Categoria: Approfondimenti

Il Politecnico lancia CupCake, la ricetta per le start-up creative

Prendere 16 tra i migliori talenti creativi in circolazione, aggiungere competenze imprenditoriali, mescolare con un'esperienza in un incubatore all'estero per tre mesi, servire alla prossima edizione del Salone del Mobile di Milano. È questa la “ricetta” di “CupCake – Creativity and design for new markets and new needs”, un progetto lanciato dalla Fondazione Politecnico di Milano in collaborazione con la Regione Lombardia.«In molti casi i designer ed i creativi non hanno un'ambizione imprenditoriale, preferiscono lavorare su commessa, per conto di altri», spiega Domenico Pannofino, responsabile del progetto per conto della Fondazione, «la nostra volontà di attrarre questo tipo di competenze è molto forte». Al punto che «è nostro interesse che queste idee imprenditoriali si traducano in vere e proprie start-up». Alle quali PoliHub, l'acceleratore d'impresa del Politecnico, guarderà con grande interesse. «L'incubazione non sarà automatica, ma sarà riconosciuto un vantaggio a queste realtà» nella selezione delle candidature per l'ingresso all'interno della struttura guidata dal professor Andrea Rangone.«Di solito lavoriamo con persone che portano avanti progetti ad alto contenuto tecnologico, ora vogliamo far entrare nella nostra realtà anche dei soggetti con delle abilità e delle competenze creative», prosegue Pannofino. Eppure la selezione per entrare in Polihub è sempre stata molto dura. Ma sono proprio le caratteristiche richieste a chi partecipa a “CupCake” che potrebbero favorire l'ingresso all'interno dell'incubatore. Non tanto per i requisiti per l'iscrizione, aperta a disoccupati e inoccupati in possesso di laurea di primo livello, residenti o domiciliati in Lombardia ed iscritti ad un Centro per l'Impiego, con un livello di conoscenza dell'inglese non inferiore al livello B1 del Cefr. Quanto perché uno degli elementi che sarà preso in considerazione nella scelta dei 16 partecipanti è proprio il loro respiro internazionale, la loro capacità di essere «adattabili e replicabili in diversi contesti», come si legge nel bando del concorso.Ovvero di offrire risposte a nuovi mercati, come quelli dei paesi Brics, incontrare nuovi target ed aprire a livello internazionale nuovi spazi di business. L'obiettivo finale è quello di aiutare queste start-up ad inserirsi nel meccanismo delle esportazioni verso i cosiddetti mercati in rapida crescita, un giro d'affari che il Sole24Ore ha stimato nel 2011 in qualcosa come 9,8 miliardi di dollari. «PoliHub si focalizza tendenzialmente su iniziative imprenditoriali ambiziose e con alto potenziale di crescita. Da questo punto di vista, è fondamentale avere un orizzonte internazionale».Non è tutto. Perché se i rami di queste nuove aziende saranno proiettate al di là dell'oceano o comunque in un altro continente, le radici dovranno essere ben salde in Lombardia, che dovrà rimanere la sede operativa delle start-up. «Se i progetti manifesteranno un certo tipo di connessione con il tessuto produttivo regionale saranno selezionati».Le idee, che potranno spaziare in ambiti che vanno dalla comunicazione al design, dalla moda al digitale, dovranno essere presentate compilando un modulo on-line sul sito di “CupCake” entro le 24 del 10 ottobre. Tra tutti i candidati ne verranno selezionati 25, che svolgeranno un colloquio con il personale della Fondazione tra il 21 ed il 25 ottobre.Sulla base di questi incontri saranno scelti i 16 che tra novembre e febbraio svolgeranno uno stage all'interno di un incubatore di imprese creative in un Paese europeo. Il progetto coprirà le spese di viaggio, di alloggio, di trasporto e assicurative. E fornirà un contributo di 9 euro al giorno per il vitto. Sia durante il periodo all'estero che una volta rientrati in Italia, gli startupper saranno seguiti da due tutor: uno è un membro dello staff di PoliHub, che li seguirà sotto il profilo della definizione degli aspetti industriali e commerciali, l'altro fa parte del Dipartimento di Design del Politecnico e si occuperà degli elementi legati strettamente al prodotto.Tra marzo ed aprile queste due figure lavoreranno con i 16 vincitori per finalizzare i prototipi e prepararli ad un evento di presentazione di fronte a imprenditori e potenziali investitori che si svolgerà nell'ambito del Salone del Mobile di Milano. Una vetrina, appunto, internazionale per 16 start-up creative chiamate a conquistarsi una fetta di mercato.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre iniziative milanesi legate alle start-up? Leggi anche:- Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag Milano- Arriva lo StartupBus: parte il viaggio verso il successo- A Milano 600mila euro per permettere alle start-up di "FareImpresaDigitale"Vuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Micro4You, la start-up che aiuta le api. E le opere d'arte- Appeatit, la start-up che rende il pranzo una vera pausa- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Micro4You, la start-up che aiuta le api. E le opere d'arte

Cos'hanno in comune le api e le opere d'arte? Domanda insolita, ma con una risposta precisa: Micro4You, una start-up innovativa fondata nel 2010 da Annalisa Balloi come spin-off della facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Milano.Per quanto questi due ambiti possano apparire distanti tra di loro, c'è un punto comune. Piccolo, anzi microscopico: i batteri che vengono utilizzati per salvare sia gli insetti del miele che le sculture, entrambe vittima dell'inquinamento atmosferico. Tutto ha avuto inizio nei laboratori della facoltà di Agraria dell'Università di Allmart, in Svezia, dove Balloi ha completato gli studi necessari per la sua tesi di laurea in Biologia, discussa nel 2002 nell'ateneo di Cagliari, la sua città natale. All'epoca questa startupper, oggi 35enne, non aveva intenzione di «proseguire con la carriera universitaria classica». E così si è iscritta, sempre in Sardegna, ad un master dedicato alla desertificazione. Nel 2004 si è trasferita al Cnr di Pisa prima per uno stage di tre mesi, quindi per due contratti a progetto semestrali.Dopodiché, «anche per motivi personali, visto che quello che all'epoca era il mio fidanzato e oggi è mio marito lavorava lì», ha deciso di spostarsi a Milano e ha fatto domanda per un dottorato di ricerca alla facoltà di Agraria della Statale. Qui ha conosciuto il professor Daniele Daffonchio, un incontro che le ha cambiato la vita. Questo docente «cercava da tempo una persona che fosse interessata a dare uno sbocco non solo accademico ai risultati ottenuti in anni di ricerca sulle comunità microbiche. Io non volevo seguire la carriera universitaria e ho colto la palla al balzo». Dando vita ad una spin-off, ovvero ad un'azienda che nasce all'interno dell'università, ne utilizza in esclusiva i brevetti ed è di fatto incubata all'interno dell'ateneo. Al quale dovrà riconoscere, quando ci saranno, una percentuale degli utili.Sono cominciati così degli studi su un microorganismo che si trova nell'intestino delle api, una sorta di probiotico. Ovvero un batterio che ha la capacità di aumentare le difese immunitarie di questi insetti e di contrastare direttamente il bacillo della peste americana. Questa sostanza viene vaporizzata all'interno dell'alveare e porta benefici sia sulla sopravvivenza dei componenti della colonia che sulle loro capacità di impollinazione. Presentata alla Start-up competition, quest'idea è stata premiata con 12mila euro utilizzati come capitale sociale per fondare una srl, creata da Balloi con lo stesso Daffonchio e altri quattro ricercatori, e con un corso dedicato alla stesura di un business plan. «Ho avuto i primi strumenti per ragionare non più come microbiologa, ma come imprenditore».Ed è appunto con questa mentalità che, con un prodotto che ancora deve affrontare un lungo iter per ottenere il via libera alla commercializzazione come farmaco veterinario, Balloi ha iniziato a guardarsi in giro. «Nel laboratorio vicino al nostro lavorava Francesca Capitilli, una brillante ricercatrice che insieme alla professoressa Claudia Sorlini aveva brevettato un metodo per la biopulitura delle opere d'arte». In altre parole, aveva scoperto dei microorganismi che possono essere utilizzati per il restauro. «Il brevetto era rimasto confinato in ambito accademico e stava per scadere. Così ci ha proposto di rilevarlo». Un'offerta che questa startupper di origini sarde ha subito accolto: «abbiamo annusato le potenzialità del mercato e abbiamo acquisito la licenza. Il prodotto è stato presentato alla Smau nel settembre del 2011 ed ha ottenuto un bel riscontro».Nello stesso periodo Micro4You, nome che deriva dalla contrazione di “Microbs for your needs”, ha partecipato alla prima edizione del premio “Gaetano Marzotto”. «Abbiamo vinto 250mila euro e la possibilità di realizzare un business plan per Micro4Art, un progetto per la rimozione delle alterazioni di natura solfatica da superfici litoidi». Ovvero per ripulire le sculture dai segni del tempo. «L'aspetto finanziario è stato molto importante», sottolinea Balloi, «con questi soldi stiamo investendo nella realizzazione di un prodotto commerciale a partire da un prototipo di laboratorio, abbiamo acquistato della strumentazione, avviato una collaborazione industriale e pagato gli stipendi a due persone che lavorassero sul progetto». Ad uno la start-up paga il dottorato, ad un altro un assegno di ricerca finanziato in collaborazione con la Regione Lombardia, che copre metà delle spese. Mentre Balloi vive grazie ad un assegno di ricerca garantito dalla Statale e ancora non prende uno stipendio dall'azienda, così come gli altri cinque soci, visto che ognuno ha già un altro lavoro.Ad oggi il fatturato di Micro4You è minimo. «Stiamo collaborando con lo studio Formica per il restauro dell'Arca dei Magi della basilica di Sant'Eustorgio di Milano: abbiamo individuato dei microorganismi potenzialmente patogeni della tela ed abbiamo quindi identificato dei biocidi adatti per questi batteri». Un'esperienza che rappresenta anche una prima prova sul campo per questo prodotto. L'obiettivo è quello di averlo pronto per lanciarlo sul mercato con l'inizio del prossimo anno. Mentre per le api «stiamo ancora sperimentando, con l'autorizzazione del ministero della Salute. Cerchiamo partner finanziari e industriali per condurre esperimenti anche in altri Paesi del mondo in modo da ultimare un report da consegnare alla Commissione europea, che dovrà darci autorizzare la commercializzazione del prodotto». Intanto, dopo essersi iscritta la scorsa primavera al registro delle start-up innovative, Micro4You continua a guardarsi intorno alla ricerca di finanziamenti. «La Fondazione Marzotto ha avuto il coraggio di premiare, alla prima edizione, un progetto dedicato ai beni culturali. E di finanziarlo con 250mila euro. Io li ringrazio molto perché hanno avuto il coraggio di finanziare un comparto molto povero, ma strategico per l'Italia». E per far crescere le “sue” colonie di batteri, Balloi cerca ora investitori che abbiano lo stesso coraggio.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Appeatit, la start-up che rende il pranzo una vera pausa- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Recruiting geolocalizzato, un nuovo modello per gli annunci di lavoro online- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresaVuoi saperne di più sul premio Gaetano Marzotto? Leggi anche:- Al via il premio Gaetano Marzotto 2013: in palio 800mila euro per le start-up

Arriva lo StartupBus: parte il viaggio verso il successo

«In viaggio sulla strada del successo». Questo lo slogan che accompagna la prima edizione italiana di Startupbus, manifestazione che metterà a confronto 25 tra aspiranti startupper, programmatori ed esperti di design sfidandoli a costituire una start-up. E premiando la migliore con una partecipazione al Pioneers Festival di Vienna, dove il progetto sarà presentato di fronte ad una platea di investitori internazionali.Nata nel 2010 nella baia di San Francisco, l'esperienza dello Startupbus si è subito diffusa da questa parte dell'oceano. «Sono nati due movimenti: uno con lo stesso nome in Spagna e nel Benelux, mentre in Germania, Francia e Regno Unito era attivo Founderbus, con lo stesso concetto. E siccome eravamo un po' come la Coca-Cola e la Pepsi, abbiamo deciso di non farci la guerra e di unire le forze». A raccontare il progetto alla Repubblica degli Stagisti è Giovanni Natella [nella foto a destra], 26 anni, tra gli organizzatori lo scorso anno dello Startupbus transalpino. E promotore dell'edizione italiana, alla guida di un team del quale fanno parte anche Paolo Bertolero, Zeno Tomiolo e Chiara Adam.Il meccanismo è quello tradizionale creato nella Silicon Valley da Elias Bizannes, ideatore di questi bus: un pullman che viaggia per il Paese con a bordo 25 talenti e che fa tappa in alcune città, nelle quali sono previsti eventi con investitori, startupper, incubatori e tutti i protagonisti dell'ecosistema. L'edizione italiana prevede una partenza da Roma il 26 ottobre, una tappa a Torino il 27 e a Milano il giorno successivo per arrivare il 30 ottobre a Roncade, nella sede dell'incubatore H-Farm. Qui verrà decretato il team vincitore che avrà la possibilità di presentare il proprio progetto nella capitale austriaca.Ad oggi lo Startupbus ha già definito una collaborazione con l'università di RomaTre e iStarter a Torino, che ospiteranno alcuni eventi durante le tappe del viaggio. Il programma è però ancora tutto da definire, al punto che qualche giorno fa su Twitter Mattia Corbetta, membro della segreteria tecnica del ministero per lo Sviluppo economico, ha dichiarato che il Mise è interessato a sostenere l'iniziativa. Così come da definire è il gruppo dei 25 viaggiatori. Le iscrizioni si sono aperte lo scorso 1 settembre e si chiuderanno il 10 ottobre. I selezionati dovranno versare 150 euro, cifra che coprirà le spese di viaggio, vitto e alloggio.«L'Italia è una terra interessante per le start-up, lo ha dimostrato anche con il recente regolamento sul crowdfunding approvato dalla Consob, forse la prima al mondo. E prima con il decreto Passera. Insomma, si vede che il governo sta compiendo degli sforzi. Inoltre», prosegue Natella, «il capitale umano c'è, sono tutti molto preparati: i cervelli italiani sono dei bei cervelli». Anche quando non fuggono all'estero, però, faticano ad emergere. «È vero, abbiamo un communication gap. Sarà per via della lingua, della cultura, ma non siamo ben compresi in Europa». In questo senso, lo Startupbus si pone l'obiettivo di gettare un ponte e di «collegare l'ecosistema italiano a quello europeo».L'obiettivo della manifestazione non è soltanto quello di dare vita ad una nuova start-up. Ma anche quello di «creare una community a livello continentale. Globale se contiamo che a novembre partiremo con iniziative analoghe in Africa e ci stiamo espandendo in Asia». L'idea di fondo è quella di «prendere persone che non si conoscono e farle incontrare, sia sul pullman che durante ogni tappa. E a Vienna ci confronteremo con bus partiti da Madrid, Parigi, Bruxelles, Berlino e Londra». E con loro i “buspreneurs”, così si chiamano i passeggeri dello Startupbus, avranno modo di confrontarsi una volta giunti al Pioneers Festival. Magari trovando idee simili, tipo Coca Cola e Pepsi. E decidendo di unirsi invece che farsi concorrenza, proseguendo idealmente il «viaggio sulla strada del successo» iniziato salendo sul bus che partirà alla fine di ottobre.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi saperne di più sul decreto Passera e sul crowdfunding? Leggi anche:- «Restart Italia», con il decreto Passera arrivano (quasi tutte) le proposte per le start-up- Il decreto per le start-up è legge. E comincia già a far discutere- Crowdfunding, luci ed ombre nel regolamento Consob- Col crowdfunding si sostengono anche le start-upVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Appeatit, la start-up che rende il pranzo una vera pausa- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Appeatit, la start-up che rende il pranzo una vera pausa

Fare la pausa pranzo con calma senza azzuffarsi per cercare un tavolo o aspettare per interminabili quarti d'ora che un cameriere oberato di lavoro abbia il tempo di prendere la comanda. Si arriva nel ristorante scelto e si trova un posto riservato e, appena ci si siede, il personale di sala comincia a servire il pasto. Tutto possibile grazie ad un'applicazione lanciata dalla start-up cagliaritana Appeatit.O almeno, questa è la direzione nella quale sta lavorando un team di otto membri che gravita intorno a questa realtà. «Noi potremmo partire anche adesso, ma ci siamo fermati per ragionare su come pianificare l'espansione commerciale, visto che con i ristoratori occorre avere un contatto diretto. Intanto abbiamo firmato un primo contratto con un locale di Roma, che utilizzeremo per testare l'applicazione». A parlare è Damiano Congedo, [nella foto a destra] 27enne come i suoi tre soci operativi in questa start-up, Marco Clemenza e Stefano Colella: «Ci conosciamo da vent'anni, dai tempi delle elementari». Laureato in Scienze della comunicazione il primo, grafico pubblicitario il secondo, diplomato al liceo scientifico il terzo, questi tre startupper hanno coinvolto nel loro progetto anche Antonio Mura, 58 anni, ex dirigente d'azienda. «È stato il nostro mentore», spiega Congedo, e forse anche per l'età non più verdissima «in questa fase è più distaccato».Gli altri cinque collaboratori che si occupano di tutto, dallo sviluppo della piattaforma web alla grafica, dagli aspetti finanziari alla gestione dei social media, sono stati coinvolti direttamente nel progetto. «Abbiamo stretto un accordo tra gentiluomini, sulla base del quale dopo un anno di collaborazione riceveranno gratuitamente delle quote della società». Il meccanismo del work for equity è stato introdotto dal decreto Passera del dicembre scorso, anche se in realtà era pensato per abbattere i costi legati a commercialisti e notai, ai quali gli startupper avrebbero potuto concedere una quota delle azioni invece di pagare direttamente le prestazioni. L'idea del ministro non era certo quella di usarla al posto degli stipendi. «In realtà noi ci siamo mossi prima del decreto, abbiamo cercato tutte le figure che ci servivano e siamo partiti. Ovviamente, non sono tutti full time». Dovendosi mantenere, insomma, svolgono anche altre attività. Anche perché da qualche tempo Appeatit si è trasferita da Cagliari a Roma, dove è incubata all'interno di Enlabs e dove intende lanciare la propria applicazione. Qui Congedo e soci sono entrati dopo un vero e proprio pellegrinaggio attraverso le varie iniziative a sostegno delle start-up.A settembre del 2012 hanno preso parte a Wind Business Factor, passando la prima selezione e partecipando a tre settimane di formazione, altre due le hanno fatte a Roma grazie al BarCamper di Gianluca Dettori. A giugno di quest'anno hanno vinto 6.500 dollari di servizi gratis da Microsoft nell'ambito del concorso Bizpark, mentre a luglio sono arrivati nell'incubatore romano e hanno raggiunto la finale dell'Ict Challenge, dove sono stati inseriti tra le migliori 15 su 144 start-up partecipanti. «Purtroppo ancora non siamo riusciti a trovare un investitore».L'impegno nel cercarlo, non manca. Ai potenziali finanziatori Appeatit propone un'applicazione che permette di prenotare un tavolo ed ordinare un pranzo nei ristoranti convenzionati. Per il cliente non c'è alcun aggravio di spesa, mentre al locale viene chiesta una commissione di un euro. «Servizi analoghi chiedono tra il 10 ed il 12 per cento del costo del pranzo, che in media va dai 7 ai 12 euro. Per cui la quota da versare è tra i 70 centesimi e 1,20 euro. Noi abbiamo scelto una via di mezzo». L'idea per un'azienda di questo tipo è nata quando «un giorno Marco [Clemenza, ndr] mi ha telefonato e mi ha raccontato che era in pullman e stava tornando a casa. Ma aveva molta fame e gli sarebbe piaciuto trovare tutto pronto». L'idea è che tagliando l'attesa, chi esce dall'ufficio possa godersi a pieno la pausa pranzo.Nata come srl, con 10mila euro di capitale versato grazie ai risparmi dei quattro fondatori, all'inizio di gennaio Appeatit si è iscritta nel registro delle start-up innovative. «Ci hanno consigliato di farlo subito per trovare investitori interessati e in realtà quando li contattiamo questo è sempre un elemento che fa sempre piacere». Ad oggi però l'iscrizione come isrl non ha portato finanziamenti. Anzi, è costata 900 euro per modificare lo statuto. Tutti soldi attinti dai risparmi o dai ricavi di qualche “lavoretto”, come il ruolo di tutor che Congedo svolge all'università di Cagliari. Finora infatti i quattro founder non prendono uno stipendio. «Ci arrangiamo con altre attività e stando attenti alle offerte al supermercato. Io poi sono fortunato, vivo a Roma da un amico che mi farà pagare l'affitto solo quando avrò i soldi». Ci vorrà almeno un anno e mezzo, però. Almeno, questo dice il business plan, che fissa a fine 2014 il pareggio di bilancio. «So che sono scadenze aleatorie. In effetti il nostro piano prevedeva anche che trovassimo un finanziatore entro luglio, che però non è arrivato». Ma Congedo e soci non si arrendono e continuano a cercarlo.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Recruiting geolocalizzato, un nuovo modello per gli annunci di lavoro online- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresaVuoi saperne di più sulla isrl e sulla srl semplificata? Leggi anche:- «Restart Italia», con il decreto Sviluppo bis arrivano (quasi tutte) le proposte per le start-up- «L'Italia riparta dalle start-up»: ecco il piano del ministro PasseraVuoi saperne di più sulle inizative a sostegno delle start-up? Leggi anche:- Il camper di Renzi riaccende i motori, ora gira l'Italia alla caccia di nuove start-up- Al via Wind business factor 2013, il campionato italiano delle start-up

A Milano 600mila euro per permettere alle start-up di "FareImpresaDigitale"

Comune e Camera di Commercio unite per sostenere le imprese che operano nel settore digitale. Succede a Milano, dove i due enti hanno stanziato rispettivamente 1,4 ed 1,6 milioni di euro, per un totale di 3 milioni. Dei quali 615mila sono riservati alle start-up, ovvero alle aziende che risultino essere iscritte al registro delle imprese da meno di quattro anni dalla data di presentazione della richiesta di contributo. Tutto questo è “FareImpresaDigitale”, bando lanciato lo scorso 2 luglio ed aperto fino al prossimo 20 settembre.Con le risorse messe a disposizione da Palazzo Marino e dalla CCIAA le start-up potranno finanziare l'acquisto di connettività dedicata, di licenze software, di servizi di cloud computing. Ancora, servizi per lo sviluppo di applicazioni digitali e per la creazione di ambienti tridimensionali. Sarà possibile finanziare anche l'investimento di componentistica hardware che di macchinari 3D. Tra le spese ammesse anche quelle per comprare dispositivi digitali per promuovere la vendita al dettaglio e servizi di formazione nell'ambito delle tecnologie digitali. Le aziende che si sono iscritte al registro delle imprese da meno di 18 mesi potranno chiedere di vedersi finanziare gli oneri di costituzione, comprese anche le spese notarili, i costi legati ai servizi di incubazione o di accelerazione di impresa, così come l'affitto per gli spazi di coworking, purché messi a disposizione da uno dei fornitori accreditati alla Camera di Commercio di Milano.Per quanto riguarda le start-up, il bando andrà a coprire il 50% delle spese sostenute, per un massimo di 15mila euro. Alle imprese viene però chiesto di presentare domande legate ad un investimento minimo di 13mila euro. Le richieste verranno esaminate da un nucleo di valutazione sulla base di quattro fattori e verrà loro assegnato un punteggio compreso tra zero e cento. Un massimo di 25 punti potrà essere assegnato in base al grado di innovatività dell'impresa, la stessa quota riguarderà la congruità dei costi e la fattibilità economico-finanziaria del progetto. La qualità tecnica del progetto potrà ricevere un massimo di 30 punti, mentre i restanti 20 riguarderanno l'incidenza del progetto per il quale si chiede un finanziamento rispetto alla crescita della competitività e allo sviluppo dell'impresa beneficiaria. Occorrerà ottenere almeno 65 punti per essere inseriti all'interno della graduatoria delle imprese finanziabili, che verrà definita entro il 19 novembre.A quel punto i beneficiari avranno 60 giorni di tempo per avviare il progetto per il quale hanno ottenuto il contributo, con l'impegno di completarlo entro 12 mesi. Una volta chiuso il progetto, dovranno presentare entro due mesi una rendicontazione dettagliata. Solo a quel punto verrà erogato il contributo. Non è tutto. È allo studio una convenzione con alcuni istituti di credito che si impegnino a fornire alle start-up un finanziamento a tasso agevolato pari alla somma erogata nell'ambito del bando “FareImpresaDigitale”. I dettagli verranno pubblicati sul sito della Camera di Commercio entro il prossimo 19 novembre.Le domande devono essere presentate solo per via telematica. Possono partecipare le start-up che abbiano sede in provincia di Milano e che operino nel commercio attraverso dispositivi mobile, nella gestione del ciclo ordine-consegna-fattura-pagamento, nello sviluppo di soluzioni digitali innovative anche legate alla produzione, nella gestione dei consumi energetici degli edifici, nella stampa 3D e nell'adozione di tecnologie digitali a supporto della tracciabilità dei prodotti. A loro sono riservati 600mila dei 3 milioni di euro messi a disposizione dal bando “FareImpresaDigitale”.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi saperne di più sull'ecosistema milanese? Leggi anche:- Concorso per le idee innovative in campo software, sbarca in Italia lo  Startup Focus Program- Milano e la Lombardia, terreno fertile per le start-up- Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag Milano- H-Farm. Boox e Nanabianca, un'«alliance» per sostenere le start-up

Tacatì: un milione di euro per l'e-commerce a km zero

Avevano avuto la stessa idea. Ed entrambi avevano pensato di presentarla alla Coldiretti di Asti, a pochi giorni l'una dall'altro. «Alla fine sono stati loro a metterci in contatto». A raccontarlo alla Repubblica degli Stagisti è Giulia Valente, 28 anni, fondatrice insieme al 34enne Stefano Cravero di Tacatì, una start-up che si occupa di fornire una piattaforma e-commerce a piccoli negozi «che aderiscono alla nostra filosofia del chilometro zero, vendendo prodotti locali ed artigianali». E che ha appena ricevuto un finanziamento da un milione di euro da Principia-Sgr.Un progetto che oggi coinvolge alcune zone del Piemonte, regione alla quale l'azienda deve il suo nome. «Volevamo che ricordasse la vicinanza, anche per via del fatto che consegnamo la spesa a domicilio. E nel nostro dialetto vicino si dice "taca a tì"». Anche se la sede legale è molto lontana da Langhe e Monferrato. «Si trova a Cagliari, dove ha sede il nostro sviluppo tecnologico. Il capoluogo sardo è ottimo se si cercano competenze informatiche e sviluppatori». A livello operativo, però, Tacatì ha trovato casa a Torino all'interno di I3P, l'incubatore d'impresa del Politecnico di Torino.Qui i due startupper sono arrivati dopo aver girato il mondo. «Io ho studiato Economia prendendo la doppia laurea alla Bocconi di Milano e alla Hec di Parigi, poi ho fatto uno stage alla Comunità europea a Bruxelles nel 2009» snocciola Valente: «Fino al 2011 ho lavorato a Madrid, ma alla fine sono tornata: mi mancava l'Italia». Cravero invece dopo la laurea in Economia all'università di Torino ha lavorato per otto anni nel settore della finanza, muovendosi tra Lussemburgo, Irlanda e Berlino. Quindi ha cambiato vita, si è trasferito in Bangladesh ed ha lavorato per un anno con Muhammad Yunus, inventore del microcredito e premio Nobel per la Pace 2006. Quando ha deciso di tornare in Italia, lo ha fatto con l'idea di lavorare a qualcosa che avesse un impatto sociale positivo.Un'assunzione di responsabilità che si traduce nella valorizzazione della filiera corta. «Abbiamo individuato delle piccole botteghe alimentari che sono nostre partner. A loro mettiamo a disposizione uno spazio e-commerce sulla nostra piattaforma e predisponiamo una rete di punti di consegna sul territorio». In altre parole, offrono a queste botteghe un canale di comunicazione dedicato che permette loro di farsi conoscere. Magari sfidando anche la grande distribuzione. «L'idea è nata facendo delle prove: abbiamo iniziato con un'e-commerce puro, pensavamo di acquistare dai produttori per poi rivendere ai clienti. Abbiamo anche raccolto i primi ordini la scorsa estate, ma ci siamo resi conto che era un sistema difficile da gestire». Fino a che non sono entrati in contatto con “Il Buon senso”, negozio di prodotti alimentari sfusi di Asti.«Inizialmente ci ha dato uno spazio nel suo magazzino. Poi ci siamo resi conto che con lui si lavorava bene e abbiamo pensato che potesse essere direttamente lui a vendere sul sito: perché gestire noi la parte di selezione dei prodotti e della logistica quando ci sono già delle figure professionali che se ne occupano?». Nata nel maggio 2012 come srl, con un capitale sociale di 10mila euro versato grazie ai risparmi messi da parte lavorando, a febbraio di quest'anno Tacatì si è iscritta nel registro delle start-up innovative. «Il nostro piano di sviluppo pervede l'assunzione di nuove risorse ed essere una isrl dà la possibilità di incentivare queste persone con un piano di stock option». Ovvero cedendo una piccola quota della società. Inoltre «volendo approcciare dei fondi di venture capital per cercare degli investimenti, questo è un requisito importante». Una ricerca andata a buon fine con Principia: l'accordo prevede l'ingresso come presidente di Tacatì di Michele Costabile, ordinario di Marketing alla Luiss di Roma  enumero due del fondo. E si pone l'obiettivo di arrivare a coinvolgere entro cinque anni oltre mille botteghe in tutto il territorio nazionale.Il passaggio da srl a start-up innovativa non è stato complesso, «il commercialista ci ha aiutato molto. In realtà è stato molto difficile fondare una srl, visto che non sapevamo come inquadrare la nostra attività in Camera di Commercio». Più semplice è stato convincere l'ecosistema della bontà del progetto. «Abbiamo partecipato a StartCup Piemonte nel 2012 e abbiamo vinto 8mila euro, soldi che abbiamo usato per realizzare il sito». Nello stesso anno i due startupper hanno preso parte al Barcamper promosso da Gianluca Dettori: «Siamo arrivati secondi, ci hanno premiato con 5mila euro. Ma al di là del premio in sé, è stato un bel momento perché prima della gara c'è stata una settimana di full immersione con dPixel per capire come si scrivono un business plan ed un piano finanziario e come si cercano - e convincono - gli investitori». Mentre poche settimane fa Valente è stata inserita nella lista delle 50 startupper donna stilata da GirlsInTech.Oggi, pagando una retta di 50 euro al mese, Tacatì è incubata in I3P, un'esperienza «fondamentale per i servizi che offre e per la rete di professionisti con i quali ti mette in contatto». E insegue un break-even, che dovrebbe arrivare il prossimo anno. «L'anno scorso abbiamo fatturato poche decine di migliaia di euro. Siamo in fase di test e ancora non prendiamo uno stipendio. Diciamo che abbiamo ancora qualche risparmio e ci arrangiamo». Un quadro che potrebbe conoscere una rapida evoluzione grazie al finanziamento da un milione di euro che Principia-Sgr ha deciso di concedere a Valente e Cravero. «Stiamo già lavorando alla nuova piattaforma, che pensiamo di mettere online in autunno. Inoltre intendiamo potenziare la nostra presenza in Piemonte ed estenderla anche in altre regioni. Infine, vogliamo investire molto nella comunicazione, sia sul territorio che in rete». Del resto, i fondi per investire in tutti questi campi non mancano.Riccardo Saporiti startupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? 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Le università telematiche compiono dieci anni: capolinea o nuova partenza?

I detrattori dicono che ormai sul web si trova di tutto, anche la laurea. I sostenitori le etichettano come un utile antidoto contro la mancanza di tempo. Da quando esistono, esattamente dieci anni, le università telematiche sono state più volte passate sotto analisi e, poco tempo fa, il neo ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha deciso di vederci chiaro. Da viale Trastevere è stata, infatti, annunciata l’istituzione di una commissione per valutare la «qualità dell’offerta formativa» degli atenei online. Compito della commissione (composta da Stefano Liebman, professore ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università Bocconi di Milano; Marco Mancini, rettore dell’Università della Tuscia di Viterbo e Presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI); Marcella Gargano, vice-capo di gabinetto MIUR) sarà redigere una relazione sul tema nel giro di due mesi. Circa un mese fa, poi,  i senatori PD Walter Tocci e Leana Pignedoli [nella foto in basso] hanno presentato un’interrogazione parlamentare  - ancora in attesa di risposta - proprio sulla questione università telematiche, chiedendo che i requisiti minimi per l’attivazione dei corsi di laurea nelle università italiane, fissati a gennaio da un decreto del MIUR, vengano applicati anche alle università online, attualmente prive di una regolamentazione in tal senso.Ma cosa sono e quando nascono le università telematiche? E soprattutto, possono essere messe sullo stesso livello delle università «tradizionali»? L’origine degli atenei online, ossia completamente virtuali, risale alla legge 289/2002 (Finanziaria 2003). La norma prevede che vengano stabiliti, attraverso un successivo decreto interministeriale, «i criteri e le procedure di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni abilitate a rilasciare titoli accademici, senza oneri a carico del bilancio dello Stato», tracciando alcuni requisiti come la presenza di un’«architettura di sistema flessibile e capace di utilizzare in modo mirato le diverse tecnologie per la gestione dell’interattività». Il provvedimento attuativo è il decreto Miur 17 aprile 2003, il quale stabilisce, tra le varie disposizioni, che i corsi di studio delle università telematiche debbano essere organizzati secondo gli ordinamenti didattici vigenti e che i titoli di studio rilasciati abbiano valore legale. Lezioni e libretto sono «virtuali», mentre gli esami si sostengono nelle sedi delle università online, tenendo conto del calendario pubblicato da ciascun ateneo. Il decreto, firmato dall’allora ministro dell’Istruzione Letizia Moratti, di fatto equipara la laurea «telematica» a quella degli atenei classici.Attualmente esistono 11 università telematiche: ben sei di esse hanno sede a Roma. Si tratta della Guglielmo Marconi, dell’Unitelma Sapienza, dell’Università telematica internazionale Uninettuno, dell’Università San Raffaele, dell’Unicusano e dell’Universitas Mercatorum. Le altre cinque sono l’università E-Campus di Novedrate (Como), la Giustino Fortunato di Benevento, la Italian University Line di Firenze, la UniPegaso di Napoli, la Leonardo da Vinci di Torrevecchia Teatina, provincia di Chieti.Secondo una delle ultime rilevazioni ufficiali del MIUR, nell’anno accademico 2009/2010 i corsi di studio complessivi erano 74: la maggior parte di essi rientra negli ambiti giuridici ed economici. Sui siti degli atenei sono presenti l’offerta formativa complessiva e il programma dettagliato di ciascun corso. Le lezioni si svolgono online attraverso una piattaforma di e-learning e sono tenute dai docenti dell’ateneo. La piattaforma consente anche di effettuare prove di autoverifica su una determinata lezione o esame. Di solito, oltre ai contenuti delle lezioni, per la preparazione agli esami è necessario acquistare libri di testo selezionati dal docente e indicati nell’ordine degli studi. Gli studenti possono incontrare di persona gli insegnanti nella sede dell’università, sulla base degli orari di ricevimento indicati sul sito. Gran parte degli iscritti è over 30 (più o meno i due terzi): si tratta, cioè, di persone per la maggior parte già attive sul mercato del lavoro, che puntano a ottenere il titolo a distanza, pur avendo poco tempo a disposizione. La possibilità di raggiungere la laurea senza doversi recare all’università, potendo, così conciliare studio e lavoro, l’evoluzione tecnologica e la comodità di seguire i corsi da casa, sono state tra le ragioni del successo delle università online, passate da quattro nell’anno accademico 2005/2006 a 11 nel 2008/2009, da circa 5200 a più di 17mila iscritti secondo quanto risulta dal Decimo Rapporto CNSVU sullo stato del sistema universitario. Negli ultimi anni, però, si sta registrando un’inversione di tendenza: secondo i dati dell’Anagrafe nazionale studenti del Miur relativi al numero di immatricolazioni, se nell’anno accademico 2010/2011 i nuovi iscritti sono stati oltre 7500 (su un totale di 289.714 immatricolati complessivi), l’anno successivo si è passati a poco più di 4400 (su un totale di 280.114). La quota di immatricolati degli atenei telematici incide in minima parte sul numero complessivo degli atenei nazionali. La sproporzione tra il numero esiguo di immatricolati rispetto a ben undici università presenti appare abbastanza chiara. Tanto più se si pensa che alcuni di questi atenei presentano un numero di iscritti piuttosto basso: ad esempio, nell’anno accademico 2011/2012 la IUL di Firenze ha registrato appena 58 iscritti, rispetto agli oltre 13mila della Marconi. «Il proliferare di università telematiche senza che siano previsti adeguati controlli qualitativi è indubbiamente un problema. Credo che in Italia oggi sia necessario ripristinare a mantenere alti standard di formazione, vero motore di sviluppo del nostro Paese e della nostra società» dice la senatrice Pignedoli, co-firmataria dell’interrogazione parlamentare sulle università telematiche, alla Repubblica degli Stagisti: «Quella che avviene oggi, a seguito della presentazione di quel decreto legge che di fatto taglia fuori le università telematiche, è un’anomalia non spiegabile che non garantisce alti standard di formazione».In tutti gli atenei comunque il trend, positivo fino a qualche anno fa, è accompagnato da tre anni dal segno meno. La crisi generalizzata ha sicuramente qualche responsabilità. Basta dare un’occhiata ai costi medi delle undici università telematiche, oscillanti tra i 2mila e i 4mila euro l’anno e variabili, all’interno dello stesso ateneo, a seconda delle ore di lezione effettuate, della presenza di eventuali tutor e così via. Se è vero che la maggior parte degli iscritti sono lavoratori, è molto probabile che negli ultimi anni la scelta di investire non pochi soldi in formazione venga ponderata per bene. Il calo di immatricolati va di pari passo con quello registrato in tutte le altre università, che rispecchia anche la diffidenza nei confronti dell’effettivo valore del titolo accademico e della capacità di garantire concreti sbocchi occupazionali.Un discorso che si collega alla diffusa opinione che la laurea «telematica» sia una laurea di «serie B», una scorciatoia rispetto al titolo ottenuto nelle aule universitarie, permettendo più facilmente il superamento degli esami necessari alla laurea.Analizzando gli ultimi dati disponibili sull’Anagrafe nazionale degli studenti del Miur, uno degli aspetti che balza maggiormente agli occhi è la forte percentuale negli atenei telematici dei cosiddetti «laureati con abbreviazione», ossia coloro che hanno ottenuto il titolo  in un tempo inferiore alla durata legale del corso: si tratta, ad esempio,  del 57,4% del totale dei laureati nell’anno accademico 2008/2009 per l’Unitelma Sapienza e addirittura il 95,1% per l’E-Campus. Sono tutti velocisti i laureati «telematici» o forse prendere un titolo a distanza è più facile rispetto a sudarselo nelle aule? Le votazioni finali riportate nello stesso anno accademico evidenziano come la maggior parte degli iscritti concluda, però, il proprio percorso accademico con un voto compreso tra 91 e 100, mentre i laureati con voto pari o superiore al 106 rappresentano una percentuale minoritaria. Votazioni certamente non basse, ma non d’eccellenza.L’ipotesi legata a un livello qualitativo più basso è avvalorata anche dalla sproporzione tra il numero di personale docente e la quantità dei corsi di studio offerti. In tutte le università telematiche è stato evidenziato come il numero di professori di ruolo sia nettamente inferiore rispetto all’organico necessario. Inoltre, accanto ai docenti di ruolo (selezionati attraverso procedure concorsuali nazionali), la legge prevede anche la possibilità di reclutare, attraverso selezioni interne alle singole università, figure a tempo determinato - professori straordinari o ricercatori a tempo determinato. A causa della frequente scarsità di risorse finanziarie, quindi, gli atenei hanno preferito tagliare sull’organico e in generale sui servizi offerti, minando inevitabilmente la qualità complessiva, come già riscontrato del Decimo Rapporto CNSVU. Lo stesso studio rivela come, secondo i dati di bilancio 2008, molte di esse abbiano chiuso in passivo o mantenuto una situazione di equilibrio a livello finanziario. L’università Marconi è quella con il giro d’affari maggiore, oltre 22 milioni di euro (2008).Una delle priorità nella valutazione della Commissione voluta dal Ministero dovrebbe essere, quindi, quella di suggerire una razionalizzazione dell’offerta relativa alle università telematiche. Un esempio potrebbe essere l’accorpamento di alcuni atenei online esistenti, per eliminare università con lo stesso numero di iscritti di una classe scolastica. Soluzione, questa, che però rischia di trovare un ostacolo considerevole: alcuni politici possiedono quote più o meno consistenti proprio all'interno degli atenei online. Una seconda strada l’ottimizzazione dei percorsi di laurea, per fare in modo che ciascun ateneo presenti un’offerta formativa differente e peculiare rispetto a quella degli altri, così da recuperare iscritti e ridare appeal a un tipo di università che per ora sembra essere passato di moda.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Laureati italiani, più veloci e qualificati: ma le speranze di lavoro sono poche- Università, allarme del Cun: il taglio dei fondi fa crollare le immatricolazioni- Università in Europa, quanto mi costi

Concorso per idee innovative in campo software, sbarca in Italia lo Startup Focus Program

Da un lato c'è PoliHub, incubatore gestito dalla Fondazione Politecnico di Milano appena inserito tra i migliori acceleratori d'impresa universitari dall'associazione svedese Ubi Index, dall'altro Sap Italia, divisione italiana di una delle principali produttrici di software gestionali. In mezzo l'opportunità per venti start-up di essere selezionate e partecipare ad un concorso che mette in palio tre scrivanie per un periodo di sei mesi all'interno dell'acceleratore d'impresa della Bovisa e la partecipazione a diverse iniziative dedicate alle nuove aziende promosse da Sap. Oltre ad un finanziamento da 25mila euro.C'è tempo fino al 22 settembre per presentare la propria candidatura allo “Startup focus program”, un concorso dedicato alle imprese che operano nei settori dei Big Data, della Real time Analysis e del Predictive Analytics e che hanno sviluppato progetti che sono basati sull'utilizzo del software Sap Hana, una piattaforma studiata per la gestione di enormi quantità di dati. Possono presentare la propria candidatura sia le persone fisiche che hanno in mente un'idea di business, sia le società avviate da poco, sia le imprese attive nel settore delle tecnologie informatiche ed operanti da tempo sul mercato. Unico requisito è che i singoli progetti possano trarre beneficio dall'utilizzo della piattaforma Sap Hana.Le aziende che parteciperanno vedranno i loro progetti valutati da un comitato formato da docenti universitari, personale Sap e venture capitalist, che individueranno i venti ritenuti più interessanti. La selezione terrà conto della qualità e delle competenze del tema imprenditoriale, la validità del progetto e le sue potenzialità sul mercato, ma anche la fattibilità tecnica. Quanti superereanno la prima fase di selezione prenderanno parte il 26 settembre allo “Startup Forum” di Milano e presenteranno la loro idea di fronte ad un gruppo di clienti e di partner di Sap. A questi ultimi il compito di scegliere le tre imprese ritenute vincitrici del concorso, che saranno premiate sulla base dell'efficacia dell'illustrazione del proprio progetto. Per ciascuna è in palio innanzitutto una postazione all'interno di PoliHub per un periodo di sei mesi. Il Politecnico offre anche la possibilità di partecipare allo Startup Program, un progetto di sviluppo delle capacità imprenditoriali del Mip, la scuola di alta formazione del Politecnico.Chi vincerà si metterà in tasca anche un ingresso gratuito all'evento Teched 2013 promosso da Sap e dedicato ai responsabili delle tecnologie informatiche, agli sviluppatori e agli architetti di sistema, che potranno seguire mille ore di formazione sui software Sap. Previsto anche un contributo economico di 25mila euro messo a disposizione da Club Italia Investimenti 2. In alternativa, rinunciando a questa somma, si può chiedere di essere presentati a Sap Ventures, il fondo che finanzia le start-up che fa capo al colosso dei gestionali.Lo Startup Focus Program arriva in Italia alla luce del successo ottenuto dall'omonimo progetto lanciato lo scorso anno a livello globale da Sap. Un programma che ad oggi coinvolge 480 start-up in tutto il mondo, con oltre 40 progetti pronti per essere proposti sul mercato. Queste aziende coprono 22 settori industriali differenti e provengono in massima parte da Europa (41%) e Stati Uniti (35%). Uno su cinque è opera di startupper asiatici, mentre il 4% ha base nel continente Africano. In totale sono 19 i Paesi del mondo che sono rappresentati almeno da un'azienda all'interno di questo programma.Per approfondire i contenuti dell'iniziativa e comprendere le potenzialità dei mercati interessati dal concorso è previsto un workshop ospitato dal Mip, nella sede di via Lambruschini a Milano, giovedì 5 settembre alle 18. La settimana successiva, alla stessa ora nello stesso luogo, è in programma una sessione di Question&Answer durante la quale le persone interessate a partecipare al concorso avranno la possibilità di ottenere tutti i chiarimenti dei quali avranno bisogno. E decidere se presentare o meno la propria candidatura.Riccardo Saporiti startupper@repubblicadeglistagisti.itTi interessano altre iniziative di sostegno alle start-up? Leggi anche:- ItaliaCamp alla ricerca di idee per start-up. Le migliori voleranno negli Usa- Funder35, 1 milione di euro per le start-up culturali- Milano e la Lombardia, terreno fertile per le start-up- L'Abruzzo investe 9 milioni per le start-up: la speranza sta nell'innovazione- Al via Wind business factor 2013, il campionato italiano delle start-up- Non solo mele, con TechPeaks a Trento si coltiveranno anche start-upVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Recruiting geolocalizzato, un nuovo modello per gli annunci di lavoro online- HSD Europe, start-up italiana che aiuta i cinesi a respirare meglio- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

ItaliaCamp cerca idee per start-up, le migliori voleranno negli Usa

Le prime due edizioni hanno raccolto 2.300 idee, delle quali una cinquantina si sono trasformate in start-up. La terza promette di selezionarne un massimo di 20 e di presentarle a febbraio 2014 di fronte ad una platea di potenziali investitori a Washington e a New York. Inizialmente in scadenza per il 5 agosto, sono stati prorogati al 28 ottobre i termini per partecipare al concorso “La tua idea per il Paese”, promosso dall'associazione ItaliaCamp con il supporto della Presidenza del Consiglio dei ministri e da una serie di aziende.La partecipazione, ad oggi sono più di 300 gli iscritti, è consentita sia a persone fisiche che a persone giuridiche che abbiano idee legate al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. I campi di applicazione sono diversi: si va dal lavoro alle pubbliche amministrazioni, dall'ambiente all'energia, dalle infrastrutture alla finanza, dalla cultura al sociale. Già da fine marzo, quando il bando ha preso il via, l'associazione ha organizzato su tutto il territorio nazionale dei BarCamp, appuntamenti durante i quali a chiunque è stata data la possibilità di presentare la propria idea. Le più interessanti sono state invitate ad iscriversi al portale dedicato al concorso, pubblicando una descrizione del progetto preferibilmente in inglese. La procedura aperta anche comunque a coloro che non hanno avuto modo di prendere parte a questo tipo di eventi, e che certifica la partecipazione al concorso. L'iniziativa, come detto, coinvolge una serie di imprese, a cominciare dai soci fondatori di ItaliaCamp: Alitalia, Enel Green Power, Ferrovie Italiane, Poste Italiane, Rcs Mediagroup, Sisal, Terna, Unipol e Wind. L'edizione di quest'anno vede però anche la partecipazione di Axa, Eni e Total Erg. L'associazione ItaliaCamp è guidata da Fabrizio Sammarco [foto in alto], intraprendente 32enne, e ha come presidente onorario Antonio Catricalà, mentre la fondazione che la affianca è presieduta da PierLuigi Celli. «Il nostro obiettivo è quello di collegare quanti hanno buone idee con coloro che hanno la forza economica, culturale e politica di realizzarle», spiega Sammarco alla Repubblica degli Stagisti.La vincitrice della prima edizione fu Remocean, spin-off del Cnr di Napoli che si occupa di sicurezza nella navigazione che a maggio dello scorso anno ha visto entrare nel proprio capitale sociale con uno stanziamento da 950mila euro Atlante Ventures Mezzogiorno, fondo di venture capital del gruppo Intesa Sanpaolo. E a dicembre dello scorso anno è stata coinvolta dalla Regione Toscana nelle operazioni di recupero della Costa Concordia, arenata di fronte all'isola del Giglio. Sempre la prima edizione ha premiato Ecce customer, una piattaforma che permette alle imprese di monitorare le azioni dei clienti sulle pagine social aziendali. Questa realtà ha ricevuto a ottobre 2012 un finanziamento da 15 milioni di euro dal fondo Axel Johnson, il più grande investimento da parte di una realtà di New York in un'azienda di software italiana.Ed è appunto negli Stati Uniti che la idee selezionate vengono accompagnate perché possano presentarsi di fronte ad un gruppo di investitori. «La nostra missione internazionale sarà un piacevole confronto tra l'allievo ed il maestro, visto che il barcamp nasce in America. ItaliaCamp è stata tra le prime realtà ad importare la metodologia nel 2009, dimostrando come sia possibile valorizzare buone pratiche internazionali nel nostro Paese». Ma non è paradossale che un'iniziativa supportata dalla Presidenza del consiglio favorisca la fuga dei cervelli? «La nostra è una missione "andata e ritorno"», ribatte Sammarco, «il nostro approccio è duplice: da un lato permettiamo a imprese e ideatori italiani di individuare la natura giuridica e manageriale per soddisfare le esigenze dei potenziali investitori americani, dall'altro di valorizzare le competenze del luogo in cui sono prodotte, ovvero l'Italia, fungendo da innovativi attrattori di investimenti».La selezione delle idee da presentare negli Stati Uniti si baserà su alcuni criteri e si svilupperà in due fasi successive. Innanzitutto si terrà conto della concretezza delle proposte, della loro sostenibilità, del grado di innovazione e della loro replicabilità a livello internazionale. Altro elemento che sarà tenuto in considerazione è la possibile ricaduta a livello occupazionale e di sviluppo dei territori interessati dallo sviluppo dei singoli progetti.La prima selezione sarà effettuata da un gruppo di valutazione preliminare costituito dall'associazione ItaliaCamp, che effettuerà le verifiche formali controllando che l'idea sia stata proposta correttamente e soprattutto che i proponenti non abbiano ricevuto condanne passate in giudicato né abbiano rapporti di parentela con i membri del comitato scientifico. Sarà poi quest'ultimo a prendersi in carico la seconda fase, in cui verrà fatta la selezione sulla base dei contenuti delle idee pervenute. L'obiettivo è quello di selezionare, entro il mese di settembre, i venti vincitori che saranno poi nell'ambito di due eventi che si svolgeranno rispettivamente a Washington e a New York nel febbraio del prossimo anno. E saranno inviate a potenziali investitori perché le valutino e decidano eventualmente di sostenerle a livello economico. Con l'auspicio che almeno le 20 idee scelte per la presentazione americana riescano a concretizzarsi dando vita ad una start-up.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itTi interessano altre iniziative di sostegno alle start-up? Leggi anche:- Funder35, 1 milione di euro per le start-up culturali- Milano e la Lombardia, terreno fertile per le start-up- L'Abruzzo investe 9 milioni per le start-up: la speranza sta nell'innovazione- Al via Wind business factor 2013, il campionato italiano delle start-up- Non solo mele, con TechPeaks a Trento si coltiveranno anche start-upVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? 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Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato

L'hanno fondata pensando al mercato internazionale, eppure i nomi delle loro scarpe sono tutti in dialetto milanese: “El Professor”, “El Lumagott”, “El Refinàa”. «Un po' è perché non volevamo prenderci troppo sul serio, un po' perché non possiamo competere con i grandi brand come numero di modelli e allora abbiamo cercato di dare gusto e colore ai nostri», spiega il 26enne Enrico Casati, fondatore insieme al coetaneo Fabiano Matteo di Velasca.Anche nel nome questa start-up impegnata nel settore delle calzature trasuda “milanesità”: il riferimento all'omonima torre che sorge alla fermata Missori della linea 3 della metropolitana, a pochi passi dal Duomo e dall'università Statale. Eppure l'idea imprenditoriale è nata a 14mila chilometri di distanza, a Singapore. Qui lavorava Casati, assunto dalla banca Hsbc dopo una laurea in International management alla Bocconi. «Quando ero lì cercavo delle calzature di qualità, che in Italia sono facili da reperire senza bisogno di ricorrere a grandi marche, ma da quelle parti non se ne trovano. E allora invece di comprarle a Singapore me le sono fatte portare da mio fratello quando è venuto da me per l'estate con un amico». Da qui l'idea di «aggredire il mercato». Asiatico ma non solo.A novembre dello scorso anno Casati ha rifiutato l'offerta di un contratto a tempo indeterminato ed è tornato in Italia, mentre Matteo ha lasciato un tempo determinato nel settore e-commerce della Diesel. Insieme hanno fondato Velasca, coinvolgendo anche Daniele Casati (32), il fratello di Enrico, e Jacopo Sebastio (31), l'amico che era a Singapore quando nacque l'idea per questa start-up. Questi ultimi due risultano come soci non operativi, visto che continuano a lavorare nel settore della consulenza con contratti a tempo indeterminato. E così dopo aver condiviso il banco al liceo Beccaria e alla Bocconi, Casati e Matteo hanno deciso di condividere anche l'ufficio. «Da quando ci siamo iscritti all'università ci siamo sempre detti che volevamo metterci in proprio, ma appena laureati non ci sentivamo pronti». C'è voluto un anno e mezzo, ma alla fine i due si sono decisi. A novembre del 2012 hanno iniziato la progettazione e a febbraio di quest'anno sono andati a firmare l'atto costitutivo di una srl. «Volevamo fondare una isrl [start-up innovativa, ndr] ma ci sono dei vincoli molto forti. Potevamo fare la srl semplificata, perché si risparmia sulle spese notarili. Ma siamo stati fortunati perché abbiamo trovato un notaio amico che ce le ha abbassate di sua spontanea volontà».Ai 10mila euro di capitale sociale, versati grazie ai risparmi dei quattro startupper, si è aggiunto un investimento da 20mila euro destinato in gran parte alla costituzione di un magazzino. «Ci abbiamo pagato anche le spese per realizzare il sito e il commercialista. L'ufficio per adesso ce l'abbiamo in casa, per tenere i costi bassi». Velasca si occupa della vendita on-line di scarpe da uomo, che vengono realizzate a Montegranaro, un antico borgo in provincia di Fermo. «All'inizio abbiamo fatto una ricerca di mercato e ci siamo rivolti nel milanese, a Parabiago, e nel pavese, a Vigevano, dove esistono due distretti affermati. Ma purtroppo abbiamo incontrato una realtà frammentata e poco propensa ad attività nuove come la nostra». Per questo Casati e Matteo hanno fatto rotta verso le Marche, dove «esistono dei consorzi che fanno da tramite tra clienti e fornitori». E lì finalmente hanno trovato gli artigiani in grado di realizzare i loro modelli.«Sulle scarpe maschili non si possono fare grossi stravolgimenti, per questo non abbiamo prodotti rivoluzionari ma molto classici. Però modifichiamo i dettagli, il pellame e i colori e otteniamo particolari che sono solo nostri». I due startupper milanesi lavorano a stretto contatto con i modellisti marchigiani per la definizione dei modelli. E poi si occupano di sviluppare la piattaforma di e-commerce e di far conoscere la propria azienda. «Abbiamo realizzato una piccola campagna a pagamento su Facebook e stiamo iniziando ad affacciarci anche al mondo off-line. Ci ha contattato uno show-room di Milano che vorrebbe avere le nostre scarpe in negozio». Inoltre da qualche settimana nel capoluogo lombardo è comparso un motocarro bianco e nero con il logo della start-up che cerca clienti in strada: è possibile provare i modelli e, se piacciono, acquistarli. Nonostante vendano già, i due soci operativi hanno scelto di non darsi un vero e proprio stipendio: «Solo un rimborso spese. E sarà la prima cosa ad essere tagliata nel caso in cui le cose andassero male». La chiusura del bilancio di quest'anno è prevista in perdita, per il prossimo si punta al pareggio. I primi utili dovrebbero arrivare nel 2015, anno dell'Expo milanese: per quella data le scarpe Velasca dovrebbero riuscire a camminare da sole.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? 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