Categoria: Approfondimenti

Progetto Neet: le proteste arrivano in parlamento

«Continuare a imparare, rimanere attivi, accrescere le proprie capacità»: sono questi gli elementi su cui puntare per creare benessere e sviluppo secondo l’indagine Piaac (Programme for the international assessment of adult competencies) dell’Ocse, curata in Italia dall’Isfol su incarico del ministero del lavoro. L’analisi evidenzia che i soggetti culturalmente più deboli siano i neet, i giovani tra i 16 e i 29 anni, quindi parte della platea – in questo caso di 24-35enni - a cui è dedicato il progetto Amva – giovani laureati neet di Italia Lavoro. Un bando pensato dallo stesso ministero che ha dato incarico dell’indagine Piaac e che ha commentato come «allarmanti» i risultati secondo cui le competenze alfabetiche fondamentali per la crescita individuale siano per gli adulti italiani ben al di sotto della media degli altri paesi, specie per i neet. I dati mostrano che rimanere in questa condizione a lungo pregiudica ogni possibilità successiva di trovare un lavoro. E questo spiegherebbe il boom di domande arrivate fino ad ora per il Progetto Neet. Italia Lavoro fa chiarezza con i numeri aggiornati al 16 ottobre: 8.393 le aziende partecipanti e 19.361 i neet iscritti - di cui più di 7mila solo in Sicilia – che hanno presentato 210mila candidature, «a dimostrazione di una chiara flessibilità nei criteri di ricerca di occupazione, molti giovani hanno espresso più domande» recita il comunicato stampa. Delle aziende registrate, quasi 6mila hanno inserito una o più vacancies e la metà sono in Sicilia. A fare più richieste sono i giovani tra i 27 e i 29 anni, con il picco di 2.462 richieste dai 28enni, e la stragrande maggioranza dei partecipanti, quasi 14mila, è donna. Numeri che non sono definitivi, visto che il bando è ancora aperto, e che fanno impallidire rispetto alla cifra dei soli 3mila tirocini attivabili. Visti i numeri presenti nell'indagine Piaac il ministero avrebbe però dovuto conoscere bene la situazione dei giovani neet e quindi prevedere il boom di domande e gestire in maniera adeguata il programma. E invece, mentre i 24-35enni di Campania, Calabria, Puglia e Sicilia aspettavano l’ora e il giorno x per collegarsi al sito cliclavoro e candidarsi, il portale andava in tilt passando da un’utenza media di 8mila persone a più di 67mila, con oltre 300 utenti al secondo come Grazia Strano, direttore generale mercato del lavoro del Ministero, dichiarava in un’intervista esclusiva alla Repubblica degli Stagisti. Moltissimi giovani per giorni non sono riusciti a registrarsi e nonostante il bando non prevedesse alcuna corsa all’adesione, di fatto molti tirocini in poche ore risultavano già assegnati. Le proteste hanno, quindi, invaso i social network e alla fine sono approdate anche in Parlamento, dove il 10 ottobre Erasmo Palazzotto, deputato di Sel, ha presentato un’interrogazione a risposta scritta al ministro del lavoro per sapere «quali misure, se non la revoca, intenda adottare per eliminare le iniquità cui hanno dato vita gli evidenti vizi che hanno contraddistinto le procedure selettive concluse dalle aziende prima che il portale ClicLavoro acquisisse piena funzionalità». Alla Repubblica degli Stagisti Palazzotto dichiara: «Ci sono alcuni punti oscuri nel bando: il primo è lo strumento di controllo che agisce sulle imprese. La procedura selettiva è, infatti, ad assoluta discrezione delle aziende che possono mettersi d’accordo con i partecipanti al bando e assumere parenti e amici o, addirittura, prendere con formula di tirocinio un lavoratore che prima era in nero. E poi, come è possibile che ci siano imprese che fanno domanda per i tirocini e non hanno niente a che vedere con le lauree previste dal bando e sono anche molto dequalificanti? L’esempio eclatante è a Catania, dove la Tezenis cercava addetti alle vendite. Come è possibile che non ci sia nessuna selezione delle imprese che partecipano?» Domanda che la Repubblica degli Stagisti aveva già fatto a Italia Lavoro, ottenendo questa risposta: «Noi interveniamo solo a valle, cioè una volta che tirocinanti e aziende si sono trovati esclusivamente sul sito Cliclavoro». Palazzotto mette l’accento su un’altra questione: il costo di tutta l’operazione. «Parliamo di un tirocinio che dovrebbe inserire nel mondo del lavoro i giovani laureati del sud. Si sprecano 10milioni di euro, i soldi stanziati per il bando, per una cosa che durerà qualche mese e allevierà le sofferenze di qualcuno senza produrre nessun miglioramento strutturale. Finito il tirocinio si troveranno nelle stesse condizioni di prima. Equivale quindi a un ammortizzatore sociale, allora sarebbe stato meglio usare questi soldi per una forma di reddito di cittadinanza». Palazzotto, poi, non capisce come mai il ministero non aspettasse l’effetto clicday. «Ritenere che non ci sarebbe stato un assalto con la condizione sociale di oggi delle regioni del sud vuol dire non avere la capacità di leggere quello che sta succedendo. C’è stata una grande incompetenza. Se hanno messo a bando 3mila posti di tirocinio e hanno i dati di quant’è il bacino potenziale dei partecipanti, beh dovevano immaginarsi che il primo giorno ci sarebbe stato il clicday. Ed è assurdo pensare che con risorse di questa esiguità si potesse fare un programma che durava fino a tutto il 2013. È come dare in pasto a una popolazione affamata qualche brioche». L’interrogazione presentata dal deputato di Sel era a risposta scritta, quindi senza vincoli di replica. Palazzotto però non si perde d’animo, «abbiamo gli strumenti per sollecitare le risposte, se in 20 giorni non arriveranno, si può fare un intervento per insistere. Penso comunque che concorderò con dei colleghi della Commissione lavoro la possibilità di presentarla con risposta orale in Commissione dove devono per forza dare una risposta. La trasparenza delle procedure selettive deve essere fondamentale» torna a ripetere con foga il deputato «e allora bisogna capire perché nel primo giorno ci sono state più di 4mila domande per 3mila posti e non si è stati in grado di fornire a tutti la possibilità di accedervi allo stesso modo». Erasmo Palazzotto è sensibile al tema perché ha 30 anni, è di Palermo e viene quindi da una di quelle regioni a cui era destinato il progetto con i più alti livelli di disoccupazione giovanile. «La maggior parte dei miei amici e colleghi vivono questa condizione, sono stati loro a raccontarmi questo scandalo, a dirmi “ho vinto il tirocinio ma è vergognosa la modalità del bando”». Così arriva la proposta del deputato Palazzotto: revocare il bando e riproporlo in maniera più trasparente garantendo le stesse opportunità perché «le regole e i diritti dovrebbero essere uguali per tutti». E provare a risolvere il problema dei neet con «forme di assistenza contro l’esclusione sociale, come un reddito minimo garantito che permetta a chi oggi non ha le risorse per potersi costruire un futuro, di avere il minimo per mantenere la dignità umana. Investire poi sul rilancio della nostra economia con l’innovazione non con l’assistenzialismo, come fa questo bando che dà soldi alle aziende e lascia a loro l’arbitrarietà di spenderli come e con chi vogliono».Agli esclusi dal bando neet non resta quindi che aspettare gli ulteriori sviluppi dell’interrogazione e vedere se, in seguito alle molteplici proteste sollevate da più parti, non si decida veramente di revocare il bando e farne uno nuovo. Se anche questo non dovesse accadere, l’unica soluzione è aspettare il decreto lavoro a cui sta lavorando il ministro Giovannini che dovrebbe contenere provvedimenti specifici proprio sui Neet, condizione sociale ben rappresentata anche in tutte le statistiche Istat, di cui il ministro era presidente e di cui, certamente, conoscerà bene ogni specificità. Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Ecco perché è aperto solo ad alcune lauree», Italia Lavoro spiega i criteri del progetto Neet - Stage per Neet, 140mila motivi perché il ministero del lavoro si vergogni del flop- Tirocini per laureati, Cliclavoro in down per i troppi accessi: non si parte proprio col piede giusto...- Blocco delle candidature al bando di stage per Neet, il ministero: «Troppi accessi, non ce lo aspettavamo»E anche:- Progetto Neet: per 3mila giovani del Sud sei mesi di tirocinio pagati dallo Stato. Ma servono davvero?- Progetto Neet, caos su Cliclavoro: ma il ministero rassicura gli aspiranti stagisti

Giovani, la cultura è l'asset per ripartire: Giovannini annuncia 1 miliardo e 200 milioni per la Youth Guarantee

Quando manca potere contrattuale e si è deboli sul piano lavorativo «è difficile trovare le energie per attivarsi» verso nuovi fronti del mercato occupazionale: parola del ministro del Lavoro Enrico Giovannini alla lezione "Energie al lavoro" tenuta la settimana scorsa al Maxxi, nell'ambito del ciclo di conferenze sul tema dell'innovazione pensato da Giovanna Melandri, deputata del Partito democratico e già ministro della Cultura, che oggi - senza farsi mancare qualche polemica - è anche presidente della Fondazione Maxxi. Tante le noti dolenti emerse nell'incontro, in cui si è parlato del dramma che vive il mercato occupazionale attuale, delle «condizioni di impiego offerte dai datori di lavoro che depauperano le energie» - come le ha chiamate Giovannini - e di quali potrebbe essere la exit strategy per uscire dal tunnel. Partendo da quel 40% di disoccupati giovani e dai Neet, «uno su quattro in Italia, per un costo di 25 miliardi in Italia e 155 in tutta l'Europa». Qualche rimpianto sui tempi che furono, ma anche una possibile visione di futuro: durante il dibattuto non sono mancati gli spunti da cogliere. Tra i tanti argomenti trattati anche quello della Youth Guarantee, il programma voluto dall'Europa per rilanciare l'occupazione giovanile, per cui il ministro ha dato alla Repubblica degli Stagisti e a tutta la platea una grande notizia: a fronte della cifra che era circolata in questi mesi, 400-600 milioni di euro, lo stanziamento finale che l'Ue garantirà all'Italia è molto maggiore. Un miliardo e duecento milioni, ha annunciato Giovannini: una notizia molto importante per un progetto ambizioso e strategico - tanto è vero che la stessa Repubblica degli Stagisti ha formulato un'ipotesi di utilizzo dei fondi. Che Giovannini ha promesso di studiare: «Ascolterò voi come tutte le parti sociali» ha detto, «vi conosco e so che ogni tanto mi date in testa ma ci sta» ha poi aggiunto tra il serio e il faceto. Sempre sulla questione Garanzia Giovani, ancora solo abbozzata, entro fine anno «avremo un quadro molto più dettagliato». Quello che il ministro per il momento dice è che 500 milioni dovrebbero andare direttamente ai giovani, mentre l'altra metà dovrebbe essere destinata «agli investimenti di accompagnamento», come la retribuzione degli orientatori o quella per la piattaforma di intermediazione. E l'intermediazione non è un piano secondario: «In Italia si è abituati ad accedere alle offerte non tanto per raccomandazione quanto per passaparola, perché tra le altre cose i centri per l'impiego non funzionano» ammette Giovannini. Myrta Merlino, conduttrice del programma L'aria che tira e moderatrice dell'evento, esemplifica lo stato di decadenza in cui versa il mercato occupazionale descrivendo la redazione del suo programma: «Lavoriamo allo stesso piano del palazzo, a La7, noi, con giovani precari i cui contratti scadono a ogni stagione, e i giornalisti del tg, tutti stabilizzati e assunti. È una sitazione sempre più stridente». Come invertire allora la rotta? È sull'inattività che bisogna lavorare, «perché questa contiene una componente depressiva e io sono convinta che oggi l'Italia è un po' depressa» riflette Giovanna Melandri, ex ministro della Cultura, mentre «noi dobbiamo contrastare questa realtà con energie positive, perché ce ne sono». La deputata si dice convinta che si possa ripartire puntando su quattro diversi settori finora sottoutilizzati e che invece sono in grado di creare «buona occupazione» per un vero e proprio «Piano Marshall» dell'occupazione. Il primo è la cultura, «intesa in senso ampio», quindi design, audiovisivo, turismo, architettura. Quanto a quest'ultima, illuminante è l'esempio di Bogotà e del suo sindaco. Racconta Giovannini di come il primo cittadino della città colombiana, per contrastare l'elevatissimo tasso di criminalità e di pedoni morti per colpa del traffico incontrollato, abbia «creato una rete di marciapiedi abbattendo circoli di golf e spazi per le auto e facendo così tornare la gente a camminare per le strade». È così «che l'architettura può ridefinire la nostra vita», dice. Occorre far capire ai giovani che «si può essere anche imprenditori sociali o culturali, e che oltre alla ricerca del lavoro si può anche costruirselo da sé». Con le istituzioni «a supporto». I finanziamenti alla cultura, tuona poi la Melandri, sono stati «dimezzati tra il 2001 e il 2006: quando ero titolare del dicastero, alla fine degli anni Novanta, avevamo disponibilità per circa 3 miliardi, poi tagliati fino a un miliardo e due a oggi. E a quell'epoca aggiunge l'occupazione in ambito culturale cresceva anche di due cifre, del 10-11%». Al secondo posto si dovrebbe puntare sulla «green economy, nel segmento che si muove tra architettura e progettazione urbana». E ancora sulla «digitalizzazione dell'economia, su cui tutto il mondo sta investendo mentre noi ancora non siamo cablati», e l'«economia sociale», quella del volontariato e del no profit, anche questa in fase di ascesa, incluso il versante dell'impresa low profit. Anche l'industria tradizionale, come il manufatturiero, va immessa nel calderone delle proposte, e la maniera giusta per rilanciarla sarebbe «incrociarla con questi asset strategici». Il problema odierno è però che l'abbondanza di prima non c'è più e «che bisogna fare di più con di meno» sintetizza la Melandri, ricorrendo a strumenti come per esempio «il tax credit, che garantisce risultati immediati». Le fa eco Giovannini ribadendo che, terminata l'epoca in cui si credeva «che il lavoro nascesse dalla spesa pubblica», l'unica strada percorribile resta quella dei privati: «Mentre il mondo sta crescendo, noi restiamo fermi». Per risalire la china insomma «dobbiamo cogliere le opportunità che si creano con spirito imprenditoriale e idee». Ma è proprio questo «quello che noi siamo incapaci di fare in modo collettivo». Gli investimenti «in capitale umano e in ricerca e sviluppo» sono fattori cruciali che l'Italia ha costantemente ignorato. «Quando ero all'Ocse di Parigi, dieci anni fa, i dati mostravano che questo Paese aveva un profondo bisogno di investire in se stesso, e invece ci siamo cullati nell'idea che grazie all'euro e alle imprese finanziarie ce l'avremmo fatta». Quello, racconta il ministro, era il momento da sfruttare per investire - «grazie ai bassi tassi di interesse» - e adesso «paghiamo gli errori commessi». Il fronte del capitale umano è stato «dimenticato dalle imprese» ragiona Giovannini, ricordando come le percentuali di investimento in formazione dei dipendenti siano crollate. E bacchetta quel mondo dell'industria, arroccato nell'egoismo, che storce il naso di fronte alla richiesta di metterci del proprio, investendo sui giovani e sulle risorse umane in generale, e a cui «si concedono incentivi fiscali in cambio della formazione offerta ai ragazzi» come nel caso dell'apprendistato. Nel corso dell'incontro, tra una polemica e l'altra sulla legge di stabilità («non era meglio fare delle scelte e concentrare gli sforzi tutti da una parte?» chiede Merlino in riferimento alla cosiddetta 'manovrina') e sull'incarico che ebbe Giovannini di studiare i tagli alla politica, si aprono anche spiragli di vita personale: il ministro parla alla platea dei suoi nove anni «facendo il più bel lavoro al mondo per il mio campo» come direttore del dipartimento statistico dell'Ocse a Parigi, dove passava la settimana lavorativa, per poi tornare nel weekend a Roma dalla famiglia. E poi la scelta di rientrare «per rimettere le mani in pasta e dare una mano a questo Paese». Dei due figli, di 25 e 31 anni, il primo studia ancora ed è all'estero, il secondo lavora per una multinazionale, e pur avendo base in Italia viaggia di continuo. «Nessuno mi crederà ma non l'ho aiutato. Il lavoro l'ha trovato mandando curriculum in giro». Le storie personali così si intrecciano al dibattito generale. I giovani italiani, alla fine, non chiederebbero altro che di poter avere le stesse opportunità del figlio del ministro. Poter mandare il proprio cv, essere valutati in base a merito e competenze, e ottenere un lavoro correttamente contrattualizzato e dignitosamente retribuito. Su questi obiettivi al Maxxi tutti d'accordo, relatori e platea: ma adesso al ministro sta il compito più arduo, e cioè realizzare nel concreto i principi e le buone intenzioni. Anche grazie a quel miliardo e duecento milioni di fondi europei sulla Garanzia Giovani.Ilaria Mariotti[la foto del Maxxi è di Roberto Ventre - modalità creative commons]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani- Stage per Neet, 140mila motivi perché il ministero del lavoro si vergogni del flop- Progetto Neet: per 3mila giovani del Sud sei mesi di tirocinio pagati dallo Stato. Ma servono davvero?- Solo un giovane su dieci viene assunto dopo lo stage: «il mondo deve sapere» anche questo- Luci e ombre del contratto di apprendistato - una buona occasione, ma preclusa (o quasi) ai laureati  

Sbankando si impara: a scuola di microcredito da Londra a Rimini

Un'idea che viene dal Bangladesh, un business model che arriva dall'Inghilterra e una realtà imprenditoriale che sta muovendo i primi passi con successo in Italia. A Rimini il progetto di educazione finanziaria Sbankiamo compie un anno di attività. Trasformare un'idea imprenditoriale in realtà è l'obiettivo del progetto che Lucia Genangeli, 28 anni e Paola Bonadonna, 30, hanno realizzato in collaborazione con Eticredito, la Caritas e altre realtà della zona di Rimini. Si tratta di un esempio di eccellenza a livello nazionale che ha coinvolto in un anno più di mille ragazzi solo a Rimini. «Sbankiamo è nato dall'incontro con l'organizzazione londinese MyBnk e dalla volontà di alcune realtà del territorio di fare qualcosa per i giovani della nostra città», dice la Genangeli, raccontando di aver conosciuto Lily Lapenna - vincitrice del Youth Global Leader e CEO di My Bnk - leggendo un articolo di giornale. «Ci è piaciuto il suo approccio e siamo andati a vedere cosa fa My Bnk a Londra. Abbiamo cercato di prendere il meglio della loro esperienza e del loro approccio all'educazione finanziaria e lo abbiamo portato qui in Italia». L'obiettivo principale di My Bnk, che Sbankiamo ha deciso di adottare, è l'alfabetizzazione finanziaria che consiste in parte nell'apprendimento di base degli strumenti finanziari per rapportarsi in modo consapevole con le banche e la finanza e in generale nell'affrontare con i ragazzi temi centrali della vita adulta che possano aiutarli a relazionarsi in modo sereno con i soldi, con i debiti e con i progetti da realizzare.Lucia  Genangeli spiega che nel primo anno di start up Sbankiamo ha affrontato il tema del lavoro a partire da come si legge una busta paga, come si valuta una proposta di lavoro e come si fa a mettersi in proprio. Per il secondo anno si affronterà un discorso pratico sul microcredito e l'imprenditorialità. Ma l'obiettivo finale è quello di integrare queste attività con quelle della scuola.  Ed è proprio l'istruzione ad accomunare più di ogni altra cosa il progetto di Sbankiamo con il suo modello ispiratore My Bnk. Lily Lapenna [nella foto] a Londra presta anche denaro ai giovani inglesi, ma per il momento il progetto Sbankiamo non lo fa ancora. Per ora in Italia è stata esportata la parte di educazione finanziaria per i giovanissimi. Ma non è escluso che in futuro arrivino anche i  finanziamenti per le attività dei giovani di Sbankiamo che hanno intrapreso un percorso si formazione su questi temi.«L'istruzione finanziaria è uno strumento importantissimo perché la crisi che siamo vivendo non è dovuta solo alla cattiva condotta delle banche ma anche al fatto che noi come consumatori non siamo abbastanza informati e quindi spesso prendiamo delle decisioni finanziarie sbagliate», ne è convinta Lily LaPenna, la Ceo di My Bnk e vincitrice del Youth Global Leader. La «banchiera dei giovani», così chiamano in Inghilterra, ha 33 anni, è di origini italiane ma è cresciuta a Londra, dove ancora oggi vive e presta denaro ai ragazzi che hanno voglia di imparare a gestirli. A 27 anni ha fondato My Bnk, che oggi conta 25 dipendenti. Durante gli studi universitari Lily era stata in Bangladesh, conoscendo le donne imprenditrici che in virtù di prestiti modesti mettono in piedi delle piccole imprese e si abituano a gestire i propri soldi in modo saggio, «più saggio di quanto si faccia in Inghilterra!». Prima di fondare My Bnk aveva anche lavorato per la Brac Bangladesh Rural Advancement, la più grande Ong del mondo creata da Fazle Hasan Abed. Lily Lapenna preferisce l'approccio di Abed al microcredito piuttosto che quello di Yunus: «Abed non parla solo di credito ma anche di istruzione e assicurazione, sanità e accesso all'istruzione». L'istruzione in effetti è il pallino di Lily Lapenna, secondo lei la scuola oggi non prepara come dovrebbe al mondo del lavoro e da qui discende la maggior parte dei problemi. «Le nostre generazioni hanno preso denaro in prestito dal futuro. Le generazioni future non beneficeranno della stessa qualità di vita della quale godiamo al momento. L’apatia dei giovani è spesso accompagnata dalla disoccupazione». La “banchiera dei giovani” è convinta che il modo migliore per interrompere questo ciclo sia quello di permettere ai ragazzi di gestire piccoli progetti imprenditoriali, renderli cittadini più intraprendenti, e trasformarli nella forza lavoro della nazione. La gestione del denaro potrebbe essere integrata nell’insegnamento della matematica, e l’aspetto decisionale con la storia, la geografia e le materie umanistiche. Alternativamente, si potrebbero creare corsi al di fuori del curriculum scolastico istituzionale.   «La piattaforma finanziaria di My Bnk è solida perché diversificata. Non applichiamo nessun tasso di interesse al microcredito offerto perché riteniamo che il valore del nostro prestito risieda nell’educazione offerta. Il nostro è un modello di prestito che non si basa sul tasso di interesse, ma sull’educazione. I nostri giovani beneficiari, tuttavia, capiscono bene che il denaro ha un costo, e che si tratta di un prestito. Il tasso di restituzione dei nostri fondi è del 97%. Dare responsabilità ai ragazzi produce risultati». Lily Lapenna ha fiducia nei giovani e l'invito che rivolge loro è sempre quello di avere l’audacia di compiere il primo passo per trarne un insegnamento, senza lasciarsi scoraggiare se un’idea che non funziona. Per essere più chiara e diretta su questo punto Lily cita anche Samuel Beckett: «Hai sbagliato? Non importa, sbaglia di nuovo, ma la prossima volta sbaglia meglio».Sofia LoreficePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Chance ai giovani, Bangladesh - Italia uno a zero

Il Politecnico lancia CupCake, la ricetta per le start-up creative

Prendere 16 tra i migliori talenti creativi in circolazione, aggiungere competenze imprenditoriali, mescolare con un'esperienza in un incubatore all'estero per tre mesi, servire alla prossima edizione del Salone del Mobile di Milano. È questa la “ricetta” di “CupCake – Creativity and design for new markets and new needs”, un progetto lanciato dalla Fondazione Politecnico di Milano in collaborazione con la Regione Lombardia.«In molti casi i designer ed i creativi non hanno un'ambizione imprenditoriale, preferiscono lavorare su commessa, per conto di altri», spiega Domenico Pannofino, responsabile del progetto per conto della Fondazione, «la nostra volontà di attrarre questo tipo di competenze è molto forte». Al punto che «è nostro interesse che queste idee imprenditoriali si traducano in vere e proprie start-up». Alle quali PoliHub, l'acceleratore d'impresa del Politecnico, guarderà con grande interesse. «L'incubazione non sarà automatica, ma sarà riconosciuto un vantaggio a queste realtà» nella selezione delle candidature per l'ingresso all'interno della struttura guidata dal professor Andrea Rangone.«Di solito lavoriamo con persone che portano avanti progetti ad alto contenuto tecnologico, ora vogliamo far entrare nella nostra realtà anche dei soggetti con delle abilità e delle competenze creative», prosegue Pannofino. Eppure la selezione per entrare in Polihub è sempre stata molto dura. Ma sono proprio le caratteristiche richieste a chi partecipa a “CupCake” che potrebbero favorire l'ingresso all'interno dell'incubatore...Non tanto per i requisiti per l'iscrizione, aperta a disoccupati e inoccupati in possesso di laurea di primo livello, residenti o domiciliati in Lombardia ed iscritti ad un Centro per l'Impiego, con un livello di conoscenza dell'inglese non inferiore al livello B1 del Cefr. Quanto perché uno degli elementi che sarà preso in considerazione nella scelta dei 16 partecipanti è proprio il loro respiro internazionale, la loro capacità di essere «adattabili e replicabili in diversi contesti», come si legge nel bando del concorso.Ovvero di offrire risposte a nuovi mercati, come quelli dei paesi Brics, incontrare nuovi target ed aprire a livello internazionale nuovi spazi di business. L'obiettivo finale è quello di aiutare queste start-up ad inserirsi nel meccanismo delle esportazioni verso i cosiddetti mercati in rapida crescita, un giro d'affari che il Sole24Ore ha stimato nel 2011 in qualcosa come 9,8 miliardi di dollari. «PoliHub si focalizza tendenzialmente su iniziative imprenditoriali ambiziose e con alto potenziale di crescita. Da questo punto di vista, è fondamentale avere un orizzonte internazionale».Non è tutto. Perché se i rami di queste nuove aziende saranno proiettate al di là dell'oceano o comunque in un altro continente, le radici dovranno essere ben salde in Lombardia, che dovrà rimanere la sede operativa delle start-up. «Se i progetti manifesteranno un certo tipo di connessione con il tessuto produttivo regionale saranno selezionati».Le idee, che potranno spaziare in ambiti che vanno dalla comunicazione al design, dalla moda al digitale, dovranno essere presentate compilando un modulo on-line sul sito di “CupCake” entro le 24 del 10 ottobre. Tra tutti i candidati ne verranno selezionati 25, che svolgeranno un colloquio con il personale della Fondazione tra il 21 ed il 25 ottobre.Sulla base di questi incontri saranno scelti i 16 che tra novembre e febbraio svolgeranno uno stage all'interno di un incubatore di imprese creative in un Paese europeo. Il progetto coprirà le spese di viaggio, di alloggio, di trasporto e assicurative. E fornirà un contributo di 9 euro al giorno per il vitto. Sia durante il periodo all'estero che una volta rientrati in Italia, gli startupper saranno seguiti da due tutor: uno è un membro dello staff di PoliHub, che li seguirà sotto il profilo della definizione degli aspetti industriali e commerciali, l'altro fa parte del Dipartimento di Design del Politecnico e si occuperà degli elementi legati strettamente al prodotto.Tra marzo ed aprile queste due figure lavoreranno con i 16 vincitori per finalizzare i prototipi e prepararli ad un evento di presentazione di fronte a imprenditori e potenziali investitori che si svolgerà nell'ambito del Salone del Mobile di Milano. Una vetrina, appunto, internazionale per 16 start-up creative chiamate a conquistarsi una fetta di mercato.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre iniziative milanesi legate alle start-up? Leggi anche:- Milano e la Lombardia, terreno fertile per le start-up- Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag Milano- A Milano 600mila euro per permettere alle start-up di "FareImpresaDigitale"Vuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Micro4You, la start-up che aiuta le api. E le opere d'arte- Appeatit, la start-up che rende il pranzo una vera pausa- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Il Politecnico lancia CupCake, la ricetta per le start-up creative

Prendere 16 tra i migliori talenti creativi in circolazione, aggiungere competenze imprenditoriali, mescolare con un'esperienza in un incubatore all'estero per tre mesi, servire alla prossima edizione del Salone del Mobile di Milano. È questa la “ricetta” di “CupCake – Creativity and design for new markets and new needs”, un progetto lanciato dalla Fondazione Politecnico di Milano in collaborazione con la Regione Lombardia.«In molti casi i designer ed i creativi non hanno un'ambizione imprenditoriale, preferiscono lavorare su commessa, per conto di altri», spiega Domenico Pannofino, responsabile del progetto per conto della Fondazione, «la nostra volontà di attrarre questo tipo di competenze è molto forte». Al punto che «è nostro interesse che queste idee imprenditoriali si traducano in vere e proprie start-up». Alle quali PoliHub, l'acceleratore d'impresa del Politecnico, guarderà con grande interesse. «L'incubazione non sarà automatica, ma sarà riconosciuto un vantaggio a queste realtà» nella selezione delle candidature per l'ingresso all'interno della struttura guidata dal professor Andrea Rangone.«Di solito lavoriamo con persone che portano avanti progetti ad alto contenuto tecnologico, ora vogliamo far entrare nella nostra realtà anche dei soggetti con delle abilità e delle competenze creative», prosegue Pannofino. Eppure la selezione per entrare in Polihub è sempre stata molto dura. Ma sono proprio le caratteristiche richieste a chi partecipa a “CupCake” che potrebbero favorire l'ingresso all'interno dell'incubatore. Non tanto per i requisiti per l'iscrizione, aperta a disoccupati e inoccupati in possesso di laurea di primo livello, residenti o domiciliati in Lombardia ed iscritti ad un Centro per l'Impiego, con un livello di conoscenza dell'inglese non inferiore al livello B1 del Cefr. Quanto perché uno degli elementi che sarà preso in considerazione nella scelta dei 16 partecipanti è proprio il loro respiro internazionale, la loro capacità di essere «adattabili e replicabili in diversi contesti», come si legge nel bando del concorso.Ovvero di offrire risposte a nuovi mercati, come quelli dei paesi Brics, incontrare nuovi target ed aprire a livello internazionale nuovi spazi di business. L'obiettivo finale è quello di aiutare queste start-up ad inserirsi nel meccanismo delle esportazioni verso i cosiddetti mercati in rapida crescita, un giro d'affari che il Sole24Ore ha stimato nel 2011 in qualcosa come 9,8 miliardi di dollari. «PoliHub si focalizza tendenzialmente su iniziative imprenditoriali ambiziose e con alto potenziale di crescita. Da questo punto di vista, è fondamentale avere un orizzonte internazionale».Non è tutto. Perché se i rami di queste nuove aziende saranno proiettate al di là dell'oceano o comunque in un altro continente, le radici dovranno essere ben salde in Lombardia, che dovrà rimanere la sede operativa delle start-up. «Se i progetti manifesteranno un certo tipo di connessione con il tessuto produttivo regionale saranno selezionati».Le idee, che potranno spaziare in ambiti che vanno dalla comunicazione al design, dalla moda al digitale, dovranno essere presentate compilando un modulo on-line sul sito di “CupCake” entro le 24 del 10 ottobre. Tra tutti i candidati ne verranno selezionati 25, che svolgeranno un colloquio con il personale della Fondazione tra il 21 ed il 25 ottobre.Sulla base di questi incontri saranno scelti i 16 che tra novembre e febbraio svolgeranno uno stage all'interno di un incubatore di imprese creative in un Paese europeo. Il progetto coprirà le spese di viaggio, di alloggio, di trasporto e assicurative. E fornirà un contributo di 9 euro al giorno per il vitto. Sia durante il periodo all'estero che una volta rientrati in Italia, gli startupper saranno seguiti da due tutor: uno è un membro dello staff di PoliHub, che li seguirà sotto il profilo della definizione degli aspetti industriali e commerciali, l'altro fa parte del Dipartimento di Design del Politecnico e si occuperà degli elementi legati strettamente al prodotto.Tra marzo ed aprile queste due figure lavoreranno con i 16 vincitori per finalizzare i prototipi e prepararli ad un evento di presentazione di fronte a imprenditori e potenziali investitori che si svolgerà nell'ambito del Salone del Mobile di Milano. Una vetrina, appunto, internazionale per 16 start-up creative chiamate a conquistarsi una fetta di mercato.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre iniziative milanesi legate alle start-up? 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Micro4You, la start-up che aiuta le api. E le opere d'arte

Cos'hanno in comune le api e le opere d'arte? Domanda insolita, ma con una risposta precisa: Micro4You, una start-up innovativa fondata nel 2010 da Annalisa Balloi come spin-off della facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Milano.Per quanto questi due ambiti possano apparire distanti tra di loro, c'è un punto comune. Piccolo, anzi microscopico: i batteri che vengono utilizzati per salvare sia gli insetti del miele che le sculture, entrambe vittima dell'inquinamento atmosferico. Tutto ha avuto inizio nei laboratori della facoltà di Agraria dell'Università di Allmart, in Svezia, dove Balloi ha completato gli studi necessari per la sua tesi di laurea in Biologia, discussa nel 2002 nell'ateneo di Cagliari, la sua città natale. All'epoca questa startupper, oggi 35enne, non aveva intenzione di «proseguire con la carriera universitaria classica». E così si è iscritta, sempre in Sardegna, ad un master dedicato alla desertificazione. Nel 2004 si è trasferita al Cnr di Pisa prima per uno stage di tre mesi, quindi per due contratti a progetto semestrali.Dopodiché, «anche per motivi personali, visto che quello che all'epoca era il mio fidanzato e oggi è mio marito lavorava lì», ha deciso di spostarsi a Milano e ha fatto domanda per un dottorato di ricerca alla facoltà di Agraria della Statale. Qui ha conosciuto il professor Daniele Daffonchio, un incontro che le ha cambiato la vita. Questo docente «cercava da tempo una persona che fosse interessata a dare uno sbocco non solo accademico ai risultati ottenuti in anni di ricerca sulle comunità microbiche. Io non volevo seguire la carriera universitaria e ho colto la palla al balzo». Dando vita ad una spin-off, ovvero ad un'azienda che nasce all'interno dell'università, ne utilizza in esclusiva i brevetti ed è di fatto incubata all'interno dell'ateneo. Al quale dovrà riconoscere, quando ci saranno, una percentuale degli utili.Sono cominciati così degli studi su un microorganismo che si trova nell'intestino delle api, una sorta di probiotico. Ovvero un batterio che ha la capacità di aumentare le difese immunitarie di questi insetti e di contrastare direttamente il bacillo della peste americana. Questa sostanza viene vaporizzata all'interno dell'alveare e porta benefici sia sulla sopravvivenza dei componenti della colonia che sulle loro capacità di impollinazione. Presentata alla Start-up competition, quest'idea è stata premiata con 12mila euro utilizzati come capitale sociale per fondare una srl, creata da Balloi con lo stesso Daffonchio e altri quattro ricercatori, e con un corso dedicato alla stesura di un business plan. «Ho avuto i primi strumenti per ragionare non più come microbiologa, ma come imprenditore».Ed è appunto con questa mentalità che, con un prodotto che ancora deve affrontare un lungo iter per ottenere il via libera alla commercializzazione come farmaco veterinario, Balloi ha iniziato a guardarsi in giro. «Nel laboratorio vicino al nostro lavorava Francesca Capitilli, una brillante ricercatrice che insieme alla professoressa Claudia Sorlini aveva brevettato un metodo per la biopulitura delle opere d'arte». In altre parole, aveva scoperto dei microorganismi che possono essere utilizzati per il restauro. «Il brevetto era rimasto confinato in ambito accademico e stava per scadere. Così ci ha proposto di rilevarlo». Un'offerta che questa startupper di origini sarde ha subito accolto: «abbiamo annusato le potenzialità del mercato e abbiamo acquisito la licenza. Il prodotto è stato presentato alla Smau nel settembre del 2011 ed ha ottenuto un bel riscontro».Nello stesso periodo Micro4You, nome che deriva dalla contrazione di “Microbs for your needs”, ha partecipato alla prima edizione del premio “Gaetano Marzotto”. «Abbiamo vinto 250mila euro e la possibilità di realizzare un business plan per Micro4Art, un progetto per la rimozione delle alterazioni di natura solfatica da superfici litoidi». Ovvero per ripulire le sculture dai segni del tempo. «L'aspetto finanziario è stato molto importante», sottolinea Balloi, «con questi soldi stiamo investendo nella realizzazione di un prodotto commerciale a partire da un prototipo di laboratorio, abbiamo acquistato della strumentazione, avviato una collaborazione industriale e pagato gli stipendi a due persone che lavorassero sul progetto». Ad uno la start-up paga il dottorato, ad un altro un assegno di ricerca finanziato in collaborazione con la Regione Lombardia, che copre metà delle spese. Mentre Balloi vive grazie ad un assegno di ricerca garantito dalla Statale e ancora non prende uno stipendio dall'azienda, così come gli altri cinque soci, visto che ognuno ha già un altro lavoro.Ad oggi il fatturato di Micro4You è minimo. «Stiamo collaborando con lo studio Formica per il restauro dell'Arca dei Magi della basilica di Sant'Eustorgio di Milano: abbiamo individuato dei microorganismi potenzialmente patogeni della tela ed abbiamo quindi identificato dei biocidi adatti per questi batteri». Un'esperienza che rappresenta anche una prima prova sul campo per questo prodotto. L'obiettivo è quello di averlo pronto per lanciarlo sul mercato con l'inizio del prossimo anno. Mentre per le api «stiamo ancora sperimentando, con l'autorizzazione del ministero della Salute. Cerchiamo partner finanziari e industriali per condurre esperimenti anche in altri Paesi del mondo in modo da ultimare un report da consegnare alla Commissione europea, che dovrà darci autorizzare la commercializzazione del prodotto». Intanto, dopo essersi iscritta la scorsa primavera al registro delle start-up innovative, Micro4You continua a guardarsi intorno alla ricerca di finanziamenti. «La Fondazione Marzotto ha avuto il coraggio di premiare, alla prima edizione, un progetto dedicato ai beni culturali. E di finanziarlo con 250mila euro. Io li ringrazio molto perché hanno avuto il coraggio di finanziare un comparto molto povero, ma strategico per l'Italia». E per far crescere le “sue” colonie di batteri, Balloi cerca ora investitori che abbiano lo stesso coraggio.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? 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Arriva lo StartupBus: parte il viaggio verso il successo

«In viaggio sulla strada del successo». Questo lo slogan che accompagna la prima edizione italiana di Startupbus, manifestazione che metterà a confronto 25 tra aspiranti startupper, programmatori ed esperti di design sfidandoli a costituire una start-up. E premiando la migliore con una partecipazione al Pioneers Festival di Vienna, dove il progetto sarà presentato di fronte ad una platea di investitori internazionali.Nata nel 2010 nella baia di San Francisco, l'esperienza dello Startupbus si è subito diffusa da questa parte dell'oceano. «Sono nati due movimenti: uno con lo stesso nome in Spagna e nel Benelux, mentre in Germania, Francia e Regno Unito era attivo Founderbus, con lo stesso concetto. E siccome eravamo un po' come la Coca-Cola e la Pepsi, abbiamo deciso di non farci la guerra e di unire le forze». A raccontare il progetto alla Repubblica degli Stagisti è Giovanni Natella [nella foto a destra], 26 anni, tra gli organizzatori lo scorso anno dello Startupbus transalpino. E promotore dell'edizione italiana, alla guida di un team del quale fanno parte anche Paolo Bertolero, Zeno Tomiolo e Chiara Adam.Il meccanismo è quello tradizionale creato nella Silicon Valley da Elias Bizannes, ideatore di questi bus: un pullman che viaggia per il Paese con a bordo 25 talenti e che fa tappa in alcune città, nelle quali sono previsti eventi con investitori, startupper, incubatori e tutti i protagonisti dell'ecosistema. L'edizione italiana prevede una partenza da Roma il 26 ottobre, una tappa a Torino il 27 e a Milano il giorno successivo per arrivare il 30 ottobre a Roncade, nella sede dell'incubatore H-Farm. Qui verrà decretato il team vincitore che avrà la possibilità di presentare il proprio progetto nella capitale austriaca.Ad oggi lo Startupbus ha già definito una collaborazione con l'università di RomaTre e iStarter a Torino, che ospiteranno alcuni eventi durante le tappe del viaggio. Il programma è però ancora tutto da definire, al punto che qualche giorno fa su Twitter Mattia Corbetta, membro della segreteria tecnica del ministero per lo Sviluppo economico, ha dichiarato che il Mise è interessato a sostenere l'iniziativa. Così come da definire è il gruppo dei 25 viaggiatori. Le iscrizioni si sono aperte lo scorso 1 settembre e si chiuderanno il 10 ottobre. I selezionati dovranno versare 150 euro, cifra che coprirà le spese di viaggio, vitto e alloggio.«L'Italia è una terra interessante per le start-up, lo ha dimostrato anche con il recente regolamento sul crowdfunding approvato dalla Consob, forse la prima al mondo. E prima con il decreto Passera. Insomma, si vede che il governo sta compiendo degli sforzi. Inoltre», prosegue Natella, «il capitale umano c'è, sono tutti molto preparati: i cervelli italiani sono dei bei cervelli». Anche quando non fuggono all'estero, però, faticano ad emergere. «È vero, abbiamo un communication gap. Sarà per via della lingua, della cultura, ma non siamo ben compresi in Europa». In questo senso, lo Startupbus si pone l'obiettivo di gettare un ponte e di «collegare l'ecosistema italiano a quello europeo».L'obiettivo della manifestazione non è soltanto quello di dare vita ad una nuova start-up. Ma anche quello di «creare una community a livello continentale. Globale se contiamo che a novembre partiremo con iniziative analoghe in Africa e ci stiamo espandendo in Asia». L'idea di fondo è quella di «prendere persone che non si conoscono e farle incontrare, sia sul pullman che durante ogni tappa. E a Vienna ci confronteremo con bus partiti da Madrid, Parigi, Bruxelles, Berlino e Londra». E con loro i “buspreneurs”, così si chiamano i passeggeri dello Startupbus, avranno modo di confrontarsi una volta giunti al Pioneers Festival. Magari trovando idee simili, tipo Coca Cola e Pepsi. E decidendo di unirsi invece che farsi concorrenza, proseguendo idealmente il «viaggio sulla strada del successo» iniziato salendo sul bus che partirà alla fine di ottobre.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi saperne di più sul decreto Passera e sul crowdfunding? Leggi anche:- «Restart Italia», con il decreto Passera arrivano (quasi tutte) le proposte per le start-up- Il decreto per le start-up è legge. E comincia già a far discutere- Crowdfunding, luci ed ombre nel regolamento Consob- Col crowdfunding si sostengono anche le start-upVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Appeatit, la start-up che rende il pranzo una vera pausa- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Appeatit, la start-up che rende il pranzo una vera pausa

Fare la pausa pranzo con calma senza azzuffarsi per cercare un tavolo o aspettare per interminabili quarti d'ora che un cameriere oberato di lavoro abbia il tempo di prendere la comanda. Si arriva nel ristorante scelto e si trova un posto riservato e, appena ci si siede, il personale di sala comincia a servire il pasto. Tutto possibile grazie ad un'applicazione lanciata dalla start-up cagliaritana Appeatit.O almeno, questa è la direzione nella quale sta lavorando un team di otto membri che gravita intorno a questa realtà. «Noi potremmo partire anche adesso, ma ci siamo fermati per ragionare su come pianificare l'espansione commerciale, visto che con i ristoratori occorre avere un contatto diretto. Intanto abbiamo firmato un primo contratto con un locale di Roma, che utilizzeremo per testare l'applicazione». A parlare è Damiano Congedo, [nella foto a destra] 27enne come i suoi tre soci operativi in questa start-up, Marco Clemenza e Stefano Colella: «Ci conosciamo da vent'anni, dai tempi delle elementari». Laureato in Scienze della comunicazione il primo, grafico pubblicitario il secondo, diplomato al liceo scientifico il terzo, questi tre startupper hanno coinvolto nel loro progetto anche Antonio Mura, 58 anni, ex dirigente d'azienda. «È stato il nostro mentore», spiega Congedo, e forse anche per l'età non più verdissima «in questa fase è più distaccato».Gli altri cinque collaboratori che si occupano di tutto, dallo sviluppo della piattaforma web alla grafica, dagli aspetti finanziari alla gestione dei social media, sono stati coinvolti direttamente nel progetto. «Abbiamo stretto un accordo tra gentiluomini, sulla base del quale dopo un anno di collaborazione riceveranno gratuitamente delle quote della società». Il meccanismo del work for equity è stato introdotto dal decreto Passera del dicembre scorso, anche se in realtà era pensato per abbattere i costi legati a commercialisti e notai, ai quali gli startupper avrebbero potuto concedere una quota delle azioni invece di pagare direttamente le prestazioni. L'idea del ministro non era certo quella di usarla al posto degli stipendi. «In realtà noi ci siamo mossi prima del decreto, abbiamo cercato tutte le figure che ci servivano e siamo partiti. Ovviamente, non sono tutti full time». Dovendosi mantenere, insomma, svolgono anche altre attività. Anche perché da qualche tempo Appeatit si è trasferita da Cagliari a Roma, dove è incubata all'interno di Enlabs e dove intende lanciare la propria applicazione. Qui Congedo e soci sono entrati dopo un vero e proprio pellegrinaggio attraverso le varie iniziative a sostegno delle start-up.A settembre del 2012 hanno preso parte a Wind Business Factor, passando la prima selezione e partecipando a tre settimane di formazione, altre due le hanno fatte a Roma grazie al BarCamper di Gianluca Dettori. A giugno di quest'anno hanno vinto 6.500 dollari di servizi gratis da Microsoft nell'ambito del concorso Bizpark, mentre a luglio sono arrivati nell'incubatore romano e hanno raggiunto la finale dell'Ict Challenge, dove sono stati inseriti tra le migliori 15 su 144 start-up partecipanti. «Purtroppo ancora non siamo riusciti a trovare un investitore».L'impegno nel cercarlo, non manca. Ai potenziali finanziatori Appeatit propone un'applicazione che permette di prenotare un tavolo ed ordinare un pranzo nei ristoranti convenzionati. Per il cliente non c'è alcun aggravio di spesa, mentre al locale viene chiesta una commissione di un euro. «Servizi analoghi chiedono tra il 10 ed il 12 per cento del costo del pranzo, che in media va dai 7 ai 12 euro. Per cui la quota da versare è tra i 70 centesimi e 1,20 euro. Noi abbiamo scelto una via di mezzo». L'idea per un'azienda di questo tipo è nata quando «un giorno Marco [Clemenza, ndr] mi ha telefonato e mi ha raccontato che era in pullman e stava tornando a casa. Ma aveva molta fame e gli sarebbe piaciuto trovare tutto pronto». L'idea è che tagliando l'attesa, chi esce dall'ufficio possa godersi a pieno la pausa pranzo.Nata come srl, con 10mila euro di capitale versato grazie ai risparmi dei quattro fondatori, all'inizio di gennaio Appeatit si è iscritta nel registro delle start-up innovative. «Ci hanno consigliato di farlo subito per trovare investitori interessati e in realtà quando li contattiamo questo è sempre un elemento che fa sempre piacere». Ad oggi però l'iscrizione come isrl non ha portato finanziamenti. Anzi, è costata 900 euro per modificare lo statuto. Tutti soldi attinti dai risparmi o dai ricavi di qualche “lavoretto”, come il ruolo di tutor che Congedo svolge all'università di Cagliari. Finora infatti i quattro founder non prendono uno stipendio. «Ci arrangiamo con altre attività e stando attenti alle offerte al supermercato. Io poi sono fortunato, vivo a Roma da un amico che mi farà pagare l'affitto solo quando avrò i soldi». Ci vorrà almeno un anno e mezzo, però. Almeno, questo dice il business plan, che fissa a fine 2014 il pareggio di bilancio. «So che sono scadenze aleatorie. In effetti il nostro piano prevedeva anche che trovassimo un finanziatore entro luglio, che però non è arrivato». Ma Congedo e soci non si arrendono e continuano a cercarlo.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Recruiting geolocalizzato, un nuovo modello per gli annunci di lavoro online- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresaVuoi saperne di più sulla isrl e sulla srl semplificata? Leggi anche:- «Restart Italia», con il decreto Sviluppo bis arrivano (quasi tutte) le proposte per le start-up- «L'Italia riparta dalle start-up»: ecco il piano del ministro PasseraVuoi saperne di più sulle inizative a sostegno delle start-up? Leggi anche:- Il camper di Renzi riaccende i motori, ora gira l'Italia alla caccia di nuove start-up- Al via Wind business factor 2013, il campionato italiano delle start-up

A Milano 600mila euro per permettere alle start-up di "FareImpresaDigitale"

Comune e Camera di Commercio unite per sostenere le imprese che operano nel settore digitale. Succede a Milano, dove i due enti hanno stanziato rispettivamente 1,4 ed 1,6 milioni di euro, per un totale di 3 milioni. Dei quali 615mila sono riservati alle start-up, ovvero alle aziende che risultino essere iscritte al registro delle imprese da meno di quattro anni dalla data di presentazione della richiesta di contributo. Tutto questo è “FareImpresaDigitale”, bando lanciato lo scorso 2 luglio ed aperto fino al prossimo 20 settembre.Con le risorse messe a disposizione da Palazzo Marino e dalla CCIAA le start-up potranno finanziare l'acquisto di connettività dedicata, di licenze software, di servizi di cloud computing. Ancora, servizi per lo sviluppo di applicazioni digitali e per la creazione di ambienti tridimensionali. Sarà possibile finanziare anche l'investimento di componentistica hardware che di macchinari 3D. Tra le spese ammesse anche quelle per comprare dispositivi digitali per promuovere la vendita al dettaglio e servizi di formazione nell'ambito delle tecnologie digitali. Le aziende che si sono iscritte al registro delle imprese da meno di 18 mesi potranno chiedere di vedersi finanziare gli oneri di costituzione, comprese anche le spese notarili, i costi legati ai servizi di incubazione o di accelerazione di impresa, così come l'affitto per gli spazi di coworking, purché messi a disposizione da uno dei fornitori accreditati alla Camera di Commercio di Milano.Per quanto riguarda le start-up, il bando andrà a coprire il 50% delle spese sostenute, per un massimo di 15mila euro. Alle imprese viene però chiesto di presentare domande legate ad un investimento minimo di 13mila euro. Le richieste verranno esaminate da un nucleo di valutazione sulla base di quattro fattori e verrà loro assegnato un punteggio compreso tra zero e cento. Un massimo di 25 punti potrà essere assegnato in base al grado di innovatività dell'impresa, la stessa quota riguarderà la congruità dei costi e la fattibilità economico-finanziaria del progetto. La qualità tecnica del progetto potrà ricevere un massimo di 30 punti, mentre i restanti 20 riguarderanno l'incidenza del progetto per il quale si chiede un finanziamento rispetto alla crescita della competitività e allo sviluppo dell'impresa beneficiaria. Occorrerà ottenere almeno 65 punti per essere inseriti all'interno della graduatoria delle imprese finanziabili, che verrà definita entro il 19 novembre.A quel punto i beneficiari avranno 60 giorni di tempo per avviare il progetto per il quale hanno ottenuto il contributo, con l'impegno di completarlo entro 12 mesi. Una volta chiuso il progetto, dovranno presentare entro due mesi una rendicontazione dettagliata. Solo a quel punto verrà erogato il contributo. Non è tutto. È allo studio una convenzione con alcuni istituti di credito che si impegnino a fornire alle start-up un finanziamento a tasso agevolato pari alla somma erogata nell'ambito del bando “FareImpresaDigitale”. I dettagli verranno pubblicati sul sito della Camera di Commercio entro il prossimo 19 novembre.Le domande devono essere presentate solo per via telematica. Possono partecipare le start-up che abbiano sede in provincia di Milano e che operino nel commercio attraverso dispositivi mobile, nella gestione del ciclo ordine-consegna-fattura-pagamento, nello sviluppo di soluzioni digitali innovative anche legate alla produzione, nella gestione dei consumi energetici degli edifici, nella stampa 3D e nell'adozione di tecnologie digitali a supporto della tracciabilità dei prodotti. A loro sono riservati 600mila dei 3 milioni di euro messi a disposizione dal bando “FareImpresaDigitale”.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi saperne di più sull'ecosistema milanese? Leggi anche:- Concorso per le idee innovative in campo software, sbarca in Italia lo  Startup Focus Program- Milano e la Lombardia, terreno fertile per le start-up- Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag Milano- H-Farm. Boox e Nanabianca, un'«alliance» per sostenere le start-up

Tacatì: un milione di euro per l'e-commerce a km zero

Avevano avuto la stessa idea. Ed entrambi avevano pensato di presentarla alla Coldiretti di Asti, a pochi giorni l'una dall'altro. «Alla fine sono stati loro a metterci in contatto». A raccontarlo alla Repubblica degli Stagisti è Giulia Valente, 28 anni, fondatrice insieme al 34enne Stefano Cravero di Tacatì, una start-up che si occupa di fornire una piattaforma e-commerce a piccoli negozi «che aderiscono alla nostra filosofia del chilometro zero, vendendo prodotti locali ed artigianali». E che ha appena ricevuto un finanziamento da un milione di euro da Principia-Sgr.Un progetto che oggi coinvolge alcune zone del Piemonte, regione alla quale l'azienda deve il suo nome. «Volevamo che ricordasse la vicinanza, anche per via del fatto che consegnamo la spesa a domicilio. E nel nostro dialetto vicino si dice "taca a tì"». Anche se la sede legale è molto lontana da Langhe e Monferrato. «Si trova a Cagliari, dove ha sede il nostro sviluppo tecnologico. Il capoluogo sardo è ottimo se si cercano competenze informatiche e sviluppatori». A livello operativo, però, Tacatì ha trovato casa a Torino all'interno di I3P, l'incubatore d'impresa del Politecnico di Torino.Qui i due startupper sono arrivati dopo aver girato il mondo. «Io ho studiato Economia prendendo la doppia laurea alla Bocconi di Milano e alla Hec di Parigi, poi ho fatto uno stage alla Comunità europea a Bruxelles nel 2009» snocciola Valente: «Fino al 2011 ho lavorato a Madrid, ma alla fine sono tornata: mi mancava l'Italia». Cravero invece dopo la laurea in Economia all'università di Torino ha lavorato per otto anni nel settore della finanza, muovendosi tra Lussemburgo, Irlanda e Berlino. Quindi ha cambiato vita, si è trasferito in Bangladesh ed ha lavorato per un anno con Muhammad Yunus, inventore del microcredito e premio Nobel per la Pace 2006. Quando ha deciso di tornare in Italia, lo ha fatto con l'idea di lavorare a qualcosa che avesse un impatto sociale positivo.Un'assunzione di responsabilità che si traduce nella valorizzazione della filiera corta. «Abbiamo individuato delle piccole botteghe alimentari che sono nostre partner. A loro mettiamo a disposizione uno spazio e-commerce sulla nostra piattaforma e predisponiamo una rete di punti di consegna sul territorio». In altre parole, offrono a queste botteghe un canale di comunicazione dedicato che permette loro di farsi conoscere. Magari sfidando anche la grande distribuzione. «L'idea è nata facendo delle prove: abbiamo iniziato con un'e-commerce puro, pensavamo di acquistare dai produttori per poi rivendere ai clienti. Abbiamo anche raccolto i primi ordini la scorsa estate, ma ci siamo resi conto che era un sistema difficile da gestire». Fino a che non sono entrati in contatto con “Il Buon senso”, negozio di prodotti alimentari sfusi di Asti.«Inizialmente ci ha dato uno spazio nel suo magazzino. Poi ci siamo resi conto che con lui si lavorava bene e abbiamo pensato che potesse essere direttamente lui a vendere sul sito: perché gestire noi la parte di selezione dei prodotti e della logistica quando ci sono già delle figure professionali che se ne occupano?». Nata nel maggio 2012 come srl, con un capitale sociale di 10mila euro versato grazie ai risparmi messi da parte lavorando, a febbraio di quest'anno Tacatì si è iscritta nel registro delle start-up innovative. «Il nostro piano di sviluppo pervede l'assunzione di nuove risorse ed essere una isrl dà la possibilità di incentivare queste persone con un piano di stock option». Ovvero cedendo una piccola quota della società. Inoltre «volendo approcciare dei fondi di venture capital per cercare degli investimenti, questo è un requisito importante». Una ricerca andata a buon fine con Principia: l'accordo prevede l'ingresso come presidente di Tacatì di Michele Costabile, ordinario di Marketing alla Luiss di Roma  enumero due del fondo. E si pone l'obiettivo di arrivare a coinvolgere entro cinque anni oltre mille botteghe in tutto il territorio nazionale.Il passaggio da srl a start-up innovativa non è stato complesso, «il commercialista ci ha aiutato molto. In realtà è stato molto difficile fondare una srl, visto che non sapevamo come inquadrare la nostra attività in Camera di Commercio». Più semplice è stato convincere l'ecosistema della bontà del progetto. «Abbiamo partecipato a StartCup Piemonte nel 2012 e abbiamo vinto 8mila euro, soldi che abbiamo usato per realizzare il sito». Nello stesso anno i due startupper hanno preso parte al Barcamper promosso da Gianluca Dettori: «Siamo arrivati secondi, ci hanno premiato con 5mila euro. Ma al di là del premio in sé, è stato un bel momento perché prima della gara c'è stata una settimana di full immersione con dPixel per capire come si scrivono un business plan ed un piano finanziario e come si cercano - e convincono - gli investitori». Mentre poche settimane fa Valente è stata inserita nella lista delle 50 startupper donna stilata da GirlsInTech.Oggi, pagando una retta di 50 euro al mese, Tacatì è incubata in I3P, un'esperienza «fondamentale per i servizi che offre e per la rete di professionisti con i quali ti mette in contatto». E insegue un break-even, che dovrebbe arrivare il prossimo anno. «L'anno scorso abbiamo fatturato poche decine di migliaia di euro. Siamo in fase di test e ancora non prendiamo uno stipendio. Diciamo che abbiamo ancora qualche risparmio e ci arrangiamo». Un quadro che potrebbe conoscere una rapida evoluzione grazie al finanziamento da un milione di euro che Principia-Sgr ha deciso di concedere a Valente e Cravero. «Stiamo già lavorando alla nuova piattaforma, che pensiamo di mettere online in autunno. Inoltre intendiamo potenziare la nostra presenza in Piemonte ed estenderla anche in altre regioni. Infine, vogliamo investire molto nella comunicazione, sia sul territorio che in rete». Del resto, i fondi per investire in tutti questi campi non mancano.Riccardo Saporiti startupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere le storie di alcune di start-up? 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