Categoria: Approfondimenti

Le università telematiche compiono dieci anni: capolinea o nuova partenza?

I detrattori dicono che ormai sul web si trova di tutto, anche la laurea. I sostenitori le etichettano come un utile antidoto contro la mancanza di tempo. Da quando esistono, esattamente dieci anni, le università telematiche sono state più volte passate sotto analisi e, poco tempo fa, il neo ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha deciso di vederci chiaro. Da viale Trastevere è stata, infatti, annunciata l’istituzione di una commissione per valutare la «qualità dell’offerta formativa» degli atenei online. Compito della commissione (composta da Stefano Liebman, professore ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università Bocconi di Milano; Marco Mancini, rettore dell’Università della Tuscia di Viterbo e Presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI); Marcella Gargano, vice-capo di gabinetto MIUR) sarà redigere una relazione sul tema nel giro di due mesi. Circa un mese fa, poi,  i senatori PD Walter Tocci e Leana Pignedoli [nella foto in basso] hanno presentato un’interrogazione parlamentare  - ancora in attesa di risposta - proprio sulla questione università telematiche, chiedendo che i requisiti minimi per l’attivazione dei corsi di laurea nelle università italiane, fissati a gennaio da un decreto del MIUR, vengano applicati anche alle università online, attualmente prive di una regolamentazione in tal senso.Ma cosa sono e quando nascono le università telematiche? E soprattutto, possono essere messe sullo stesso livello delle università «tradizionali»? L’origine degli atenei online, ossia completamente virtuali, risale alla legge 289/2002 (Finanziaria 2003). La norma prevede che vengano stabiliti, attraverso un successivo decreto interministeriale, «i criteri e le procedure di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni abilitate a rilasciare titoli accademici, senza oneri a carico del bilancio dello Stato», tracciando alcuni requisiti come la presenza di un’«architettura di sistema flessibile e capace di utilizzare in modo mirato le diverse tecnologie per la gestione dell’interattività». Il provvedimento attuativo è il decreto Miur 17 aprile 2003, il quale stabilisce, tra le varie disposizioni, che i corsi di studio delle università telematiche debbano essere organizzati secondo gli ordinamenti didattici vigenti e che i titoli di studio rilasciati abbiano valore legale. Lezioni e libretto sono «virtuali», mentre gli esami si sostengono nelle sedi delle università online, tenendo conto del calendario pubblicato da ciascun ateneo. Il decreto, firmato dall’allora ministro dell’Istruzione Letizia Moratti, di fatto equipara la laurea «telematica» a quella degli atenei classici.Attualmente esistono 11 università telematiche: ben sei di esse hanno sede a Roma. Si tratta della Guglielmo Marconi, dell’Unitelma Sapienza, dell’Università telematica internazionale Uninettuno, dell’Università San Raffaele, dell’Unicusano e dell’Universitas Mercatorum. Le altre cinque sono l’università E-Campus di Novedrate (Como), la Giustino Fortunato di Benevento, la Italian University Line di Firenze, la UniPegaso di Napoli, la Leonardo da Vinci di Torrevecchia Teatina, provincia di Chieti.Secondo una delle ultime rilevazioni ufficiali del MIUR, nell’anno accademico 2009/2010 i corsi di studio complessivi erano 74: la maggior parte di essi rientra negli ambiti giuridici ed economici. Sui siti degli atenei sono presenti l’offerta formativa complessiva e il programma dettagliato di ciascun corso. Le lezioni si svolgono online attraverso una piattaforma di e-learning e sono tenute dai docenti dell’ateneo. La piattaforma consente anche di effettuare prove di autoverifica su una determinata lezione o esame. Di solito, oltre ai contenuti delle lezioni, per la preparazione agli esami è necessario acquistare libri di testo selezionati dal docente e indicati nell’ordine degli studi. Gli studenti possono incontrare di persona gli insegnanti nella sede dell’università, sulla base degli orari di ricevimento indicati sul sito. Gran parte degli iscritti è over 30 (più o meno i due terzi): si tratta, cioè, di persone per la maggior parte già attive sul mercato del lavoro, che puntano a ottenere il titolo a distanza, pur avendo poco tempo a disposizione. La possibilità di raggiungere la laurea senza doversi recare all’università, potendo, così conciliare studio e lavoro, l’evoluzione tecnologica e la comodità di seguire i corsi da casa, sono state tra le ragioni del successo delle università online, passate da quattro nell’anno accademico 2005/2006 a 11 nel 2008/2009, da circa 5200 a più di 17mila iscritti secondo quanto risulta dal Decimo Rapporto CNSVU sullo stato del sistema universitario. Negli ultimi anni, però, si sta registrando un’inversione di tendenza: secondo i dati dell’Anagrafe nazionale studenti del Miur relativi al numero di immatricolazioni, se nell’anno accademico 2010/2011 i nuovi iscritti sono stati oltre 7500 (su un totale di 289.714 immatricolati complessivi), l’anno successivo si è passati a poco più di 4400 (su un totale di 280.114). La quota di immatricolati degli atenei telematici incide in minima parte sul numero complessivo degli atenei nazionali. La sproporzione tra il numero esiguo di immatricolati rispetto a ben undici università presenti appare abbastanza chiara. Tanto più se si pensa che alcuni di questi atenei presentano un numero di iscritti piuttosto basso: ad esempio, nell’anno accademico 2011/2012 la IUL di Firenze ha registrato appena 58 iscritti, rispetto agli oltre 13mila della Marconi. «Il proliferare di università telematiche senza che siano previsti adeguati controlli qualitativi è indubbiamente un problema. Credo che in Italia oggi sia necessario ripristinare a mantenere alti standard di formazione, vero motore di sviluppo del nostro Paese e della nostra società» dice la senatrice Pignedoli, co-firmataria dell’interrogazione parlamentare sulle università telematiche, alla Repubblica degli Stagisti: «Quella che avviene oggi, a seguito della presentazione di quel decreto legge che di fatto taglia fuori le università telematiche, è un’anomalia non spiegabile che non garantisce alti standard di formazione».In tutti gli atenei comunque il trend, positivo fino a qualche anno fa, è accompagnato da tre anni dal segno meno. La crisi generalizzata ha sicuramente qualche responsabilità. Basta dare un’occhiata ai costi medi delle undici università telematiche, oscillanti tra i 2mila e i 4mila euro l’anno e variabili, all’interno dello stesso ateneo, a seconda delle ore di lezione effettuate, della presenza di eventuali tutor e così via. Se è vero che la maggior parte degli iscritti sono lavoratori, è molto probabile che negli ultimi anni la scelta di investire non pochi soldi in formazione venga ponderata per bene. Il calo di immatricolati va di pari passo con quello registrato in tutte le altre università, che rispecchia anche la diffidenza nei confronti dell’effettivo valore del titolo accademico e della capacità di garantire concreti sbocchi occupazionali.Un discorso che si collega alla diffusa opinione che la laurea «telematica» sia una laurea di «serie B», una scorciatoia rispetto al titolo ottenuto nelle aule universitarie, permettendo più facilmente il superamento degli esami necessari alla laurea.Analizzando gli ultimi dati disponibili sull’Anagrafe nazionale degli studenti del Miur, uno degli aspetti che balza maggiormente agli occhi è la forte percentuale negli atenei telematici dei cosiddetti «laureati con abbreviazione», ossia coloro che hanno ottenuto il titolo  in un tempo inferiore alla durata legale del corso: si tratta, ad esempio,  del 57,4% del totale dei laureati nell’anno accademico 2008/2009 per l’Unitelma Sapienza e addirittura il 95,1% per l’E-Campus. Sono tutti velocisti i laureati «telematici» o forse prendere un titolo a distanza è più facile rispetto a sudarselo nelle aule? Le votazioni finali riportate nello stesso anno accademico evidenziano come la maggior parte degli iscritti concluda, però, il proprio percorso accademico con un voto compreso tra 91 e 100, mentre i laureati con voto pari o superiore al 106 rappresentano una percentuale minoritaria. Votazioni certamente non basse, ma non d’eccellenza.L’ipotesi legata a un livello qualitativo più basso è avvalorata anche dalla sproporzione tra il numero di personale docente e la quantità dei corsi di studio offerti. In tutte le università telematiche è stato evidenziato come il numero di professori di ruolo sia nettamente inferiore rispetto all’organico necessario. Inoltre, accanto ai docenti di ruolo (selezionati attraverso procedure concorsuali nazionali), la legge prevede anche la possibilità di reclutare, attraverso selezioni interne alle singole università, figure a tempo determinato - professori straordinari o ricercatori a tempo determinato. A causa della frequente scarsità di risorse finanziarie, quindi, gli atenei hanno preferito tagliare sull’organico e in generale sui servizi offerti, minando inevitabilmente la qualità complessiva, come già riscontrato del Decimo Rapporto CNSVU. Lo stesso studio rivela come, secondo i dati di bilancio 2008, molte di esse abbiano chiuso in passivo o mantenuto una situazione di equilibrio a livello finanziario. L’università Marconi è quella con il giro d’affari maggiore, oltre 22 milioni di euro (2008).Una delle priorità nella valutazione della Commissione voluta dal Ministero dovrebbe essere, quindi, quella di suggerire una razionalizzazione dell’offerta relativa alle università telematiche. Un esempio potrebbe essere l’accorpamento di alcuni atenei online esistenti, per eliminare università con lo stesso numero di iscritti di una classe scolastica. Soluzione, questa, che però rischia di trovare un ostacolo considerevole: alcuni politici possiedono quote più o meno consistenti proprio all'interno degli atenei online. Una seconda strada l’ottimizzazione dei percorsi di laurea, per fare in modo che ciascun ateneo presenti un’offerta formativa differente e peculiare rispetto a quella degli altri, così da recuperare iscritti e ridare appeal a un tipo di università che per ora sembra essere passato di moda.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Laureati italiani, più veloci e qualificati: ma le speranze di lavoro sono poche- Università, allarme del Cun: il taglio dei fondi fa crollare le immatricolazioni- Università in Europa, quanto mi costi

Concorso per idee innovative in campo software, sbarca in Italia lo Startup Focus Program

Da un lato c'è PoliHub, incubatore gestito dalla Fondazione Politecnico di Milano appena inserito tra i migliori acceleratori d'impresa universitari dall'associazione svedese Ubi Index, dall'altro Sap Italia, divisione italiana di una delle principali produttrici di software gestionali. In mezzo l'opportunità per venti start-up di essere selezionate e partecipare ad un concorso che mette in palio tre scrivanie per un periodo di sei mesi all'interno dell'acceleratore d'impresa della Bovisa e la partecipazione a diverse iniziative dedicate alle nuove aziende promosse da Sap. Oltre ad un finanziamento da 25mila euro.C'è tempo fino al 22 settembre per presentare la propria candidatura allo “Startup focus program”, un concorso dedicato alle imprese che operano nei settori dei Big Data, della Real time Analysis e del Predictive Analytics e che hanno sviluppato progetti che sono basati sull'utilizzo del software Sap Hana, una piattaforma studiata per la gestione di enormi quantità di dati. Possono presentare la propria candidatura sia le persone fisiche che hanno in mente un'idea di business, sia le società avviate da poco, sia le imprese attive nel settore delle tecnologie informatiche ed operanti da tempo sul mercato. Unico requisito è che i singoli progetti possano trarre beneficio dall'utilizzo della piattaforma Sap Hana.Le aziende che parteciperanno vedranno i loro progetti valutati da un comitato formato da docenti universitari, personale Sap e venture capitalist, che individueranno i venti ritenuti più interessanti. La selezione terrà conto della qualità e delle competenze del tema imprenditoriale, la validità del progetto e le sue potenzialità sul mercato, ma anche la fattibilità tecnica. Quanti superereanno la prima fase di selezione prenderanno parte il 26 settembre allo “Startup Forum” di Milano e presenteranno la loro idea di fronte ad un gruppo di clienti e di partner di Sap. A questi ultimi il compito di scegliere le tre imprese ritenute vincitrici del concorso, che saranno premiate sulla base dell'efficacia dell'illustrazione del proprio progetto. Per ciascuna è in palio innanzitutto una postazione all'interno di PoliHub per un periodo di sei mesi. Il Politecnico offre anche la possibilità di partecipare allo Startup Program, un progetto di sviluppo delle capacità imprenditoriali del Mip, la scuola di alta formazione del Politecnico.Chi vincerà si metterà in tasca anche un ingresso gratuito all'evento Teched 2013 promosso da Sap e dedicato ai responsabili delle tecnologie informatiche, agli sviluppatori e agli architetti di sistema, che potranno seguire mille ore di formazione sui software Sap. Previsto anche un contributo economico di 25mila euro messo a disposizione da Club Italia Investimenti 2. In alternativa, rinunciando a questa somma, si può chiedere di essere presentati a Sap Ventures, il fondo che finanzia le start-up che fa capo al colosso dei gestionali.Lo Startup Focus Program arriva in Italia alla luce del successo ottenuto dall'omonimo progetto lanciato lo scorso anno a livello globale da Sap. Un programma che ad oggi coinvolge 480 start-up in tutto il mondo, con oltre 40 progetti pronti per essere proposti sul mercato. Queste aziende coprono 22 settori industriali differenti e provengono in massima parte da Europa (41%) e Stati Uniti (35%). Uno su cinque è opera di startupper asiatici, mentre il 4% ha base nel continente Africano. In totale sono 19 i Paesi del mondo che sono rappresentati almeno da un'azienda all'interno di questo programma.Per approfondire i contenuti dell'iniziativa e comprendere le potenzialità dei mercati interessati dal concorso è previsto un workshop ospitato dal Mip, nella sede di via Lambruschini a Milano, giovedì 5 settembre alle 18. La settimana successiva, alla stessa ora nello stesso luogo, è in programma una sessione di Question&Answer durante la quale le persone interessate a partecipare al concorso avranno la possibilità di ottenere tutti i chiarimenti dei quali avranno bisogno. E decidere se presentare o meno la propria candidatura.Riccardo Saporiti startupper@repubblicadeglistagisti.itTi interessano altre iniziative di sostegno alle start-up? Leggi anche:- ItaliaCamp alla ricerca di idee per start-up. Le migliori voleranno negli Usa- Funder35, 1 milione di euro per le start-up culturali- Milano e la Lombardia, terreno fertile per le start-up- L'Abruzzo investe 9 milioni per le start-up: la speranza sta nell'innovazione- Al via Wind business factor 2013, il campionato italiano delle start-up- Non solo mele, con TechPeaks a Trento si coltiveranno anche start-upVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Recruiting geolocalizzato, un nuovo modello per gli annunci di lavoro online- HSD Europe, start-up italiana che aiuta i cinesi a respirare meglio- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

ItaliaCamp cerca idee per start-up, le migliori voleranno negli Usa

Le prime due edizioni hanno raccolto 2.300 idee, delle quali una cinquantina si sono trasformate in start-up. La terza promette di selezionarne un massimo di 20 e di presentarle a febbraio 2014 di fronte ad una platea di potenziali investitori a Washington e a New York. Inizialmente in scadenza per il 5 agosto, sono stati prorogati al 28 ottobre i termini per partecipare al concorso “La tua idea per il Paese”, promosso dall'associazione ItaliaCamp con il supporto della Presidenza del Consiglio dei ministri e da una serie di aziende.La partecipazione, ad oggi sono più di 300 gli iscritti, è consentita sia a persone fisiche che a persone giuridiche che abbiano idee legate al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. I campi di applicazione sono diversi: si va dal lavoro alle pubbliche amministrazioni, dall'ambiente all'energia, dalle infrastrutture alla finanza, dalla cultura al sociale. Già da fine marzo, quando il bando ha preso il via, l'associazione ha organizzato su tutto il territorio nazionale dei BarCamp, appuntamenti durante i quali a chiunque è stata data la possibilità di presentare la propria idea. Le più interessanti sono state invitate ad iscriversi al portale dedicato al concorso, pubblicando una descrizione del progetto preferibilmente in inglese. La procedura aperta anche comunque a coloro che non hanno avuto modo di prendere parte a questo tipo di eventi, e che certifica la partecipazione al concorso. L'iniziativa, come detto, coinvolge una serie di imprese, a cominciare dai soci fondatori di ItaliaCamp: Alitalia, Enel Green Power, Ferrovie Italiane, Poste Italiane, Rcs Mediagroup, Sisal, Terna, Unipol e Wind. L'edizione di quest'anno vede però anche la partecipazione di Axa, Eni e Total Erg. L'associazione ItaliaCamp è guidata da Fabrizio Sammarco [foto in alto], intraprendente 32enne, e ha come presidente onorario Antonio Catricalà, mentre la fondazione che la affianca è presieduta da PierLuigi Celli. «Il nostro obiettivo è quello di collegare quanti hanno buone idee con coloro che hanno la forza economica, culturale e politica di realizzarle», spiega Sammarco alla Repubblica degli Stagisti.La vincitrice della prima edizione fu Remocean, spin-off del Cnr di Napoli che si occupa di sicurezza nella navigazione che a maggio dello scorso anno ha visto entrare nel proprio capitale sociale con uno stanziamento da 950mila euro Atlante Ventures Mezzogiorno, fondo di venture capital del gruppo Intesa Sanpaolo. E a dicembre dello scorso anno è stata coinvolta dalla Regione Toscana nelle operazioni di recupero della Costa Concordia, arenata di fronte all'isola del Giglio. Sempre la prima edizione ha premiato Ecce customer, una piattaforma che permette alle imprese di monitorare le azioni dei clienti sulle pagine social aziendali. Questa realtà ha ricevuto a ottobre 2012 un finanziamento da 15 milioni di euro dal fondo Axel Johnson, il più grande investimento da parte di una realtà di New York in un'azienda di software italiana.Ed è appunto negli Stati Uniti che la idee selezionate vengono accompagnate perché possano presentarsi di fronte ad un gruppo di investitori. «La nostra missione internazionale sarà un piacevole confronto tra l'allievo ed il maestro, visto che il barcamp nasce in America. ItaliaCamp è stata tra le prime realtà ad importare la metodologia nel 2009, dimostrando come sia possibile valorizzare buone pratiche internazionali nel nostro Paese». Ma non è paradossale che un'iniziativa supportata dalla Presidenza del consiglio favorisca la fuga dei cervelli? «La nostra è una missione "andata e ritorno"», ribatte Sammarco, «il nostro approccio è duplice: da un lato permettiamo a imprese e ideatori italiani di individuare la natura giuridica e manageriale per soddisfare le esigenze dei potenziali investitori americani, dall'altro di valorizzare le competenze del luogo in cui sono prodotte, ovvero l'Italia, fungendo da innovativi attrattori di investimenti».La selezione delle idee da presentare negli Stati Uniti si baserà su alcuni criteri e si svilupperà in due fasi successive. Innanzitutto si terrà conto della concretezza delle proposte, della loro sostenibilità, del grado di innovazione e della loro replicabilità a livello internazionale. Altro elemento che sarà tenuto in considerazione è la possibile ricaduta a livello occupazionale e di sviluppo dei territori interessati dallo sviluppo dei singoli progetti.La prima selezione sarà effettuata da un gruppo di valutazione preliminare costituito dall'associazione ItaliaCamp, che effettuerà le verifiche formali controllando che l'idea sia stata proposta correttamente e soprattutto che i proponenti non abbiano ricevuto condanne passate in giudicato né abbiano rapporti di parentela con i membri del comitato scientifico. Sarà poi quest'ultimo a prendersi in carico la seconda fase, in cui verrà fatta la selezione sulla base dei contenuti delle idee pervenute. L'obiettivo è quello di selezionare, entro il mese di settembre, i venti vincitori che saranno poi nell'ambito di due eventi che si svolgeranno rispettivamente a Washington e a New York nel febbraio del prossimo anno. E saranno inviate a potenziali investitori perché le valutino e decidano eventualmente di sostenerle a livello economico. Con l'auspicio che almeno le 20 idee scelte per la presentazione americana riescano a concretizzarsi dando vita ad una start-up.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itTi interessano altre iniziative di sostegno alle start-up? Leggi anche:- Funder35, 1 milione di euro per le start-up culturali- Milano e la Lombardia, terreno fertile per le start-up- L'Abruzzo investe 9 milioni per le start-up: la speranza sta nell'innovazione- Al via Wind business factor 2013, il campionato italiano delle start-up- Non solo mele, con TechPeaks a Trento si coltiveranno anche start-upVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? 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Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato

L'hanno fondata pensando al mercato internazionale, eppure i nomi delle loro scarpe sono tutti in dialetto milanese: “El Professor”, “El Lumagott”, “El Refinàa”. «Un po' è perché non volevamo prenderci troppo sul serio, un po' perché non possiamo competere con i grandi brand come numero di modelli e allora abbiamo cercato di dare gusto e colore ai nostri», spiega il 26enne Enrico Casati, fondatore insieme al coetaneo Fabiano Matteo di Velasca.Anche nel nome questa start-up impegnata nel settore delle calzature trasuda “milanesità”: il riferimento all'omonima torre che sorge alla fermata Missori della linea 3 della metropolitana, a pochi passi dal Duomo e dall'università Statale. Eppure l'idea imprenditoriale è nata a 14mila chilometri di distanza, a Singapore. Qui lavorava Casati, assunto dalla banca Hsbc dopo una laurea in International management alla Bocconi. «Quando ero lì cercavo delle calzature di qualità, che in Italia sono facili da reperire senza bisogno di ricorrere a grandi marche, ma da quelle parti non se ne trovano. E allora invece di comprarle a Singapore me le sono fatte portare da mio fratello quando è venuto da me per l'estate con un amico». Da qui l'idea di «aggredire il mercato». Asiatico ma non solo.A novembre dello scorso anno Casati ha rifiutato l'offerta di un contratto a tempo indeterminato ed è tornato in Italia, mentre Matteo ha lasciato un tempo determinato nel settore e-commerce della Diesel. Insieme hanno fondato Velasca, coinvolgendo anche Daniele Casati (32), il fratello di Enrico, e Jacopo Sebastio (31), l'amico che era a Singapore quando nacque l'idea per questa start-up. Questi ultimi due risultano come soci non operativi, visto che continuano a lavorare nel settore della consulenza con contratti a tempo indeterminato. E così dopo aver condiviso il banco al liceo Beccaria e alla Bocconi, Casati e Matteo hanno deciso di condividere anche l'ufficio. «Da quando ci siamo iscritti all'università ci siamo sempre detti che volevamo metterci in proprio, ma appena laureati non ci sentivamo pronti». C'è voluto un anno e mezzo, ma alla fine i due si sono decisi. A novembre del 2012 hanno iniziato la progettazione e a febbraio di quest'anno sono andati a firmare l'atto costitutivo di una srl. «Volevamo fondare una isrl [start-up innovativa, ndr] ma ci sono dei vincoli molto forti. Potevamo fare la srl semplificata, perché si risparmia sulle spese notarili. Ma siamo stati fortunati perché abbiamo trovato un notaio amico che ce le ha abbassate di sua spontanea volontà».Ai 10mila euro di capitale sociale, versati grazie ai risparmi dei quattro startupper, si è aggiunto un investimento da 20mila euro destinato in gran parte alla costituzione di un magazzino. «Ci abbiamo pagato anche le spese per realizzare il sito e il commercialista. L'ufficio per adesso ce l'abbiamo in casa, per tenere i costi bassi». Velasca si occupa della vendita on-line di scarpe da uomo, che vengono realizzate a Montegranaro, un antico borgo in provincia di Fermo. «All'inizio abbiamo fatto una ricerca di mercato e ci siamo rivolti nel milanese, a Parabiago, e nel pavese, a Vigevano, dove esistono due distretti affermati. Ma purtroppo abbiamo incontrato una realtà frammentata e poco propensa ad attività nuove come la nostra». Per questo Casati e Matteo hanno fatto rotta verso le Marche, dove «esistono dei consorzi che fanno da tramite tra clienti e fornitori». E lì finalmente hanno trovato gli artigiani in grado di realizzare i loro modelli.«Sulle scarpe maschili non si possono fare grossi stravolgimenti, per questo non abbiamo prodotti rivoluzionari ma molto classici. Però modifichiamo i dettagli, il pellame e i colori e otteniamo particolari che sono solo nostri». I due startupper milanesi lavorano a stretto contatto con i modellisti marchigiani per la definizione dei modelli. E poi si occupano di sviluppare la piattaforma di e-commerce e di far conoscere la propria azienda. «Abbiamo realizzato una piccola campagna a pagamento su Facebook e stiamo iniziando ad affacciarci anche al mondo off-line. Ci ha contattato uno show-room di Milano che vorrebbe avere le nostre scarpe in negozio». Inoltre da qualche settimana nel capoluogo lombardo è comparso un motocarro bianco e nero con il logo della start-up che cerca clienti in strada: è possibile provare i modelli e, se piacciono, acquistarli. Nonostante vendano già, i due soci operativi hanno scelto di non darsi un vero e proprio stipendio: «Solo un rimborso spese. E sarà la prima cosa ad essere tagliata nel caso in cui le cose andassero male». La chiusura del bilancio di quest'anno è prevista in perdita, per il prossimo si punta al pareggio. I primi utili dovrebbero arrivare nel 2015, anno dell'Expo milanese: per quella data le scarpe Velasca dovrebbero riuscire a camminare da sole.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? 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Crowdfunding, luci ed ombre nel regolamento Consob

L'Italia è il primo Paese europeo ad aver adottato una normativa per l'equity crowdfunding. Ma questa possibilità è riservata esclusivamente alle start-up innovative e pone dei limiti agli investimenti. Fa discutere il regolamento pubblicato nei giorni scorsi dalla Consob, con tre mesi di ritardo rispetto alle prescrizioni del decreto Passera, e lascia aperte molte incognite: «Stiamo parlando di un mondo che per sua stessa natura si autoregola che ora si sta "insinuando" in uno tra i settori più pesantemente regolarizzati, ovvero quello finanziario. Questo incontro/scontro è nuovo, non è stato ancora del tutto sperimentato e non possiamo ancora dire se la regolarizzazione bloccherà o incentiverà lo sviluppo del settore», spiega Daniela Castrataro, fondatrice di Twintangibles ed autrice insieme ad Ivana Pais di una ricerca su “Il crowdfunding in Italia”.Il documento pubblicato dall'autorità di vigilanza sulla Borsa istituisce innanzitutto un registro delle piattaforme autorizzate alla raccolta di capitali on line. E fissa i requisiti di onorabilità e di professionalità richiesti ai gestori di questi portali. I quali non solo non devono aver riportato condanne penali, ma devono avere una «comprovata esperienza» nella gestione di impresa o nelle attività finanziarie. «Questo tanto atteso regolamento non è altro che un insieme di requisiti di onorabilità e di regole di condotta di cui gli addetti ai lavori non sentivano il bisogno. In pratica sono 25 articoli e due allegati di pura e semplice burocrazia» è il commento che Alessandro Biasoli, avvocato e presidente di Capecanaveral, associazione impegnata nella diffusione della cultura d'impresa, affida alla Repubblica degli Stagisti.«Gestire piattaforme di equity è un compito difficile e richiede delle competenze che non possono essere acquisite in un giorno», ribatte a distanza Castrataro: «sono stati gli stessi operatori a richiedere che i gestori dei portali avessero determinate caratteristiche professionali. Penso che non si tratti di un limite quanto piuttosto di una garanzia per il corretto funzionamento di un settore nuovo». Il punto, secondo il fondatore della piattaforma di crowdfunding SiamoSoci Cristiano Esclapon, è che il decreto Passera «ha ben regolato il fallimento delle start-up, prevede che si possano chiudere i bilanci in perdita senza intaccare il capitale, stabilisce che chi fallisce non è delinquente. E questa è una bella innovazione, davvero necessaria. Ma sul fatto del finanziamento di queste imprese si sono cercate delle salvaguardie rivolte alla figura di un investitore molto tradizionale».Grande l'attenzione posta alla trasparenza, con l'obbligo di rendere pubblici i curricula degli startupper che richiedono un finanziamento, il business plan e tutti i rischi connessi all'investimento in una realtà imprenditoriale tutt'altro che consolidata, così come alle misure che evitino conflitti di interesse. E sempre a garanzia dei piccoli risparmiatori la normativa prevede che almeno il 5% dell'offerta sia coperta da un investitore professionale. «L'elemento più critico sta nella definizione di queste figure», afferma il fondatore di Roma Startup Gianmarco Carnovale [nella foto sotto]. Da una parte ci sono i soggetti che rientrano di diritto nel novero, come le banche, le imprese di investimento e le assicurazioni. «Poi ci sono quelli che devono presentare richiesta di iscrizione al registro e devono presentare due requisiti: aver svolto almeno dieci operazioni a trimestre nei dodici mesi precedenti alla domanda, cioè devono giocare in Borsa, ed avere un portafoglio che supera i 500mila euro». Tutti criteri che «si adattano alle società di gestione dei risparmi e ai venture capitalist, ma tagliano fuori la figura del business angel». Ovvero quel singolo che finanzia una start-up magari con importi più contenuti, mettendosi però anche a disposizione come mentore. E che, secondo Carnovale, rischia di essere escluso dalle operazioni di crowdfunding.Ma anche chi potrà realizzarle dovrà fare i conti con limiti ben precisi. Il regolamento infatti prevede l'esenzione dai controlli legati alla direttiva europea sul mercato degli strumenti finanziari solo per le operazioni inferiori a 500 euro condotte da persone fisiche, per un massimo di mille euro annuali. Mentre per le persone giuridiche l'asticella sale ai 5mila euro sul singolo ordine e ai 10mila su base annua. «Mi aspettavo una deregolamentazione per le società», commenta Esclapon, «se un amministratore delegato ha il mandato per acquisizioni fino a 100mila euro non dovrebbe essere soggetto a nulla». Se non, appunto, alle valutazioni del cda dell'azienda per cui lavora.Il regolamento sul crowdfunding finisce insomma per dividere: da una parte chi lo considera un inutile orpello burocratico, dall'altra chi lo vede come un passo importante che pone l'Italia all'avanguardia. Ma una opinione è condivisa dagli uni e dagli altri: che come tutte le opere umane sia un documento perfettibile. «Il vincolo più grande dipende dalla limitazione alla sola nicchia delle start-up innovative: si tratta di 980 realtà ad oggi», sottolinea l'ideatore di WeAreStarting Carlo Allevi. Era stato il decreto Passera a stabilirlo. Ma dalle piattaforme di crowdfunding arriva la richiesta di superare questa prescrizione: «È auspicabile un allargamento, a breve, di questa pratica a tutte le piccole e medie imprese, che oggi hanno tanto bisogno di nuovi canali per accedere al credito», conferma alla Repubblica degli Stagisti il fondatore di Italian Crowdfunding Network Claudio Bedino. E del resto la stessa Consob ha confermato che il regolamento potrà essere modificato nei prossimi mesi anche in virtù delle sollecitazioni da parte degli operatori e dell'intero ecosistema che certamente, viste le reazioni con cui è stato accolto il documento, non mancheranno.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi saperne di più sul crowdfunding? Leggi anche:- Col crowdfunding si sostengono anche le start-up- Crowdfunding e registro delle start-up innovative: il punto sul decreto PasseraVuoi saperne di più sul decreto Passera? Leggi anche:- Il decreto per le start-up è legge. E comincia già a far discutere- Start-up, la task force lavora a criteri più inclusivi e accelera sul decreto attuativo- «Restart Italia», con il decreto Sviluppo bis arrivano (quasi tutte) le proposte per le start-up- «L'Italia riparta dalle start-up»: ecco il piano del ministro Passera

Stage in Lombardia, c'è attesa per il 25 luglio: che norme introdurrà la giunta Maroni?

Che legge vige al momento in Lombardia rispetto ai tirocini? La normativa attualmente in vigore è intitolata «Indirizzi regionali in materia di tirocini» ed è stata adottata nel marzo del 2012 - era ancora in sella il presidente Roberto Formigoni - attraverso la deliberazione di giunta n. XI/3153. Il documento, lungo 7 pagine, venne a suo tempo "scandagliato" proprio sulle pagine della Repubblica degli Stagisti. E l'approfondimento del testo si rende ancor più necessario oggi, alla vigilia della scadenza della deadline che le Regioni hanno concordato con il governo lo scorso gennaio, in sede di Conferenza Stato-Regioni, per recepire ciascuna attraverso un proprio atto normativo i principi espressi nelle Linee guida. Perché gli indirizzi approvati poco più di un anno fa dalla giunta Formigoni si discostano parecchio dalle linee guida. E allora delle due l'una: o la Lombardia cambierà significativamente la sua politica in tema di regolamentazione dei tirocini, oppure si porrà in contrasto con le linee guida sottoscritte sei mesi fa.Alla Repubblica degli Stagisti Massimo Vasarotti, funzionario della Struttura Occupazione e Occupabilità della Direzione generale Istruzione, formazione e lavoro della Regione Lombardia, già alcune settimane fa aveva assicurato: «Regione Lombardia sta predisponendo tutti gli atti amministrativi necessari per allineare la propria delibera contenente gli Indirizzi Regionali in materia di Tirocini alle "linee guida nazionali contenenti gli std minimi di riferimento" come approvati in conferenza stato regioni lo scorso gennaio». Però un paio di settimane fa la giunta ha bocciato una mozione dell'opposizione che verteva proprio su questo tema, chiedendo alla maggioranza di impegnarsi per recepire in tempo utile le linee guida e in particolare per assicurare ai giovani che svolgono stage extracurriculari in Lombardia una indennità di almeno 400 euro al mese [nelle linee guida tale limite minimo è fissato a 300 euro, poi innalzato a 400 attraverso un documento allegato sottoscritto dalle Regioni].L'assessore Valentina Aprea ha poi commentato spiegando all'agenzia AdnKronos: «L'elemento che ha determinato la bocciatura della mozione è stata la richiesta di stabilire un compenso fisso stabilito in 400 euro per i tirocinanti: oggi, da un lato, abbiamo giovani bisognosi di esperienze e dall'altro aziende in serie difficoltà economiche che fanno fatica a concedere tirocini: queste due criticità non trarrebbero alcun vantaggio da rigidità o da costi fissi», promettendo comunque che «Regione Lombardia, entro il termine stabilito del prossimo 24 luglio 2013, sta procedendo a rivedere gli Indirizzi regionali in materia di tirocini» e anzi rilanciando una delle proposte da anni caldeggiate dalla Repubblica degli Stagisti: «la messa a punto di un sistema di monitoraggio sulle comunicazioni obbligatorie che permetta di verificare l'accesso dei tirocinanti nel mercato del lavoro, con l'analisi delle eventuali trasformazioni post tirocinio in un contratto di inserimento lavorativo; la base dati prodotta sarà di supporto per la predisposizione di un report di analisi e monitoraggio annuale sui tirocini».Ma anagrafe degli stage e monitoraggio dei risultati a parte, dove dovrebbe agire la giunta per adeguare gli indirizzi in modo che ricalchino fedelmente le linee guida? Il problema più evidente sta nella «congrua indennità»: quei 300 euro mensili che secondo le linee guida dovrebbero essere posti come minimo obbligatorio da erogare a chiunque faccia uno stage extracurriculare, in un'azienda privata così come in un ente pubblico, verranno introdotti o no? Dalle parole dell'assessore Aprea si capisce chiaramente che la soglia non verrà innalzata, come invece ha fatto non solo la rossa Toscana, con i suoi 500 euro, ma anche il vicino Piemonte - guidato da un governatore leghista come la Lombardia - e l'Abruzzo che hanno posto l'asticella minima a 600 euro al mese per gli stage full time. Ma ancora non si può sapere a che cifra la giunta Maroni fisserà l'asticella minima di compenso per gli stagisti, né quanto fortemente vincolerà anche gli enti pubblici (altra questione spinosa) ad assoggettarvisi.Ma a ben vedere c'è un altro problema meno visibile ma forse ancor più rilevante. E cioè la proporzione tra numero massimo di stagisti ospitabili e numero di dipendenti. Nelle linee guida si trovano infatti indicazioni su tale proporzione, da calcolare conteggiando solo quelli assunti a tempo indeterminato (come del resto era già previsto nel decreto ministeriale 142/1998 che per quasi un quindicennio è stata l'unica normativa di riferimento in materia di stage in Italia); in più viene introdotto il divieto di ospitare stagisti per aziende che abbiano «effettuato licenziamenti negli 12 mesi precedenti l’attivazione del tirocinio» o che abbiano in corso procedure di cassa integrazione.  Il recepimento di queste indicazioni non è affatto scontato, dato che poco più di un anno fa la Regione Lombardia è andata in direzione diametralmente opposta, prevedendo un ribaltamento totale del sistema di calcolo della proporzione tra stagisti e lavoratori. In sostanza infatti negli indirizzi regionali della primavera 2012 la Regione ha prescritto che in quest'ultimo gruppo debbano essere conteggiati non solo i dipendenti che lavorano presso la realtà ospitante con contratto a tempo indeterminato, ma anche quelli a tempo «determinato o con contratto di collaborazione non occasionale della  durata di almeno 12 mesi», e in più anche i soci lavoratori e i liberi professionisti. Inoltre la Regione ha determinato il numero massimo di stagisti «extracurriculari […] nello stesso periodo»: aprendo la strada a un'interpretazione molto pericolosa, per la quale in aggiunta a questo tetto massimo le aziende potrebbero ospitare anche un numero (a questo punto imprecisato) di stagisti «curriculari». Un aspetto su cui la Repubblica degli Stagisti ha già posto attenzione e allarme, lanciando anche un appello al ministro dell'Istruzione Carrozza per mettere al più presto in cantiere una legge statale sui tirocini curriculari che regoli anche questo problema della proporzione.Altro aspetto controverso, la questione della vigilanza per contrastare gli abusi e in ultima analisi l'utilizzo di stage in sostituzione di veri contratti di lavoro. Negli indirizzi regionali del 2012 la Regione Lombardia aveva saltato a pié pari questo aspetto, facendo solo un vago riferimento al controllo dei soggetti promotori - nulla sul controllo degli ospitanti - riservandosi di «effettuare controlli documentali ed in loco» solo «presso il promotore»: e per tutto il resto prevendendo laconicamente la «segnalazione [al] Servizio Ispezione del lavoro per i successivi adempimenti». Nelle linee guida non c'è niente di specifico su questo aspetto, anche se si ricorda che «a far data dalla entrata in vigore delle regolamentazioni regionali, ai sensi della legge n. 92/2012», cioè la riforma Fornero, «e delle presenti Linee guida, nel corso delle verifiche a cura del ministero del lavoro e delle politiche sociali nelle sue articolazioni territoriali, se il tirocinio non risulterà conforme alla nuova disciplina e alla regolamentazione regionale di riferimento il personale ispettivo procederà, sussistendone le condizioni, a riqualificare il rapporto come di natura subordinata con relativa applicazione delle sanzioni amministrative applicabili in tali ipotesi». Il che, purtroppo, è come dire nulla - dato che gli ispettori del lavoro in Italia sono pochi, oberati di lavoro, e capita davvero raramente che vadano a controllare la congruità di un tirocinio. Proprio per questo ci sono Regioni che nelle proprie normative stanno prevedendo altre sanzioni più immediate, come il divieto di ospitare stagisti per un certo periodo se si viene scoperti a non rispettare determinati criteri di qualità: «In caso di mancato rispetto della convenzione e dell’allegato progetto formativo, accertato dall’organo di controllo, il soggetto ospitante non può attivare tirocini per il periodo di un anno dall’accertamento ed è tenuto al rimborso delle quote eventualmente corrisposte dalla Regione» si legge per esempio nella legge toscana. Insomma, i circa 45mila giovani (e meno giovani) che ogni anno fanno stage extracurriculari in Lombardia stanno aspettando con il fiato sospeso i cambiamenti normativi della giunta Maroni. A questo proposito due consiglieri regionali, Umberto Ambrosoli e Lucia Castellano [nella foto], che cinque mesi fa in periodo di campagna elettorale avevano sottoscritto il "Patto per lo stage" proposto dalla Repubblica degli Stagisti, in queste ultime settimane si sono dati da fare in Consiglio regionale. Il risultato è un evento pubblico, copromosso dal gruppo consiliare Patto civico, gruppo Pd e Repubblica degli Stagisti, che avrà luogo a Palazzo Lombardia giovedì 25 luglio: esattamente all'indomani della deadline per il recepimento da parte delle singole Regioni dei principi delle Linee guida. A questo evento parteciperà anche l'assessore Aprea: «L'abbiamo incontrata proprio oggi» spiega Lucia Castellano: «L'abbiamo invitata a intervenire e lei ha accettato con entusiasmo, anticipando che per quella data il nuovo testo sui tirocini sarà già pronto». L'incontro potrebbe dunque diventare l'occasione per l'assessore di raccontare in anteprima i contenuti della nuovissima normativa lombarda in materia di tirocini extracurriculari, di fronte a una platea formata da tutti coloro che sono interessati in un modo o nell'altro a questa tematica: «È nostra intenzione chiamare a raccolta le università, sia dalla parte degli uffici stage di ateneo sia da quella dei rappresentanti degli studenti; e poi i sindacati, le associazioni datoriali, i centri per l'impiego e le agenzie per il lavoro. Faremo partire gli inviti a strettissimo giro di posta». Appuntamento dunque al 25 luglio.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Regione Lombardia, la giunta respinge la mozione sulla revisione della normativa sui tirocini- Tutto sulle nuove regole degli stage in LombardiaE anche la panoramica sullo stato dell'arte nelle altre Regioni:- In Abruzzo la nuova legge sugli stage «c’è già e funziona bene», il vicino Molise insegue- Trento e Bolzano / Niente stage dopo un anno dalla fine degli studi: «Altrimenti si fa concorrenza ai veri contratti»- Liguria / Tirocini, al via gli incentivi alle imprese: ma la nuova legge e l'indennità obbligatoria?- Umbria / Luglio si avvicina e non c'è ancora una bozza- Piemonte vicino al traguardo, Val d'Aosta ancora lontana- Toscana / L'assessore: «Se con le nuove leggi i tirocini diminuiscono non è un male: scompaiono quelli truffa»- Marche / «Responsabilizzare i tutor e valorizzarli, anche attraverso un compenso»- Emilia / Ancora in alto mare, Cgil: «C'è disaccordo sulle linee guida»- Sicilia / La politica tace. E allora interviene il sindacato- Campania / Il numero massimo di stagisti sarà il triplo del previsto- Veneto / «Vigileremo sugli abusi». Ma l'indennità minima sarà bassa- Puglia / C'è già una bozza: «La approveremo entro luglio»E leggi anche:- Un censimento degli stagisti e dei praticanti negli enti pubblici: appello al ministro D'Alia- Subito una legge statale sui tirocini curriculari: appello al ministro Carrozza

Soluzioni per l’informatizzazione delle aziende, sta qui l'«incipit» delle start-up campane

Specializzazione, prodotti e servizi ad alto contenuto innovativo, trasferimento tecnologico dal laboratorio all'azienda. Sono questi gli ingredienti del successo di tre start-up ospitate nell'incubatore Incipit, nato nel 2007 in Campania e gestito da un consorzio di cui fanno parte l’università del Sannio e la Federico II di Napoli. La sua storia è raccontata nel libro uscito da poco “Incipit Campania” (Esi edizioni). Rispetto ad altre strutture di supporto alle imprese, spesso a carattere generalista, qui si è scelta una direzione precisa: focalizzarsi su soluzioni per l'automazione e l’informatizzazione delle aziende e dei processi industriali. In questo settore – molto ampio a dire il vero – operano Critiware, Meetecho  e Remocean, tre start-up ospitate in Incipit, con pochi anni di vita ma già ottimi risultati all'attivo.La prima, nata nel 2011, si occupa, come spiega il ceo Danilo De Mari, di «fornire strumenti informatici per testare software che operano in settori “critici”, come il trasporto aereo e navale, la gestione delle infrastrutture energetiche e idriche, l'automotive e il monitoraggio ambientale. Ambiti in cui cioè non ci può essere mai nessun tipo di problema o bug». Insieme a De Mari, proveniente dal mondo delle aziende con esperienze in gestione del business, ci sono altri sette soci: tre (due professori e un ingegnere) sono come lui ultraquarantenni, mentre gli altri, ricercatori del dipartimento di Ingegneria informatica della Federico II  e membri del gruppo Mobilab, hanno  un'età compresa tra i 28 e i 32 anni [nella foto a destra, i soci provenienti dal mondo accademico]. «Applichiamo concretamente le tecnologie studiate e testate in laboratorio. Il mercato è abbastanza di nicchia, ma la reputazione dei soci, coinvolti in progetti di aziende importanti, come Selex-Si, Ansaldo Breda, Ericsson, Nec, ci ha fatto ottenere la fiducia anche di grandi imprese». Critiware ha infatti ricevuto commesse da aziende del gruppo Finmeccanica, operanti nel settore aeronautico e ferroviario, anche se, come spesso avviene per le start-up, il fatturato è inizialmente ridotto, pari nel 2012 a 64mila euro. Per adesso, l'azienda si è autofinanziata: «50mila euro di investimenti, in aggiunta al lavoro di ognuno, ma il prossimo anno vorremmo iniziare a fare fundraising esterno».  Ha un solo dipendente, mentre i soci lavorano volontariamente al progetto. Per Meetecho (che si pronuncia “mitico”), nata nel 2009 ed entrata in Incipit l'anno successivo, tutto è iniziato invece con un finanziamento del programma di sostegno alle idee innovative Working Capital di Telecom: «Siamo stati tra i primi. Con i 20mila euro ricevuti abbiamo acquistato le licenze necessarie per sviluppare il prodotto», racconta Simon Pietro Romano, docente al Dipartimento di Ingegneria elettrica e Tecnologie dell'informazione della Federico II e socio dell'azienda insieme al collega Giorgio Ventre e a tre giovani ricercatori della stessa struttura [nella foto a sinistra, il team al completo]. L'azienda, «esempio molto riuscito di trasferimento tecnologico dall'ateneo all'impresa», si occupa di offrire servizi di web conferencing e collaborazione a distanza in un'unica piattaforma, utilizzabile da computer e dispositivi mobili. Se i fondi di capitale di rischio non hanno voluto investire nel progetto – «Abbiamo competitor molto grandi, come Cisco, Adobe, Micrososft, e la cosa non li ha convinti» – i finanziamenti, sotto forma di prestiti con un buon tasso di interesse, stanno arrivando da tre bandi di Miur e Mise, per un valore totale di oltre 650mila euro. Dal 2011, Meetecho è anche la piattaforma ufficiale per seguire in remoto i meeting della Internet Engeneering Task Force, la community che regola gli standard informatici, e se il fatturato 2012 è stato pari a circa 50mila euro, quest'anno sta crescendo: «Stiamo lavorando con società di telecomunicazioni, attraverso partnership per mettere a punto soluzioni innovative per la collaborazione in remoto, e abbiamo da poco concluso un accordo con la società di e-learning Docebo, per la creazione di una piattaforma interattiva adatta all'insegnamento a distanza». In questo momento la società ha sei dipendenti: «Tutti hanno un contratto a tempo determinato, legato ad un paio di commesse prese quest'anno. In particolare, una persona lavora al progetto Docebo, mentre le altre cinque si occupano di una partnership con Tiscali  per la realizzazione di servizi di comunicazione audio/video in tempo reale».Grossi finanziamenti sono stati invece raccolti da Remocean, spin off del Cnr specializzato nell'analisi di fondali, onde e correnti marine per la sicurezza della navigazione. Nata nel 2010 e vincitrice l'anno successivo della business plan competition di Italia Camp, la star up ha attratto da subito l'interesse del fondo di venture capital per il meridione Atlante Ventures Mezzogiorno di Intesa San Paolo, entrato ufficialmente l'anno scorso tra i soci con un finanziamento di circa 1 milione di euro. Soldi serviti, spiega il project manager Vincenzo Vecchio [nella foto a destra], per ingegnerizzare completamente il prodotto, entrare sul mercato e continuare la ricerca». L'azienda ha oggi sette soci, tutti under 40: due ricercatori del Cnr, uno dell'Irea e uno dell'Insean, dalle cui attività è nata l'idea alla base di Remocean, e cinque manager, con alle spalle esperienze in grandi aziende campane. Una realtà in crescita, considerando i numeri del fatturato: oltre 200mila euro negli ultimi sette mesi del 2012. «La prima installazione del sistema, che monitora tutte le informazioni scartate dai radar per la sicurezza delle rotte e il monitoraggio delle coste, è stata all'isola del Giglio, dove sono ancora in corso le operazioni per la rimozione delle Costa Concordia. Le nostre rilevazioni supportano gli operatori nella pianificazione degli interventi». Oggi in Remocean lavorano nove  persone, tutte remunerate: cinque dipendenti, quattro soci lavoratori e un consulente. Oltre a commesse arrivate da Cina e Singapore, la società sta anche mettendo a punto, in collaborazione con la guardia di finanza italiana, un sistema per il recupero dei naufraghi: «Monitorando le correnti, siamo in gradi di conoscere la posizione delle persone in mare anche dopo alcune ore dall'incidente». In Incipit, le tre start-up trovano una sede, ma anche nuove relazioni. «Incipit ci ha dato un piccolo supporto logistico, offrendoci una postazione di lavoro presso la sede dell'incubatore, a Monte Sant'Angelo», spiega Romano. Nel caso di Critiware, invece, il beneficio principale dell'incubazione, dice De Mari, sta nell'«avere un rapporto stretto con l'università, che ci consente un costante aggiornamento sulle tecnologie». Per Remocean, invece, racconta Vecchio, la struttura degli atenei campani «ha creato dei contatti con stakeholder interessanti, tra cui il nostro investitore». Piccole storie di innovazione in una regione spesso considerata una terra poco fertile per la tecnologia, ma in rapida evoluzione. Veronica Ulivieri Vuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche: - Recruiting geolocalizzato, un nuovo modello per gli annunci di lavoro on line- HSD Europe, start-up italiana che aiuta i cinesi a respirare meglio- Confrontare online i preventivi degli artigiani: l'idea di tre amici emiliani è «Fazland»- Il matrimonio diventa low-cost grazie alla start-up siracusana Progetto Wedding- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Funder35, 1 milione di euro per le start-up culturali

Lo scorso anno ha visto 900mila euro stanziati a favore di 15 imprese, quest'anno mette a disposizione delle imprese culturali fondate da giovani la somma di 1 milione di euro: scadono il prossimo 15 luglio i termini per partecipare all'edizione 2013 di “Funder35”, fondo per l'impresa culturale giovanile promosso da dieci fondazioni bancarie.Alla base di questa iniziativa c'è la considerazione che la sorte delle imprese culturali giovanili dipende dal ciclo di vita dei progetti per i quali ottengono dei finanziamenti. In un momento di crisi economica e di conseguente riduzione degli investimenti in questo settore da parte dello Stato e degli enti pubblici in generale, l'obiettivo di questo fondo è proprio quello di aiutare queste realtà a ragionare in una logica di mercato. Ovvero differenziando la propria offerta e sviluppando capacità gestionali. Essendo poi i beneficiari realtà guidate da giovani, “Funder35” vuole aiutare queste imprese a rafforzarsi.L'iniziativa è aperta solo alle organizzazioni il cui consiglio di gestione, formato da presidente, vice, segretario, tesoriere e consiglieri, sia costituito in maggioranza da persone che ancora non hanno compiuto 35 anni. Per statuto però le fondazioni bancarie non possono elargire contributi a realtà che abbiano fini di lucro: pertanto è ammessa la partecipazione solo da parte di imprese non profit di natura privata. Per essere ammesse queste realtà dovranno dimostrare di essere attive da almeno due anni al 6 maggio 2013, data di pubblicazione del bando. E di essere impegnate nell'ambito della produzione artistica in tutte le sue forme, comprese quelle di ultima generazione, oppure nei servizi di supporto alla conoscenza, alla valorizzazione, alla tutela, alla protezione e alla circolazione dei beni e delle attività culturali. I progetti finanziabili dovranno prendere il via nel 2014 e riceveranno un contributo pari al massimo al 75% dell'importo totale. Le risorse ottenute potranno essere destinate al massimo per un quarto ad attività di produzione artistica e culturale purché orientati al rinnovamento dell'attività o finalizzate a coproduzioni ritenute strategiche, ovvero destinate a dare vita a forme di collaborazione stabile tra più soggetti.L'idea di fondo, infatti, è quella di aiutare queste organizzazioni ad avere una gestione sempre più imprenditoriale della propria attività. Finanziando ad esempio nuove strategie di comunicazione, politiche di fidelizzazione del pubblico, ricerca di sponsor privati e incremento stabile del livello di autofinanziamento. Il bando è aperto a realtà che abbiano sede in Lombardia, Piemonte, Sardegna e Valle d'Aosta, oppure nelle provincie di Bologna, Modena, Parma, Ravenna, La Spezia, Livorno, Lucca, Padova e Rovigo. Oppure a progetti che si svolgeranno all'interno di questi territori.Altra condizione fondamentale per accedere ai finanziamenti è quella di dimostrare di avere auto, nei due anni precedenti, una attività regolare e non episodica. Occorre anche che abbiano al proprio interno, con un contratto stabile, almeno una risorsa che si occupi di aspetti gestionali, organizzativi ed amministrativi. Infine, devono redigere il bilancio secondo le “Linee guida e prospetti di bilancio per gli enti non profit” elaborate nel 2009 dall'Agenzia del Terzo Settore. Oltre al contributo economico, per le imprese selezionate sono previsti un percorso di supporto dedicato alle tematiche organizzative e gestionali oltre ad attività di orientamento su tematiche di natura fiscale e amministrativa, con un attenzione particolare agli aspetti legati al fund raising sia a livello italiano che internazionale. Infine è prevista la definizione di un piano di comunicazione che consenta di promuovere in maniera adeguata tutte le iniziative finanziate dal bando.Nella selezione dei vincitori verranno tenute in particolare considerazione, oltre alla qualità della proposta, le capacità dell'organizzazione di relazionarsi con il territorio di riferimento e di innovare la modalità di produzione, oltre all'esperienza nella presentazione di domande di contributo. Per presentare quella relativa all'edizione 2013 di “Funder35” c'è tempo fino a lunedì 15 luglio.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Recruiting geolocalizzato, un nuovo modello per gli annunci di lavoro online- HSD Europe, start-up italiana che aiuta i cinesi a respirare meglio- Il matrimonio diventa low-cost grazie alla start-up siracusana Progetto Wedding- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa 

Servizio civile tutto da rifare: le proposte ci sono, ma mancano i soldi

Per far ripartire il Servizio Civile Nazionale occorrono investimenti, finanziamenti certi. Lo sa bene Giovanni Bastianini, direttore della Comunicazione della Protezione Civile: «L'ex ministra Idem ha trovato una situazione finanziaria che avrebbe permesso l'avvio al servizio di 12mila giovani. Con qualche manovra è arrivata a un plafond che permetterà di passare a 15mila volontari: siamo oltre le condizioni minime perché l'istituto sopravviva». Parole che pesano come macigni - vista la situazione in cui versano le casse dello Stato - al convegno organizzato di recente dall'Arel a Roma, in cui si è parlato di un modello di riforma del servizio civile. Bastianini è uno dei componenti del gruppo di lavoro che ha analizzato la situazione del Servizio civile nazionale nell'ambito dell'Osservatorio Giovani, su commissione dei deputati Pd Marianna Madia e Edoardo Patriarca, e ha messo sul tavolo una serie di idee per ripensarlo e dotarlo di maggiore rilevanza a livello politico. Ed è lui a specificare che «condizione affinché il servizio civile non scompaia è che non venga cancellato dall'azzeramento degli stanziamenti». Al contrario, «dovrebbe esserci una quota fissa, esattamente come avviene per il sistema della Difesa» e che si rinnova di anno in anno. Altrimenti non si va da nessuna parte. Finora infatti uno dei problemi dell'istituto è stato proprio quello di essere privo di uno «status autonomo», da sempre visto come «contraltare del servizio militare»: un percorso per chi, contrario all'uso delle armi, volesse intraprendere una strada alternativa, di volontariato e pacifista. Tutto questo fino agli anni della leva obbligatoria (2005). Di lì in poi è stato trattato un po' come figlio di un dio minore delle politiche giovanili attuate (già di per sé quasi inesistenti). Una via per valorizzarlo, a detta di Bastianini, è quella allora di ritornare alle origini dell'obiezione di coscienza e di concepirlo come strumento non militare di difesa della patria. Farlo diventare un mezzo a disposizione dei giovani dai 18 ai 28 anni per sentirsi parte della collettività, «cittadini e non più consumatori». «Un tipo di difesa che richiede umanità, intelligenza, sensibilità e non uso della forza»,chiarisce. Ma non solo andando a tappare i buchi del welfare (non c'è niente di male purché venga fatto con una programmazione preventiva, si dice al convegno), bensì utilizzandolo come «strumento aggiuntivo di risorse umane» soprattutto nella dimensione territoriale: verso settori bisognosi come le periferie («dove i giovani non ricevono alcuna proposta di impiego delle proprie capacità» denuncia l'esponente della Protezione civile), nelle carceri, dove si impara solo «a essere malviventi migliori», nei centri a presenza mafiosa, là dove si annida l'abbandono scolastico. E poi nel recupero del patrimonio culturale e ambientale, di cui ultimamente si fa un gran parlare come possibile asset strategico del Paese. La proposta di Bastianini è insomma di impiegare così i giovani: in progetti annuali (mai a titolo gratuito: va ricordato che è previsto un rimborso mensile di 430 euro circa), in cui sia «lo Stato e non più gli enti accreditati a proporre i progetti». A tracciare le linee guida di una versione più moderna e efficace del servizio civile ci ha pensato anche Maurizio Ambrosini [a sinistra], del dipartimento di Scienze sociali e politiche dell'università di Milano. Le valenze dell'istituto devono essere cinque: «occupazionale, formativa, solidale, integrativa del welfare, orientata alla cittadinanza attiva» scrive nella sua relazione. Il servizio civile va visto come «un'alternativa ai lavoretti, un'opportunità di orientamento che va incontro alle esigenze dei ragazzi più in difficoltà come quelli del Sud». Ma guai a considerarlo solo come «un succedaneo dei posti di lavoro che mancano o come un escamotage fare contratti al ribasso», avverte: piuttosto lo scopo è renderlo una chance formativa, di «apertura al mondo e di fuoriscita dalla socialità ristretta». I giovani devono pensare secondo Ambrosini, di «inserire nella propria biografia un anno di servizio alla comunità». Il professore però è meno critico verso l'ipotesi che lo si usi per sostituire i servizi di welfare messi a rischio dalla crisi: «Avere a disposizione dei giovani del Servizio Civile può consentire di tenerne in piedi alcuni. Soprattuto nelle realtà piccole e più legate al volontariato può offrire un presidio relativamente stabile e continuativo». Anche per lui è fondamentale che i giovani coinvolti diventino cittadini consapevoli e attenti ai problemi della comunità locale. E lo è altrettanto abbattere le criticità, come la questione degli enti senza programmi strutturati che improvvisano sulle attività da realizzare, prive di programmazione (è così nel 35% dei casi secondo Ambrosini, mentre solo nel 40% dei casi esiste un ufficio apposito all'interno degli enti accreditati che si dedica ai progetti per l'impiego dei volontari). Ed è infine imprescindibile ammodernare la figura del responsabile dei progetti: meno dell'8% si dedica al servizio civile a tempo pieno e quasi la metà non ha mai ricevuto formazione per poterlo fare con cognizione di causa. Tutte condizioni che rendono molto difficile fare dei passi avanti. E nonostante le idee affascinanti presentate da chi sta abbozzando la nuova versione del Servizio Civile, nessuno ha fatto finora un calcolo concreto sui soldi necessari per questa riforma. Anche solo per la formazione di persone in grado di occuparsi in modo professionale dei progetti di servizio civile.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Servizio civile: il bando slitta a settembre e il numero di posti sarà il più basso di sempre- Servizio civile, salta il bando 2012: tutta colpa della spending review- «Il Servizio civile non è un modo per ammazzare un anno di tempo o guadagnare qualche soldo», parla l'ex volontario Luca Crispi- Servizio civile, dalla legge di stabilità nessun aiuto    

L'amore ai tempi dello stage, in libreria un manuale di sopravvivenza per coppie di precari

Quando si parla di precariato si pensa immediatamente alla sfera lavorativa della vita, ma la distorsione e la diffusione capillare di forme di lavoro precario in ogni settore produttivo sta avendo un impatto molto più profondo di quel che si è portati a credere. Neppure territori esistenziali come la vita sentimentale, che si credevano immuni alla precarizzazione, ne sono esenti.Nel novembre del 2012 un'indagine Istat ha messo in luce la correlazione tra la precarietà del mondo del lavoro e la difficoltà, per i giovani, di formare una famiglia. Il motivo è la sempre più insormontabile difficoltà delle ragazze e dei ragazzi italiani (soprattutto i secondi) di andare a vivere da soli: circa la metà dei 25-34enni infatti vive ancora con i genitori, mentre per le coetanee il dato si abbassa al 34%.Questa è la realtà da cui prende le mosse Amore ai tempi dello stage, edito da Galassia Arte e scritto da Alessia Bottone, 28enne veronese con una storia di precarietà alle spalle abbastanza comune in Italia: una laurea in Scienze politiche, tanti stage senza sbocco, un tirocinio alle Nazioni Unite, qualche anno passato all'estero, tre lingue straniere parlate fluentemente. Un curriculum che non le è bastato - come non basta a moltissimi altri - a trovare un lavoro adeguato alla sua preparazione.Il libro è una raccolta di casi umani che sono radicati nella realtà, dalla quale la Bottone ha attinto ascoltando i racconti degli amici e basandosi sulla sua storia personale. Nel secondo capitolo, dedicato a «L'amore ai tempi di Skype», l'autrice ricostruisce la storia di una tipica coppia di precari: «Lei è neolaureata e ha tutta la vita davanti (per incazzarsi di brutto), lui è un ragazzo sui 30 anni, posato, che sta facendo il ventesimo stage» e poco più avanti aggiunge: «Questa coppia è appena stata scossa da una notizia importante: lei è appena stata selezionata per uno stage - ovviamente non rimborsato - a Shangai e si è da poco trasferita, mentre lui ha deciso di restare al paesello per continuare a fare fotocopie di elevata qualità».Una separazione obbligata, insomma, come di questi tempi capita spesso tra le giovani coppie. Una separazione che provoca reazioni diverse nei due partner: «Lei, ragazza positiva e giovane, assume subito il classico pensiero della Donna Cosavuoichesianosettemilachilometri; lui, ragazzo meno positivo, invece assume tutte le caratteritiche dell'ormai diffuso Uomo Tagliamoipontisennòsoffriamo». Casi come questi, resi buffi da parte dell'autrice con nomignoli ironici, permettono al lettore di osservare le manie, le disgrazie ma anche i piccoli eroismi di queste "marionette", e di guardarle con distacco.E se il libro di Alessia Bottone è un po' naif, in fondo lo è soltanto in superficie. L'ironia infatti pone il punto di vista di chi racconta, ma anche di chi legge, al di sopra: a differenza della tragedia, sotto il cui filtro i problemi si fanno pesanti come macigni, questo approccio rende tutto più leggero, permettendo di affrontare le cose senza sfiducia, ma con ottimismo - attitudine sempre più rara di questi tempi. È soprattutto questo il valore del libro, la piccola lezione dedicata soprattutto a quella grossa fetta di giovani cittadini che, secondo le ultime statistiche fornite dall'Istat, viene respinta dal mondo del lavoro. È una lezione semplice: le difficoltà ci sono, nel lavoro come nella vita di coppia, ma non per questo è il caso di lamentarsi e di piagnucolare. E riderci sopra è il punto di partenza migliore. Una volta un amico mi disse che ridere di tutto è un dovere morale dell'essere umano, che, abdicando a questo dovere, resta sepolto dalla pesantezza del mondo. Ecco, forse in un modo meno lirico e più ingenuo, il messaggio in filigrana di questo manuale di sopravvivenza per coppie di precari dice la stessa cosa. Alessia Bottone presenterà il libro Amore ai tempi dello stage il 2 luglio prossimo, durante la Festa Democratica dei Giardini di via Prina, a Verona, dove parteciperà alla tavola rotonda "Giovani e lavoro? Un futuro incerto insieme a Alessandra Salardi ed Emiliano Galati. L'appuntamento è previsto per le 19.45, l'ingresso è libero.  Andrea CocciaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- La precarietà sul lavoro distrugge anche le coppie: l'allarme di Alessia Bottone- Se potessi avere mille euro al mese, il libro che racconta l'Italia sottopagata- Macché 15-24enni, la vera disoccupazione giovanile è quella dei trentenniE anche:- Tra web e cinema, i precari non ballano più da soli- «Precari. Storie di un’Italia che lavora» Il libro di Marianna Madia accende il dibattito tra Tremonti e Camusso sul welfare per gli atipici - «Alice senza niente», in un romanzo la vita nuda e cruda dei giovani squattrinati precari italiani- Marcia indietro sulle misure di contrasto al precariato? Non è la strada giusta- Il precariato? Per Giuliano Cazzola è un problema «immaginario»