Categoria: Approfondimenti

Che fine ha fatto l'impresa a 1 euro per i giovani? Incagliata nella burocrazia

Il decreto Sviluppo votato ieri dal consiglio dei ministri ha eliminato il limite di età: d'ora in avanti chiunque potrà fondare una ssrl, anche gli over 35. Peccato che fino ad oggi non ci siano riusciti nemmeno gli imprenditori più giovani. Sì, perchè della società semplificata a responsabilità limitata, la cosiddetta «impresa a 1 euro», si sono perse le tracce. Il governo Monti con il decreto 1/2012, poi convertito nella legge 27 approvata il 24 marzo, aveva istituito questa formula societaria per i giovani. Condizione per fondarla: che i soci, alla data della firma dell'atto costitutivo, non avessero ancora compiuto il 35simo anno di età. Un limite che ieri è stato cancellato. Obiettivo dichiarato della norma originaria era quello di favorire l'imprenditoria giovanile, sia riducendo i costi di avviamento che snellendo gli aspetti burocratici. In particolare abolendo l'imposta di bollo (65 euro) e i diritti di segreteria (92,60 euro), oltre agli oneri notarili, quantificabili tra i 600 e gli 800 euro. E concedendo di versare un capitale sociale pari a 1 euro anziché 10mila. Un elemento, quest'ultimo, che non ha mancato di suscitare qualche critica. Una su tutte: come potranno queste aziende accedere al credito? Chi si fiderà a diventare loro fornitore visto che il capitale sociale, la garanzia in caso di mancato pagamento, è pari ad appena un euro? Anche per rispondere a queste sollecitazioni l'esecutivo ha deciso ieri che il 25% degli utili dovrà essere accantonato fino a che non sarà raggiunta la somma di 10mila euro, che diventeranno il capitale sociale dell'azienda.La legge votata a marzo ha creato intorno a sé una grande attesa. Il testo prevedeva che entro 60 giorni dall'approvazione il governo avrebbe emesso un decreto attuativo, all'interno del quale avrebbe definito un modello standard di statuto societario. Quest'ultimo elemento è il 'grimaldello' che permette di abbattere i costi legati ai notai - che non dovrebbero più elaborare un atto, ma limitarsi a riempire il modulo tipizzato con i dati anagrafici dei soci. I 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale sono però scaduti il 25 maggio, e del decreto attuativo nemmeno l'ombra. Un ritardo che viene segnalato anche da alcuni diretti o indiretti interessati, come Franco Meloni sul blog aladinpensiero e Maurizio Frontera con una lettera pubblicata sul sito del senatore Pietro Ichino. «La legge viene applicata con comodità» è il commento amaro di Meloni [nella foto a sinistra]. Suo figlio Francesco, grafico 32enne, ha ricevuto un finanziamento nell'ambito del progetto Promuovidea: inizialmente pensava di dar vita ad una società individuale, ma si è fermato in attesa che venisse definita la ssrl. Il risultato è che è ancora fermo. Il padre, dopo aver scritto più volte ai ministeri competenti, è finalmente riuscito ad ottenere una risposta. In pratica, il ministero dell'Economia e quello dello Sviluppo economico hanno fatto la loro parte, inviando la documentazione al ministero della Giustizia il 18 maggio. Quest'ultimo, il 25 maggio, ha trasmesso il tutto al Consiglio di Stato, chiamato ad esprimere un parere ai sensi della legge 400 del 1988.Peccato però che la richiesta sia partita in grandissimo ritardo: proprio il giorno in cui la legge avrebbe dovuto diventare pienamente operativa. Il CdS si è mosso anche in fretta, esaminando la questione lo scorso 7 giugno, ma il relatore non ha ancora messo per iscritto la decisione dei giudici. Stando al regolamento avrebbe un anno di tempo per farlo: ma, assicurano dall'ufficio stampa di Palazzo Spada, il parere verrà consegnato in «tempi brevi». Quanto, non si sa. Il Consiglio di Stato esprimerà le proprie osservazioni in un parere non vincolante che il ministero potrà recepire in tutto o in parte. Nel caso in cui il guardasigilli decida di modificare il decreto attuativo dovrà poi rimandare il testo perchè venga approvato dal ministero dell'Economia e da quello dello Sviluppo economico. A questo punto almeno non sarà più necessario un secondo passaggio al CdS.Intanto, mentre la burocrazia è al lavoro, i giovani aspiranti imprenditori aspettano. Il problema per loro non riguarda solo la frustrazione ben riassunta da Frontera che, nella sua lettera a Ichino, si definisce «un giovane cittadino italiano che dà l’ultima possibilità al suo Paese prima di andare via». Al danno si aggiunge una piccola beffa: il parere del Consiglio di Stato è solo consultivo, non vincolante. In altre parole, paradossalmente il ministero della Giustizia potrebbe anche decidere di ignorarlo. Intanto però aspetta di riceverlo prima di pubblicare il decreto attuativo - e di dare dunque la possibilità di fondare una ssrl.  L'inerzia dell'esecutivo rispetto a questo provvedimento crea qualche malcontento all'interno della stessa maggioranza. La deputata Amalia Schirru [nella foto a destra] insieme ad alcuni colleghi del gruppo del Partito democratico ha infatti depositato lo scorso 6 giugno un'interrogazione parlamentare per chiedere al ministro Paola Severino «quali iniziative si intendano avviare perché venga adottato con la massima urgenza il provvedimento», così che si possano dare «risposte certe e rapide ai nuovi imprenditori».I quali è bene che sappiano fin da subito che, anche quando il decreto attuativo verrà pubblicato, non potranno pensare di avviare un'attività con un solo euro. Lo slogan si riferisce infatti al solo capitale sociale ma ci sono alcune spese che il governo non ha affatto abolito: per fondare una società semplificata occorre comunque versare l'imposta di registro (168 euro), la tassa annuale per la bollatura dei libri contabili (309,87 euro) e l'iscrizione alla Camera di Commercio (200 euro). Sarà anche semplificata, insomma, ma l'«impresa a 1 euro» ne costa quasi 700.  In più, gli over 35 che decideranno di usufruire di questa tipologia dovranno pagare l'imposta di bollo sull'atto costitutivo e sui libri contabili. Il testo approvato dal governo stabilisce poi che «il ministero della Giustizia fissa l’importo massimo per il rimborso delle spese generali che il notaio può chiedere nel caso in cui i soci abbiano età superiore ai 35 anni». In ogni caso, al momento, sia over sia under 35 aspiranti fondatori di società semplificate a responsabilità limitata  restano in attesa - e ancora non si sa per quanto. Riccardo SaporitiSe hai trovato interessante questo articolo, leggi anche:- Imprenditoria giovanile, ecco chi la sostiene- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partireE anche:- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa- Non più bambini, oggi le Cicogne portano babysitter- Matteo Achilli e Davide Cattaneo, due giovani imprenditori si raccontano

Non più bambini, oggi le Cicogne portano babysitter

«Quando mi si è presentata quest'occasione, ho capito che non potevo rimandare». Sarà stato il dna imprenditoriale - la madre ha un negozio per bambini, il padre un'azienda di sanitari - fatto sta che quando si è trovata di fronte alle condizioni giuste, Monica Archibugi non ha esitato. Ed ha fondato «Le Cicogne».Quasi 24 anni, al primo anno del biennio di specializzazione in Economia e gestione delle imprese e dei servizi sanitari alla Cattolica di Roma, ha trasformato il passaparola in impresa. Sì, perché Lecicognebabysitter è un sito dove i genitori possono trovare studentesse universitarie disponibili ad accudire i loro figli, ad andarli a prendere a scuola, ad aiutarli a fare i compiti. «Lavoro da quando ho 18 anni. Ho fatto la commessa in diversi negozi, ho avuto un posto da segretaria, ho svolto anche un tirocinio in università. E ho fatto anche la babysitter: ma all'inizio solo sporadicamente».Col tempo, Monica si è resa conto che «era il lavoro più comodo: si svolgeva vicino casa ed era quello maggiormente remunerativo». E garantiva 8 euro l'ora contro i 6 euro guadagnati facendo la commessa o la segretaria. Senza contare che si trattava di un impegno più flessibile e meno gravoso in termini di tempo. L'idea che ha permesso di fondare un'impresa è arrivata quando «mi è stato chiesto di accompagnare, con la mia macchina, una bambina a fare sport». Da qui è nato il «baby-taxi», uno dei servizi offerti dalle Cicogne. «In poco tempo la voce si è sparsa e io non facevo altro che girare per andare a prendere i bambini a scuola e portarli in palestra, a lezione di musica, alle feste di compleanno». Le richieste erano così tante che «non riuscivo più a gestire la domanda. Allora ho coinvolto delle amiche».È stato in questo momento che ha visto «un'occasione d'oro per fare incontrare la domanda dei genitori e l'offerta delle ragazze», capendo che non era possibile rimandare: «Se avessi aspettato, avrei perso i contatti con i genitori. In più, le ragazze arrivavano da sole, grazie al passaparola. Ho visto un bisogno e ho voluto approfittarne per creare un business». Ecco quindi che, nell'ottobre dello scorso anno, è nato il sito: pensato per ragazze che hanno dai 18 ai 28 anni, che ancora studiano oppure si sono appena laureate e cercano un lavoro. E intanto arrotondano facendo le babysitter.L'esistenza ufficiale delle Cicogne, con la dichiarazione di inizio attività e l'attivazione della partita Iva, è avvenuta però solo a febbraio 2012. «Mi ero rivolta alla Camera di commercio di Roma ma, registrando così la mia attività, avrei dovuto pagare ogni tre mesi 800 euro all'Inps, una cifra che non guadagno nemmeno ora». Continuando ad informarsi su Internet, Monica ha realizzato di possedere le caratteristiche di un lavoratore autonomo: «A quel punto sono andata all'Agenzia delle entrate dove è bastata una mattinata per ottenere la mia partita Iva». Nessun capitale versato, quindi, ma solo le spese di creazione e registrazione del sito, i volantini pubblicitari, i biglietti da visita e il materiale di cancelleria. Circa 2mila euro di risparmi che la giovane ha voluto investire per dare vita alla sua attività. Senza bisogno di un ufficio: «Lavoro da casa, dove ho collocato la sede legale», e grazie a degli amici disposti ad aiutarla nella realizzazione del sito, le Cicogne sono finite online.Ma come funziona questo portale? In pratica, fa incontrare domanda ed offerta. Ai genitori l'utilizzo del sito non costa nulla, visto che versano quanto dovuto direttamente alle ragazze (chiamate «cicogne»). Per ogni attività viene segnalato un prezzo di massima, ma Monica tiene a sottolineare che non prende alcuna percentuale: «Si tratta solo di indicazioni per aiutare i genitori e le babysitter a definire il costo del servizio». Resta, al momento, un problema: verificare che i pagamenti non avvengano in nero. «Purtroppo ancora non ho un meccanismo che mi consenta di farlo» ammette «ma io esorto le famiglie ad utilizzare modalità di pagamento regolari come i buoni lavoro o i contratti di tipo occasionale, addirittura part-time per quelle giovani che lavorano di più. Il problema più comune è la scarsa conoscenza: molti non conoscono queste tipologie o pensano che siano troppo complicate». L'intenzione, però, è quella di implementare il sito con una sezione informativa dedicata a queste tematiche.I ricavi di quest'attività arrivano dunque dalle babysitter: 20 euro per registrarsi sul sito, più un rinnovo mensile dell'iscrizione, a partire dal terzo mese, di 10 euro. Per ora i pagamenti avvengono solo in contanti, in futuro anche online. «Sono partita a ottobre con cinque amiche, oggi abbiamo superato le 150 iscrizioni anche se le ragazze attive sono novanta». Cui si aggiungono anche dieci «Cicogne blu», ragazzi disponibili innanzitutto per le ripetizioni ma piano piano anche per le altre attività. A loro il compito di occuparsi dei figli di oltre un centinaio di famiglie che utilizzano i servizi offerti. Ovvero il classico babysitting, il «baby taxi» che ha dato vita a questa realtà e il «baby teaching»,  appunto le lezioni a domicilio.Come vengono scelte, però, le cicogne? «Conosco personalmente tutte le ragazze e i ragazzi e questo è un fattore fondamentale. Voglio essere sicura che siano tutti educati, gentili, disponibili e soprattutto volenterosi». Una volta arruolati, è direttamente Monica a scegliere quale inviare nelle singole famiglie sulla base di tre criteri: la disponibilità nei giorni richiesti, la vicinanza, l'anzianità di registrazione sul sito. In futuro però questo meccanismo cambierà: «Voglio modificare il portale dando alle ragazze la possibilità di rendersi disponibili per una o più offerte. A quel punto i genitori potranno scegliere, tra le persone disponibili, una sola persona, in base alle referenze e ad un sistema di feedback che misuri il gradimento del servizio che verrà implementato sul nuovo sito». Prima di assumere una ragazza le famiglie non avranno accesso «alla foto, al cognome e nemmeno al cellulare». Questo «per evitare discriminazioni e per evitare che vengano sommerse di telefonate, magari anche per dei lavori troppo lontano da casa loro».Una volta entrate in contatto con le famiglie, però, perché le Cicogne dovrebbero rimanere attive sul portale? «Per due motivi» risponde sicura Monica: «Intanto per trovare altre offerte di lavoro ed incrementare i guadagni, e poi per assicurarsi una sostituta in caso di necessità». Il sito offre infatti anche questo servizio, possibile grazie al fatto che «i genitori si fidano». Anche se è capitato che, dopo i primi due mesi, qualche cicogna abbia abbandonato il nido per continuare in solitaria. «Io sono felice comunque. Non voglio obbligare nessuno a rimanere registrato. E poi possono tornare in qualsiasi momento».Fin qui il presente. Le prospettive per il futuro, però, non mancano. Un vero e proprio boom di contatti il sito li ha registrati dopo che, a fine marzo, Monica ha partecipato ad una puntata di «PiazzaPulita», il programma di Corrado Formigli su La7. Oltre a raccontare della sua esperienza di imprenditrice, la giovane ha avuto modo di dire la sua anche sulla modifica dell'articolo 18: «Licenziare più facilmente non è un tabù, anzi dovrebbe essere un modo per incentivare le persone a dimostrare che possono dare di più».Anche grazie a questa visibilità mediatica, che ha portato «Le Cicogne» perfino sul Corriere della Sera, Monica punta ad espandere la sua attività: al momento sta partecipando ad un corso per start-up chiamato InnovAction Lab. Iniziato a metà aprile, entro fine giugno le permetterà di elaborare un business plan da presentare ad alcuni potenziali investitori. E chissà che tra loro Monica non trovi qualcuno disposto a spendere i 3mila euro necessari per modificare il sito, allargando così il volo delle Cicogne dalla sola città di Roma a tutta l'Italia.Riccardo SaporitiVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partire- Milano si impegna per attrarre i cervelli in fuga- Regione Piemonte, un milione di euro per chi sostiene i giovani imprenditori

Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all'osso

L'articolo 34 della Costituzione recita «La scuola è aperta a tutti», e aggiunge: «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso». Studiare è dunque un diritto, anche se l'istruzione superiore comporta costi non sempre facili da sostenere: le tasse universitarie variano a seconda dell'ateneo e del corso di laurea, ma l'importo rimane sempre piuttosto elevato. A questo scopo a partire dagli anni Novanta ogni Regione ha istituito per legge un ente per il diritto allo studio universitario che si occupa di garantire l'accesso allo studio e agevolazioni per la vita quotidiana degli studenti sotto varie forme: borse di studio che coprono parzialmente o totalmente l'importo delle tasse; assegnazione di alloggi presso strutture legate all'università (casa dello studente); servizio mensa gratuito; buoni per l'acquisto dei libri di testo; contributo per usufruire del trasporto pubblico locale. Il fondo per il diritto allo studio è regolamentato dalla legge 390/91, che prevede che esso sia erogato in parte dal ministero dell'Istruzione e in parte dalle Regioni, le quali integrano lo stanziamento ministeriale con fondi propri con i proventi delle tasse regionali per il diritto allo studio universitario. Le agevolazioni sono erogate con un bando che viene indetto annualmente e che prevede la formulazione di una graduatoria basata sul reddito (certificato con attestazione Iseeu) e sul conseguimento di un numero minimo di crediti nell'arco dell'anno accademico.Alcuni dati riguardo l'accesso ai servizi per il diritto allo studio sono rilevabili dall'ultimo rapporto annuale Almalaurea, che riguarda oltre 190mila studenti che si sono laureati nel corso del 2010 nelle 57 università italiane facenti parte di questo consorzio. Secondo l'indagine i servizi maggiormente utilizzati dagli studenti sono il servizio mensa (55%), il prestito libri (39%) e la borsa di studio. In particolare, sono circa 45mila gli studenti laureati nel 2010 che hanno beneficiato della borsa di studio, meno di un quarto del totale - e peraltro uno su tre ne ha ritenuto inadeguato l'importo. La fruizione della borsa di studio è maggiore per le università del Sud e delle Isole (28%). Poco più di un terzo degli studenti ha invece usufruito di un alloggio o posto letto, per esempio un monolocale o una stanza in appartamento privato, ma di questi solo il 4,1% ha abitato in strutture messe a disposizione dall'università.Nella relazione di Federconsumatori sul costo della vita per gli studenti universitari si scopre poi che le tasse di iscrizione all'università hanno un importo medio compreso tra 515 e 866 euro annui. Il picco massimo supera i mille euro nella fascia di reddito massima degli studenti iscritti alle facoltà del Nord. Il costo medio nazionale per l'acquisto di libri e materiale didattico è 625 euro, mentre per mettere un tetto sopra la testa ai propri pargoli fuorisede le famiglie sborsano mediamente 3.900 euro all'anno (per una stanza singola) oppure 2.790 (se ci si accontenta di un posto letto in doppia). Qualche esempio concreto per le città dove l'afflusso di studenti è maggiore: a Perugia una camera singola costa 250-350 euro al mese e una doppia 200-250 euro, mentre a Bologna l'affitto di una singola è 400-500 euro al mese e una doppia 300-350 euro.I tagli al diritto allo studio operati dall'ultimo governo Berlusconi, con provvedimento congiunto da parte dei ministri Gelmini e Tremonti all'interno del cosiddetto «ddl stabilità», hanno ridotto - all'interno del bilancio di previsione - da 246 a poco meno di 26 milioni di euro i finanziamenti per l'anno accademico in corso. Con l'effetto collaterale che 29mila studenti (circa il 20% del numero complessivo degli aventi diritto), pur figurando vincitori di borsa, non hanno potuto beneficiarne. E per il 2013 è previsto una ulteriore riduzione che porterebbe i fondi a soli 12 milioni di euro: il 95% in meno rispetto a soli due anni fa - a meno che non intervengano di nuovo correzioni a fine anno. Le conseguenze di questo provvedimento si stanno delineando in diverse Regioni, che attraverso i mezzi di informazione locali provano a denunciare la situazione che potrebbe verificarsi a partire dal prossimo anno accademico. Qualche esempio. L'ultima in ordine di tempo è il Piemonte, dove si prevede un taglio di 9 milioni di euro a Edisu, l'ente piemontese per il diritto allo studio, circa il 60% in meno rispetto a quanto erogato fino a oggi (4mila borsisti in meno rispetto allo scorso anno accademico). Non solo: ai requisiti già presenti per entrare in graduatoria si è aggiunto l'obbligo di una media di voti non inferiore a 25/30, pena l'esclusione.Situazione analoga anche in Sicilia, dove il taglio del 30% rispetto all'anno scorso potrebbe portare alla chiusura delle mense universitarie, una drastica riduzione degli alloggi e il taglio di oltre la metà delle borse di studio finora erogate (circa 2mila all'anno).La Liguria ha invece deciso di azzerare completamente le borse di studio per le prossime matricole: negli ultimi due anni è stata l'Azienda regionale a coprire il totale dei rimborsi per gli studenti aventi diritto, ma con i recenti tagli questo non sarà più possibile.Questo problema sta gradualmente toccando tutte le regioni italiane. In un clima di crisi economica come quello che stiamo vivendo si parla molto di crescita e rilancio all'impresa, ma forse si dimentica che per accedere al mondo del lavoro bisogna prima avere un'istruzione. E se l'istruzione diventa un lusso, si genera una condizione di immobilità per cui solo i figli di famiglie abbienti possono accedere ai livelli più alti del percorso di studi. In barba a quel diritto costituzionale che dovrebbe essere invece garantito sopratutto ai «capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi».Marta Traversocon la collaborazione di Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Università, i corsi iper-professionalizzanti non sempre pagano- Master post-laurea, un giro d'affari da 100 milioni di euro. E se la "bolla" stesse per sgonfiarsi?

Provincia di Padova, giallo sulle linee guida per i tirocini di qualità

Una maggioranza che approva linee guida per garantire stage di qualità, ma poi non le applica. O almeno non a tutti i tirocini. Un'opposizione, che pure ha collaborato a questo provvedimento, che annuncia un'interrogazione per far luce sull'accaduto senza presentarla mai - almeno a quanto risulta agli uffici della segreteria del consiglio provinciale. Insomma un vero e proprio giallo. Succede a Padova, dove lo scorso 22 novembre la giunta di centrodestra guidata da Barbara Degani [nella foto a destra] approva un documento che dovrebbe arginare lo sfruttamento dei tirocinanti nel territorio provinciale. Un'iniziativa proposta da Paolo Giacon (Pd) e subito abbracciata dalla maggioranza. La delibera introduce un rimborso spese minimo (400 euro al mese per i laureati, 300 per i diplomati), vieta l'uso degli stagisti in sostituzione di personale in maternità o in malattia, impedisce l'attivazione di progetti in aziende in cassa integrazione, stabilisce l'impossibilità di organizzare tirocini per mansioni di basso profilo. Misure tanto più importanti se si pensa che, negli ultimi tre anni, la provincia di Padova ha visto crescere del 43% gli stage.Sempre alla fine di novembre il Veneto attiva «Welfare to work», un progetto che finanzia 1.250 percorsi formativi in tutta la regione. Il bando prevede un rimborso spese pari a 600 euro, più alto di quello imposto dalla giunta padovana, ma non pone alcun altro limite all'utilizzo degli stagisti. E chi si aspetta che le linee guida colmino questa lacuna, almeno per gli stage attivati sul territorio della provincia di Padova, rimane deluso. Alcuni lettori segnalano l'anomalia alla Repubblica degli Stagisti, che riceve una conferma da Giorgio Santarello, responsabile della direzione lavoro provinciale.«Sono davvero stanca delle polemiche sterili e pretestuose. Come si possono applicare delle regole ad un bando già chiuso?» ribatte subito Degani: «il progetto WtW non ha seguito le nostre linee guida perché il finanziamento è relativo ad un bando regionale approvato prima della delibera provinciale». La presidente, oltre a confermare la mancata applicazione del contenuto della delibera che lei stessa ha votato, entra nel dettaglio ricordando che «le linee guida sono state approvate nella seduta di giunta del 22 novembre 2011, quindi sono entrate in vigore dal 1° gennaio del 2012, mentre il bando WtW è stato realizzato prima, aperto il 1° settembre e chiuso il 31 dicembre».Alla Repubblica degli Stagisti queste date però non tornano. Dal bollettino ufficiale della Regione Veneto (n° 88 del 25 novembre 2011) risulta che il bando sia stato indetto con decreto 1427 della direzione regionale del lavoro datato 9 novembre 2011: solo 13 giorni prima della delibera sui tirocini di qualità, e non oltre due mesi prima come afferma la presidente. Inoltre la pubblicazione sul web dell'avviso relativo a Welfare to Work è avvenuta il 29 novembre, quindi quattro giorni dopo l'approvazione delle linee guida. Infine il bando non si è chiuso il 31 dicembre, ma il 5 gennaio.Degani afferma poi che il documento sui tirocini di qualità «è entrato in vigore dal 1° gennaio 2012». Ma nel testo approvato dalla giunta, reperibile sul blog dell'assessore al Lavoro Massimiliano Barison, non vi è alcun cenno a questo tipo di scadenza. Anzi a ben guardare la normativa di riferimento, cioè l'articolo 134 comma 3 del testo unico degli enti locali, stabilisce che le deliberazioni diventino esecutive «dopo il decimo giorno dalla loro pubblicazione» all'albo pretorio. Le linee guida sui tirocini di qualità, insomma, sono entrate in vigore quando il bando WtW era appena stato aperto. Ma la provincia ha ugualmente deciso di non estenderne l'applicazione al progetto regionale.Ancora la Degani specifica: «Il bando regionale prevedeva al termine del periodo di stage l'impegno dell'azienda all'assunzione e aveva dunque già di per sé una valenza qualitativa molto elevata, oltre a prevedere una borsa lavoro di 500 euro mensili». A parte il fatto che il rimborso spese a favore degli stagisti era pari a 600 euro, qui la presidente della Provincia si avventura in un territorio impervio: perchè in realtà non era affatto previsto, per questa iniziativa, l'obbligo di assunzione al termine dello stage. L'unico meccanismo che incentivava l'apertura di un rapporto di lavoro era legato al fatto che, se la firma fosse arrivata prima della conclusione dei quattro mesi di tirocinio, la borsa per il periodo rimanente sarebbe stata versata direttamente nelle casse dell'azienda ospitante, una sorta di bonus per aver inserito il tirocinante in azienda.Rimane il fatto che i centri per l'impiego padovani hanno attivato all'inizio del 2012 decine di stage non conformi agli standard di qualità prescritti da una delibera provinciale. Cosa ne dice Paolo Giacon, l'ispiratore di quella delibera? L'esponente del Pd, nello scorso mese di marzo, aveva annunciato alla Repubblica degli Stagisti l'intenzione di presentare un'interrogazione, e recentemente si era lamentato di non aver «mai ricevuto risposta, nonostante siano trascorsi i tempi previsti dal regolamento».A questo punto la vicenda si fa misteriosa. «Agli atti non risultano interrogazioni presentate in merito dal consigliere Giacon», dichiara infatti Degani. Ma questo documento c'è o non c'è? La giunta nega, il Pd giura il contrario. Nonostante le ripetute richieste della Repubblica degli Stagisti, Giacon non ha mai trasmesso una copia del testo. Insomma, un vero e proprio giallo. Di questo pasticcio chi sia il colpevole non è dato sapere, ma certamente si può intuire chi siano le vittime: gli stagisti della provincia di Padova.Riccardo SaporitiPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Padova, le linee guida sui tirocini di qualità ci sono ma non vengono applicate- La Regione Veneto avvia Welfare to Work: 1.250 stage con rimborso di 600 euro al mese per gli under 30- Oltre mille tirocini attivati in un mese: in Veneto stagisti a caccia di aziende- Provincia di Padova, la giunta detta le linee guida: stop agli stage gratuiti e niente stagisti nelle imprese non virtuoseE anche:- La legge 34/2008 della Regione Piemonte su mercato del lavoro e stage- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio

Lavoratori dello spettacolo, l'appello dell'Enpals: denunciate le irregolarità

«Io ho 36 ispettori su tutto il territorio nazionale. E i lavoratori attivi, quelli che dovremmo controllare, sono 290mila». A sfogarsi con la Repubblica degli Stagisti è Marilù Padula, dal 2010 responsabile della Direzione vigilanza ispettiva dell'Enpals, l'ente previdenziale che si occupa dei lavoratori dello spettacolo, oggi assorbito dall'Inps e in attesa di conoscere il suo assetto futuro dopo la pubblicazione dei decreti attuativi prevista per il 31 maggio. Cinema, teatro, musica dal vivo, ma anche sport: sono questi i settori seguiti dalla struttura.O almeno che dovrebbero essere tenuti sotto controllo. Sì, perché se si tiene conto che, in media, ogni ispettore dovrebbe verificare le posizioni di più di 8mila persone, si capisce facilmente quanto siano larghe le maglie della rete con cui Enpals cerca di stanare le irregolarità. Eppure la pesca, quando c'è, è abbondante. Negli ultimi tre anni, ad esempio, l'ente ha svolto in media più di 600 controlli in altrettante aziende. Riscontrando irregolarità sul piano previdenziale addirittura in due casi su tre. E recuperando ogni anno tra i 20 ed i 30 milioni di euro, tra contributi non versati e sanzioni comminate alle imprese.Segno che le situazioni non regolari ci sono e che basterebbe aumentare le verifiche per 'stanarle'. Del resto che ci fosse qualcosa che non va nel mondo dello spettacolo, la Repubblica degli Stagisti lo aveva messo in evidenza già qualche settimana fa, raccontando la storia di Irene Iaccio, 27nne napoletana trasferitasi a Roma per lavorare nel cinema: una carriera abbandonata dopo un anno e mezzo di lavori non pagati. La giovane aveva raccontato che spesso le case di produzione cinematografica, per salvare le apparenze, versano i contributi per una sola giornata di lavoro, anche se in realtà le persone vengono impiegate magari per due o tre mesi, a seconda di quanto duri la realizzazione del film. Ma l'Enpals cosa fa in questi casi? «Per noi una situazione di questo tipo è la spia di una possibile irregolarità, ma dobbiamo comunque approfondire». Può essere, infatti, che un attore scritturato per un cameo riesca a girare nell'arco di una sola giornata tutte le pose che lo vedono coinvolto. O, pensando alla musica, che un concertista venga chiamato a sostituire per un solo spettacolo un collega indisposto.Ma anche nel caso in cui si abbia la certezza di trovarsi di fronte ad un'irregolarità, il problema è dimostrarla. «Noi convochiamo il lavoratore coinvolto perché renda una dichiarazione spontanea. Il punto è che oltre a questa deve sporgere anche una denuncia». Solo in questo modo, infatti, «le sue parole assumono un valore probatorio». Non basta: servono anche altri elementi a supporto delle affermazioni di chi è stato 'messo in regola' per una sola giornata ma magari ha lavorato un mese. Ad esempio la testimonianza di altre persone presenti sul set, che possano affermare di averlo visto impegnato per un periodo maggiore rispetto a quello per il quale la casa di produzione gli ha versato i contributi.Il problema, ammette Padula, è che i lavoratori non denunciano: «Sono ancora pochi quelli che lo fanno. Le segnalazioni sono anonime, oppure arrivano in via informale». E quando Enpals invita queste persone a mettere nero su bianco quanto segnalato «si spaventano». Il timore è quello di essere emarginati, di non lavorare più. Una paura più che fondata in un settore come quello degli spettacoli, nel quale, stando al rapporto «Professionisti: a quali condizioni?» pubblicato da Ires nel 2011, due operatori su tre ritengno importante il passaparola tra i datori di lavoro per riuscire a trovare un'occupazione. Ed è facile immaginare cosa dirà ai suoi colleghi un produttore di una persona che lo ha denunciato perché non gli venivano pagati i contributi.La scarsità del numero di ispettori rispetto alla mole delle attività da controllare pone poi un ulteriore problema: le verifiche sono spesso «documentali». Ovvero avvengono a cose fatte, quando la produzione è già finita e il film magari è già nelle sale. Non è proprio possibile andare sul set? «Intanto dobbiamo sapere dove sono e quando avvengono le riprese. E poi 21 dei 36 ispettori sono stanziati su Roma», spiega Padula. Per effettuare controlli in tempo reale invece «servirebbero altre tempistiche, una disponibilità immediata». E magari anche qualche impiegato in più. Nell'attesa, un aiuto può arrivare dalle maestranze: «Se arrivassero più denunce qualificate, se i lavoratori, lo dico senza polemica, iniziassero ad avere un po' più di coscienza, ci darebbero un contributo fattivo».Riccardo SaporitiSe hai trovato interessante questo articolo leggi anche:- Lavorare gratis: anche il cinema sfrutta gli stagisti- Stage gratuiti, Caterina versus Flash Art: il botta e risposta con Giancarlo Politi. E il web si rivolta- Io, schiavo per tre anni in una piccola casa editrice- Stage gratuiti e lavoro nero, così sopravvive la microeditoriaE anche:- Emergenza stage anche in Usa, un giornalista si chiede: come sarebbe un mondo senza più stagisti?- Pasquale Carrozzo, animatore del blog dei praticanti commercialisti: «Per evitare lo sfruttamento servono più controlli»

Contratto di inserimento addio: ecco l'unica tipologia abrogata dalla riforma

La riforma Fornero viene criticata da più parti per non aver ridotto il numero - effettivamente molto elevato - di tipologie contrattuali esistenti in Italia. Invece in realtà una di queste verrà abolita: si tratta del contratto di inserimento, che era stato introdotto nel 2003 dalla riforma Biagi per sostituire i vecchi contratti di formazione e lavoro. Nel disegno di legge in questi giorni all'esame del Senato, infatti, non trova posto: verrà abbandonato per garantire la centralità dell'apprendistato come veicolo di ingresso privilegiato nel mondo del lavoro.Oggi il contratto di inserimento è riservato alle categorie di lavoratori "svantaggiati": giovani da 18 a 29 anni; professionisti da 29 a 32 anni disoccupati di lunga durata; cittadini con più di 50 anni che siano privi di un posto di lavoro; lavoratori che desiderino riprendere un’attività e che non abbiano lavorato per almeno due anni; donne residenti in aree geografiche in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno del 20% di quello maschile, ovvero il tasso di disoccupazione sia superiore del 10% di quello maschile; soggetti disabili. L’assunzione del lavoratore risulta poi agevolata da sgravi fiscali e incentivi economici e normativi. Si tratta comunque di un contratto che si può definire quindi piuttosto residuale a livello di numeri: stando agli ultimi dati Inps, nel primo semestre del 2011 sono stati stipulati in tutta Italia 47.602 contratti di inserimento, di cui circa 30mila rivolti a donne. La prima bozza del disegno di legge, cioè il documento presentato dal governo alla stampa il 23 marzo scorso, prevedeva di affiancare l’apprendistato (per i giovani) al contratto di inserimento (per i disoccupati di lungo corso), preservando così il binomio iniziale tra le due tipologie contrattuali. Ma nella versione successiva, il vero e propri ddl depositato il 4 aprile, il ministro Fornero ha compiuto una brusca marcia indietro: il testo dice laconicamente che gli articoli 54-59 del decreto legislativo 276 del 10 settembre 2003 (vale a dire, tutti i punti della riforma Biagi che parlavano del contratto di inserimento) sono abrogati per tutte le assunzioni effettuate a partire dal primo gennaio 2013. I lavoratori svantaggiati che ne hanno usufruito sino ad oggi, ha spiegato il ministro, potranno spendere lo sgravio contributivo per un altro anno ancora applicandolo a un qualsiasi tipo di contratto.Cosa succederà in caso in abrogazione del contratto di inserimento? I pareri degli esperti sono contrastanti. Da un lato c'è il giudizio severo dell'Ordine dei consulenti del lavoro, l'associazione di categoria dei professionisti che assistono i datori di lavoro nella gestione del personale. Il presidente Marina Calderone [nella foto] commenta così con la Repubblica degli Stagisti gli effetti dell’abrogazione: «Più disoccupazione giovanile e di soggetti svantaggiati. Sarà questo il risultato se la riforma lavoro, in discussione in questi giorni, confermerà l’abrogazione del contratto di inserimento, uno degli ultimi strumenti agevolativi in materia di lavoro». Calderone non ha dubbi: «Al contrario di quanto si dica, secondo cui la flessibilità in entrata verrà rappresentata dall’apprendistato, ci sarà una grossa fetta di soggetti in cerca di occupazione, che non hanno più l’età per un contratto di mestiere, e che verranno automaticamente estromessi da una possibili occupazione agevolata per le imprese». Dall’esperienza dei consulenti, aggiunge la presidente, si paventa il «rischio di penalizzare nel mercato del lavoro fasce deboli di lavoratori nei confronti dei quali fino ad oggi il contratto di inserimento ha rappresentato un buon viatico per le imprese, parlando in tema di costo del lavoro».Favorevole, invece, il parere dell’economista Marco Leonardi [nella foto], docente presso la Statale di Milano: «Penso che con la riforma del lavoro il governo abbia fatto scelte molto nette, ma oneste e complessivamente positive. Il contratto di inserimento è stato abrogato per una ragione molto semplice: si è deciso di favorire l’apprendistato rispetto a tutte le altre forme contrattuali come modalità di ingresso nel mondo del lavoro. L’apprendistato ha un costo pubblico molto elevato, quantificabile in 2,5 miliardi di euro. Era quindi necessario concentrare tutte le risorse pubbliche su questa tipologia di contratti, eliminando l’inserimento, aumentando il costo dei contratti a termine e punendo, forse troppo severamente, l’abuso di partite Iva. Se non si riesce ora a far partire l’apprendistato, significa che qualcosa è andato storto nella sua formulazione». Secondo Leonardi, anche la proposta del Pd per introdurre un contratto unico di inserimento è ridondante. «C’è già, e si chiama apprendistato. Il disegno di legge è ancora in via d’approvazione ma probabilmente, nella sua forma definitiva, si rivolgerà a un numero molto ampio di lavoratori, con limiti di età innalzati», conclude Leonardi. Senza contare le competenze delle Regioni in materia di legiferazione locale sul tema dell’apprendistato, che potrebbero permettere – come già accaduto in Campania – l’utilizzo di questo contratto anche per i lavoratori over-50.di Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Riforma del lavoro, ecco punto per punto cosa riguarda i giovani- Riforma del lavoro, il testo apre a nuove linee guida nazionali sugli stageE anche:- Riforma Fornero, cosa non va secondo i sindacalisti esperti di precariato- Abolire gli stage post formazione: buona idea ministro, ma a queste condizioni

Tutto sulle nuove regole degli stage in Lombardia

Come anticipato dalla Repubblica degli Stagisti, la Lombardia è stata una delle prime regioni a muoversi - dopo il "terremoto" della normativa sugli stage dell'estate 2011 - per riorganizzare questa materia a suo piacimento, sfruttando la competenza regionale in materia di formazione. Adesso quindi chi fa stage in Lombardia deve attenersi ai nuovi indirizzi regionali emanati dalla giunta Formigoni [nella foto, con l'assessore al lavoro Rossoni e l'allora ministro Gelmini]. Che purtroppo, salvo alcuni dettagli, non sono altrettanto positivi e tutelanti di quelli contenuti in altri provvedimenti regionali, come per esempio la legge approvata in Toscana o le linee guida emanate dalla giunta abruzzese. Ma in cosa consistono, nel dettaglio, questi indirizzi della Regione Lombardia? Ecco una panoramica dei contenuti.  Tipologie di tirocinio. Ne vengono individuate due: «curriculari» ed «extracurriculari». Nella prima vi sono gli stage per studenti: «finalizzati anche alla realizzazione di momenti di alternanza tra studio e lavoro». I secondi sono invece per tutti gli altri e realizzato allo scopo di «agevolare le scelte professionali attraverso una conoscenza diretta del mondo del lavoro nella fase di transizione, mediante la conoscenza e la sperimentazione di un ambito professionale, ovvero ad acquisire competenze per un inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro».Chi può fare stage. I beneficiari dei «curriculari» sono gli studenti ovviamente: alunni di scuole superiori e istituti professionali «che abbiano compiuto i 15 anni», universitari, allievi di master (non tutti però: solo quelli «realizzati da istituti di alta formazione o scuole di management pubbliche o private, accreditati da enti riconosciuti in ambito nazionale o internazionale»). I beneficiari degli «extracurriculari» invece sono innanzitutto i «neoqualificati o neodiplomati del sistema di istruzione e formazione professionale», poi i «neodiplomati del sistema di istruzione» e infine i «neolaureati». Per queste tre tipologie, i tirocini devono essere promossi «entro dodici mesi dalla data di conseguimento del titolo». Fin qui dunque gli indirizzi seguono pedissequamente quanto stabilito dal governo Berlusconi con l'art. 11 del decreto legge 138/2011. Ma poche righe dopo, la platea viene ampliata a dismisura: «rientrano altresì nell'ambito dei tirocini extracurriculari i tirocini con finalità di inserimento o reinserimento al lavoro». E questi tirocini possono essere attivati a favore praticamente di tutti: «inoccupati, disoccupati, immigrati con regolare permesso di soggiorno, persone con disabilità, soggetti svantaggiati». E per queste ulteriori categorie la Regione non pone limiti rispetto al tempo passato dal conseguimento dell'ultimo titolo di studio.  I quattro protagonisti dello stage. Qui gli indirizzi regionali non si discostano dalla normativa 142/1998, e dispongono che per la realizzazione dei tirocini sia necessaria la presenza di un soggetto promotore con «funzioni di progettazione, attivazione e monitoraggio del tirocinio, nonché di garanzia della regolarità e qualità dell'iniziativa in relazione alle finalità definite nel progetto formativo» (purtroppo però gli stessi indirizzi non sono altrettanto precisi nel definire quali sanzioni rischierebbe un soggetto promotore che non ottemperasse a questi obblighi di qualità); poi un soggetto ospitante cioè «un datore di lavoro pubblico o privato con sede operativa ubicata sul territorio regionale»; a seguire di un tutor didattico organizzativo, «designato dal promotore», obbligatoriamente laureato, «il quale mantiene e garantisce i rapporti costanti tra promotore e tirocinante, assicura il monitoraggio del progetto individuale, predispone la relazione finale del tirocinio, anche ai fini della certificazione delle competenze», e infine il tutor aziendale, «designato dall'azienda tra i lavoratori in possesso di competenze professionali adeguate e coerenti con il progetto formativo individuale». A sorpresa, qui la Regione specifica che non importa che il tutor sia un dipendente stabile della realtà ospitante: vanno bene anche i lavoratori «assunti con contratto a tempo determinato» e addirittura i collaboratori: basta che abbiano un «contratto di collaborazione non occasionale della durata di almeno 12 mesi». Così in Lombardia vengono ufficialmente sdoganati i tutor cococo e cocopro. Soggetti promotori. Oltre ovviamente alle scuole e alle università, possono promuovere stage tutti i soggetti «accreditati ai servizi di istruzione e formazione professionale ed ai servizi al lavoro», quelli «autorizzati ai servizi per il lavoro», quelli «autorizzati nazionali ai servizi per il lavoro», e le «comunità terapeutiche e cooperative sociali a favore dei disabili e delle categorie svantaggiate» iscritte «negli specifici albi regionali». Numero massimo di stagisti. Qui si verifica un ribaltamento della normativa che finora è stata vigente in tutta Italia. Gli indirizzi regionali lombardi infatti cambiano completamente il sistema di calcolo della proporzione tra il numero massimo di stagisti ospitabili contemporaneamente e il numero di lavoratori, prescrivendo che in quest'ultimo gruppo debbano essere conteggiati non solo i dipendenti che lavorano presso la realtà ospitante con contratto a tempo indeterminato, ma anche quelli a tempo «determinato o con contratto di collaborazione non occasionale della  durata di almeno 12 mesi», e in più anche i soci lavoratori e i liberi professionisti. Ciò vuol dire che un'impresa con 5 dipendenti a tempo indeterminato, una decina a tempo determinato e altrettanti collaboratori a progetto, che fino a ieri avrebbe potuto ospitare al massimo uno stagista alla volta, di colpo potrà accoglierne anche tre contemporaneamente. Un altro aspetto preoccupante è che la Regione prescrive il numero massimo di stagisti «extracurriculari […] nello stesso periodo»: aprendo la strada a un'interpretazione molto pericolosa, per la quale in aggiunta a questo tetto massimo le aziende potrebbero ospitare anche un numero (a questo punto imprecisato) di stagisti «curriculari».Obblighi del soggetto ospitante. Viene introdotto il divieto di «realizzare più di un tirocinio extracurriculare con il medesimo tirocinante» e ribadito l'obbligo delle «comunicazioni obbligatorie di avvio, proroga e cessazione dei tirocini extracurriculari» prevedendo che possa essere assolto «mediante trasmissione telematica».   Durata massima. Marcia indietro totale rispetto al dimezzamento che il governo aveva imposto ad agosto sulla durata massima dei tirocini extracurriculari. Se infatti i sei mesi «proroghe comprese» rimangono il tetto massimo per i tirocini destinati a neoqualificati, neodiplomati e neolaureati, la Regione individua però una sottocategoria di tirocini extracurriculari per la quale reintroduce il vecchio tetto massimo di durata, pari a dodici mesi: i «tirocini di inserimento o reinserimento al lavoro». E come si fa a capire quali sono questi tirocini speciali? Semplice: quelli attivati a favore di disoccupati, inoccupati, immigrati, soggetti svantaggiati. Cioè praticamente tutti. Una particolarità però è che la Lombardia introduce un limite al tempo massimo in cui ciascuna persona è inquadrabile attraverso stage extracurriculari: «i periodi di tirocinio extracurriculare sono cumulabili e la loro somma non può superare i 24 mesi». Equivalenti cioè a quattro stage della durata di 6 mesi, oppure a due di 12 mesi, o altre combinazioni ovviamente. Non bisogna però comprendere nel computo dei 24 mesi gli eventuali tirocini curriculari, svolti cioè durante il periodo di studi.Convenzione di stage. Deve contenere «le regole di svolgimento del tirocinio nonché i diritti e i doveri di ciascuna delle parti coinvolte, ivi compresa la previsione del valore del rimborso spese o indennità di partecipazione eventualmente spettante al tirocinante» (questo è l'unico passaggio dell'intero documento in cui venga fatto un riferimento alla possibile presenza di un compenso, che ovviamente resta a totale discrezione del soggetto ospitante scegliere di erogare o non erogare). Attraverso questa convenzione, «firmata dai legali rappresentanti del soggetto promotore e del soggetto ospitante, sottoscritta per presa visione  dal tirocinante», le parti «si obbligano a garantire al tirocinante la formazione prevista nel progetto individuale di formazione, che costituisce parte integrante della convenzione stessa». Ma lo schema di questo documento non è ancora pronto e verrà «adottato con successivo decreto dirigenziale». Diventa anche molto più difficile interrompere anticipatamente lo stage: «ciascuna delle parti firmatarie può recedere dalla convenzione solo per gravi motivi espressamente previsti, in particolare nel caso di un comportamento del tirocinante tale da far venir meno le finalità del progetto formativo, oppure qualora il soggetto ospitante non rispetti i contenuti del progetto formativo o non consenta l'effettivo svolgimento dell'esperienza formativa del tirocinante». Non pare prevista invece la possibilità per il tirocinante di abbandonare lo stage in presenza di un'offerta migliore, ma questo aspetto viene chiarito successivamente.Progetto formativo. Anch'esso ancora in fieri («secondo lo schema che sarà adottato con successivo decreto dirigenziale»), il «progetto formativo individuale» - così come la convenzione - dev'essere sottoscritto da soggetto promotore, soggetto ospitante e tirocinante e deve contenere almeno: «individuazione della struttura ospitante e relativo settore di inserimento; nominativi del tutor didattico e del tutor aziendale; obiettivi formativi e durata; estremi identificativi delle assicurazioni stipulate a favore del tirocinante».Obblighi e diritti del tirocinante. Oltre a illustrare aspetti abbastanza ovvi (svolgere le attività previste, osservare gli orari, rispettare le norme in materia di igiene e sicurezza, mantenere la riservatezza su dati e informazioni interne), questo paragrafo assicura al tirocinante il diritto di interrompere il tirocinio in qualsiasi momento, dandone comunicazione ai due tutor, e quello di ricevere una «certificazione delle competenze acquisite» che dovrà essere rilasciata «dagli operatori accreditati del sistema regionale ai servizi di istruzione e formazione professionale o ai servizi al lavoro». Sicurezza e garanzie assicurative. Qui il documento non porta  sostanziali novità, ribadendo l'obbligo di assicurare il tirocinante all'Inail e per la responsabilità civile (tale spesa viene messo in capo al soggetto promotore, salvo diversi accordi con quello ospitante); l'unico dettaglio degno di nota è che viene specificato chiaramente che «le coperture assicurative devono riguardare tutte le attività svolte dal tirocinante e rientranti nel progetto formativo, comprese quelle eventualmente svolte al di fuori della sede ove ha luogo il tirocinio».Divieti. La Regione Lombardia decide infine di porre dei paletti all'utilizzo degli stagisti, prevedendo che sia vietato utilizzarli in sostituzione «del personale assunto con contratti a termine nei periodi di picco delle attività» (quindi stop per esempio agli stage nelle profumerie sotto Natale, o nei negozi nei periodi dei saldi); «del personale aziendale nei periodi di malattia, maternità o ferie»; «per colmare le vacanze in organico» e per rimpiazzare il «personale sospeso in cassa integrazione guadagni ordinaria, straordinaria e in deroga». Inoltre, il documento prescrive che agli stagisti non possano essere assegnate attività «per l'acquisizione di professionalità elementari, connotate da compiti generici e ripetitivi». Da questa formulazione, per quanto vaga, discenderebbe il divieto di attivare stage per tutte le mansioni di basso profilo, come per esempio nei fast-food, nei supermercati, nei magazzini. Controlli. Qui tutto è concentrato sul controllo dei soggetti promotori, e nulla sul controllo degli ospitanti (cioè nelle realtà dove concretamente gli stagisti sono attivi). La Regione si riserva infatti di «effettuare controlli documentali ed in loco», ma solo «presso il promotore»: per tutto il resto, è prevista solo la «segnalazione [al] Servizio Ispezione del lavoro per i successivi adempimenti».Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage, nuove norme regionali: sì all'obbligo di rimborso in Toscana e Abruzzo, no in Lombardia- Stage in Lombardia, i punti controversi della bozza del regolamento regionale: niente rimborso spese obbligatorio, di nuovo 12 mesi di durata e apertura alle aziende senza dipendenti- I sindacati rispondono alla Regione Lombardia: «Nella proporzione numerica tra stagisti e dipendenti non si devono contare anche i precari»

Master post-laurea, un giro d'affari da 100 milioni di euro. E se la "bolla" stesse per sgonfiarsi?

In tempi di recessione, si sa, le opportunità di lavoro si fanno più rare: anche per chi ha titoli di studio elevati. In attesa del fatidico colloquio, quale momento migliore per iscriversi allora ad un master post laurea? Gli interessati hanno soltanto l'imbarazzo della scelta tra le centinaia di corsi attivati da università, enti e società di formazione pubblici e privati. Che sotto la voce "master" immettono ogni giorno sul mercato prodotti tra loro molto diversi: dai prestigiosi e costosissimi Mba (master of business administration), ai pacchetti di poche ore svolti per via telematica. Completamente lasciato alle leggi della domanda e dell'offerta, il mercato italiano del post laurea ha così generato non poche storture. Basti pensare alle decine di proposte rintracciabili in ambito giornalistico, settore che - nonostante le note difficoltà di assorbimento - continua ad esercitare un forte appeal sugli utenti. Nessuno è in grado di quantificare con certezza il numero complessivo di offerte oggi in circolazione, ma per avere un'idea basti pensare che per l'anno accademico 2011-2012 il consorzio Almalaurea riporta sul proprio sito ben 965 offerte, tra master di primo e di secondo livello. E si parla solo di quelli organizzati dalle università. Sempre da questa banca dati si apprende che tra i laureati del 2010 - intervistati ad un anno dal conseguimento del titolo - il 7,9% aveva frequentato o stava frequentando un master. Considerato che nello stesso anno i neodottori sono stati in totale 185.700, se ne deduce che prendendo in considerazione esclusivamente l'utenza universitaria in quell'anno ci sono stati oltre 14.600 "masterizzati". Senza contare i frequentanti dei corsi di formazione professionale (5,7%) e quelli delle scuole di specializzazione (3,9%). Considerata nel suo complesso, la formazione post laurea ha coinvolto nel 2010 quasi il 42% dei neodottori (inclusi tirocinanti, stagisti e borsisti). Una percentuale altissima, che aiuta a spiegare il motivo per cui l'età di ingresso nel mondo del lavoro dei giovani italiani è sensibilmente più elevata rispetto a quella di molti colleghi europei.Restando al solo settore dei master, in una delle pochissime indagini disponibili sull'argomento il Censis aveva calcolato per il 2008 una spesa media di 5.800 euro per frequentante. Soltanto i neolaureati del 2010 che hanno scelto un master universitario avrebbero così generato un giro d'affari superiore a 85 milioni di euro. Ma non mancano stime decisamente superiori:  in un'indagine svolta per il Sole 24 Ore  lo scorso settembre, Andrea Curiat censiva in tutto circa 2mila master attivati da università pubbliche, private e telematiche, per un costo medio nel frattempo lievitato a 9.600 euro. Impossibile calcolare poi il business dei privati che operano nel settore: i maggiori siti specializzati riportano un numero complessivo di offerte (universitarie ed extrauniveristarie) che si aggira intorno alle 2.500.In termini di occupabilità, l'efficacia di ciascuna di queste proposte dipende molto dall'impegno e dalla serietà con cui i soggetti erogatori - ma anche fruitori - approcciano il percorso; e ovviamente da fattori congiunturali, legati alle esigenze del mercato o di un determinato settore produttivo. Ma il fatto che un numero così elevato di giovani freschi di laurea avverta immediatamente la necessità di una formazione aggiuntiva desta obiettivamente qualche perplessità sul funzionamento generale del sistema italiano. Dove anziché uno stimolo e un'opportunità di crescita professionale, la formazione post finisce in troppi casi per configurarsi come un eterno (e costoso) limbo. Nel capitolo dedicato ai master di Se potessi avere mille euro al mese l'autrice Eleonora Voltolina paragona il fenomeno a quello tipico della "bolla economica": ad un mercato che per anni si espande cioè a dismisura oltre i bisogni reali degli attori coinvolti, facendo lievitare i prezzi ben al di là del valore del bene commercializzato: «Non è irragionevole ipotizzare che una delle prossime bolle a scoppiare sia proprio quella della formazione post». Dopo anni di crescita impetuosa - che ha toccato il picco tra il 2004 e il 2006 - negli ultimi tempi anche il fiorente mercato del post laurea sembra in effetti lanciare alcuni segnali di rallentamento. «Dal nostro osservatorio rileviamo una crisi abbastanza evidente della domanda. Diversi corsi non riescono a raggiungere il numero minimo di iscritti, e tra questi anche esperienze che seguivamo da anni» rivela Roberto Ciampicacigli [nella foto], direttore di Censis Servizi, che per l'istituto di studi economici e sociali si occupa da oltre dieci anni di alta formazione collaborando tra l'altro alla redazione di Lavoro e Master, una delle guide di riferimento per il settore. Complice la minore disponibilità di spesa delle famiglie, sembra dunque che i laureati italiani stiano diventando più selettivi nella scelta del master. Il vero problema è che gli strumenti a disposizione per orientarsi in questo mare di offerte restano ancora pochi, anzi pochissimi. Tra questi, dallo scorso giugno, c'è il portale Censis Guida, un buon punto di riferimento per chi voglia capire più a fondo le caratteristiche di un corso o confrontare due o più opzioni apparentemente simili. «I corsi vengono presentati a partire da 12 indicatori, quali i requisiti di ammissione, il tipo di impegno richiesto, ma anche le ore di stage, il livello di internazionalizzazione e i servizi di placement offerti agli studenti», spiega il direttore di Censis Servizi. Che alla fatidica domanda su come vengono selezionati i corsi presenti sul portale sottolinea tuttavia che «non viene fatta una vera e propria selezione (sinora sono stati esclusi solo due corsi ndr). Ma la scheda che noi chiediamo di compilare è abbastanza complessa», tanto da introdurre già un primo sbarramento per le organizzazioni meno serie.L'unico ente il grado di certificare oggi la qualità di un master è al momento l'Asfor (associazione italiana per la formazione manageriale), attivo però nell'ambito del solo management aziendale. I 33 corsi certificati Asfor vengono sottoposti infatti ad un processo di accreditamento che offre all'utente precise garanzie,  in termini tanto formativi quanto di chance occupazionali successive. Accreditarsi ha ovviamente un costo - variabile dai 5 ai 7mila euro annuali - che non tutte le organizzazioni possono permettersi di sostenere. Ma certo stupisce che iniziative simili non siano state finora imitate per altri settori professionali ad alto tasso di master.Ilaria CostantiniPer saperne di più su questo argomento: - Giornalisti a tutti i costi, il business dei mille corsi- Università come agenzie per il lavoro a costo zero: una deriva da scongiurare- Università, i corsi iper-professionalizzanti non sempre pagano

Cocopro, partite Iva e stipendi dei precari: le proposte dell'emendamento Castro-Treu

Mercoledì 16 maggio sono stati approvati alla Commissione Lavoro del Senato gli emendamenti del disegno di legge Fornero: tra questi, quelli firmati dai parlamentari Tiziano Treu del Partito Democratico e Maurizio Castro del Popolo delle Libertà hanno avuto una grossa eco mediatica perché trattano questioni importanti per i collaboratori a progetto e i lavoratori a partita Iva. Quali sono le principali modifiche al ddl? La più rilevante riguarda i numerosi cocopro impiegati nelle aziende italiane e iscritti alla gestione separata dell'Inps. Il Castro-Treu chiede la garanzia di un compenso minimo, che - punto 8.100 comma 1 dell'emendamento - «deve essere adeguato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e non può comunque essere inferiore, in proporzioni di durata del contratto, all'importo annuale determinato periodicamente con decreto del ministero del Lavoro e delle politiche sociali». Questo "salario minimo" sarebbe determinato periodicamente con decreto ministeriale sulla base della media tra le tariffe minime del lavoro autonomo e la retribuzione dei contratti collettivi nazionali.Come si può invece salvaguardare i collaboratori a progetto nei momenti di pausa tra un contratto e l'altro, per evitare che restino completamente senza reddito? L'ipotesi di estendere la MiniAspi anche a questa categoria di lavoratori non è una via praticabile, perché i fondi per il momento non sono disponibili. Treu e Castro propongono però di modificare la norma sull'indennità una tantum. Secondo quanto prevede l'emendamento, l'una tantum sarebbe calcolata non più in base al minimale di reddito calcolato sulla retribuzione dell'ultimo lavoro svolto, ma in base al numero di mesi in cui si è effettivamente lavorato nell'anno precedente: per esempio circa 6mila euro se nell'anno precedente si è lavorato da sei a dodici mesi. Se l'operazione, da adottare in via sperimentale per i prossimi tre anni, risultasse vantaggiosa, poi si dovrebbe procedere a renderla stabile o a verificare la possibilità di sostituirla con la MiniAspi.L'emendamento non va a toccare invece invece un altro punto del ddl importante per i  cocopro , ossia i contributi alla gestione separata Inps: permane dunque l'innalzamento dal 27% al 33% delle aliquote entro il 2018.Inoltre esso introduce alcune modifiche ai provvedimenti sulle false partite Iva, non propriamente a favore dei precari: per evitare che le aziende siano costrette ad assumere o estinguere il contratto con i collaboratori che inquadrano come autonomi, Treu e Castro propongono di considerare vere partite Iva quelle di chi ha un reddito annuo lordo di almeno 18mila euro, ossia circa mille euro netti al mese. Un guadagno decisamente basso per un vero libero professionista. L'emendamento porta anche altri due cambiamenti peggiorativi, che rendono più difficile per una falsa partita Iva segnalare la propria condizione e riqualificarsi professionalmente: la durata massima di collaborazione con un singolo committente deve essere di otto mesi nell'arco di un anno (nel ddl erano sei) e il corrispettivo pagato non deve superare l'80% del reddito totale annuo (nel ddl era il 75%). Infine, per quanto riguarda la presenza fisica in sede - requisito proprio di chi collabora con un'azienda in maniera continuativa - l'emendamento si è limitato ad aggiungere la dicitura «postazione fissa», ossia il lavoratore autonomo non deve avere una propria scrivania nell'ufficio committente.Cambiamenti in vista anche per i contratti a tempo determinato: l'emendamento prolunga da sei mesi a un anno la durata del primo contratto a termine senza causale, e riduce da 90 a 60 e da 30 a 20 giorni l'intervallo tra la fine di un contratto e la riassunzione, a patto che sussistano determinate condizioni (start up, lancio di un nuovo prodotto, cambiamenti tecnologici ecc). Diventa così molto più facile per un'azienda interrompere e ri-stipulare un contratto sotto altra formula con un medesimo lavoratore senza che vi sia uno stacco prolungato delle attività.Tra gli altri aspetti toccati dai 16 emendamenti Castro-Treu vi sono la possibilità per i dipendenti di partecipare agli utili ed essere membri del Consiglio di Sorveglianza dell'azienda, contatto più rapido per lavori a chiamata (le job on call) tramite mail o sms, possibile restrizione sui voucher lavoro (quelli usati in agricoltura per ricorrere a lavoratori occasionali, per esempio studenti che raccolgono frutta di stagione) che sarebbero concessi solo alle aziende agricole il cui fatturato è inferiore a 7mila euro. Proprio quest'ultimo punto ha portato un rallentamento all'iter parlamentare del Ddl, attualmente in stallo proprio a causa della contrarietà del il Ministro per le Politiche agricole Mario Catania, che sta cercando un accordo con il ministro Fornero per scongiurare un provvedimento che potrebbe spingere molte delle aziende "penalizzate" dall'emendamento a ricorrere al lavoro nero. Il prossimo dibattimento in Parlamento sul ddl è fissato per il pomeriggio di mercoledì 23 maggio. Marta TraversoPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Riforma del lavoro, ecco punto per punto cosa riguarda i giovani- Riforma del lavoro, rilanciare l'apprendistato non basta- False partite Iva, con la riforma 350mila sono a rischio assunzione... o estinzione

Lavoro e pensioni, cosa sono i contributi figurativi e come cambierebbero con la riforma

Anche i contributi figurativi subiranno ritocchi a seguito del ddl Fornero - sempre che il passaggio in Parlamento non stravolga le nuove disposizioni: le modifiche potrebbero riguardare soprattutto l’entità della contribuzione. Ma cosa sono i contributi figurativi? E a cosa servono? Si legge sul sito dell’Inps che con questo termine si intende «il riconoscimento ai fini pensionistici, da parte dell’ente previdenziale, di periodi di aspettativa non retribuita per astensione dal lavoro per l’esercizio di funzioni pubbliche elettive, cariche sindacali e congedi parentali». Periodi che «diventano così utili sia per il conseguimento del diritto a pensione sia per il calcolo della pensione medesima», e che vengono accreditati senza oneri per l’assicurato. Si tratta dunque di soldi pubblici, erogati attraverso l'Inps, l'unica cassa pensionistica che si fa carico di questo tipo di contributi. Maturano il diritto i lavoratori che si assentino dal lavoro per aspettativa o maternità (congedo parentale) nei casi in cui o non ci sia retribuzione o quest'ultima sia ridotta (il riferimento normativo è l'articolo 3 del decreto legislativo 564/96). Due le modalità previste dalla legge: l’accredito è su domanda per servizio militare, malattia e infortunio, donazione del sangue, congedo per maternità durante il rapporto di lavoro, riposi giornalieri, malattia del bambino, congedo per gravi motivi familiari, permesso retribuito ai sensi della legge 104/92 (handicap grave), congedo straordinario ai sensi della legge 388/2000 (handicap grave), periodi di aspettativa per lo svolgimento di funzioni pubbliche elettive o per l’assunzione di cariche sindacali. L’accredito avviene invece d’ufficio in caso di cassa integrazione guadagni straordinaria, contratto di solidarietà, lavori socialmente utili, indennità di mobilità, disoccupazione, assistenza antitubercolare a carico dell’Inps (quest'ultimo è un'ipotesi residuale di malattia inclusa nella legge). Il tutto senza che il dettato legislativo indichi un tetto massimo oltre il quale non è possibile maturare la contribuzione: vale a dire che in caso qualcuno assumesse una carica elettiva di lungo termine, anche per dieci o vent'anni, per tutto quel tempo potrebbe beneficiare del versamento della contribuzione.«I contributi figurativi vengono accreditati dall’Inps sul conto assicurativo del lavoratore per periodi in cui si è verificata una interruzione o una riduzione dell’attività lavorativa e di conseguenza non c’è stato il versamento dei contributi obbligatori da parte del datore di lavoro», spiega alla Repubblica degli Stagisti Vincenzo Silvestri [nella foto in alto], vicepresidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro. Finora dunque i principali beneficiari di questo contributo sono stati i «precari e i lavoratori stagionali», coperti dal contributo nelle casistiche elencate. Si parla però di titolari di contratto a tempo determinato, e non certo di collaboratori occasionali, partite iva, contratti a progetto - che al solito risultano i grandi esclusi dal sistema di welfare italiano. «Non è chi ha il posto fisso ad aver bisogno dei contributi figurativi, avendo già assicurata una copertura pensionistica continua, ma chi, come ad esempio i precari della scuola  assunti a tempo determinato, non si vedrebbe corrispondere alcunchè nei casi elencati dalla legge. È proprio qui che interviene lo Stato», spiega l'esperto. «I contributi figurativi possono essere accreditati d’ufficio o su domanda del lavoratore a seconda della tipologia, senza alcun onere per l’assicurato. Perciò si differenziano dai contributi da riscatto, i quali sono invece a carico del lavoratore», aggiunge Silvestri. Che però non fornisce alla Repubblica degli Stagisti il dato di quanti lavoratori dispongano ogni anno di tali contributi: «Non siamo purtroppo in possesso di questi numeri». Come funziona il calcolo di questa assicurazione? «Attualmente i contributi figurativi si calcolano sulla base della media delle retribuzioni settimanali percepite in costanza di lavoro nell’anno solare in cui si collocano i periodi figurativi oppure, nell’anno di decorrenza della pensione, nel periodo compreso fino alla data di decorrenza della pensione stessa». Ovvero il calcolo di quanto viene accreditato è realizzato sulla base del guadagno del lavoratore nell'ultimo anno. Eccetto che «nei casi di mobilità e cassa integrazione dove i contributi figurativi sono determinati prendendo come riferimento la retribuzione utilizzata per il calcolo dell’integrazione salariale o dell’indennità di mobilità». Impossibile però avere degli esempi concreti: Silvestri si defila dicendo di non avere le competenze per un calcolo così sofisticato, mentre l'Inps - proprio l'istituto che si occupa di erogare la contribuzione figurativa - interpellata più volte dalla Repubblica degli Stagisti, sembra fare orecchie da mercante.  Quel che è certo però è che in base all'articolo 24 del ddl Fornero il calcolo andrà fatto «nella misura settimanale pari alla media delle retribuzioni imponibili ai fini previdenziali degli ultimi due anni». Cambia quindi il periodo di riferimento, argomenta ancora Silvestri, che - allargandosi - comporterà probabilmente «una riduzione delle erogazioni ai potenziali beneficiari», in sintonia con il clima di austerity del momento. Nella visione del vicepresidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, infatti, la modifica di sistema che verrebbe introdotta con la riforma farebbe sì che - ampliando il periodo di riferimento per il calcolo - la media degli stipendi percepiti in un arco temporale più lungo si abbasserebbe e di conseguenza lo stesso accadrebbe anche per la contribuzione figurativa. Di nuovo, aggiunge Silvestri, «la scure che si abbatte sulla spesa pubblica ai fini del risparmio collettivo riguarderà le categorie più esposte», cioè chi non ha il posto fisso.E, infine, come si combinano i contributi figurativi col concetto di metodo contributivo? Silvestri spiega che «non possono essere valutati per determinare il requisito contributivo di cinque anni previsto per la concessione della pensione di vecchiaia con il sistema di calcolo contributivo». Il rimando normativo qui è all'articolo 1, comma 20, delle legge 335 del 1995, dove si dice che «il diritto alla pensione di cui al comma 19, previa risoluzione del rapporto di lavoro, si consegue al compimento del cinquantasettesimo anno di età, a condizione che risultino versati e accreditati in favore dell'assicurato almeno cinque anni di contribuzione effettiva...». Dunque, se si è ricompresi nel sistema contributivo, il versamento per cinque anni dei soli contributi figurativi non è sufficiente ai fini della maturazione della pensione: è necessario che si tratti, appunto, di contribuzione effettiva, ovvero ordinaria, al di fuori dei casi indicati dalla legge come lavoro 'in aspettativa'.Ancora non si conoscono gli esiti dell'esame in parlamento della riforma del lavoro, e di conseguenza delle modifiche al sistema della contribuzione figurativa. Ma, viste le premesse, non è irragionevole aspettarsi tagli al sistema del welfare.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggi- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?- Precari sottopagati oggi, anziani sottopensionati domani? Ecco come stanno veramente le cose: meglio prepararsi al peggio