Categoria: Approfondimenti

OrangeFiber, la start-up che spreme le arance e ne fa tessuti

Da cinque anni sono coinquiline, da diciotto mesi anche socie in affari. Enrica Arena (28) e Adriana Santanocito (36) sono due startupper di Catania, ma milanesi d'adozione, che hanno brevettato un tessuto ricavato dagli scarti della lavorazione degli agrumi.«Adriana stava studiando all'Accademia della Moda di Milano, un paio di anni fa ha colto il filone della moda sostenibile, che ha ricadute sociali perché coinvolge lavoratori in difficoltà o categorie sociali protette, riconoscendo loro un compenso equo», il racconto nelle parole di Arena di come è nata quella che oggi è diventata Orange Fiber, «e soprattutto ha un effetto positivo sul piano ambientale». Pioniera di questo settore è stata Stella McCartney, con una linea di borse in ecopelle. Mentre altre aziende ricavavano i tessuti dalle bottiglie di plastica riciclate, piuttosto che dalle fibre di latte.Il mercato offre degli spazi per questi prodotti “alternativi”. «Oggi il 60% dei tessuti è derivato dal petrolio» e risente quindi delle oscillazioni dei prezzi del barile, «il resto sono fibre naturali, per la maggior parte si tratta di cotone. Una pianta che richiede un uso estensivo della terra, tanta acqua, fertilizzanti e sostanze chimiche». Costi elevati, insomma. Che Orange Fiber invece “polverizza”. Il motivo? La materia prima utilizzata «è uno scarto del quale nessuno fa nulla».L'idea infatti è quella di utilizzare quelle parti del frutto che «l'industria della trasformazione, quella che produce spremute e oli essenziali, non usa». Ovvero, sostanzialmente, le bucce. «Noi estraiamo la cellulosa, la trasformiamo in acetato e quindi in un tessuto, che poi viene colorato ed arricchito con vitamine». Le quali vengono poi rilasciate sulla pelle quando si indossa un abito realizzato con questi filati, garantendo «benefici cosmetici in termini di idratazione».Quello che è considerato uno scarto si trasforma insomma in una risorsa. Della quale la Sicilia, terra natale di queste due startupper, è molto ricca. «Abbiamo tanti amici che coltivano agrumi, alcuni non raccolgono nemmeno più perché i prezzi di mercato non ripagano i costi. Per noi è più facile lavorare sullo scarto industriale che non sostenere questo tipo di spese, ma un domani speriamo di riuscire ad assorbirle». Contribuendo così al rilancio economico dell'isola.Sono molti, però, i punti di domanda rispetto al futuro di questa start-up. Intanto c'è da estendere il brevetto italiano per i tessuti ricavati dalle arance. «Ci è costato 3mila euro. Per ottenerlo ci siamo affidati ad un ingegnere progettuale che si è appoggiato al dipartimento di Chimica dei materiali del Politecnico di Milano», spiega Arena, «abbiamo messo in piedi un gruppo di gente qualificata perché venisse “blindato”, perché fosse più sicuro possibile». Per i prossimi diciotto mesi l'idea delle due startupper sarà tutelata anche a livello internazionale. «Per estendere la protezione, lo scoglio è economico. Solo quello europeo costa 10mila euro». Altrettanti ne serviranno per versare il capitale sociale. Ancora Orange Fiber non ha una personalità giuridica, ma l'obiettivo è quello di farla diventare una srl “classica”. «Dovendo lavorare con dei fornitori di di grandi dimensioni, ci siamo rese conto che quella semplificata scoraggia». Una volta fondata l'azienda, «chiederemo l'iscrizione nel registro imprese come start-up innovativa».Nel frattempo le due imprenditrici hanno seguito diversi percorsi di accelerazione: «Changemakers for Expo, Make a Cube, il progetto Expo di Telecom Italia. Attualmente siamo seguite dal Parco tecnologico padano di Lodi, con cui abbiamo steso un business plan come si deve». Ed hanno iniziato ad accumulare premi: la quinta edizione del premio "Global social venture competition", promosso dal Tecnoparco lodigiano e dal comune di Milano, e Working capital di Telecom Italia. Fino ad arrivare a qualificarsi per la finale della Creative business cup di Copenaghen nel novembre dello scorso anno.Ora però serve un finanziamento seed per il salto di qualità. «Stiamo cercando 150mila euro per sbloccare la prototipazione e per mettere in piedi una prima produzione in outsourcing. E poi ci servono tra i 500 e i 600mila euro per lanciare il primo stabilimento». Servono quattro mesi perché il prototipo sia pronto, un anno per aprire una linea di produzione che dia lavoro a 5 persone in Sicilia o, se Orange Fiber vincerà il bando TrentinoSviluppo, sulle Dolomiti. «Abbiamo già dei potenziali finanziatori seriamente interessati, vedremo quest'anno».Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.it 

Studiare in Europa del nord, da Londra alla Danimarca tutti i dettagli su costi e meccanismi

Dopo il Nord America e l’Asia, per la terza puntata dedicata alle università estere le distanze si accorciano: destinazione Nord Europa. Per esempio l’Inghilterra, che da tempo è meta nota di numerosi studenti italiani, specialmente nei centri accademici più prestigiosi come la London school of economics and political science, leader mondiale nell’ambito degli studi sociali e internazionali, seconda solo ad Harvard in questo campo stando al Qs Ranking 2013, dove figura al 68simo posto. I dati ufficiali relativi all’anno accademico 2012-2013 confermano questa tendenza: su un totale di 7.301 overseas students, gli studenti stranieri, quelli provenienti dall’Italia erano 253, di cui 15 undergraduate e 238 graduate, in lento ma costante aumento: nel 2010-2011 erano per esempio 226. Un numero discreto, superato in Europa solo dalla Francia e dalla Germania. A detenere il record è la Cina, a quota mille overseas, seguita dagli Stati Uniti con 899 studenti. Qual è la ragione di questo successo internazionale? Per dare una risposta si può partire dal motto dell’università stessa: rerum cognoscere causas, conoscere le cause delle cose.E la prima causa, apparentemente banale, consiste nella chiarezza del sito. Alla voce “study” è possibile passare in rassegna i programmi disponibili per ogni corso di laurea, principalmente per le due categorie ormai conosciute ai lettori della Repubblica degli Stagisti, quelle di undergraduate e graduate students.La presentazione del piano formativo, dei servizi connessi e dei metodi di insegnamento, ad entrambi i livelli, è riassunta e commentata dettagliatamente all’interno delle presentazioni (prospectus), che possono essere ordinate nella versione cartacea oppure visibili online in formato pdf. Inoltre agli studenti internazionali è dedicata una pagina apposita, in cui sono fornite tutte le informazioni indispensabili ai fini dell’ammissione, suddivise per singola nazione. Per quanto riguarda l’Italia, se per i cosiddetti taught master's programmes il requisito fondamentale è il possesso di una laurea conseguita con un punteggio minimo di 106/110, per i laureati italiani intenzionati ad iscriversi ad uno dei programmi di ricerca - research programmes - rivolti appunto alla ricerca scientifica e compresi tra i tre e i sei anni (Master of research, Master of philosophy e PhD), la griglia si estende notevolmente. Infatti oltre al voto di laurea si richiede, tra le altre cose, la qualifica nell’ambito dell'International baccalaureate. E poi almeno un anno di studio in un’altra istituzione accademica e un certificato di lingua inglese, il cui punteggio minimo complessivo è 7 per Ielts e 107 per il Toefl.Se quello stesso studente italiano volesse saperne di più circa le tasse da pagare è tutto scritto in un pratico menu a tendina: nel 2014/2015 i neoammessi inglesi ed europei pagheranno 9mila sterline, circa 10mila euro, se si iscrivono ad un undergraduate full-time programme mentre le tasse dei programmi taught full time programmes sono più elevate, da un minimo di 9.180 ad un massimo di 20.656 sterline (tra 11mila e 25mila euro).Tra le risorse finanziarie segnalate, vi sono la borsa di studio Lse bursary per i primi, con un valore annuale che va da 750 a 4mila sterline (tra 900 e 4820 euro), e per i secondi il sostegno Graduate support scheme, vincolato alle condizioni economiche, che ha un valore medio di 6mila sterline (circa 7.230 euro).Completamente gratuita è invece l’istruzione universitaria in Danimarca, per chi proviene dall’Europa e dai paesi membri dello Spazio economico europeo, per gli studenti che partecipano a scambi internazionali e per gli iscritti svizzeri. Per tutti gli altri le tasse oscillano tra le 55mila e le 111mila corone danesi, cioè tra i 7mila e i 15mila euro, in base alla cittadinanza e al corso di laurea frequentato.Agli studenti danesi, nessuno escluso, viene garantito dallo Stato anche una sorta di “stipendio” mensile (chiamato SU), del valore di 2.903 corone (circa 390 euro) se vivono ancora con i genitori e di 5.839 corone (un po' più di 780 euro) se vivono da soli, specifica alla Repubblica degli Stagisti Carl Hagman, responsabile della comunicazione dell’università di Copenaghen, 45sima nella classifica Qs Ranking. Di questo aiuto economico possono usufruire anche altri beneficiari, rispettando le condizioni della legge danese ed europea: ad esempio quella per cui l’aspirante candidato alla Su deve lavorare o aver lavorato in Danimarca, come si legge sul sito "Study in Denmark" del Ministero della scienza, tecnologia e innovazione.Ora, se le tasse non gravano sul bilancio complessivo, bisogna comunque sostenere il costo della vita. Per capire quanto si spende valga il conteggio indicativo proposto da Hagman: considerando che una corona danese corrisponde a 0,134 euro, ogni mese vanno via in media tra le 2.600 e le 4.800 corone solo per l’alloggio (pari a una media tra 340 e 640 euro), tra le 1.500 e le 2.500 per il vitto (tra 200 e 330 euro), e tra 1.500 e 2mila euro a semestre per libri e materiale di studio (tra 200 e più di 260 euro). Infine nel budget bisogna includere tra le 600 e le mille corone necessarie per i mezzi di trasporto (80-130 euro) e infine un pacchetto mensile tra i 100 e i 250 euro, da destinare a spese aggiuntive.Può capitare allora di dover cercare un lavoretto extra ma l’impatto con la sezione online dell’università della capitale, creata per l’argomento, è tutt’altro che incoraggiante: vi si trova scritto testualmente che «è abbastanza difficile per gli studenti internazionali trovare un lavoro in Danimarca, cosicché nel programmare il soggiorno a Copenaghen, non dovreste basare le vostre finanze sulla possibilità di ottenere un impiego retribuito». Subito dopo per fortuna viene proposta qualche soluzione utile, tramite il collegamento ad un’altra pagina chiamata “Ku Jobbank” e al sito “Work in Denmark” - entrambi vetrine di annunci di lavoro - e agli uffici dell’ateneo competenti per il rilascio del permesso di lavoro, chiamato work permit.La cosa potrebbe interessare qualche membro della consistente popolazione italiana presente nell’università: lo scorso anno quest'ultima contava 47 dottorandi italiani, oltre 29 studenti post-doc, 34 professori e un centinaio di studenti iscritti ad un master a tempo pieno, con le facoltà umanistiche in testa. Di certo il sistema è molto diverso da quello italiano, a partire proprio dalla gestione degli studi: «La famiglia passa in secondo piano, non ti dà più soldi, i figli sono indipendenti».Lo racconta alla Repubblica degli Stagisti Antonio Tredanari, pugliese d’origine, danese d'adozione. Nell’agosto 2009 lascia Parma, dopo la triennale in Scienze e tecnologie ambientali e l'iscrizione alla specialistica. Un Erasmus di sei mesi in Svezia è per lui la spinta a prendere una decisione coraggiosa: fa la “rinuncia agli studi” in Italia e decide di partecipare al progetto EnvEuro, all'epoca alla terza edizione, grazie al quale svolge la specialistica (master) all’estero, trascorrendo il primo anno a Copenaghen e il secondo in Svezia dove scrive la tesi che discute nel 2011, per poi stabilirsi nuovamente in Danimarca.L’università di Copenaghen propone una vasta offerta di master’s programmes, riportati dalla a alla zeta sul sito: appurato che senza laurea triennale (bachelor’s degree) l’ammissione è fuori discussione, bisogna leggere attentamente lo schema di ciascun corso perché i requisiti, il processo di candidatura e i termini utili sono diversi l’uno dall’altro. Nel sito viene descritta in linea generale anche l’organizzazione dello studio, che secondo l’esperienza di Antonio è articolato in modo più pratico e specializzato rispetto all’Italia, essendo i 120 crediti annuali spalmati non tanto su libri quanto su presentazioni, lavori di gruppo, valutazioni costanti, casi da studiare.«Un aspetto positivo è che mi sono relazionato con sistemi formativi differenti riuscendo in qualche modo a prenderne il meglio» spiega facendo un bilancio di quel biennio: «Ma il master non mi ha facilitato nell’ingresso nel mondo del lavoro. I contatti con l’esterno erano abbastanza limitati. Ora magari le cose sono cambiate, hanno imparato dai nostri feedback». In definitiva «la situazione non è stata rosa e fiori neppure in Danimarca, tuttavia qui il sistema è diverso perché ci si prende molta più cura dei disoccupati. Non ti senti abbandonato».In che modo? «Bisogna iscriversi ad un’associazione, paghi una membership e loro ti danno per due anni un sussidio per aiutarti a trovare un altro lavoro. Questo vale per i quarantenni come per i neolaureati che hanno studiato in Danimarca». Il sussidio ammonta a circa 1.200 euro al mese, una cifra non altissima se paragonata al costo della vita, ma accompagnata dall’offerta di corsi per giocarsi altre carte: Antonio ne ha seguito uno di lingua danese che gli ha permesso di lavorare, dopo più di un anno di inattività, al Ministero dell’alimentazione, dell’agricoltura e della pesca, svolgendo un «vikariat, che sta per posizione temporanea», con una retribuzione di circa 1500 euro netti. Ma non passa neanche un mese che il ragazzo riceve una nuova proposta di lavoro nella sua compagnia attuale, in cui si occupa di monitoraggio ambientale guadagnando, con un contratto da ingegnere alla prima esperienza, tra i 2.200 e i 2.500 euro netti al mese.Antonio Tredanari non vuole andarsene. La Danimarca gli piace perché non è una società competitiva e ognuno lavora per dare il suo contributo. Per spiegare in che modo, lui dice così: «Il sistema qui tende ad appiattire e a rendere tutti più o meno uguali, non accetta molto le disuguaglianze, ma non si tratta di omologazione. Non noti molto le differenze tra il capo e il sottoposto a livello di relazioni. E anche le variazioni di reddito non sono poi così esagerate».Marta Latini- La foto della Lse è di Jim Larrison - licenza creative commons- La foto della biblioteca della Lse è di SomeDriftwood - licenza creative commonsPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Studiare all’estero, ecco tre università top del Nord America: costi da capogiro ma chi vale viene premiato- Università sotto casa addio, io vado in Asia: piccola guida per neodiplomati per studiare in Estremo orienteE anche:- Università in Europa, quanto mi costi- Radiografia del reddito minimo garantito: cos’è, quanto costa, come funziona- Come cambia lo stage in Europa: viaggio nei Paesi scandinavi

Prestiti d’onore, bassissimi anche nel 2013 i finanziamenti agli studenti

Negli ultimi tempi il governo sta muovendo alcuni passi in avanti sul fronte diritto allo studio. Lo scorso novembre dal ministero dell’Istruzione è stato annunciato lo stanziamento di 100 milioni di euro per incrementare il fondo per le borse di studio a universitari a partire dal 2014. La legge di stabilità ha aggiunto a queste risorse altri 50 milioni di euro. Un contributo importante, in un momento in cui studiare sta diventando sempre più un lusso, sia per chi vive con mamma e papà, ma soprattutto per i fuori sede. Da Federconsumatori è arrivato a ottobre l’allarme: le tasse universitarie annuali sono cresciute mediamente del 3% rispetto all’anno accademico 2012/2013, soprattutto nelle regioni del nord, dove pagarsi gli studi costa in media circa 748 euro l’anno. In passato la Repubblica degli Stagisti aveva approfondito il tema dei prestiti d’onore, ossia i finanziamenti che i le banche possono concedere, in collaborazione con i singoli atenei, ai propri studenti per coprire i costi di un corso di laurea o di un master. Prestiti da estinguere successivamente con tempistiche variabili a seconda del reddito percepito. Uno strumento che non ha però riscosso particolare successo: nel 2012 sono stati concessi in media 660 prestiti l’anno, su una popolazione universitaria che secondo i dati ufficiali del Miur ammonta a un milione e 800mila iscritti.Con l’obiettivo di incrementare il ricorso a questo tipo di finanziamento negli ultimi anni sono stati lanciati una serie di accordi tra atenei e istituti di credito. Ma come vanno le cose oggi? Attualmente non esiste un ente o una banca dati che raccoglie e monitora in modo sistematico i prestiti d'onore erogati, ma è possibile trovare informazioni sulle attività specifiche in tal senso di ciascuna banca.Nell’agosto del 2011 è ripartito il Fondo per il credito destinato ai giovani, sequel del progetto «Diamogli credito», poi diventato «Diamogli futuro», promosso dall’allora ministero della Gioventù, che prevedeva lo stanziamento di 33 milioni di euro per tre anni per il diritto allo studio. A distanza di poco più di due anni, i finanziamenti erogati sono complessivamente 795 (poco meno di 400 l’anno), per un ammontare di 7,56 milioni di euro, a fronte di 1756 richieste pervenute. Dato, quest’ultimo, da non sottovalutare: significa infatti che più della metà delle domande di finanziamento non hanno ottenuto esito positivo e, di conseguenza, in molti non hanno potuto beneficiare dei contributi. A dicembre 2011 la Regione Toscana ha previsto fino al 30 aprile 2015 l’attivazione di prestiti d’onore (fino a un massimo di 50mila euro) indirizzati a laureati di età compresa tra 22 e 35 anni, residenti o domiciliati in Toscana da almeno due anni, per lo svolgimento di percorsi di alta formazione e specializzazione in Italia e all’estero. Dal lancio del progetto fino alla fine dello scorso anno sono stati erogati 54 prestiti d’onore per un totale di poco più di un milione di euro, con singoli importi variabili tra i cinquemila e i 50mila euro. Beneficiari giovani di età compresa tra i 23 e i 33 anni.Nel 2012 l’università di Venezia ha stipulato un accordo con due istituti di credito che nell’anno accademico 2012/2013 ha permesso a 63 studenti meritevoli (iscritti a corsi di laurea triennali, magistrali e master) con ridotte capacità economiche di ottenere prestiti fino a massimo di 5mila euro l’anno.Il progetto avviato dall’università di Urbino in collaborazione con Banca Marche si chiama Magna Charta e prevede, invece, la concessione di prestiti d’onore a studenti di corsi di laurea triennali e specialistici, master, lauree a ciclo unico e corsi di specializzazione. Gli importi variano tra i 6 e i 12mila euro, per un periodo massimo di erogazione di tre anni. Prestito da rimborsare entro cinque anni dalla conclusione degli studi. Nel 2012 sono stati 66 i finanziamenti complessivi concessi, per un importo complessivo di 330mila euro. Una cifra in calo lo scorso anno: a dicembre 2013 erano 48 i prestiti erogati, con un valore complessivo di 135mila euro. A occhio e croce, quindi, i dati relativi all’anno appena concluso non sembrano discostarsi molto da quelli del 2012. Se non è un fallimento, poco ci manca. Dove si possono ricercare le ragioni? La Repubblica degli Stagisti lo ha chiesto a Daniele Terlizzese, dirigente della Banca d'Italia e autore, insieme ad Andrea Ichino, del libro «Facoltà di scelta. L'università salvata dagli studenti», sul tema del diritto allo studio. «I prestiti d'onore erogati finora sono indubbiamente molto pochi. E credo che il dato sia ancora più deludente se si misura l'ammontare complessivo prestato, rapportandolo al costo che gli studenti devono sostenere, invece che il semplice numero di prestiti. Un problema serio dei prestiti d'onore è il fatto che essi sono strutturati come un prestito tradizionale: l'ammontare della rata di rimborso è fissato a priori, senza tenere conto degli eventuali guadagni futuri dello studente. Non mi sorprende allora che, di fronte al rischio di una bancarotta individuale, molti ragazzi si ritraggano». Nel libro scritto con Andrea Ichino Terlizzese fa una proposta che ricalca l'esperienza di paesi come Australia, Canada e Inghilterra, ossia rendere il rimborso del prestito proporzionale al reddito: «La nostra proposta prevede che il rimborso sia pari al 10 per cento del reddito superiore ai 15mila euro annui. Questo rende l'onere del rimborso molto più accettabile, perché lo sposta nei periodi della vita in cui si guadagna di più, e in cui è meno penoso privarsi di una parte del reddito. Naturalmente, il prestito va rimborsato: quindi bisogna compensare la variabilità della data, che si adatta al rimborso, con la durata del periodo di rimborso, che si allunga quanto meno si paga. Ma nel complesso questa modalità mi sembra molto più accettabile e attraente per uno studente che è molto incerto su quanto guadagnerà». Ma purtroppo oggi non sembra muoversi molto su questo fronte: «Mi sembra che i 50 milioni stanziati dalla legge di stabilità per il diritto allo studio riguardino esclusivamente le borse di studio. Sul tema prestiti d'onore non c'è nulla. Nel 2011 è stata istituita la Fondazione per il merito, con l'obiettivo di sostenere la formazione dei giovani attraverso un sistema di prestiti e borse di studio per gli studenti più meritevoli. Leggendo i documenti costitutivi di questa fondazione, ho trovato varie proposte condivisibili, che andavano nella direzione da me tratteggiata prima. Ho l'impressione, però, che si tratti di intenzioni rimaste sulla carta. Non mi sembra che in concreto sia stato fatto granché».Chiara Del Priore Per approfondire questo argomento, leggi anche:- Studiare costa, ma in Italia i prestiti d'onore non decollano-  Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all'osso- La Regione Toscana presenta il progetto «Giovani Sì!» per sostenere studenti, stagisti e precari: 300 milioni di euro in tre anni

Finita medicina, che specializzazione scegliere? Ecco i settori con le maggiori chance occupazionali

Cinquantasei scuole di specialità: tante sono le possibilità che si aprono oggi al termine del corso di studi di un laureato in medicina. Per il quale, più che una scelta opzionale, il post laurea si configura ormai come una tappa formativa pressoché obbligata per poter lavorare all'interno del sistema sanitario nazionale.Scegliere la specializzazione giusta è quindi uno dei momenti cruciali per il futuro medico: tenuto conto anche della durata dei corsi - lunghi di norma 5 anni e addirittura 6 per alcune specialità dell'area chirurgica - e dell'impegno richiesto per superare l'esame di accesso alle scuole aggiudicandosi una delle ambite borse di studio messe annualmente a concorso dallo Stato. Vocazione a parte, proviamo allora a capire come orientarsi tra questo ampio ventaglio di specialità, a partire da quelle che nei prossimi anni faranno registrare le maggiori carenze di professionisti. Secondo i dati raccolti dall'associazione dei medici dirigenti Anaao Giovani, le aree coinvolte saranno soprattutto quelle della medicina interna, della geriatria, la cardiologia e la pediatria; ma anche la chirurgia generale, la ginecologia ed ostetricia, l'ortopedia, l'otorinolaringoiatria e l'urologia. Per quanto riguarda poi l'area dei servizi clinici, i maggiori spazi dovrebbero aprirsi per anestesia e rianimazione e per radiologia diagnostica.«Queste specialità sono quelle che risentono maggiormente del trend anagrafico» spiega Domenico Montemurro, consigliere nazionale di Anaao Giovani [nella foto di sinistra], «è qui che si concentra infatti un blocco di professionisti tra i cinquanta e i sessant'anni che, al momento della loro uscita dal lavoro, lasceranno la maggiore carenza di personale». Se puntare su una di queste specialità costituisce una scelta di buon senso in termini occupazionali, bisogna comunque tener presente che neppure il settore medico offre più le certezze di un tempo: né in termini di contratti e neppure di retribuzione. «Non c'è una specialità che offra garanzie in tal senso. Attualmente le regioni faticano ad assumere anche i medici delle specialità più richieste. Si pensi che una volta terminata la specializzazione si aspetta mediamente due anni per ottenere un contratto, che nella maggioranza dei casi è a tempo determinato, ma che può essere anche una collaborazione a progetto o libero professionale», spiega ancora Montemurro. Per quanto riguarda poi la retribuzione, sempre l'Anaao rileva che, nella fascia d'età compresa tra 33 e 40 anni, un professionista percepisce un reddito medio tra i 40 e 50mila euro lordi all'anno: non poco in termini assoluti, ma neanche tanto considerata la durata del periodo formativo e i numerosi ostacoli che deve comunque essere disposto ad affrontare chi decide di intraprendere questo percorso.Si parte dal test di ammissione alla facoltà, che nel 2013 è stato superato in media da un candidato su otto, ai sei lunghi anni del corso di studi, al termine dei quali - secondo quanto rilevato dall'ultima indagine del consorzio Almalaurea - gli aspiranti medici hanno già, in media, poco meno di 27 anni. Bisogna poi superare l'esame di stato abilitante all'esercizio della professione; dopodiché si potrebbe teoricamente iniziare a lavorare: ma non nel sistema sanitario nazionale, dove per partecipare ai concorsi è richiesto il requisito della specializzazione. E anche per diventare medico base è necessaria una preparazione specifica, che si ottiene mediante un corso di medicina generale, anche questo a numero chiuso e di durata triennale. «In poche parole se dopo la laurea non hai un corso di medicina generale o di specialità, puoi fare soltanto guardie mediche, sostituzioni di medicina generale e poco altro» sintetizza il rappresentante di Anaao. Si capisce così tutta l'importanza che per gli aspiranti medici in formazione riveste la questione dei posti messi a concorso ogni anno per le varie specialità e finanziati con una borsa di studio: questa sì decisamente sostanziosa  - considerato soprattutto  il panorama dei tirocini e dei praticantati professionalizzanti italiani -  che si aggira mediamente sui 1.750 euro netti per le varie specialità e circa 1000 euro per la scuola di medicina generale.«Quella che si sta venendo a creare è una situazione abbastanza critica», denuncia Stefano Guicciardi, presidente del Segretariato italiano degli studenti di medicina (Sism). «Ogni anno infatti il numero dei laureati che si abilitano è molto superiore a quello di coloro che riescono ad accedere ad una scuola di specializzazione con un contratto formativo. Negli anni si sta così formando un bacino di medici di fatto esclusi dal circuito della formazione specialistica, per i quali si pongono notevoli problemi dal punto di vista occupazionale». A molti di loro non resta altra scelta che affrontare la specializzazione in forma gratuita, o meglio autofinanziarsi per tutta la durata della formazione. Rispetto al 2012/2013, quando le borse statali erano 4.500, per l'anno corrente il numero è anzi sceso di circa mille unità (a cui si devono aggiungere circa 900 posti per il corso di medicina generale). «E se non ci fossero state le proteste di alcune associazioni studentesche, le borse di studio sarebbero oggi non 3.500 ma 2.800, a fronte di circa 7.500-8.000 aspiranti specializzandi che ogni anno partecipano all'esame», sottolinea il presidente del Sism in riferimento alla vicenda del drastico taglio inizialmente imposto dalla legge di stabilità ai finanziamenti destinati proprio ai contratti formativi degli specializzandi per il 2014. L'anno appena iniziato riserva comunque anche alcune positive novità sul fronte specializzazioni: in primo luogo per quanto riguarda la modalità di accesso alle scuole che, per la prima volta, avverrà sulla base di una graduatoria nazionale. Ci sarà in pratica una prova unificata, costituita da una parte di quesiti di medicina generale e poi da una serie di domande relative alle singole specialità; una volta pubblicata la graduatoria finale sarà lo specializzando a scegliere a quale scuola iscriversi, allontanando così le pesanti ombre di favoritismi da parte dei singoli atenei più volte denunciate dai partecipanti ai concorsi. Ma entro la fine del prossimo marzo, si attende soprattutto un decreto del Miur con il quale si promette di approntare un riordino complessivo delle specializzazioni di area sanitaria, riorganizzando e razionalizzando le tipologie di corso e la durata dei periodi formativi. Ilaria CostantiniPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:Medici specializzandi e aspiranti psicologi: la lunga gavetta delle professioni sanitarieMedici specializzandi, allarme rientrato: sparisce l'emendamento sull'Irpef per le borse di studio 

«Il tuo primo lavoro Eures», benino i primi passi ma bisogna velocizzare le procedure

Oggi il lavoro nell'Unione europea non ha e non deve avere più confini. Non a caso la libertà di circolazione dei lavoratori è un principio sancito dal trattato sul funzionamento dell’Ue all’articolo 45. Un principio da applicare tanto ai lavoratori, spinti a spostarsi all’estero per evitare la disoccupazione o incrementare le competenze professionali, quanto ai datori di lavoro che hanno l’opportunità di accogliere personale di diversa nazionalità e provenienza. Questo è anche lo spirito de «Il tuo primo lavoro Eures», uno schema di mobilità finanziato dalla Commissione europea lanciato per la prima volta nel 2012 e dedicato alla promozione dell'esperienza di lavoro dei giovani europei in un altro dei paesi dell’Unione. Si tratta di una delle azioni principali delle iniziative faro Youth on the Move e Youth opportunities initiative, nell’ambito della strategia Europa 2020, il cui scopo è quello di conseguire nei futuri sette anni un innalzamento al 75% del tasso di occupazione generale.L’assegnazione dei finanziamenti passa attraverso una call for proposals, un invito alle organizzazioni interessate a presentare progetti alla Commissione Europea: la prima, aperta nel 2011, ha implementato una serie di progetti della durata di 18 mesi mentre quella del 2012 ne ha finanziati altri cinque, di 12 mesi, avviati nella seconda metà del 2013.La terza edizione, rivolta sempre a giovani tra i 18 e i 30 anni, è partita a metà settembre e si è chiusa il 10 dicembre, introducendo una novità sostanziale: il bando conta su un budget di circa 5 milioni di euro e le proposte stavolta sono estese anche a tirocini e apprendistati, con l’obiettivo di supportare tra i sei e i dieci progetti così da collocare sul mercato del lavoro almeno 1.500 giovani degli Stati membri.La Repubblica degli Stagisti aveva tenuto a battesimo il lancio de «Il tuo primo lavoro Eures» ad agosto 2012 e a distanza di un anno e mezzo ha deciso di provare a tracciare un bilancio orientativo dei risultati ottenuti finora in Italia, dove tra il 2012 e il 2013 l’azione preparatoria ha finanziato tre modelli di gestione proposti dagli enti candidati.I dati ufficiali della direzione generale Occupazione della Commissione Ue dichiarano che è stato stanziato più di un milione di euro (1.025.919) per il progetto della Provincia di Roma della durata di 18 mesi fino a febbraio 2014, 675mila euro per quello del Ministero del lavoro della durata di dodici mesi fino a luglio 2014, e 986mila euro per quello annuale, fino a marzo 2014, promosso dall’agenzia per il lavoro Gi Group di Milano - unico soggetto privato ad aver vinto il bando. La Repubblica degli Stagisti è in grado di tracciare il dettaglio dello stato dell'arte dei tre progetti.La Provincia di Roma ha ottenuto il finanziamento a giugno 2012, vincolato all’erogazione dei contratti di lavoro, fino a un massimo di 500. In questi mesi, per rendere più agevole l’incrocio della richiesta, sono stati elaborati vari strumenti tra cui il software informatico eujob4eu, a cui è possibile registrarsi per inserire le offerte di lavoro e il curriculum vitae. Il processo è stato facilitato dal potenziamento delle funzioni di Porta futuro, il portale che è ormai diventato uno dei quattro Hub europei della mobilità, dove è possibile realizzare video curricula e utilizzare Skype per il primo colloquio di lavoro.Dopo la definizione delle posizioni e il vaglio dei cv depositati nel database, lo staff invia all’impresa una rosa dei candidati più idonei. Una stima aggiornata all’inizio di gennaio registra più di 19mila cv in formato Europass inseriti nella piattaforma eujob4eu, di cui 17mila completi di tutte le voci necessarie per essere presi in considerazione, più di 1.364 posti di lavoro disponibili, 280 contratti di lavoro stipulati finora e circa 3mila giovani orientati al lavoro.Il project manager Dario Manna conferma che i settori più richiesti risultano essere l’assistenza alla persona, la logistica, il turismo, l’ingegneria meccanica mentre i paesi dove ci sono maggiori opportunità sono quelli del Nord Europa. Manna assicura però che l’«azione programmatica» della provincia di Roma non si fermerà a febbraio e che è stata presentata la candidatura per la terza edizione: ad aprile si saprà se le attività potranno essere prolungate per altri 18 mesi.Anche il team di Gi Group ha bisogno di altro tempo, come conferma alla Repubblica degli Stagisti Alessandro Nodari, responsabile marketing e comunicazione: «Pensiamo di chiedere una proroga dei termini all’Unione Europea: il programma è sicuramente interessante ma è anche un programma di una certa difficoltà gestionale». Infatti, sebbene il progetto sia iniziato a marzo, «la macchina organizzativa ha cominciato a muoversi a giugno-luglio perché la fase di implementazione di un progetto di queste dimensioni richiede determinati tempi».Nodari sottolinea come gli unici dati alla mano al momento riguardino il numero dei cv e le richieste delle aziende, per la maggior parte tedesche o del Regno Unito, che hanno bisogno di forza lavoro soprattutto nel campo della ristorazione, della grande distribuzione organizzata e del settore informatico. Da luglio sono arrivati 6.500 curricula, prevalentemente dal Sud Europa, di cui 3.500 dall’Italia: in 1.600 di questi i candidati hanno espresso di preferire il Regno Unito come paese in cui andare a lavorare, in 1.161 la Germania e in 406 la Spagna. Ora l’azienda è occupata nella seconda fase, quella di screening, ovvero di scrematura del grande numero dei curricula. Tuttavia anche l’incontro tra domanda e offerta si è rivelato più difficile del previsto perché «le aziende vogliono giovani ma con esperienza e un altro grande problema riguarda la conoscenza della lingua»: ad esempio molti ragazzi indicano come destinazione preferita la Germania ma pochi di questi conoscono bene il tedesco.Le risorse umane presenti nei paesi in cui opera Gi Group, dopo aver effettuato la selezione, provvederanno a organizzare i colloqui e gli incontri con le aziende, direttamente oppure via Skype: nel primo caso ai giovani verrà assicurato un supporto economico, destinato al viaggio per il colloquio all’estero. Contributo esteso alle spese iniziali dell’alloggio e del trasferimento qualora venisse firmato un contratto di almeno sei mesi. Le condizioni di finanziamento e le modalità di candidatura, tanto per i giovani quanto per le aziende, insieme alle offerte di lavoro più recenti, sono elencate nel dettaglio anche sul portale Cliclavoro. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è l’ultima realtà in ordine di tempo ad aver avviato le operazioni, anche se con qualche ritardo sulla tabella di marcia, come conferma Carmen Nettis del Coordinamento nazionale Eures precisando che «occorre considerare che l’attività reale è iniziata ad ottobre, anche se è partita ufficialmente a giugno». Nei due mesi successivi hanno trovato lavoro due italiani nel settore del commerciale, uno in Spagna e uno in Gran Bretagna, una ragazza polacca come grafica pubblicitaria e una ragazza estone come fotografa. L’obiettivo è quello è di «collocare almeno 300 lavoratori» si legge sul portale. Se «il progetto si rivolge prevalentemente a giovani che stanno per concludere o hanno da poco concluso un percorso formativo o che presentano profili professionali difficilmente reperibili», anche le aziende godono di un'assistenza finanziaria, sebbene valga un distinguo che tende a privilegiare le pmi, «quelle piccole e medie imprese, che credono in un mercato del lavoro europeo e che vedono nella mobilità uno strumento per aumentare la loro competitività». A queste spetta un aiuto aggiuntivo per il programma di integrazione e formazione del neoassunto, a fronte del pagamento di un corso di lingua per il lavoratore di un’impresa con più di 250 dipendenti. La priorità attribuita alle pmi è motivata dal fatto che esse «sono responsabili di più dei due terzi dell’occupazione complessiva in Europa nel settore privato» ma «solitamente non impiegano forza lavoro straniera» recita l’ultimo bando.Dalla valorizzazione delle pmi al supporto concreto garantito tanto ai lavoratori quanto ai datori di lavoro, «Il tuo primo lavoro Eures» è un’iniziativa piena di buoni propositi ma che deve affinare alcuni aspetti, a partire dall’organizzazione della tempistica nell’avvio dei lavori, per poter riuscire pienamente nel suo intento. A perfezionare la macchina potrà contribuire il sostegno economico del programma del’Unione europea EaSI (Employment and social innovation) che è stato adottato dal Consiglio lo scorso 5dicembre.Il budget settennale 2014-2020, di 920 milioni di euro, sarà adoperato anche per la definizione di misure in favore dell’impiego e di riforme sociali. Verranno potenziati e ampliati tre strumenti finanziari tra cui Eures, a cui è destinato il 18% della somma totale, circa 160 milioni; questi soldi saranno utilizzati sia per il rinnovamento del portale sia per lo sviluppo di iniziative pilota già sperimentate, come appunto Il tuo primo lavoro Eures. Marta LatiniPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Trovare lavoro in Europa, per i giovani c'è Eures- A Roma il lavoro si cerca a Porta Futuro, ufficio pubblico a misura di giovaniE anche:- Vivere e lavorare all’estero, il web insegna come fare- Più Erasmus, «Erasmus +»: tutte le novità per formarsi all’estero- Sorbona e poi stage al Parlamento Ue: «Ora sono pronta per un lavoro nelle istituzioni»

Università sotto casa addio, io vado in Asia: piccola guida per neodiplomati per studiare in Estremo Oriente

Va dove ti porta il... cinese: sempre più giovani scelgono di imparare questa lingua perché è la più diffusa al mondo, viene parlata nei Paesi economicamente in crescita, e perché è ancora poco conosciuta. Dunque per chi vuole studiare il cinese e cominciare un percorso accademico, una volta terminata la scuola superiore, l’alternativa è: immatricolarsi ad un corso di laurea in Italia oppure recarsi direttamente all’estero, in Asia.La Repubblica degli Stagisti ha scelto di dedicare questa seconda puntata proprio agli atenei asiatici e alla categoria degli undergraduate, ossia coloro che intendono conseguire il bachelor degree, assimilabile alla nostra laurea triennale.Scorrendo il Qs Ranking l’Asia occupa una posizione di tutto rispetto: al ventiquattresimo posto spicca l’università di Singapore, tallonata due posti più in giù da quella di Hong Kong, entrambi ottimi punti di partenza per individuare le condizioni materiali in cui viene a trovarsi uno studente internazionale che decide di trasferirsi in questo continente.A partire dagli aspetti più elementari e per questo essenziali: mangiare e dormire. L’università di Singapore conta circa 37mila studenti provenienti da un centinaio di Paesi differenti e offre un alloggio nel campus a 11mila di loro, compresi anche graduate o postgraduate students, già laureati e iscritti a programmi come Master (corrispondente alla nostra laurea specialistica), Master of Philosophy (MPhil), oppure Doctor of Philosophy (PhD).Gli studenti sono divisi tra tra sei Halls of residence, quattro Student residences e tre Residential colleges, quest’ultimi aperti solo agli ammessi ai due programmi accademici multidisciplinari Usp e Utcp. Oltre al requisito minimo dell’iscrizione ad un corso full-time, uno studente internazionale deve anche esibire alcuni certificati emessi dal governo di Singapore, nella fattispecie da Ica (Immigration and custom authority) e Mom (Ministry of manpower).Dopo aver verificato questi dati è possibile rivolgersi direttamente all’Hostel management office oppure orientarsi col menu a tendina fornito nella pagina web in inglese, dedicata alle tasse per il vitto e l’alloggio, in cui le varie opzioni sono elencate in modo schematico e puntuale in base alla sede residenziale, al tipo di camera prescelta e alla durata della permanenza. Ad esempio una camera singola in halls of residence costa in media, in dollari di Singapore (un dollaro singaporiano equivale a poco meno di 80 centesimi di dollaro statunitense), 1.800 nel primo semestre (circa 18 settimane) e 1.700 per il secondo semestre (17 settimane), per un totale di circa 2mila euro all’anno. Per il vitto, cioè colazione e cena, si paga mediamente una retta di 400 dollari per il primo semestre e 370 dollari per il secondo.In ogni caso sono disponibili dei pacchetti comprendenti varie forme di finanziamento, tra le altre un'indennità, living allowance, di 3.600 dollari all’anno o una borsa di studio annuale di 500.L’università di Hong Kong è altrettanto cosmopolita. Accoglie una novantina di nazionalità all’interno del campus, più di 9mila allievi internazionali, contando anche i postgraduate, ovvero circa il 34% del totale degli iscritti: tra questi la comunità italiana annovera una quindicina di studenti, quattro studenti in scambio e undici docenti la cui età media raggiunge i 42 anni.I dormitori Residence halls costano per i non laureati 11.844 dollari di Hong Kong, pari a 1.100 euro (il dollaro in questo caso vale 13 centesimi di dollaro americano), per l’anno accademico corrente, che dura da settembre alla fine di maggio con la possibilità di svolgere un semestre estivo, dalla fine di giugno alla fine di luglio. Gli undergraduate tuttavia non sono lasciati soli al loro destino e, solo dopo aver inoltrato l’application per il corso di studi, con il medesimo account possono fare domanda per candidarsi alla borsa di studio entrance scholarship, facendo riferimento alla pagina apposita. Gli schemi di finanziamento sono destinati a coprire i costi complessivi dell’esperienza universitaria, sono applicabili tanto ai local students, agli studenti del luogo, quanto ai non-local students, cioè anche a coloro che hanno bisogno del visto per studiare a Hong Kong, sebbene per quest’ultimi il numero di borse sia limitato e le rette previste siano più alte. Basti pensare che per uno studente del luogo le cosiddette tuition fees si aggirano intorno ai 42mila dollari, circa 3mila euro, mentre per il resto del mondo si moltiplicano arrivando a 135mila dollari, ossia più di 12mila euro. A questi numeri occorre sommare il contributo per il soggiorno, più indicativamente ulteriori 55mila dollari, più di 5mila euro, per le varie voci di spesa correlate alla vita quotidiana e allo studio. Pertanto, come per il Nord America, anche i costi degli atenei asiatici sono decisamente elevati e non sono per tutti, specialmente per chi arriva da fuori. E anche qui viene in soccorso la struttura del career center, in questo caso la sezione Careers and placement del Cedars, Centre of development and resources for students, a cui è assegnato, tra i vari compiti, quello di pubblicare non solo le offerte di lavoro ma anche le opportunità di tirocini, con o senza compenso, in vari settori. L’attenzione al collegamento tra lo studio e la preparazione parallela al mondo del lavoro sembra essere una sorta di principio ispiratore totalizzante del sistema formativo: al punto che, attraverso il programma Counselling and person enrichment programme (Cedars-CoPe), gli studenti possono contare su una serie di servizi, quali consulenze o workshop, anche per «costruire la forza del carattere, vivere una vita soddisfacente e psicologicamente sana, e sviluppare attitudini positive e life skills per il loro successo personale cosicché sono in grado di dare un contributo alle loro comunità dimostrando leadership e sensibilità». Questo è ciò che si legge sulla pagina di presentazione del Cedars, dove la filosofia dell’università di Hong Kong campeggia riassunta in modo inequivocabile: «gli studenti dovrebbero cominciare a pianificare presto la loro carriera, preferibilmente nel primo anno di studi». Come Ilaria Ribis, nata a Milano, 20 anni, con diversi stage all'attivo in studi internazionali che operano nel common law, il ramo in cui vorrebbe lavorare dopo la laurea. Per motivi familiari Ilaria ha vissuto in Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Londra e non ha mai studiato in una scuola in Italia. Da un paio di mesi si è trasferita nel campus a Hong Kong perché sta seguendo un dual degree programme in Law istituito dall’università di Hong Kong e dal King’s college di Londra, al termine del quale avrà due lauree in legge: la durata del curriculum è di cinque anni, di cui i primi due a Londra e i restanti tre in Asia. Dove Ilaria vorrebbe restare al termine degli studi: «Hong Kong sta diventando una delle più grandi capitali finanziarie al mondo, penso che sarà molto più facile trovare lavoro e per la mia crescita personale mi interessa imparare la cultura del posto e il cinese». Per la giovane studentessa l’ammissione a un’università così competitiva non è stata una passeggiata: i requisiti infatti non si fermano ad un voto di maturità alto e al possesso della certificazione di lingua inglese. Bisogna dimostrare di avere capacità in un’altra lingua, e soprattutto di eccellere anche in altri ambiti della propria vita: «L’application deve riportare tutte le cose che hai fatto, a livello di volontariato, di stage o di sport». In aggiunta a tutto questo gli affitti della città sono a dir poco stellari, per cui è opportuno fare un colloquio di selezione per i dormitori, ciascuno dei quali ha tradizioni proprie e richiede un certo standard di inquilini.L’università assiste molto lo studente, da una parte aiutandolo a relazionarsi da subito con il mondo lavorativo, tanto che a giurisprudenza si fanno addirittura delle simulazioni delle udienze, in un mini-tribunale. Dall’altra c’è un sostegno materiale a trovare lavoro già durante la fase della formazione, attraverso gli stage curriculari e non solo: «I tirocini di solito si fanno nel penultimo anno di studi perché subito dopo lo stage ti fanno un colloquio di lavoro per poi farti sapere se, quando hai finito l’università, vogliono prenderti a lavorare da loro come avvocato» aggiunge Ilaria «I programmi che sto studiando io non prevedono stage ma sono ben collegati con gli studi legali e facilitano l’accesso. Gli studi vanno dalle università per conoscere gli studenti migliori».Il programma accademico di Ilaria è sviluppato in dieci corsi all’anno e le lezioni si suddividono in lectures, con un centinaio di allievi, e tutorials, ristrette a una ventina di persone, dove si entra più nello specifico delle materie; le prove si articolano in esami scritti due volte a trimestre e in temi da preparare a casa che valgono il 20% del voto finale. Infine il curriculum principale, detto major, può essere affiancato anche da un minor, che «non è una vera e propria laurea ma un’esperienza che lo studente accumula in un’altra facoltà». Ilaria propende per l’idea di specializzarsi in un minor in psicologia, ma ha tempo fino a gennaio per decidere. E come lei sicuramente anche altri abitanti del campus, tra cui diversi italiani: «La maggior parte è qui in exchange, per un anno oppure sei mesi. Molte persone sono venute per fare un’esperienza ma poi decidono di restare perché ne vale la pena».Marta Latini[la foto Nus è di Dominic Soon- licenza creative commons]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:-Fonderia dei Talenti, gli italiani all’estero hanno uno strumento in più per fare rete e trovare lavoro-Studiare all’estero, ecco tre università top del Nord America: costi da capogiro ma chi vale viene premiato-Quando l’università si rifiuta di attivare lo stage

Troppo spazio al turismo nei bandi Leonardo? L'Isfol risponde alle critiche

Ci sono i cento posti offerti dal bando “Tu.Ris.M” riservati ai residenti di Puglia e Abruzzo, i 28 legati al primo flusso del progetto “Pit – Promoting internship on tourism”, i 56 messi a disposizione di under 35 siciliani nell'ambito di “Taste”. Sono solo alcuni dei bandi finanziati tramite il Progetto Leonardo attualmente aperti, che offrono ai partecipanti percorsi formativi nei Paesi dell'Unione europea. Oltre al sostegno economico, queste iniziative hanno in comune anche il settore di riferimento: quello turistico.«Dei 15 usciti negli ultimi 4 mesi, ben 12 hanno come settore di interesse la ricezione turistica. In pratica offrono un tirocinio di 4 mesi per svolgere uno stage in un paese europeo per fare il cameriere o l'accompagnatore turistico», questa la segnalazione arrivata da una lettrice alla Repubblica degli Stagisti: «Non mi sembrano offerte in linea con il progetto. Sembra che l'Isfol elargisca queste sovvenzioni europee a vari enti senza preoccuparsi poi della loro effettiva destinazione».Per capire come stiano effettivamente le cose, la redazione si è rivolta direttamente all'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, che approva le richieste di inserimento nel Programma Leonardo dei tirocini proposti sul territorio da enti e istituzioni locali. «Da quello che ci risulta non c'è una spiccata preponderanza del settore turistico, anche se probabilmente è uno di quelli che meglio si sposa con un contesto internazionale», spiega Francesca Carta [nella foto in basso], una delle ricercatrici dell'istituto che ha sede in corso d'Italia a Roma.Lo confermano i numeri contenuti nel rapporto “Comenius, Grundtvig e visite di studio – Dati e risultati 2012”, stando al quale degli oltre 17mila progetti IVT (Initial vocational training) attivati lo scorso anno nell'ambito del programma Leonardo, solo il 36% ha riguardato i servizi, settore all'interno del quale rientra anche il turismo. Altri comparti che hanno visto partire percorsi di tirocinio finanziati dall'Ue sono l'ingegneria, la manifattura e le costruzioni, che rappresentano il 18% del totale, le scienze sociali, economiche e giuridiche con il 17%. Seguono educazione (10%), arte (7%), scienze (5%), agricoltura e veterinaria (4%), salute (3%). «Non riceviamo l'indicazione di orientarci verso un determinato settore, le iniziative vengono individuate sulla base della loro bontà». Per questo «può capitare che in un anno ci sia la prevalenza di un settore piuttosto che di un altro. I promotori devono giustificare la loro proposta progettuale sulla base di una specifica esigenza, vuoi territoriale vuoi legata ad una specifica figura professionale. Può succedere che ci si orienti sul turismo perché è un settore che si presta di più alla mobilità transnazionale, ma ultimamente abbiamo avuto anche tirocini legati all'architettura, alle energie rinnovabili e alla cooperazione».Per quale ragione però Isfol accetta di sostenere degli stage per delle professioni che, a partire ad esempio da quelle legate alla ricezione turistica, non richiedono un lungo periodo di formazione on the job e per le quali le persone che le svolgono dovrebbero essere assunte e ricevere un diverso inquadramento sia giuridico che rispetto al trattamento economico? A questa domanda Carta risponde rimandando al sito Isfol, dal quale è possibile scaricare la normativa che ha istituito il programma Leonardo. Nella quale si legge che tra gli obiettivi dell'iniziativa c'è quello di «sostenere coloro che partecipano ad attività di formazione e formazione continua nell'acquisizione e utilizzazione di conoscenze, competenze e qualifiche per facilitare lo sviluppo personale, l'occupabilità e la partecipazione al mercato del lavoro europeo». Tra le quali dunque l'istituto ritiene rientrino anche quelle fornite a chi svolge uno stage come cameriere, barista o addetto alla reception in un albergo.E su quali basi vengono selezionati i progetti? «Gli enti promotori rispondono ad un bando comunitario. L'Isfol si serve di un pool di esperti esterni che effettua una valutazione sulla base di criteri indicati dalla Commissione europea». A decidere è dunque questo gruppo formato da «esperti in materia di formazione professionale o di progetti comunitari e figure professionali che abbiano una competenza rispetto alla specificità del bando». Dodici i professionisti coinvolti quest'anno, scelti attraverso un concorso, ai quali è stato riconosciuto un compenso compreso tra i 3mila ed i 9.900 euro. Si tratta di ricercatori universitari, insegnanti e responsabili di corsi di formazione. E comunque, tornando alle critiche sui troppi stage nel settore turistico, l'Isfol ribadisce che la scelta rispetto ai progetti da finanziare riguarda il possesso dei requisiti richiesti da Bruxelles, e non l'area professionale nel quale saranno inseriti i tirocinanti.Riccardo SaporitiHai trovato interessante questo articolo? Leggi anche:- Ginevra Benini: ecco cosa fa l'Isfol per gli stagisti italiani- Stage attivati dai centri per l'impiego: ecco la radiografia annuale dell'IsfolSai che RdS e Isfol hanno realizzato uno studio sullo stage in Italia? Leggi qui i risultati:-Identikit degli stagisti italiani, ecco i risultati: troppo spesso i tirocini disattendono le aspettative

Studiare all'estero, ecco tre università top del Nord America: costi da capogiro ma chi vale viene premiato

Nell’edizione 2013 del Qs world university ranking, l’autorevole classifica delle ottocento migliori università del mondo, l’Italia non brilla - anche se ha compiuto qualche progresso rispetto al 2012. Al 188simo posto si colloca l’università di Bologna, seguita dalla Sapienza di Roma, alla posizione 196, e dal Politecnico di Milano, al 230simo posto. L’Europa è rappresentata ai vertici della graduatoria da una folta delegazione inglese: in ordine di merito Cambridge, University College London, Imperial College, Oxford. Tuttavia la "vittoria" spetta senza dubbio al Nord America: le università statunitensi dominano dall’inizio e per buona parte della lista, mentre quelle canadesi si inseriscono al diciassettesimo posto con l’università di Toronto. La Repubblica degli Stagisti ha deciso di partire proprio dalle prime posizioni per indagare un po’ più da vicino le caratteristiche del podio e per capire come funzionano gli atenei "numeri uno" su scala globale. In modo particolare prendendo come campione tre eccellenze, ciascuna con un proprio segno distintivo: il Mit, Massachusetts institute of technology, medaglia d’oro riconfermata, l’università di Berkeley che vanta il Nobel per la medicina 2013 del professore Randy Schekman, e l’università McGill di Montreal, che è la prima università canadese in ambito medico secondo la rivista Maclean.Per chi volesse iscriversi a queste università, di cui la prima è privata e le altre due sono pubbliche, è necessario fare una prima distinzione fondamentale tra undergraduate e graduate students: i primi sono studenti iscritti all’università ma che devono ancora conseguire la laurea (degree), i secondi sono già in possesso di un degree e studiano per uno di livello superiore, ovvero un master’s degree o un PhD.Nei vari casi i requisiti di ammissione non si limitano alla burocrazia dei transcripts, i documenti relativi al ciclo di studi precedenti completi di materie e voti, ma sono anche attitudinali e linguistici. I test attitudinali più frequenti sono il Sat e l’Act per gli undergraduate, il Gre per i graduate, mentre gli esami più richiesti per chi non è madrelingua inglese sono il Toefl o l’Ielts, con punteggi minimi differenti stabiliti dalle varie istituzioni. La modalità di selezione passa attraverso una candidatura online, application, spesso accompagnata da un colloquio, la cui scadenza è solitamente piuttosto distante dall’inizio effettivo del corso di laurea: ad esempio nel caso di McGill per gli undergraduate sono già attive le candidature per l’autunno 2014, aperte fino a metà gennaio. E da qualche mese sono già attivi i responsabili Recruitment unit di McGill, come Lindsay Wilmot, che è stata recentemente in visita in Italia: «Il mio compito in qualità di Recruitment and admissions officer è di dare un supporto ai futuri studenti, ai loro genitori e alle scuole superiori. Il nostro gruppo dà delle informazioni sui programmi di McGill, sui requisiti di ammissione e sulla vita nel campus e a Montreal, per aiutare gli studenti a decidere se la nostra università può essere adatta a loro».Nel passare in rassegna le condizioni di studio, la principale difficoltà per chi vuole spostarsi oltreoceano sembra essere di natura finanziaria perché l’ammontare di “tuition costs and fees”, cioè dei costi e delle tasse per l’istruzione, è oneroso, in modo particolare a seconda del corso di laurea e della nazionalità.A McGill le tasse annuali, in dollari canadesi, ammontano in media a più di duemila per gli studenti del Quebec, a circa 6mila per gli altri studenti canadesi e oscillano tra i 14mila e i 35mila per gli studenti internazionali. Nei nove mesi dell’anno accademico 2012-2013 uno studente non laureato al Mit ha sborsato circa 42mila dollari per le tasse, più indicativamente altri 14mila dollari per le spese di sostentamento. I costi per gli studenti laureati sono stati anche più alti perché la maggior parte di essi frequenta l’università per un anno solare e non accademico. A Berkeley per ogni semestre dell’anno accademico corrente le tasse d’iscrizione più basse per un undergraduate arrivano a 7.400 dollari e per un graduate academic a più di 7.800. Quelle più alte, destinate ai non residenti, raddoppiano.Per far fronte a spese tanto ingenti sono previste delle forme di finanziamento di diversa origine: la prima soluzione a cui pensare è quella di presentare domanda per ottenere una borsa di studio o scholarship. Ognuna delle tre università dedica una pagina del proprio sito all’argomento, fornendo informazioni differenziate a seconda della categoria dello studente, non laureato o laureato.In media il Mit assicura un sostegno economico a quasi il 90% dei suoi iscritti: il financial aid package è l’espressione usata per descrivere tutti i tipi di aiuto a disposizione degli undegraduate, unicamente in base alla situazione finanziaria della famiglia di origine. Sono invece i singoli dipartimenti a provvedere in larga parte a finanziare gli studenti laureati, secondo parametri non solo economici ma anche di merito.Ci sono anche iniziative specifiche di ogni ateneo. Ad esempio McGill ha ideato la Entrance scholarship, una borsa di studio, basata sul merito, per gli studenti che si iscrivono per la prima volta a un corso di laurea full-time. Due sono le varianti: una borsa di un anno di 3mila dollari non rinnovabile e borse superiori, del valore anche di 5mila o 10mila dollari, a cui ci si può candidare annualmente.Per quanto riguarda gli studenti internazionali, è sempre opportuno che si rivolgano all’International office. Berkeley mette nero su bianco nella pagina web che trovare una borsa per gli studenti stranieri è “challenging”, una vera e propria sfida. Infatti essi non possono usufruire delle borse statali, federali e dell’università: il consiglio è di rivolgersi a organizzazioni private anche del paese di provenienza oppure di contattare il proprio dipartimento per farsi spiegare quali sono i fondi a cui poter aspirare.Oltre alle borse ci sono altri canali: donazioni, prestiti, premi, tirocini, attività di insegnamento e ricerca, opportunità lavorative. Queste ultime possono essere conosciute nel dettaglio rivolgendosi al personale career services, nel caso specifico il Gecd del Mit, il Career center di Berkeley e il Career planning center di McGill, punti di riferimento che aiutano gli studenti nello sviluppo della propria carriera.Uno degli aspetti salienti della vita nelle università americane è la struttura del campus, che fornisce alcuni servizi come il vitto e l’alloggio, sotto l’amministrazione di un housemaster. La condivisione della quotidianità favorisce la coesione e l’integrazione: al Mit ad esempio più di 3mila studenti non laureati alloggiano in un campus mentre quasi 1.900 laureati vivono nei complessi residenziali e un’ottantina nei dormitori degli undergraduate in qualità di tutor. Come è facile desumere, il primo vero requisito per intraprendere un percorso accademico all’estero è l’organizzazione, a partire dalle molteplici insindacabili deadlines da tenere d’occhio con attenzione. E poi avere determinazione e forza di volontà. Due qualità non rare dato che la comunità studentesca delle università in questione è molto variegata e comprende anche una discreta percentuale di studenti e docenti italiani.Il Mit per il 2012-2013 ha accolto una quarantina di laureati di nazionalità italiana e McGill 75 nuovi studenti, registrando un aumento progressivo in questi anni, considerando i 48 iscritti nel 2007; l’università canadese annovera inoltre una dozzina di docenti italiani di ruolo, una ventina di figure a contratto come lecturer, assistant professor, adjunct professor o visiting scholar, la cui età media oscilla tra i 33 e un massimo di 47 anni.Tra questi c’è Marta Cerruti, 35 anni, da sempre con un unico obiettivo: essere professoressa universitaria. Dopo gli studi in chimica a Torino, dove ha fatto anche il dottorato, per sua scelta si è trasferita come post-doc in North Carolina e poi a Berkeley. Ora è assistant professor all’università McGill e deve fare domanda a maggio 2014 per diventare “professore associato” confermato a vita.Lo stipendio è di gran lunga più di alto di quello che otterrebbe un assistente o un ricercatore in Italia. Ma non solo. A Montreal vengono assunte persone che hanno idee valide, come ce ne sono anche qui, ma dalle nostre parti latitano i fondi per realizzarle. E l’Italia le manca, dal punto di vista affettivo e familiare, tuttavia, a meno che le cose non cambino drasticamente, «sarebbe impossibile trovare una posizione accademica che mi soddisfi tanto quanto quella che sto avendo adesso». In termini di prospettive e di condizioni economiche dato che un assistant professor può guadagnare dai 60mila ai 100mila dollari l’anno, ovvero tra i 40mila e i 70mila euro.E soprattutto di lavoro, vale a dire di ruoli di responsabilità. Marta studia nuovi biomateriali per vari tipi di protesi, materiali che vengono impiantati nel corpo: era quello che voleva fare ed è per questo che si è candidata per la posizione aperta nel suo dipartimento, Department of mining and materials engineering, dove poi è stata selezionata nel 2009, lo stesso anno in cui sono stati assunti altri due professori, uno dagli Stati Uniti e uno dall’Inghilterra. «Quasi sempre prendono gente da fuori» aggiunge Marta «Se hai fatto il dottorato a McGill è quasi impossibile essere assunto a McGill». Perché è importante spostarsi e misurarsi con realtà diverse per accrescere la propria formazione.E ricorda ancora quando è arrivata nella sua attuale università: «Mi hanno dato una stanza piuttosto grande, vuota, in cui ho costruito il mio laboratorio. Partendo da zero ho dovuto trovare tutti i fondi. Sono il leader del mio gruppo, sono io che scelgo che studenti assumere e le direzioni di ricerca».Marta la chiama, semplicemente, libertà. Solo questa, oggi, basterebbe alle università come titolo di merito universale, al di là del blasone di ogni possibile classifica.Marta Latini[la foto del Mit è di Aleksandr Zykov - modalità creative commons]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Fuga dei cervelli, il 73% dei ricercatori italiani all’estero è felice e non pensa a un rientro- Università, ricerca al collasso: e il paradosso è che i dottorandi vengono considerati studenti- Un tarantino a Cambridge: «Qui in Inghilterra se vali ti assumono, perché in Italia no?»

Servizio civile, bando riaperto per gli stranieri. Il deputato Chaouki: «Evitiamo le guerre tra poveri»

Una nuova bufera si abbatte sul Servizio civile. Dopo la scure sui finanziamenti, la soppressione del bando 2012 e le incertezze sulla pubblicazione di quello attuale, era finalmente arrivato il momento della partenza - o dell'inizio dei progetti in patria - per migliaia di giovani italiani (quest'anno circa 8mila). Una sentenza del Tribunale di Milano ha però sparigliato le carte in tavola, dichiarando «discriminatoria» la clausola che riserva ai soli cittadini italiani il diritto di partecipare al bando. A decidere è stata la sezione Lavoro del Tribunale di Milano, giudice Fabrizio Scarzella, accogliendo lo scorso 19 novembre il ricorso di quattro candidati di origine straniera ma residenti in Italia da anni. In sostanza ragazzi delle cosiddette "seconde generazioni" che, con l'assistenza dei legali Alberto Guariso e Livio Neri, hanno ottenuto dai giudici milanesi la riapertura dei termini del bando, perché, si legge nella sentenza, «Allo straniero residente in Italia» è concesso «di concorrere al progresso materiale e spirituale della società e all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» come a qualunque altro italiano e nel rispetto delle finalità proprie del Servizio civile nazionale». Non è la prima volta che il tribunale si pronuncia in questo senso. Già a gennaio 2012 il ricorso di un ragazzo pakistano aveva bloccato l'avvio del servizio per quasi ventimila ragazzi perché - in quel caso - la richiesta era arrivata a bando chiuso e graduatorie pubblicate. Scatenando così un putiferio. Ma lì la procedura – in un primo momento sospesa – era stata infine riavviata per permettere ai ragazzi di iniziare il servizio. Adesso invece «le selezioni sono ancora in corso, gli enti accreditati stanno ancora intervistando i ragazzi e non c'è niente di nuovo né di definito» spiegano dalla segreteria del Servizio civile, rassicurando che «appena ci saranno novità sul bando ne verrà data notizia sul sito». Tutto fermo quindi. Chi sta facendo le preselezioni passerà allo step successivo senza - pare - nessun cambiamento. Anche se nel frattempo i non residenti italiani potranno presentare domanda entro la fine di novembre e – in caso il loro punteggio sia superiore – subentrare in graduatoria a chi è già stato assegnato a un progetto. A chiarire questo aspetto è Claudio Di Biasi, responsabile dell'Associazione Mosaico, un ente di gestione del servizio civile. «È possibile che uno straniero che faccia richiesta grazie alla riapertura dei termini disponga di più punti rispetto a un cittadino italiano che si è candidato entro il 4 novembre (data di chiusura del bando 2013)». Queste non sarebbero le uniche conseguenze prodotte dall'ordinanza milanese. «Il nostro ente» ragiona Di Biasi «ha in programma la definizione delle graduatorie entro il 10 dicembre. Se a Roma decideranno effettivamente di dare seguito alla sentenza allungare la scadenza per i privi di cittadinanza, ci sarà uno slittamento nell'invio delle graduatorie (dovranno essere recepite le domande presentate da stranieri e dovrà essere effettuata la selezione per loro); e dell'avvio al Servizio civile dei selezionati. Tradotto significa un ritardo variabile da alcune settimane ad alcuni mesi». Non poco se si tiene conto che le candidature sono lievitate negli anni, complici disoccupazione e crisi economica. E che chi si aggiudica i progetti, oltre all'opportunità formativa, riceve anche un rimborso di 433 euro netti mensili, che salgono di quindici euro al giorno per i progetti all'estero. Di Biasi racconta il suo caso: «Due anni fa avevamo ricevuto circa 500 candidature per 200 posizioni di servizio civile. Quest'anno, sempre per 200 posti, le domande pervenute sono oltre 1.000, di cui 1 (una) presentata da privo di cittadinanza». A parte gli aspetti più tecnici, a Di Biasi non convince neppure la volontà politica che a suo dire si cela dietro la sentenza. L'idea è che «alcune realtà operanti a favore degli immigrati, soprattutto di area cattolica, abbiano studiato a tavolino la vicenda, e abbiano utilizzato l'argomento servizio civile in modo strumentale». Inoltre «il Servizio civile aperto ai privi di cittadinanza con la difesa della Patria non ha nulla a che fare» sostiene Di Biasi, ventilando «le conseguenze gestionali che ne derivano, prima tra tutte la sua totale regionalizzazione». Non si sbottona più di tanto il ministro per l'integrazione Cecile Kyenge, pur essendo - come scontato – favorevole all'apertura agli stranieri. «Bene la decisione del Tribunale di Milano. È un bel passo per me, vuol dire che si riconosce l'importanza di un certo percorso. Al di là della riforma del Servizio civile, un tribunale si è pronunciato e questo verrà sicuramente guardato con attenzione dal mio ministero» ha dichiarato all'Ansa.  Ora «vedremo gli sviluppi di questa decisione del giudice di Milano», ha aggiunto. Un altro rischio – sottolinea il deputato Khalid Chaouki, classe 1983, eletto in quota Pd - è di «alimentare guerre tra poveri». «Il Servizio civile» precisa alla Repubblica degli Stagisti «è un’opportunità preziosa, un’esperienza importante, e io credo che si debba lavorare per aprire ad un numero sempre maggiore di giovani questa opportunità, non per costruire recinti e steccati». Chaouki fa poi una precisazione sul concetto di stranieri. Questi ragazzi sono stati definiti «pienamente cittadini dalla sentenza del tribunale di Milano» a prescindere dalla loro cittadinanza, talvolta non ottenuta per colpa dei ritardi della burocrazia.  «Ragazzi nati e cresciuti in Italia, magari arrivati qui da piccolissimi, e dunque italiani di fatto ma stranieri per legge» sintetizza. Sono «nuovi italiani che non devono 'essere integrati', lo sono già» perché «frequentano licei e università italiane, parlano spesso diverse lingue e sono il volto di questa Italia plurale». «Escluderli è un atto palesemente discriminatorio» afferma  Chaouki in accordo con il Tribunale di Milano. Il punto adesso è capire se la decisione del tribunale non sia discriminatoria nei confronti di chi è già stato selezionato e rischia di vedersi surclassato da nuovi candidati in lizza, italiani o stranieri che siano. Pericolo facile da arginare. Sarebbe bastato adeguarsi all'ordinanza del 2012 e nessuno ne avrebbe pagato le conseguenze. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Servizio civile, si parte: 19mila giovani tirano un sospiro di sollievo per il rientrato allarme scatenato dalla sentenza "antidiscriminazione"- «Aprire l'accesso al servizio civile agli stranieri? Attenzione, può portare cortocircuiti». Parla Claudio Di Blasi dell'associazione Mosaico- Servizio civile, salta il bando 2012: tutta colpa della spending review- Dopo un anno di stop riparte il servizio civile: ma i posti sono solo 15mila    

Youth Guarantee, le richieste delle associazioni giovanili al ministero del Lavoro

I rappresentanti dei giovani prendono la parola. Merito dell'iniziativa del ministro del Lavoro Enrico Giovannini che, in vista del via libera - a gennaio 2014 - del programma per la Youth Guarantee (in sintesi, la garanzia di un'offerta di lavoro o formazione ai giovani entro quattro mesi dalla fine della scuola o dall'inizio della disoccupazione), ha chiamato qualche giorno fa a raccolta alcuni esponenti delle associazioni e dei movimenti giovanili, chiedendo loro pareri e proposte in relazione alla bozza di progetto formulata del dicastero. E per cui sono già stati stanziati fondi per 1,2 miliardi di euro. La Repubblica degli Stagisti, che sull'argomento ha elaborato un documento programmatico, era presente al tavolo. «Lungi dal pensare che si tratti di un intervento miracoloso, il progetto può però considerarsi un mezzo per ridefinire le politiche attive di occupabilità per i giovani, da inserire in un quadro di monitoraggio continuo» ha assicurato il ministro. L'obiettivo è «creare le infrastrutture per il futuro e impulsare una mobilitazione nazionale per l'emergenza lavoro». In questo senso il coinvolgimento delle parti sociali deve essere totale, affinché il programma non fallisca: «Ecco perché in questi giorni ho incontrato prima le associazioni imprenditoriali e oggi vedo voi», ha sottolineato Giovannini. Le linee guida nel testo del ministero sono ancora scarne, anche se sembrerebbe chiara per il momento la propensione a concentrare tutti gli sforzi sul «preorientamento scolastico, non solo quello della scuola media superiore ma anche di quella inferiore», puntualizza il ministro. Da concepire come uno strumento suddiviso in due tronconi: uno di primo livello, a largo spettro e universale, e un altro 'face to face', quindi  «molto più personalizzato e qualificato, con la logica della presa in carico del soggetto». In sospeso restano quindi tanti elementi: il target di riferimento dei giovani, l'entità delle prestazioni, la creazione di un portale nazionale.Aspetti su cui la maggior parte dei delegati non ha però presentato proposte mirate, ma solo avanzato considerazioni generali e soprattutto prive di ipotesi sulle coperture finanziarie o sui meccanismi da ingenerare per una Garanzia Giovani davvero funzionante. E talvolta - questa è stata la sensazione - l'occasione è stata usata come pretesto per sottoporre al ministro la richiesta di prendere in considerazione il proprio settore di attività per l'attivazione degli stage. Aprendo al rischio, come ha messo in luce il documento sottoscritto da questa testata, che la Youth Guarantee possa trasformarsi in un ulteriore infoltimento delle troppo corpose fila degli stagisti italiani, già tantissimi (è stato calcolato che siano mezzo milione all'anno), e con scarse prospettive di inserimento (un contratto viene offerto a meno del dieci per cento di loro). È il caso ad esempio della Coldiretti, rappresentata da Vittorio Sangiorgio: «A causa del regime particolare del comparto agricolo non ci è concesso di ospitare tirocinanti, quando invece ne avremmo bisogno, per esempio nelle campagne che attiviamo sul territorio», segnala. Gli fa eco il portavoce dell'Agia, l'associazione giovani imprenditori agricoli, Matteo Bartolini: «Non possiamo accogliere stagisti perché i meccanismi in cui rientriamo lo escludono» obietta, rivolgendo poi al ministero un appello accorato: «Che gli interventi debbano concentrarsi su una profonda riforma delle condizioni di base del mondo del lavoro, suddiviso in Italia tra la casta di chi ha un'occupazione e chi non ce l'ha ed è privato di qualunque tutela». Di altra natura invece l'intervento di Jacopo Morelli [nella foto in alto], presidente dei Giovani di Confindustria, che prende la parola per ricordare come «l'unica garanzia di cui si ha davvero necessità è quella sul lungo periodo». Il punto non è, a suo dire, cogliere l'opportunità del fondo messo a disposizione per sfornare altre tornate di stagisti, ma concentrarsi sulla «stabilizzazione», e quindi sui canali da avviare affinché i giovani acquisiscano le competenze di cui devono essere portatori per poi essere accolti dalle aziende: in primis «l'inglese e l'informatica». «Perché se è vero che le imprese danno lavoro» spiega «queste stesse sono anche alla ricerca di risorse fresche e nuove» da tenersi strette. Matteo Ragnacci di Generazioni Legacoop puntualizza un altro elemento chiave: «I tirocini devono essere vincolati all'offerta di un contratto, pena il decadimento per la compagnia da tutti i benefici derivanti dall'assunzione». Un'idea per impedire la prassi di sempre, quella dei datori di lavoro che prendono stagisti per poi disfarsene terminato il tirocinio, abbattendo i costi del lavoro dipendente. Ragnacci fa anche un'altra proposta: quella di inserire un «sistema di riconoscimento delle competenze», perché usciti dal percorso di formazione o lavoro le stesse risultino certificate e possano quindi essere riutilizzate sul mercato del lavoro. La scelta dello stage come strumento principe del progetto è criticata anche dal rappresentante di Link Coordinamento Universitario, Alberto Campailla. «Spesso i tirocini oscurano lavoro dipendente a tutti gli effetti. Se proprio dobbiamo incoraggiarlo» dicono «almeno cerchiamo di intervenire su un punto: le differenze di rimborso tra nord e sud d'Italia. Si passa dai 600 euro di Abruzzo e Toscana ai 300 di Basilicata e Calabria. Cerchiamo di unificare la normativa» propongono, ribadendo infine l'importanza dei centri per l'impiego, «da riformare perché raggiungano standard europei». Un altro suggerimento interessante arriva da Rebecca Ghio, portavoce del coordinamento di universitari Run, che ha proposto di «utilizzare il servizio civile» come percorso papabile per la Youth Guarantee (idea condivisa da molti dei presenti al tavolo, ndr), e poi «convertire l'esperienza in crediti universitari». Molti dei tirocini curriculari sono «ben poco formativi» e questa sarebbe «una possibilità per i molti ragazzi che preferiscono non farli e al loro posto aggiungere più esami al percorso di studio». Adesso la parola passa al ministero per il progetto definitivo.  Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Una «dote» per trovare lavoro e 400 euro al mese di reddito di inserimento: la proposta di Youth Guarantee - Restituire l’Imu o restituire un futuro ai giovani? Rosina, Garnero e Voltolina sostengono la Youth Guarantee - Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani - Giovani, la cultura è l'asset per ripartire: Giovannini annuncia 1 miliardo e 200 milioni per la Youth Guarantee