocare il mercato del lavoro». Non la pensa così Tiziano Treu, classe 1939, alla guida del ministero del Lavoro tra il 1994 e il 1998 e padre del “pacchetto Treu”, la prima riforma del mercato del lavoro nel senso della flessibilità: «ci vuole flessibilità ma anche stabilità, il contratto unico significa avere un minimo di regole comuni su orari, sicurezza, ammortizzatori, formazione». Queste garanzie sembrano non essere state centrate dalla riforma presentata dal governo: secondo Calderone «il ddl si lascia coinvolgere in due compromessi, il primo riguarda gli ammortizzatori sociali e il pallido tentativo di estenderli ai cosiddetti precari. Il secondo grande compromesso tocca la flessibilità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro. Ragionando più sull’uscita, il dibattito si è spostato sull’annosa questione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, una questione che in Italia coinvolge una parte marginale del mondo del lavoro, costituita dalle imprese più grandi e meno numerose rispetto alla costellazione di micro aziende tipiche della nostra realtà economica». Tuttavia come ha sottolineato il Treu «il ddl è riuscito, per la prima volta dopo  trent’anni, a mettere mano al grande tabù dei licenziamenti. Peccato che la norma ne sia uscita un pasticcio che va sicuramente migliorato nella sua formulazione».Per quanto riguarda i giovani, tutti d’accordo con l’urgenza di fronteggiare le difficoltà d’accesso al mercato del lavoro. Ma non è facile trovare il procedimento migliore per rimettere in moto questo sistema. «Purtroppo i giovani vivono una situazione drammatica che è anche il frutto di un sistema formativo viziato dalle logiche scolastiche degli anni ’70 e oggi si ritrovano con lauree che non consentono di essere spendibili sul mercato del lavoro» sostiene Sacconi, che però sembra dimenticare che le riforme più incisive al mondo della scuola e dell’università portano la firma di due ministri, Moratti e Gelmini, che hanno governato con la sua stessa compagine politica. «La mia generazione ha il compito di riparare agli errori commessi, fornendo canne e non pesci ai più giovani; i ragazzi devono imparare a responsabilizzarsi», tuttavia resta da chiarire dove poter pescare.La formazione è certamente un aspetto cruciale ma rischia di diventare la panacea alla disoccupazione giovanile se utilizzata per impegnare temporaneamente i più giovani, e se come suggerisce lo stesso Sacconi: «l’attesa tra un impiego e l’altro mortifica un adulto, mentre per un giovane costituisce un’occasione per perfezionare la sua formazione». Per Treu una delle occasioni perse dal ddl consiste nel non aver affrontato la necessità di togliere il tappo che soprattutto blocca lo sviluppo economico e l’accesso dei giovani al mondo del lavoro: l’anzianità vista come un merito. «Mio figlio ha 33 anni e da 11 vive in California dove insegna astrofisica. I giovani sono innovatori per natura e le università devono essere le prime ad investire su di loro». Anche se, come aggiunge Sacconi, in Italia c’è anche il problema che gli uffici di placement degli atenei non riescono a funzionare al massimo delle loro potenzialità.Per Alessandro Rimassa l’ostacolo più rilevante per i giovani sta nella mancanza di meritocrazia e trasparenza: «Se il lavoro della mia vita è sotto casa ma non c’è trasparenza io non lo saprò mai». Secondo Rimassa il lavoro deve tornare ad essere una fonte di realizzazione per i giovani, che non frustri le loro aspettative, ma sembra difficile conciliare i sogni nel cassetto con quanto la realtà offre. Come conferma Molgora, i lavori più richiesti sono quelli che nessun laureato si sogna di fare:«le aziende lombarde sono alla disperata ricerca di saldatori!» Come conciliare quindi? Il consiglio di Calderone ai giovani è di fare più lavori diversi per non restare inattivi in attesa del lavoro perfetto e correre il rischio di essere difficilmente ricollocabili.Cosa succederà dopo la riforma? Come faranno le imprese a lavorare e a creare lavoro se gli si toglie credito? Sono questi i quesiti su cui si interrogano i consulenti del lavoro - consapevoli, nelle parole della presidente, che questa riforma non sarà che il primo step da cui ripartire per rinnovare a fondo il mercato del lavoro nel nostro paese.Lorenza MargheritaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Riforma Fornero, cosa non va secondo i sindacalisti esperti di precariato- Il contratto di apprendistato dopo l'esame del Senato- Aspi, Miniaspi e una tantum: come sono usciti dal Senato gll ammortizzatori per chi perde il lavoro  

Il contratto di apprendistato dopo l'esame del Senato

Per porre un freno all'abuso dello strumento dello stage bisogna incentivare i contratti di apprendistato, che secondo gli ultimi dati Isfol al momento costituiscono invece appena il 15% delle assunzioni di giovani tra i 15 e i 29 anni. Ne è convinto il ministro Fornero, che ha affidato all’articolo 5 del disegno di legge per la riforma del mercato del lavoro il compito di apportare modifiche correttive ad alcuni punti del testo unico, il decreto legislativo (167/2011) in vigore dall’ottobre scorso, con il quale al termine l'ultimo governo Berlusconi aveva riformato il contratto di apprendistato. L’articolo 5 del ddl è stato successivamente oggetto di correzioni e implementazioni, discusse ed approvate in Senato lo scorso 31 maggio. In primo luogo il ddl Fornero cerca di riportare ordine nella definizione numerica degli apprendisti assumibili da uno stesso datore di lavoro. Se il testo unico stabiliva che il numero di apprendisti in forza e lavoratori qualificati non poteva essere superiore al rapporto di 1 a 1, il ddl alza questo limite, fissando un rapporto di 3 a 2. Resta invariata, nel caso di un datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o ne abbia un numero inferiore o uguale a tre, la possibilità di assumere fino ad un massimo di tre apprendisti. La discussione in Senato dell’articolo 5 ha aggiunto un’ulteriore precisazione: per le aziende con dieci o meno dipendenti trova validità il rapporto 1 a 1.  La seconda grossa novità ripresa dal ddl, ma già introdotta dal testo unico, riguarda la possibilità di assumere apprendisti in staff leasing (secondo l’articolo 20, comma 3, del decreto legislativo 276/2003) tramite le agenzie di somministrazione. Il ddl precisa però che il datore di lavoro dovrà includere anche questa categoria di apprendisti nel tetto massimo che ha a disposizione, nonostante questi lavoratori non facciano direttamente parte del suo organico. L’esame del Senato ha precisato che non sarà possibile assumere apprendisti in  somministrazione a tempo determinato.La terza importante svolta introdotta dall’articolo 5 con il comma 3-bis, già presente nella formulazione presentata dal governo, stabilisce che nelle aziende con più di dieci dipendenti l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di formazione – nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione - di almeno il 50% degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro. Si tratta di un limite per l’accesso al contratto di apprendistato in contraddizione con la finalità stessa che la riforma vuole riconoscergli. Per evitare questo rischio il Senato ha precisato che qualora non sia rispettata la percentuale è comunque consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, anche in caso di totale mancata conferma degli apprendisti precedentemente in forza. Il testo licenziato da palazzo Madama non modifica quanto proposto dal governo per quanto riguarda la durata del periodo formativo previsto per questa tipologia di contratto e integra il testo unico – che stabilisce solo la durata massima del periodo di formazione in 36 mesi (estendibili fino a 5 anni nei casi predisposti dalla contrattazione collettiva per particolari profili lavorativi dell’artigianato) – introducendo la durata minima del periodo di formazione, pari ad almeno 6 mesi.Infine un dettaglio che ha fatto storcere il naso agli addetti ai lavori: l’articolo 5 alla lettera “b”, anche nella versione approvata dal Senato, inverte quanto stabilito dal testo unico in materia di preavviso. Chi è licenziato al termine del periodo di formazione durante il periodo di preavviso (che decorre dal medesimo termine) si vedrà applicare la disciplina economica e normativa del contratto di apprendistato, pur avendo di fatto completato il percorso da apprendista. Un ulteriore piccolo – e forse ingiustificato – vantaggio per il datore di lavoro, che continua per i due o tre mesi di preavviso a pagare aliquote contributive e retribuzioni ridotte. Ma perché l’apprendistato, pur essendo già ben normato e conveniente per le imprese da almeno un decennio, è rimasto bloccato a numeri piccolissimi? Nel 2010 sono stati attivati solo 289mila contratti di questo tipo in tutta Italia. Oltre al concorrente sleale – lo stage – probabilmente ha contato anche l’eccessiva burocratizzazione della sua gestione. La frammentata e caotica regolamentazione regionale e interconfederale non aiuta i datori di lavoro, ma soprattutto gli intermediari incaricati, ad incentivarne la diffusione. In particolare nel caso dell’apprendistato professionalizzante, il più diffuso, c’è stata una vera corsa contro il tempo da parte della contrattazione collettiva per emanare accordi entro il 25 aprile scorso (data in cui è terminato i periodo transitorio dell’entrata in vigore del decreto legislativo): la legge prevede infatti che la disciplina del nuovo apprendistato diventi pienamente operativa solo quando la contrattazione collettiva e/o la legislazione regionale – a seconda della tipologia di apprendistato – abbiano emanato i provvedimenti di loro competenza che disciplinino l’organizzazione delle attività formative, ad oggi firmati per tutte le regioni e per la maggior parte dei contratti collettivi nazionali di lavoro, ma non ancora attivi. E se le aliquote contributive previste dal testo unico sia a carico del lavoratore (5,84%) sia a carico del datore di lavoro (per aziende fino a nove addetti, durante il primo anno di apprendistato si applica un’aliquota INPS del 1,5%, il secondo anno 3% e il terzo 10%, per le aziende con più di dieci dipendenti si applica per tutto il periodo di formazione il 10%) sono state confermate nel ddl, un altro punto critico che non favorisce il rilancio dell’apprendistato riguarda le agevolazioni contributive ed economiche promesse dalla legge di stabilità 2012 che ha previsto addirittura - per le assunzioni di apprendisti a partire dal 1 gennaio 2012 - uno sgravio del 100% della quota di contributi a carico dell’azienda nel primo triennio di lavoro: purtroppo al momento questa agevolazione non è applicabile per mancanza di fondi. Tuttavia restano attivi altre tipologie di incentivo cui le aziende possono aderire, fino a disponibilità, come i finanziamenti predisposti dal programma Amva, promosso dal ministero del Lavoro e attuato da Italia Lavoro, con il contributo del fondo sociale europeo.In definitiva, le modifiche apportate dal governo Monti sono da ritenersi sufficienti per il vero sviluppo del contratto di apprendistato? Forse non completamente. Sarebbe dunque utile prendere in considerazione i moniti espressi pochi giorni fa a Ginevra dall’Ilo, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo: ripensare questa tipologia contrattuale tendendo al modello tedesco e a quello inglese, facendo della formazione non un semplice slogan ma un ponte tra scuola e lavoro ed un’esperienza altamente professionalizzante.Lorenza MargheritaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Riforma del lavoro, rilanciare l'apprendistato non basta- Apprendistato: contratto a tempo indeterminato oppure no?- Apprendistato: coinvolge pochissimi laureati e spesso non garantisce vera formazione- Contratti di apprendistato in calo, nasce un sito per rilanciarli

Dalla pianta di jatropha il seme di una start-up, anzi due

La jatropha è una pianta originaria dell'America Centrale, oggi diffusa anche in Africa ed in Asia, dove viene utilizzata come siepe per le recinzioni. Giovanni Venturini [nella foto insieme al suo socio Roberto Crea] ci ha creato un business. Prima ha fondato Agroils, un'azienda che ricava biocombustibile dai semi di questa essenza, quindi ha ceduto le quote di maggioranza ed ha aperto Agroils Technologies, una start-up che ricerca un modo per ricavare un mangime dal panello che rimane dopo la spremitura.La storia di questo 29nne fiorentino - laurea triennale in ingegneria gestionale e specialistica abbandonata a quattro esami dalla tesi per dedicarsi a tempo pieno all'azienda - è un vero e proprio inno all'intraprendenza. Arrivato all'inizio del 2004 a Stoccolma per un periodo di Erasmus, iniziò un tirocinio alla Nykomb Synergetics. «Stavo lavorando a un progetto per la produzione di idrogeno da black liquor, uno degli elementi base per la produzione della carta. Poi un giorno l'amministratore delegato mi convocò nel suo ufficio e mi fece vedere una foto».Fu quello il primo contatto con il vegetale a cambiare la vita di Giovanni: «Si trattava di una pianta coltivata in Ghana, dalla quale si poteva ricavare un sostituto naturale del gasolio. Lo trovai subito molto interessante, al punto che dedicai al tema la mia tesi di laurea», conseguita nell'ottobre del 2004 a Firenze. Iniziata la specialistica, cominciò a lavorare nel 2005 con un contratto a progetto per la D1Oils, ora diventata Neos, un'azienda inglese con la quale collaborò prima a distanza, quindi direttamente sul campo, trasferendosi a Johannesburg, in Sudafrica, tra la primavera e l'estate del 2005. «Non ero molto convinto di quest'esperienza: intanto volevo finire di studiare e poi pensavo di voler aprire una mia azienda, perché mi ero reso conto che c'era un'opportunità».Così tra la fine del 2005 e l'inizio del 2006 nacque Agroils, azienda individuale che già nell'ottobre del 2006 diventò una società a responsabilità limitata con l'ingresso di due nuovi soci: Federico Grati e Stefano Babbini, compagni di corso di Giovanni. Capitale sociale i 'classici' 10mila euro. Subito i soci si concentrarono sul progetto di utilizzare i semi di jatropha per ricavarne un biocombustibile. Lavorando ognuno con il proprio computer, spendendo 500 euro al mese per l'affitto di uno scantinato diventato la sede operativa dell'azienda, nel giro di cinque mesi raggiunsero il pareggio.Per crescere in un settore ancora poco battuto, appunto la produzione di biocarburanti dai semi di questa essenza, i tre si inventarono anche un'associazione chiamata JatrophaBook, che subito aprì una sorta di social network pensato per coloro che lavorano con questa pianta. E iniziarono a frequentare le fiere di settore.Il fatturato è cresciuto in fretta, arrivando a toccare i 600mila euro annui. La società si è strutturata, assumendo tre persone a tempo indeterminato e due collaboratori a progetto. Ed ha ospitato anche un paio di stagisti per un tirocinio trimestrale. Nella primavera del 2011 è arrivato il salto di qualità: i tre soci hanno ceduto le quote di maggioranza a Futuris, società milanese che si occupa di biomasse, riservandosi comunque una partecipazione societaria. «Federico e Stefano continuano a lavorare in Agroils, io invece ho creato una nuova società». Appunto Agroils Technologies, nata subito dopo la cessione delle quote della prima start-up.Perché a 28 anni si cede un'azienda ormai avviata per ricominciare da capo con un'altra? «Non so, forse è una questione di ambizione, di intraprendenza. E poi, sviluppando una tecnologia, hai a che fare con un business che può svilupparsi in fretta a livello internazionale». Tutto sta nell'avere successo in quest'operazione. La questione è semplice, almeno sulla carta: «Una volta 'spremuta' la jatropha rimane il panello, una parte solida residua. Si tratta di un coprodotto ad alto contenuto proteico, che potrebbe essere utilizzato per produrre dei mangimi». «Potrebbe»: perché questa sostanza contiene delle tossine, che lo rendono inutilizzabile. La sfida è quella di riuscire a «eliminare questi antinutrizionali», adoperando il panello per la produzione di mangimi. Se si pensa che questa pianta cresce bene nei climi aridi, che quindi potrebbero produrre cibo per il bestiame, si capisce esattamente cosa intenda Giovanni quando parla di un «business che può svilupparsi in fretta a livello internazionale».La spinta in questa direzione è arrivata a San Francisco, dove Agroils ha partecipato all'edizione 2011 di Mind the Bridge, un concorso riservato alle start-up. È qui che Venturini ha conosciuto Roberto Crea, scienziato italiano che da 35 anni vive in California, dove sta lavorando a un programma di ricerca dedicato proprio alla possibilità di ricavare mangime dal panello della jatropha. Ora i due sono soci alla pari di Agroils Technologies, società che ha sede all'interno di Incubatore Fiorentino, una culla per le start-up toscane supportata dal Comune e dalla Camera di Commercio di Firenze, oltre che dalla regione Toscana. «Siamo entrati a gennaio. Per il tipo di lavoro che faccio, che mi porta spesso all'estero, è la dimensione ideale». Oltre ad un ufficio, a disposizione delle aziende incubate c'è anche «un incontro mensile con un senior manager con il quale è possibile confrontarsi». La permanenza all'interno di questa struttura costa mille euro mensili, ma «attraverso alcuni bandi regionali è possibile abbattere i costi. Noi arriviamo a pagare 250 euro ogni mese».Al momento il break even, ovvero il pareggio di bilancio, è ancora lontano: «Ci vorrà almeno un anno». Però l'interesse del mercato c'è e si è già fatto sentire in maniera forte a marzo, quando Agroils Technologies ha ricevuto un finanziamento di 900mila euro. La metà di questi fondi sono arrivati da X Capital, una società privata di investimento toscana, mentre l'altra metà l'hanno messa Innogest sgr e Italian Angels for Growth. Tre realtà pronte a scommettere sul successo di un under 30.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa- Non più bambini, oggi le Cicogne portano babysitter- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partire- Milano si impegna per attrarre i cervelli in fuga- Regione Piemonte, un milione di euro per chi sostiene i giovani imprenditori

Occupazione femminile, un passo avanti e due indietro nella riforma del lavoro rivista dal Senato

Lo scorso 31 maggio il Senato ha approvato la riforma del lavoro, che è ora in esame alla Camera. Il governo aveva posto il giorno prima la fiducia su  quattro maxi emendamenti, sostitutivi del testo presentato dall’esecutivo lo scorso 4 aprile. Un aspetto rilevante del ddl Fornero si riferisce alle misure di tutela dell’occupazione femminile, dagli incentivi all’occupazione ai voucher per i servizi di baby-sitting, fino all’introduzione del congedo di paternità e agli interventi per contrastare la pratica delle dimissioni in bianco.A proposito di occupazione femminile, cosa cambia con il nuovo testo? Una delle modifiche più significative riguarda proprio la pratica delle dimissioni in bianco: si tratta di una lettera di dimissioni volontarie, che il datore di lavoro spesso fa firmare al lavoratore al momento dell’assunzione. Vengono dette «in bianco» perché la data viene inserita successivamente. Si tratta di una pratica utilizzata soprattutto con le donne: secondo dati Istat sono 800mila quelle costrette ad abbandonare il lavoro attraverso le dimissioni in bianco, nel 90% dei casi in seguito a una gravidanza. La riforma ha introdotto di nuovo delle misure di contrasto di questa pratica, già previste dalla legge 188 del 2007, poi abrogata: il testo del 4 aprile stabilisce che la richiesta di dimissioni vada presentata dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza oppure fino a  tre anni di vita del bambino (o di accoglienza del minore adottato o in affidamento). Il termine previsto dalla legge 188 era di un anno. La riforma ha poi introdotto due procedure di controllo della «genuinità e contestualità» di questo atto. Nel primo caso le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro devono essere convalidati dal servizio ispettivo del ministero del Lavoro competente per territorio. L’efficacia delle dimissioni è così subordinata a questa verifica. La seconda è la sottoscrizione di un’apposita dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, che il datore è già tenuto a inviare al centro per l’impiego. Nel momento in cui dovesse riscontrarsi un abuso, esso va considerato licenziamento discriminatorio. Tuttavia, per punire l’illecito il ddl Fornero prevede una semplice sanzione amministrativa, una multa da 5mila a 30mila euro. Il testo emendato ribadisce queste disposizioni, introducendo però una novità: nei sette giorni dalla ricezione dell’invito a presentarsi presso la sede del servizio ispettivo o a sottoscrivere la dichiarazione sulla base della seconda procedura, la lavoratrice «ha facoltà di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale. La revoca può essere comunicata in forma scritta. Il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca». In nessuna delle due versioni del testo di legge (quella del 4 aprile e i maxi emendamenti), si fa riferimento, invece, alla registrazione delle dimissioni su moduli numerati progressivamente, con una scadenza di 15 giorni, finalizzata a risalire al giorno delle dimissioni e a evitare che il modulo venga compilato prima.Se la reintroduzione delle misure di contrasto alla pratica delle dimissioni in bianco è sicuramente un elemento positivo, le modalità proposte per combattere il fenomeno sono state oggetto di critiche. Una delle sostenitrici del ripristino della legge 188 è stata la sindacalista ed ex parlamentare Titti Di Salvo, che ha spiegato alla Repubblica degli Stagisti le lacune contenute sia nel testo approvato il 4 aprile sia in quello del maxi emendamento. «La legge corregge l’abuso della firma in bianco, ma non lo previene, a differenza della 188/2007 che vincolava le dimissioni volontarie a un modulo numerato». La novità della revoca introdotta dal nuovo testo dovrebbe essere un’ulteriore arma a favore delle lavoratrici, in quanto concede loro una sorta di «diritto di ripensamento». In realtà, per la sindacalista, rischia di non esserlo: «Se una donna ha dato le dimissioni sotto ricatto, non è detto che questa costrizione non possa ancora sussistere». Anche la multa è considerata dall’ex parlamentare una misura troppo blanda per punire l’abuso. E se per le dimissioni in bianco si rischia di fatto di non intervenire in maniera incisiva sul problema, anche per il congedo di paternità il testo approvato dal Senato sembra segnare un passo indietro rispetto a quello del 4 aprile. L’articolo 56 del testo  elaborato dal ministro Fornero prevedeva che «il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, avesse «l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di tre giorni, anche continuativi», di cui due in sostituzione della madre. Il Senato ha modificato questo passaggio: adesso per il padre lavoratore dipendente l’obbligo di astenersi dal lavoro si limita a un solo giorno. Gli altri due diventano facoltativi: «Entro il medesimo periodo, il padre lavoratore può astenersi per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione». Insomma i giorni obbligatori passano da tre a uno, e che comunque due di essi vanno sempre «scalati» da quelli a disposizione della madre. Un ulteriore depotenziamento della norma, che già stabiliva un numero piuttosto ridotto di giorni di congedo rispetto anche a quanto accade nel resto d’Europa.Un'altra modifica relativa alle misure per favorire la conciliazione tra famiglia e lavoro, stavolta migliorativa, riguarda i voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting e per gli asili pubblici o privati accreditati. Il testo approvato il 4 aprile prevedeva la corresponsione di voucher dalla fine della maternità obbligatoria per gli undici mesi successivi, in alternativa all’utilizzo del periodo di congedo facoltativo per maternità. Il voucher è erogato dall’Inps e il suo importo è regolato sui parametri Isee della famiglia. Se la norma approvata dal governo stabiliva l’utilizzo di questo servizio solo per chi volesse avere una baby-sitter, il testo emendato introduce anche la possibilità di servirsene per far fronte alle spese dei «servizi pubblici per l’infanzia o dei servizi privati accreditati». L’ex ministro della Gioventù e onorevole del PdL Giorgia Meloni, membro della Commissione Lavoro alla  Camera, commenta così con la Repubblica degli Stagisti le nuove disposizioni: «Apprezzo la volontà di favorire la conciliazione degli impegni professionali e familiari. In questo caso, però, ci sono stati poco coraggio e troppo timore. Sarebbe stata opportuna una seria politica di sgravi fiscali alle imprese che assumono giovani madri o giovani donne in età fertile. I voucher per i servizi di baby-sitting sono una buona idea ma mi rammarica il fatto che si tratti di un provvedimento alternativo al congedo di maternità facoltativo e non integrativo». Non cambia, invece, nulla sotto il fronte incentivi all’occupazione femminile: resta valido quanto previsto dall’articolo 53 del testo originario del disegno di legge, che prevede agevolazioni per «le assunzioni, a partire dal primo gennaio 2013, di donne di qualsiasi età prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi» e di «donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi, ovunque residenti».Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche: - Occupazione femminile, Alessia Mosca: «Buoni spunti nella riforma, ma si può fare di più»- Riforma Fornero, nuovi incentivi all'occupazione femminile: ecco chi potrebbe beneficiarne e come- Congedo di paternità obbligatorio, passo in avanti verso l'Europa- Riforma del lavoro, ecco punto per punto cosa riguarda i giovani

Aspi, Miniaspi e una tantum: come sono usciti dal Senato gll ammortizzatori per chi perde il lavoro

In attesa del via libero definitivo della Camera, gli emendamenti approvati dal Senato al ddl Fornero introducono novità rilevanti in tema di ammortizzatori sociali. A conti fatti, secondo stime della Banca d'Italia, la riforma del lavoro dovrebbe estendere la platea di beneficiari del 16%, dal 50 al 66% circa dei lavoratori disoccupati. Un passo avanti, certo, ma non ancora una riforma a vantaggio di tutti, nonostante il principio di universalismo cui si rifà la stessa Fornero. Resta infatti escluso un 34% di professionisti che, pur essendo privi di lavoro, non rientrano nei requisiti minimi previsti per accedere ai nuovi ammortizzatori in vigore già a partire dal 2013. E che devono ancora fare affidamento (quando possibile) sul sostegno della famiglia. Tra le novità introdotte dal Senato, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, i lavoratori che abbiano diritto all’Assicurazione sociale per l'impiego (Aspi) possono chiederne la liquidazione in un’unica soluzione di tutte le mensilità non ancora percepite, a patto però che si accingano a intraprendere un’attività di lavoro autonomo, avviare un’impresa o associarsi in cooperativa. In pratica, l’Aspi diventa così una sorta di “liquidazione” che può essere sfruttata per mettersi in proprio. Questa misura, potenzialmente utile per sostenere il tessuto micro-imprenditoriale italiano, incontra però un importante limite dettato dallo stesso emendamento che la introduce (al comma 19 dell’art. 2): le risorse a disposizione sono pari ad appena 20 milioni di euro. Una volta distribuito tale importo, quindi, non sarà più possibile richiedere la liquidazione dell’Aspi in un’unica soluzione.Il testo approvato dal Senato specifica che sarà il ministero del Lavoro, di concerto con quello dell’Economia, ad emanare un decreto entro 180 giorni dall’entra in vigore della riforma, per regolare le modalità, i limiti e le condizioni per l’attuazione delle disposizioni. Ad oggi, però, sembra lecito sospettare che, come per altre misure che prevedono un tetto alle risorse disponibili, prima fra tutte la stessa indennità una-tantum per i cococo e cocopro, varrà il principio in base al quale i primi arrivati potranno usufruire dell’Aspi in versione liquidazione; raggiunta la soglia dei 20 milioni, semplicemente, verranno chiusi i rubinetti e anche gli aspiranti imprenditori dovranno accontentarsi di ricevere l’ammortizzatore in comode rate mensili, senza poter usare la liquidità come leva per ottenere finanziamenti e avviare le attività.Sempre in tema Aspi ci sono poi altre novità di minore importanza. In particolare, il contributo addizionale pari all’1,4% della retribuzione, che normalmente grava sui datori di lavoro per i rapporti non a tempo indeterminato, era prima escluso solo per i lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali fissate dal decreto 1.525 del 7 ottobre 1963 (qui il testo con l’elenco completo). Il pacchetto emendamenti estende l’esclusione, per i periodi contributivi che vanno dal 2013 al 2015, anche alle attività stagionali che non sono specificate dal decreto del presidente della Repubblica, ma che vengono definite dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 2011. Ci saranno quindi tre anni di adeguamento per i datori di lavoro che utilizzano contratti a tempo determinato per attività di tipo stagionale, prima che il contributo aggiuntivo gravi anche su di loro. L’emendamento determinerà una riduzione delle entrate pari a 7 milioni l’anno per tutto il triennio.Sul fronte della Miniaspi, sparisce dall'art. 20 ogni riferimento al mancato raggiungimento delle 52 settimane di contribuzione (richieste per accedere all’Aspi). L’unico requisito rimasto nel testo approvato dal Senato è che i lavoratori possano far valere almeno 13 settimane di contribuzione di attività lavorativa negli ultimi 12 mesi, per la quale siano stati versati o siano dovuti i contributi dell’assicurazione obbligatoria. Ovviamente, resta implicito che i lavoratori con 52 settimane di contribuzione accedano all’Aspi: la modifica, quindi, sembra più che altro formale.Gli emendamenti approvati dal Senato, dunque, non vanno nella direzione indicata dal relatore della Commissione lavoro della Camera Cesare Damiano (Pd), il quale aveva suggerito di rimandare l'entrata in vigore dell'Aspi di un anno a causa del prolungarsi della crisi economica ben oltre il 2012. Il timore, secondo Damiano, è che le aziende possano aumentare i processi di ristrutturazione e di mobilità creando un picco di disoccupazione socialmente inaccettabile. Uno scenario simile mal si concilia con i nuovi ammortizzatori, che proteggono i lavoratori per periodi più brevi, senza peraltro essere universali.L’indennità una-tantum per i collaboratori coordinati e continuativi disoccupati, infine, sarà sottoposta a un periodo di prova negli anni 2013, 2014 e 2015. In questo triennio la misura sarà di fatto potenziata: prima di tutto, il requisito relativo alle mensilità accreditate presso la Gestione separata dell’Inps è ridotto da 4 a 3, aumentando la platea potenziale di interessati. Inoltre l’importo dell’indennità è aumentato dal 5 al 7 per cento del minimale annuo (da moltiplicare per il minor numero tra le mensilità accreditate l’anno precedente e quelle non coperte da contribuzione). Infine, le risorse disponibili per l’erogazione delle indennità sono integrate da un contributo straordinario di 60 milioni di euro l’anno, che va a sommarsi ai 54 milioni di euro l'anno destinati dal Fondo per l'occupazione previsto dalla legge 2 del 2009. Cosa accadrà nel 2016? Tutto dipende dalle valutazioni sul funzionamento dell’indennità nei prossimi tre anni. Se la misura dimostrerà effettivamente di rispondere alle esigenze di sostegno ai cococo e cocopro in misura proporzionale all’onere per lo Stato (ovvero: se il gioco varrà la candela), l’indennità una-tantum potrebbe restare in forma normale o, eventualmente, potenziata da nuove disposizioni normative. In caso contrario, potrebbe essere sostituita del tutto dalla mini-Aspi, come suggerisce sin d’ora l’emendamento approvato dal Senato.di Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- I tirocini nel mezzo del cammin della riforma- Cocopro, partite Iva e stipendi dei precari: le proposte dell'emendamento Castro-Treu- Contratto di inserimento addio: ecco l'unica tipologia abrogata dalla riforma

Partite Iva, associati in partecipazione e interinali: la riforma dopo il passaggio in Senato

Entro il prossimo 28 giugno il Parlamento potrebbe dare il via libero definitivo alla riforma del mercato lavoro. La nuova deadline è stata resa nota da Gianfranco Fini, presidente della Camera - dove il disegno di legge è arrivato a fine maggio dopo essere stato approvato dal Senato. Rispetto al testo originario presentato dal ministro Fornero lo scorso 4 aprile, quello giunto a Montecitorio contiene tuttavia novità importanti (e non sempre positive) anche per quanto riguarda le partite Iva, gli associati in partecipazione e i lavoratori in somministrazione. Tipologie utilizzate nella maggior parte dei casi  per inquadrare i lavoratori più giovani. Autonomi. Per quanto riguarda il variegato universo degli autonomi, nelle scorse settimane la Repubblica degli Stagisti aveva calcolato in circa 350mila i potenziali destinatari della riforma. Un esercito di “false partite Iva” che a distanza di un anno dall’entrata in vigore della legge avrebbero potuto o trasformarsi in collaboratori coordinati e continuativi per i rispettivi committenti o, nelle ipotesi peggiori, vedere interrotti molti degli attuali rapporti di lavoro.  Ma nella nuova formulazione il ddl Fornero propone una versione assai depotenziata dell’originario art. 9. Intanto perché restringe - seppure di poco - due dei tre requisiti necessari per individuare il falso autonomo. Ferma restando la condizione della postazione fissa presso la sede del committente, la durata massima della collaborazione per uno stesso datore di lavoro si allunga infatti da 6 a 8 mesi nel corso dell’anno solare. Anche il tetto delle fatture emesse dal collaboratore ad uno stesso soggetto viene ritoccata al rialzo, passando dal 75% all’80% del totale dei corrispettivi annuali. Le novità più significative si leggono tuttavia ai commi 2 e 3 del nuovo articolo 69bis della legge 276/2003 introdotto dal ddl, dove si elencano tutta una serie di casi di esclusione dal campo di applicazione della norma. Anzitutto si stabilisce una nuova soglia di reddito, fissata in circa 18mila euro lordi annuali (circa 800 euro netti mensili), al di sopra dei quali l’autonomo sarà in ogni caso considerato “autentico” per la legge. Insieme a questi professionisti, considerati autenticamente liberi benché sulla soglia della povertà, si ribadisce poi la parziale esenzione degli appartenenti agli ordini professionali per quanto riguarda lo svolgimento delle prestazioni per le quali è indispensabile essere iscritti «ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali». Un passaggio che aveva già suscitato le critiche di molte associazioni di professionisti, che lamentavano l’oggettiva difficoltà nel distinguere tra attività svolte in qualità  iscritti o di non iscritti ad un determinato ordine professionale. Il governo sembra in effetti  aver preso atto del problema, affidando ad un decreto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali l’arduo compito di definire - entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge - un elenco puntuale delle attività soggette alle nuove disposizioni. In attesa di capire in quanti e quali casi le professioni regolamente saranno esentate, il perimetro della riforma si restringe ulteriormente se si considera il passaggio relativo a quelle prestazioni connotate «da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività». Con questa generica formula il dispositivo lascia presupporre un'esclusione dal nuovo regime della totalità dei prestatori di lavoro intellettuale, dal momento che una "formazione significativa” e una "esperienza rilevante” rappresentano due requisiti basilari per avviare qualsiasi collaborazione di questo tipo. Se, com’è possibile, il testo verrà approvato in questa forma anche dalla Camera sarà dunque piuttosto difficile parlare di un'autentica riforma del lavoro autonomo. In questo ambito la legge Fornero si limiterebbe di fatto a sanare la posizione di alcune migliaia di lavoratori inquadrati come autonomi per svolgere mansioni meramente esecutive e ripetitive, come nei casi limite dell’edilizia e del commercio. Associati in partecipazione. Proprio sul fronte del commercio il testo uscito da palazzo Madama conferma le modifiche peggiorative già apportate alla disciplina del contratto di associazione in partecipazione nella traduzione delle linee guida in ddl. Diffuso soprattutto tra commesse e commessi impiegati nelle attività commerciali, l’istituto è oggi uno dei più convenienti per la parte datoriale e in assoluto uno dei più rischiosi per il lavoratore. Che con questa formula partecipa agli utili ma anche alle eventuali perdite dell’impresa, pur svolgendo il lavoro tipico di un dipendente, per il quale percepisce mediamente anche un compenso inferiore. Dall’iniziale volontà di abolire l’istituto, si è infine optato per una restrizione ad un massimo di tre associati per impresa, esclusi i coniugi, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore. A vantaggio del lavoratore il ddl introduce tuttavia una sanzione più severa per il datore che utilizza impropriamente questo contratto: in caso sia accertata la violazione, l’associato si trasformerà d’ora in avanti in un dipendente a tempo indeterminato. Lavoratori in somministrazione. Sul fronte della somministrazione, la prima novità introdotta al Senato riguarda il raddoppio, da sei mesi ad un anno, della durata del primo contratto a tempo determinato stipulato in assenza di causale, senza cioè la necessità di indicare le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive con cui l'impresa è sempre tenuta a  giustificare l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro. La norma riguarda anche la prima missione (a termine) svolta dal lavoratore in somministrazione, incentivando così imprese e agenzie per il lavoro a stipulare nuovi contratti a tempo. Il governo non ha invece fatto sconti sulla richiesta avanzata da Assolavoro di esentare gli interinali dal costo aggiuntivo dell'1,4% che a partire dal 2013 si applicherà a tutti i contratti di durata prefissata, somministrati inclusi. Nulla di fatto anche per quanto riguarda la richiesta dell'associazione che riunisce le agenzie interinali di non computare i rapporti a tempo svolti in somministrazione nella somma dei 36 mesi oltre i quali il contratto a termine stipulato con lo stesso datore di lavoro si trasforma automaticamente in tempo indeterminato. L'ultima importante novità riguarda infine l'apprendistato in somministrazione: una tipologia contrattuale molto discussa, che nei mesi scorsi aveva spaccato il sindacato tra favorevoli (Cisl e Uil) e contrari (Cgil) alla possibilità di svolgere in questa forma i tre anni formazione-lavoro. Con una modifica dell'ultim'ora, la riforma blocca sul nascere la possibilità di impiegare apprendisti in somministrazione a tempo determinato. Ilaria CostantiniSu questo argomento leggi anche: - Partite Iva vere e false: cari senatori, 18mila euro all'anno sono un reddito sotto la soglia della dignità- I tirocini nel mezzo del cammin della riforma- Cocopro, partite Iva e stipendi dei precari: le proposte dell'emendamento Castro-TreuE anche:- Contratto di inserimento addio: ecco l'unica tipologia abrogata dalla riforma