Categoria: Storie

La testimonianza di Carlo: «Sono diventato pubblicista scrivendo gratis: ma almeno le ritenute d’acconto me le hanno pagate»

Mi chiamo Carlo, ho 23 anni e frequento la facoltà di Scienze della comunicazione all’università “La Sapienza”. Concilio lo studio con il lavoro in una copisteria, dove mi occupo dell’impaginazione di un giornale, di cui scrivo anche alcuni articoli. Per entrambe le mansioni sono regolarmente retribuito. Ho un contratto a tempo determinato di 300 euro mensili, che mi permette di pagarmi gli studi. Alla fine del 2008, dopo il classico iter di due anni e circa 90 articoli pubblicati, sono diventato pubblicista presso l’Ordine regionale del Lazio. Ho ottenuto l’agognato “tesserino” lavorando per una testata aziendale, cioè un giornale pubblicato da un’impresa e incentrato prevalentemente su tematiche aziendali, di cui preferisco non citare il nome. La redazione era composta di circa 10 persone, la maggior parte collaboratori. La mia era di fatto una collaborazione a distanza: scrivevo gli articoli da casa e non sono mai entrato direttamente a contatto con l’editore. Diventare pubblicista era per me il modo più semplice e meno oneroso per conoscere un mestiere che mi affascinava fin dai tempi del liceo. Avere il tesserino, poi, non mi avrebbe impedito di svolgere altri lavori. Per certi aspetti, la mia storia non è molto diversa da quella di tanti aspiranti giornalisti: pezzi scritti e non pagati, in barba alla legge, che parla di “attività regolarmente retribuita”. Retribuzione ovviamente certificata, dichiarando il falso, dall’editore nell’attestato richiesto dall’Ordine per l’iscrizione all’albo. A completare la documentazione, la ritenuta di acconto sui soldi che teoricamente avrei dovuto ricevere. Una prassi purtroppo molto diffusa, che colpisce la dignità di chi si avvicina a questo mondo. Tuttavia mi ritengo in qualche modo fortunato. Nonostante tutto, ho avuto dei privilegi in più rispetto a tanti colleghi: un rimborso spese per i miei spostamenti e per alcuni acquisti, come abiti in caso di partecipazione a particolari eventi, e il regolare pagamento dei contributi. Posso assicurare che non è poco: diversi amici e conoscenti hanno intrapreso l’attività giornalistica completamente a spese loro. Che tradotto significa non solo non essere pagati, ma anche versare i contributi di tasca propria, altrimenti niente tesserino. Devo riconoscere, inoltre, di aver avuto l’opportunità di fare esperienza in una realtà stimolante, che mi ha aiutato ad apprendere i trucchi del mestiere e a crescere professionalmente.Il mio racconto lascia qualche speranza in più rispetto a tante altre vicende, ma non basta.Il problema principale è che anche l’editore più onesto è costretto a fare i conti con continui tagli. E a farne le spese sono inevitabilmente i costi materiali e di tempo impiegati per formare e pagare un aspirante giornalista.Il tutto all’interno di un sistema “malato”, che andrebbe abbattuto e ricostruito. A partire da nuove basi: innanzitutto stabilendo come criterio principale per il tesserino il possesso di una laurea o il diploma della scuola di giornalismo, in modo da portare nelle redazioni persone qualificate e non “scrittori ancora da formare”, a costo zero. È fondamentale tutelare la dignità di chi fa parte di questo mondo, sia da apprendista che da professionista. E poi bisognerebbe ripristinare i tariffari minimi dei giornalisti, aboliti nel 2008, e controllare che vengano rispettati: questo permetterebbe a chi scrive di avere la giusta ricompensa per il proprio lavoro.Carlo** Carlo è un nome di fantasia, per proteggere l'identità della persona che ha affidato alla Repubblica degli Stagisti la sua testimonianzaTesto raccolto da Chiara Del PriorePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Disposti a tutto pur di diventare giornalisti pubblicisti: anche a fingere di essere stati pagati. Ma gli Ordini non vigilano?- Da 250 a 500 euro: quanto costa diventare pubblicista e quali sono le altre differenze tra le varie regioni- L'avvocato Gianfranco Garancini: «Chi falsifica la documentazione pur di entrare nell'albo dei giornalisti pubblicisti commetto reati penali»- La testimonianza di Franca: «Dopo una serie di stage logoranti, la scelta di pagarmi da sola i contributi da pubblicista»E anche:- Crisi dell'editoria: per i neogiornalisti il futuro è incerto - Pianeta praticanti: inchiesta della Repubblica degli Stagisti- Praticantato d'ufficio, il calvario di A., giornalista free lance, per diventare professionista- Giornalisti praticanti, intervista a Roberto Natale della Fnsi: «L'accesso alla professione va riformato al più presto»

La testimonianza di Franca: «Dopo una serie di stage logoranti, la scelta di pagarmi da sola i contributi da pubblicista»

Ho 26 anni e il giornalismo è la mia grande passione: compro cinque-sei quotidiani ogni giorno, leggo di tutto e mi informo su qualsiasi argomento. Se potessi lavorare per Report vedrei avverarsi un sogno. Per diventare pubblicista, ho accettato di pagarmi da sola i contributi scrivendo per un blog online con incarichi da freelance ufficialmente retribuiti. In realtà, il mio direttore mi rilascia le ritenute d’acconto e io gli restituisco i soldi in contanti. Ovviamente non ho nessuna retribuzione: di fatto, pago in tasse circa 160 euro ogni sei mesi e in più lavoro gratuitamente per scrivere gli 80 articoli in 2 anni richiesti dall’Ordine del Lazio [nell'immagine qui a fianco, l'homepage del sito dell'ordine]. Come sono arrivata a questo punto? La mia storia è semplice: mi sono laureata nel 2007 alla facoltà di Scienze umanistiche della Sapienza di Roma. Avevo già in mente l’obiettivo del giornalismo, ma ho voluto evitare la laurea in scienze delle comunicazioni perché è considerata un po’ un “parcheggio” e perché qui a Roma c’erano già migliaia e migliaia di iscritti con lezioni tenute nei cinema. I miei sono della provincia, quindi ho anche i problemi e le spese di chi vive fuori sede. Dopo la laurea mi sono messa in cerca di annunci da parte di giornali disposti a pagare le ritenute d’acconto per diventare pubblicista. Ho trovato soltanto un quotidiano che però non pagava gli articoli, neanche in nero: ne ho approfittato per fare più o meno un anno di pratica in redazione, a titolo totalmente gratuito, e nel frattempo mi sono cercata uno stage. Sono stata tirocinante in una grande emittente televisiva per circa 6 mesi, dove mi sono occupata dell’ufficio stampa di una trasmissione d’informazione, poi sono stata per qualche altro mese in una radio della capitale, e infine ho iniziato uno stage in un’agenzia stampa. Me ne sono andata subito, però, perché ormai avevo capito l’andazzo ed ero proprio stufa: anche qui facevano moltissima leva sul lavoro dei ragazzi, chiedendoci di lavorare per nove ore al giorno, il tutto senza nessuna retribuzione o rimborso spesa, neanche i ticket per la mensa. La buona notizia è che, grazie ai contatti che mi ero procurata nei mesi di stage, sono riuscita ad avere un contratto a progetto (retribuito!) per fare rassegna stampa. La cattiva notizia è che l’agenzia che mi aveva impiegato, dopo un po’, ha rischiato di fallire e ha dovuto fare tagli al personale. Mi sono ritrovata di nuovo disoccupata, ma nel frattempo avevo preso contatti con il direttore del blog sul quale ancora scrivo. È andata così: ho trovato l’ennesimo annuncio, ho risposto, e il direttore mi ha chiesto di fare un servizio di prova. Sono andata a seguire un evento di cronaca bianca presso il Municipio di Roma, provvista di registratore e pc – il tutto acquistato ovviamente di tasca mia. Ho inviato l’articolo in redazione e il direttore è rimasto contento: “c’è qualcosa da migliorare”, mi ha detto, “però penso che tu possa imparare bene come si scrive di cronaca e politica”. Alla fine l’ho incontrato, il direttore: un ragazzo giovane, ben ammanicato in certi ambienti politici. Mi ha fatto un discorso che in parte capisco anche: per mantenere l’indipendenza del blog, ha rifiutato di avere qualsiasi finanziamento e adesso se la deve cavare con le sue forze. “Quindi, per la pratica da pubblicista non c’è problema, purtroppo però non posso pagarti. Facciamo così: io ti faccio le ritenute d’acconto, e tu mi dai i soldi per pagarle”. Cosa avrei dovuto fare? Ho accettato. Non è che mi aspetti che cambi molto nella mia situazione, una volta diventata pubblicista. Il tesserino rappresenta più un punto saldo, un’ancora simbolica che voglio raggiungere come obiettivo personale. Nel frattempo mi guadagno da vivere come segretaria part-time o come hostess nei ricevimenti: ci sono mesi in cui non ho nessuna retribuzione. Ho, però, il supporto dei miei genitori che ovviamente sono preoccupati per il mio futuro. Cerco di vivere la vita coltivando le mie passioni: sto imparando a usare una macchina da presa, perché credo che dia davvero un valore aggiunto a un giornalista e che un reportage sia in grado di trasmettere fatti ed emozioni in maniera più efficace della semplice carta stampata. Quando ho un weekend libero mi do all’equitazione o al canyoning, una specie di arrampicata al contrario in cui ci si cala da pareti scoscese. E ovviamente penso a come pagare il prossimo articolo che dovrò scrivere. Franca** Franca è un nome di fantasia, per proteggere l'identità della persona che ha affidato alla Repubblica degli Stagisti la sua testimonianzaTesto raccolto da Andrea Curiat Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Disposti a tutto pur di diventare giornalisti pubblicisti: anche a fingere di essere stati pagati. Ma gli Ordini non vigilano?- L'avvocato Gianfranco Garancini: «Chi falsifica la documentazione pur di entrare nell'albo dei giornalisti pubblicisti commetto reati penali»- Praticantato d'ufficio, il calvario di A., giornalista free lance, per diventare professionista

La richiesta di aiuto di Alessandro: «Da Globalpress vaghe promesse e la certezza di dover pagare per un lavoro»

Ho 26 anni e sono nato in Umbria, ma vivo a Roma ormai da molto tempo. Mi sono laureato in Scienze della comunicazione alla Sapienza in giornalismo ed editoria. Quella di provare a entrare nel settore dell'informazione è stata una scelta maturata durante la triennale, in cui ho studiato la comunicazione sotto vari aspetti: media, cinema, tv, marketing... Però all'università tutti i giornalisti più o meno affermati che figuravano tra il corpo docente non perdevano occasione per scoraggiare gli studenti che aspiravano ad una professione nell'informazione: «È un mondo chiuso», ci dicevano, «non arriverete mai, per fare il giornalista ci sono le scuole e anche lì non è detto». Ho ritenuto ugualmente che questa fosse la mia strada e adesso, anche se  sono ancora in cerca di un lavoro nel campo, quantomeno l'ho imboccata! Forse il tempo mi darà ragione, per il momento mi mantengo con lavori saltuari (anche come cameriere) e qualche collaborazione per blog professionali. Scartabellando tra i vari annunci di lavoro a gennaio mi sono imbattuto, sul sito Studenti.it, in quello della Globalpress Italia, dal promettente titolo "La Globalpress Italia cerca giornalisti da assumere in redazione dopo stage". Conoscevo già il nome del service editoriale GlobalPress - Kronoplanet, così come l'omonima agenzia di stampa per gli italiani all'estero e il suo direttore Alfredo Iannaccone, perché avevo incontrato più volte tempo addietro le loro proposte per stage di sei mesi con successiva assunzione, presso la stessa agenzia o presso un'altra di news locali su Roma, Quartierionline. Forse le precedenti selezioni non avevano portato buoni frutti, visto che c'era una nuova offerta. Di nuovo si proponeva uno stage, stavolta però di soli tre mesi, con l'aggiunta di un costo di trecento euro (che io avrei dovuto attingere dai miei risparmi). Ho inviato la mia richiesta di Help alla Repubblica degli Stagisti e ho voluto informarmi ugualmente di persona per fornire la mia testimonianza. Ho quindi inviato una e-mail ad Alfredo Iannaccone, che nell'annuncio veniva segnalato come il responsabile dell'iniziativa: nella sua risposta lui mi ha spiegato chiaramente che la proposta consisteva prima di tutto in tre mesi di intenso lavoro, e non tanto in un corso di formazione. Un tuffo nella pratica giornalistica, con la possibilità di vedere i miei articoli pubblicati e letti da persone importanti. Ha aggiunto che la maggior parte delle “lezioni” ai 20-30 stagisti previsti [ora lievitati addirittura a cento, ndr] sarebbe stata tenuta dai membri della redazione, per spiegare agli stagisti come fare al meglio l'effettiva attività giornalistica, lanci e quant'altro, per tre, quattro ore quotidiane, spesso da casa. E allora, ho chiesto io, i trecento euro a testa? Iannaccone me li ha giustificati come copertura dei costi di qualche lezione tenuta da non meglio precisati giornalisti esterni alla redazione. Insieme alla vaga promessa – per un'esigua e non specificata fetta di partecipanti (uno? di più? a seconda dei risultati) – di una qualche possibilità di inserimento lavorativo. Insomma, sembra che il normale aspetto formativo che qualsiasi stage prevede per definizione, in cui i tutor introducono e seguono i tirocinanti nel lavoro, venga considerato da Globalpress un qualcosa di al di fuori dello stage, ed è quindi venduto a pagamento. Possibile che così spesso in Italia quello che è un lavoro a tutti gli effetti, intenso, prezioso, spesso ingrato, raggiunto a volte faticosamente da laureati stra-competenti, venga liquidato come un favore che l'azienda fa all'aspirante giornalista? In questo modo il tirocinante finisce per pagare il proprio lavoro, imparando non a valorizzarlo ma a svalutarlo. E non è giusto.[ndr: Il nome "Alessandro" è di fantasia. Il lettore ci ha chiesto di proteggere la sua identità]testo raccolto da Andrea Curiat Per saperne di più, leggi anche:- Aspiranti giornalisti, attenzione agli annunci di stage a pagamento in Rete: la richiesta di help di tre lettori- Globalpress, Kronoplanet, Servicepress: radiografia delle società e cronologia degli annunci in Rete- Vito Bruschini, direttore e amministratore di Kronoplanet: «Nessuna promessa di assunzione. I 300 euro che chiediamo ai ragazzi? Soltanto un rimborso spese»E anche:- Stage a pagamento: un lettore chiede «help» alla Repubblica degli Stagisti- Stage al museo con volantinaggio, la richiesta di help di un lettore arrabbiato

Lo stage a Londra di Vincenzo Falconieri: «Sei mesi al centro ricerche alla Queen Mary University con l'Erasmus Placement»

«Dall’università del Salento a Lecce alla Queen Mary University di Londra il cambiamento è stato notevole e i frutti di questo stage li sto vedendo proprio ora che sono tornato a casa. Sono partito per l’Erasmus Placement nel gennaio 2009, durante il mio ultimo anno di ingegneria delle telecomunicazioni, e ho fatto un tirocinio di 6 mesi. La scelta della destinazione è stata concordata con il professore con cui mi sono laureato e mi hanno data massima libertà nella scelta del progetto da seguire. Tutte le idee che avevo in mente prima di partire, però, sono cambiate una volta arrivato a Londra: al centro ricerche sono rimasto entusiasta di un progetto per capire la reazione delle persone davanti ad un’immagine, per capire da cosa si resta più colpiti. Uno studio utile in diversi settori, ma soprattutto nel marketing: è così che si può capire se una campagna pubblicitaria funziona, se il marchio resta impresso, quali colori attirano lo sguardo. Nello specifico, durante lo stage ho lavorato per la messa a punto di un macchinario capace di memorizzare lo sguardo: questo è anche l’argomento che ho scelto per la tesi che sto preparando. Durante i sei mesi trascorsi all’estero non ho mai perso i contatti con la mia facoltà: lo stesso docente che mi ha seguito per la tesi, infatti, mi ha seguito durante il tirocinio per sapere come si stava svolgendo lo stage. Anche a Londra, però, l’ambiente è stato molto stimolante: nei precedenti stage che avevo svolto in Italia, presso la mia università, non avevo sufficiente esperienza e preparazione per poter essere coinvolto a pieno nei progetti, mentre alla Queen Mary University sono arrivato al termine degli studi universitari e con una maggiore consapevolezza dell’utilità di un tirocinio. La carta dell’esperienza all’estero, inoltre, è importante soprattutto quando si ricerca un lavoro: è l’aspetto che più interessa nel curriculum in fase di selezione, sia perché assicura la conoscenza della lingua (in effetti il mio inglese a Londra è sensibilmente migliorato!), sia perché arricchisce la propria preparazione.Poi c’è l’altra parte della medaglia: 600 euro al mese di borsa di studio non sono poche, ma in una città costosa come Londra sono stati sufficienti solo per l’affitto e le spese. Ho trovato una stanza in un appartamento che dividevo con altri otto ragazzi e per me, alla mia prima esperienza come fuori sede, è sembrata una soluzione davvero inusuale!»Testimonianza raccolta da Eleonora Della RattaPer saperne di più vedi anche:- Erasmus Placement: per gli studenti universitari tirocini da 600 euro al mese in tutta Europa. Ecco come funzionano i bandi- Gabriele Conti: la mia esperienza di Erasmus Placement in uno studio legale di Londra, un'occasione sprecata- Grazie all'Erasmus Placement ho trovato lavoro a Bruxelles: la testimonianza di Nicola Corridone

Grazie all'Erasmus Placement ho trovato lavoro a Bruxelles: la testimonianza di Nicola Corridore

«Bruxelles: la più europea delle città dell’Ue è stata la mia scelta per l’Erasmus Placement. Nella capitale del Belgio si parla francese, lingua che conosco bene, e ci abita gran parte della mia famiglia (mia madre è originaria proprio di Bruxelles dove emigrarono i miei nonni): sono stati questi i motivi alla base della mia scelta per la destinazione del mio stage all’estero. Frequento Economia gestionale dei servizi turistici all'università di Foggia e lo scorso anno ho fatto richiesta per una borsa di studio Erasmus Placement: la mia destinazione doveva essere la sede belga dell’Enit (Ente nazionale del turismo italiano), ma quattro giorni prima della partenza – con già il biglietto aereo in mano e una casa presa in affitto – l’università mi dice che lo stage non si può più fare perché manca la firma della convenzione. Il direttore dell’Enit, dimissionario, aveva dato la sua approvazione ma per correttezza voleva far firmare i documenti al suo successore che, però, ha cambiato regole: per fare un tirocinio all’Enit Italia era necessario sapere il francese e… il fiammingo! Ovviamente io non conosco il fiammingo (e quando sono arrivato a Bruxelles mi sono incontrato con il nuovo direttore per spiegargli che difficilmente in Italia troverà un candidato che sappia questa lingua), quindi in un paio di giorni ho cercato un’alternativa. E sono stato molto fortunato: ho preso contatti con il patronato Enas  (Ente nazionale assistenza sociale) di Bruxelles che assiste gli italiani all’estero per tutti i tipi di documenti, facendo da ponte tra i cittadini e i vari uffici pubblici italiani (anagrafe, Inps, Inail, Agenzia delle Entrate, etc.). Ho ricevuto subito l’ok, l’università ha stipulato velocemente la convenzione e sono partito per il Belgio a febbraio. I sei mesi di tirocinio sono stati molto interessanti: ho seguito in maniera autonoma tutto il lavoro che si svolge all’Enas, in particolare le ricostituzioni pensionistiche, cause di lavoro, pagamento Ici di italiani ormai residenti in Belgio che magari hanno ereditato una casa in Italia, rinnovo dei documenti per chi ha la doppia nazionalità, ma anche assistenza a chi si trova a Bruxelles per turismo. Non sempre è semplice riuscire a risolvere problemi in apparenza semplice, soprattutto quando si deve far capo a più Paesi. Il caso più stravagante è stato quello di un ragazzo albanese, con cittadinanza italiana, residente in Belgio che aveva perso la patente a Madrid: ovviamente nessuno dei quattro Paesi riteneva di poter produrre un duplicato…L’esperienza di tirocinio, primo e unico stage che ho svolto, è stata molto interessante e produttiva: all'Enas mi è stato offerto un posto di lavoro dopo la laurea (discuterò la tesi entro la fine dell’anno) e quindi il mio futuro sarà a Bruxelles, proprio come i miei nonni».Testimonianza raccolta da Eleonora Della RattaPer saperne di più vedi anche:- Programma Leonardo, stage in giro per l'Europa dai quindici ai sessant'anni sotto il segno della formazione permanente- Gabriele Conti: la mia esperienza di Erasmus Placement in uno studio legale di Londra, un'occasione sprecata

Gabriele Conti: la mia esperienza di Erasmus Placement in uno studio legale di Londra, un'occasione sprecata

«Un'esperienza di stage all'estero è importante, ma nel mio caso è stata un’occasione sprecata. Ho fatto l’Erasmus Placement da febbraio a luglio 2009, durante il mio quarto anno di Giurisprudenza all’università di Bologna. Mi sono candidato per un bando già predisposto dall’ateneo: cinque mesi di stage presso uno studio legale a Londra. In particolare, il mio tirocinio si è svolto presso il dipartimento per le compravendite immobiliari internazionali dello studio “The International Property Law Centre LLP", in Aldgate east, vicinissimo alla City. C’erano quasi esclusivamente avvocati italiani e il mio ruolo è stato, essenzialmente, quello di fare fotocopie. Per questo dico che è stata un’occasione sprecata: durante la giornata facevo gli stessi orari dei colleghi, cercavo di essere propositivo, ma di fatto ho svolto solo lavoro di segreteria come gestire le mail e archiviare i documenti. Certo, potevano esserci delle motivazioni: lo studio aveva traslocato da poco da una sede all’altra e io non conoscevo perfettamente l’inglese. Ma questo non è stato soltanto un mio problema, visto che con me c’erano altri due ragazzi italiani (ma di un altro ateneo) partiti con il programma Leonardo che hanno espresso un giudizio altrettanto negativo: il loro tutor, però, è intervenuto facendo un controllo sullo stage, mentre le mie lamentele credo siano cadute nel vuoto.Al ritorno ho spiegato all’ufficio competente della mia facoltà come si era svolto lo stage e la mancanza di un progetto che lo rendesse davvero utile: non è stato preso alcun provvedimento, ma so che in casi simili, con altri studi legali, sono stati interrotte le collaborazioni. L’impressione, infatti, è che cercassero solo persone da far lavorare gratis: cercavano stagisti in continuazione per esigenze non propriamente formative. È un peccato, sia perché si perde del tempo prezioso, sia perché la mia borsa di studio è stata pagata con soldi dell’Unione europea, ovvero nostri. Ogni mese ricevevo 600 euro, sufficienti per pagare l’affitto (di 500 euro) e poco altro. Abitavo vicino allo studio, potendo così risparmiare sui trasporti, mentre non avevo alcun rimborso spese o buoni pasto da parte dello studio, perché non erano previsti neppure per i dipendenti. Inoltre, fuori dall’orario di lavoro, ho frequentato un corso d’inglese per migliorare la mia conoscenza linguistica. L’esperienza a Londra non è stata totalmente negativa, ma se tornassi indietro mi comporterei in maniera diversa: cercherei io uno studio legale da proporre all’università, per essere certo di avere un’esperienza formativa di valore. Nel curriculum il mio Erasmus Placement pesa, è la prima cosa che notano nei colloqui, ma senza dubbio poteva avere un valore maggiore.»Testimonianza raccolta da Eleonora Della RattaPer saperne di più vedi anche:- Erasmus Placement: come funzionano i bandi per fare lo stage nei Paesi europei- Grazie all'Erasmus Placement ho trovato lavoro a Bruxelles: la testimonianza di Nicola CorridoreE anche:- Programma Leonardo, stage in giro per l'Europa dai quindici ai sessant'anni sotto il segno della formazione permanente

Alessandro Fusacchia: «Così, a cavallo dell'11 settembre 2001, lo stage al Wto mi ha cambiato la vita»

«Lo stage al Wto? L’ho fatto a cavallo del settembre del 2001 e con il senno di poi posso ben dire che è stato determinante per la mia carriera». Alessandro Fusacchia, classe 1978, reatino, insegna presso l’istituto di studi politici di Parigi. In passato ha lavorato nell’ufficio Sherpa del G8, istituito dalla presidenza del Consiglio dei ministri per preparare il grande summit internazionale del luglio 2009, è stato ghost-writer nel gabinetto del ministro del Commercio internazionale e per le politiche europee, e ancora prima ha svolto un tirocinio presso il gabinetto di Romano Prodi al tempo della presidenza della Commissione europea. Tanto per arricchire il curriculum, tra un’esperienza internazionale e l’altra ha trovato il tempo di scrivere due romanzi: “Niente di personale” e “Avvistamento di pesci rossi in Danimarca”, pubblicati in Belgio dalle Edizioni Biliki. E per ravvivare un’esistenza tanto noiosa, sta pensando di iscriversi a un corso di paracadutismo. «Tutto è cominciato con lo stage al Wto», racconta Fusacchia alla Repubblica degli Stagisti. Come è arrivato allo stage presso il Wto? Mi sono laureato in scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia, quindi lo stage al Wto è stato uno sbocco naturale dei miei studi. Ho deciso di intraprendere questo percorso anche perché Rieti, la mia città di origine, mi andava un po’ strettina: volevo ampliare i miei orizzonti, vedere e conoscere il mondo. Quando ho fatto richiesta per il tirocinio al Wto, non mi sono limitato a inviare il curriculum e a sperare che mi selezionassero. Poiché parlo molto bene il francese, ho inviato una e-mail a uno dei responsabili proponendomi per lavorare in lingua. Fortunatamente, proprio in quel periodo stavano cercando una figura con il mio background e così sono stato selezionato. Qual è stata la sua esperienza di tirocinio? Ho lavorato per un mese e mezzo nella divisione affari giuridici, e per un altro mese e mezzo nella cooperazione tecnica. Durante la prima parte dello stage, ho seguito la parte legale dell’adesione, da parte dei paesi in via di sviluppo, ai corsi di formazione organizzati dal Wto, ovviamente lavorando sotto la supervisione di un tutor. Nella seconda parte, invece, mi sono ritrovato a lavorare nella cooperazione tecnica proprio nel momento in cui la Cina entrava a far parte dell’Organizzazione, dopo anni di contrattazioni. È stato un periodo di lavoro intenso, con professionisti in gamba che stimo moltissimo e che mi hanno insegnato molto. Settembre 2001: un mese difficile, soprattutto per chi lavora nelle istituzioni internazionali… Sì, anche se l’accaduto non ha influito affatto sullo svolgimento dello stage. Ricordo però il giorno dell’attentato: eravamo in una riunione a porte chiuse e il mio diretto responsabile mi passava di tanto in tanto dei bigliettini chiedendomi di preparare vari documenti. Lui aveva ricevuto notizie dall’esterno e su una di queste note mi aveva scritto: aerei si schiantano contro torri gemelle. Gli ho risposto che non avevo ben capito cosa volesse… e lui mi ha spiegato la situazione. Il resto della giornata ce lo siamo preso di vacanza, anche perché non si capiva bene cosa stesse succedendo e il Wto sarebbe potuto  essere un bersaglio per i terroristi. In che modo l’esperienza al Wto è stata determinante per la sua carriera? Nel 2005 sono stato richiamato proprio dal Wto per andare a lavorare per un periodo di 4 mesi a tempo determinato come funzionario. È stato un periodo fondamentale perché pochissimi hanno la fortuna di ottenere un contratto presso il segretariato, anche a breve termine, e quindi l’esperienza ha avuto un peso determinante nel mio curriculum. Consiglierebbe ai ragazzi di presentare domanda per il programma di internship? Sì, assolutamente, a chiunque interessi una carriera internazionale. Gli stagisti al Wto non si ritrovano certo a fare fotocopie, ma vengono ritenuti professionisti a tutti gli effetti e sfruttati al meglio in base alle loro capacità.Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Wto, a Ginevra gli stagisti sono pagati 1200 euro al mese (e non serve la laurea). Candidature aperte tutto l'annoE anche:- Stage al Fondo monetario internazionale, le voci degli «ex»: Elva Bova, la mia esperienza dall'economia dell'Africa a quella dei Paesi arabi- Stage all'Agenzia europea per i diritti, le voci degli «ex»: Emanuele Cidonelli, ecco la mia esperienza a Vienna- Un lettore alla Repubblica degli Stagisti: grazie a voi ho vinto un tirocinio Schuman al Parlamento europeo

Master dei Talenti, le voci degli «ex»: Michele Bertolini, l'artista della computer graphic sospeso tra Milano e Los Angeles

In occasione della pubblicazione del nuovo bando del progetto Master dei Talenti della Fondazione CRT, che quest'anno mette in palio 75 stage in giro per il mondo lautamente rimborsati dalla Fondazione e destinati ai migliori neolaureati degli atenei del Piemonte e della Valle d'Aosta, la Repubblica degli Stagisti ha raccolto le storie di alcuni ex. Ecco quella di Michele Bertolini.Sono nato a Saluzzo nel 1981. Da sempre vado matto per i videogiochi: con l'età della ragione (mia) e con l'evoluzione tecnologica (loro), trovo che alcuni, al giorno d'oggi, possano emozionare tanto quanto un film o un'opera d'arte. Fin dal liceo il mio obiettivo era chiaro: andare a lavorare in questa industria. Ho fatto il Politecnico di Torino nella facoltà di Vercelli: avere un’università prestigiosa a pochi passi da casa mi ha permesso di continuare a fare pallavolo a livello agonistico – ho giocato fino alla serie C, oggi alleno i giovani. Dopo la laurea di primo livello in ingegneria elettronica decisi di passare all'informatica pura e cominciai a valutare la possibilità di diventare un artista della computer grafica.  Diciamo che lavorare per dodici ore su un modello di un aeroplano fu un discreto campanello di allarme su cosa mi piacesse veramente fare!Da queste considerazioni all'iscrizione al master in Digital entertainment del Virtual Reality e Multimedia Park, ente legato all'università del Piemonte orientale che organizza corsi di computer grafica, il passo fu breve. Il master costava la bellezza di 6mila euro: fortunatamente io pagai solamente la metà perchè vinsi una delle due borse di studio a disposizione. Per la tesi andai in stage in Milestone, attualmente la più grande azienda di videogiochi in Italia. Già alla fine del secondo mese di stage il grande capo mi propose un contratto annuale: e proprio mentre mi crogiuolavo nella mia nuova occupazione ricevetti la fatidica mail dalla Fondazione CRT. Inizialmente del bando del Master dei Talenti avevo notato solo le posizioni più tecnico-scientifiche, ma poi leggendo meglio vidi due posizioni patrocinate dalla View Conference che prevedevano la frequentazione della prestigiosa Gnomon School Of Visual Effects di Hollywood… Il mio sogno da anni! Immediatamente il mio interesse crebbe a dismisura e passai due settimane buone di notti insonni per poter mettere insieme uno showreel – cioè un video di pochi minuti che presenta il meglio dei lavori di un CG artist – degno di questo nome. Ad aprile del 2008 feci a Torino un colloquio con la presidentessa della View Conference, Maria Elena Gutierrez. La comunicazione dell’esito della selezione mi arrivò per telefono mentre ero in automobile, e infatti rischiai un incidente... Dopo alcuni mesi di sincopata preparazione di visti, autorizzazioni e documenti vari, a metà settembre fui pronto a partire – anzi, fummo: insieme a me c’era Silvia Colonna Romano, l'altra vincitrice della borsa di studio, una persona stupenda con cui da quel momento in poi condivisi difficoltà e dubbi e feci il salto nel vuoto verso Los Angeles.L'impatto con LA fu, ovviamente, devastante: la città è gigantesca ed assolutamente folle, un melting-pot di culture ed etnie. Dopo alcune settimane di difficoltosa ricerca trovammo una bella casetta a ridosso di West Hollywood, non molto distante dalla scuola. I 3300 euro lordi di rimborso spese della Fondazione CRT bastavano ed avanzavano: per l’affitto pagavamo 2000 dollari, circa 1400 euro.Il corso alla Gnomon School durò tre mesi, da ottobre a dicembre. Eravamo in dodici: una filippina, un tedesco, un inglese, un giapponese, due italiani, un indiano… Gli insegnanti erano tutti veterani dell'industria del cinema o dei videogiochi, una vera manna per imparare e per trovare occasioni d'impiego. A marzo cominciò lo stage vero e proprio, in EntityFX, una casa di produzione di effetti visuali per il cinema e la tv: venimmo immediatamente catapultati in produzione, prima su uno show per la tv americana, Jesse James is a Dead Man, poi in un paio di piccole produzioni. Infine, il colpo grosso: fummo presi lavorare agli effetti speciali per la serie di concerti di Michael Jackson. Sfortunatamente, la morte dell'artista bloccò per un periodo la produzione, ma i nostri sforzi sono stati comunque premiati perchè tutto ciò a cui lavorammo è stato incluso nel film This is it. Il giorno della morte di Jackson eravamo ad LA: la notizia fu uno shock per tutti, noi ci trovammo da un momento all’altro in mezzo ad un ingorgo causato da un assembramento di persone venute a ricordarlo sulla sua stella in Hollywood Blvd [nell'immagine].La EntityFX si sarebbe dimostrata ben disposta a confermarci, ma purtroppo lo stop alla produzione ed i problemi di visto lavorativo bloccarono il discorso sul nascere. Venni però contattato appena prima del mio ritorno in patria dalla mia vecchia azienda, che mi offrì una nuova posizione ed ovviamente uno stipendio superiore al precedente. Avevo mantenuto i contatti con i miei ex colleghi: in occasione dell'Electronic Entertainment Expo di LA, la più importante fiera del videogioco al mondo, i due inviati dall'azienda erano anche venuti a trovarmi. Decisi dunque di tornare in Italia e riprendere l'avventura in Milestone. Non posso parlare del mio stipendio, ma la mia nuova posizione è decisamente più di responsabilità della precedente e le prospettive di carriera sono ben più rosee. Oggi riesco a mantenermi completamente da solo, anche se vivendo a Milano – tra affitti salati e costo della vita – non metto via molto.In questo momento sono combattuto per il mio futuro. Sto bene nella mia azienda e stiamo crescendo a vista d'occhio, ma le sirene di Hollywood continuano a farsi sentire, ed è difficile resistere al richiamo...testimonianza raccolta da Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Da oggi aperto il nuovo bando del Master dei Talenti: 75 stage a cinque stelle per i migliori neolaureati di Piemonte e Val D'Aosta- Occupati e ben pagati: ecco l'identikit di chi ha partecipato al Master dei Talenti della Fondazione CRT- Marketing al gusto di nutella: c'è anche Ferrero nel bando Master dei Talenti 2010 - «Con due tutor e un mentor, seguiremo i tirocinanti CRT passo per passo nella loro avventura spagnola»: quest'anno anche Everis è nel bando del Master dei TalentiE anche le storie di altri ex tirocinanti CRT:- Antongiuseppe Stissi, un ingegnere piemontese sul treno per Pechino - Chiara Santi, grazie alla CRT ho scoperto la sicurezza sul lavoro e me ne sono innamorata- Nicola Rivella, un anno alla World Bank di Washington per studiare i paesi in via di sviluppo- Francesco Imberti, dalla Cina con amore (per il cibo italiano)- Paola Laiolo, da Torino a Bruxelles inseguendo l'Europa

Master dei Talenti, le voci degli «ex»: Nicola Rivella, un anno alla World Bank di Washington per studiare i paesi in via di sviluppo

In occasione della pubblicazione del nuovo bando del progetto Master dei Talenti della Fondazione CRT, che quest'anno mette in palio 75 stage in giro per il mondo lautamente rimborsati dalla Fondazione e destinati ai migliori neolaureati degli atenei del Piemonte e della Valle d'Aosta, la Repubblica degli Stagisti ha raccolto le storie di alcuni ex. Ecco quella di Nicola Rivella.Ho 27 anni e sono originario di Alba, in provincia di Cuneo, anche se ho vissuto la maggior parte della mia vita a Genova. Ho iniziato a studiare le lingue straniere e a viaggiare molto presto: da quando avevo dieci anni ho passato ogni estate qualche settimana all’estero – Marburg in Germania, Malahide in Irlanda, Hastings, Salsbury, Londra e Oxford in Inghilterra. A quel punto sapevo abbastanza bene l’inglese e quindi gli anni seguenti sono stato in Inghilterra a fare un po’ di lavoretti estivi per mettere due soldi da parte – ai tempi la sterlina aveva un cambio molto vantaggioso nei confronti della lira…Al momento di scegliere l’università ho deciso di puntare su economia perché mi interessava capire e studiare la globalizzazione. I primi tre anni li ho fatti presso la facoltà di Genova, partecipando anche al programma Erasmus: sei mesi in Svezia presso la Umea Business School of Economics. Sebbene il posto fosse piuttosto freddo e parecchio a nord (un’ora di volo da Stoccolma!) è stata un’esperienza fantastica che mi ha consentito di entrare in contatto con culture molto diverse dalla nostra: brasiliani, australiani, americani, spagnoli, svedesi, francesi, tedeschi… Dopo la laurea breve ho deciso di seguire i due anni di specialistica alla facoltà di economia di Torino perché mio zio, che è commercialista lì, mi aveva proposto di provare a fare praticantato presso di lui. Sapevo già che quella del commercialista non era la mia strada, anche perché avrei dovuto rinunciare al “respiro internazionale” che mi piace tanto, però ho colto l’opportunità con entusiasmo: era un’ottima occasione per entrare in contatto con il mondo del lavoro.  Dopo i tre anni di praticantato – ora mi manca solo l’esame di stato, conto di farlo il prima possibile! – e la laurea specialistica, nel gennaio 2007 ho trovato un contratto da cocopro biennale negli uffici amministrativi della Coop. Nel mentre, però, avevo notato la pubblicità del Master dei Talenti sui tram di Torino: incuriosito, sono andato sul sito per avere più informazioni ed ho subito deciso di candidarmi. Per la verità inizialmente ero piuttosto scettico: credevo che sarebbe stata la solita cosa all’italiana, cioè che il processo di selezione non sarebbe stato meritocratico e che avrebbe favorito persone raccomandate: invece per fortuna ho dovuto ricredermi.Avevo messo in cima alla lista delle candidature la World Bank [nell'immagine qui a fianco, l'homepage del sito], ma mi ero candidato a diverse posizioni, visto che per i laureati in economia c’erano varie opportunità. Oltre al colloquio con la World Bank ne ho fatto uno anche con ABN Ambro (ora Royal Bank of Scotland), e ne ho addirittura rifiutati due – con Novamont e SKF – perché in quel momento stavo lavorando diviso tra Lombardia e Liguria e non mi era facile chiedere del tempo per andare a Torino! Il colloquio con la World Bank, per esempio, l’ho fatto una sera di fine aprile alle 19, al telefono, dopo una giornata di lavoro. Due settimane dopo mi hanno fatto sapere via e-mail che mi avevano preso. Ci ho messo un po’ a partire per Washington perché la World Bank è parecchio burocratica, e poi c’erano le procedure per il visto... L’impatto con gli States, nell'autunno del 2007, è stato piuttosto arduo, anche perchè gli americani – apparentemente così cordiali e gentili – sono in realtà piuttosto superficiali nelle relazioni umane. Alla World Bank comunque sono stati molto collaborativi, mi hanno anche aiutato a trovare un alloggio attraverso un italiano che lavora lì e che ha una casa che affitta. Con il passare del tempo mi sono inserito benissimo sia dal punto di vista professionale che da quello personale, anche se le persone che frequentavo fuori dal lavoro erano quasi tutte non americane.Alla banca sono stato inserito nella divisione Sviluppo umano e protezione sociale; la mia mansione era di eseguire analisi statistico quantitative su paesi in via di sviluppo. Per la maggior parte del tempo ho analizzato la relazione statistica tra disabilità e povertà in Yemen, Bosnia-Herzegovina, Vietnam, Guatemala e Nicaragua, collaborando anche alla scrittura di un paper sui risultati della ricerca.Lo stage è durato un anno: la borsa della Fondazione CRT, 3mila euro al mese, è stata più che sufficiente per mantenermi a Washington e anche per mettere qualcosa da parte. Condividevo la casa con un ragazzo americano e pagavo sui 700 dollari al mese. Sono tornato in Italia due volte, due settimane a fine febbraio ed una settimana verso fine aprile. Al termine dello stage la World Bank mi aveva proposto una collaborazione a progetto di un altro anno con un ottimo compenso – 40mila dollari netti all'anno [equivalenti più o meno a 2500 euro al mese, ndr], certamente superiore a qualsiasi compenso che è possibile trovare in Italia per una persona della mia età – ma per ragioni personali ho deciso di rifiutare e di rientrare in Italia. A quel punto ho avuto un periodo di transizione, perchè mentre cercavo un nuovo lavoro sono dovuto tornare a vivere a casa con i miei. Dopo quattro mesi di ricerca – un tempo molto breve, considerata la crisi – a febbraio 2009 ho trovato un impiego a Genova, nel controllo di gestione della ABB, multinazionale nel campo dell’ingegneria. I miei compiti principali sono aiutare la preparazione del budget della divisione e occuparmi del reporting relativamente ai costi sostenuti, di modo da tenere sotto controllo il consuntivo rispetto al budget. Ho un contratto di lavoro interinale e guadagno 25mila euro lordi all'anno: uno stipendio che mi permette di vivere per conto mio, in un mini appartamento in affitto, e di non dover chiedere più nulla ai miei.Testimonianza raccolta da Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Da oggi aperto il nuovo bando del Master dei Talenti: 75 stage a cinque stelle per i migliori neolaureati di Piemonte e Val D'Aosta- Occupati e ben pagati: ecco l'identikit di chi ha partecipato al Master dei Talenti della Fondazione CRT- Due parole con Andrea Martina, ideatore della campagna di comunicazione Master dei Talenti 2009E anche le storie degli ex tirocinanti:- Antongiuseppe Stissi, un ingegnere piemontese sul treno per Pechino- Chiara Santi, grazie alla CRT ho scoperto la sicurezza sul lavoro e me ne sono innamorata - Francesco Imberti, dalla Cina con amore (per il cibo italiano)- Paola Laiolo, da Torino a Bruxelles inseguendo l'Europa

Master dei Talenti, le voci degli «ex»: Antongiuseppe Stissi, un ingegnere piemontese sul treno per Pechino

In occasione della pubblicazione del nuovo bando del progetto Master dei Talenti della Fondazione CRT, che quest'anno mette in palio 75 stage in giro per il mondo lautamente rimborsati dalla Fondazione e destinati ai migliori neolaureati degli atenei del Piemonte e della Valle d'Aosta, la Repubblica degli Stagisti ha raccolto le storie di alcuni ex. Ecco quella di Antongiuseppe Stissi.Sono nato a Torino nel 1980 e lì ho vissuto fino all’età di 27 anni. Dopo lo scientifico scelsi il famigerato Politecnico, facoltà di ingegneria informatica: studiavo e contemporaneamente gestivo un cocktail bar, in cui lavoravo sei giorni la settimana dalle nove di sera fino all’una - e di venerdì e di sabato anche fino alle tre! A gennaio 2006, subito dopo la laurea, cominciai come tutti a mandare cv in giro e dopo qualche colloquio in aziende non troppo convincenti ad aprile venni assunto in Booz Allen Hamilton, una società di consulenza direzionale di matrice statunitense con sedi italiane a Roma e Milano. Non mi proposero uno stage, ma direttamente un contratto a progetto. Lo stipendio non era nulla di eccezionale, circa 1500 euro al mese, ma il lavoro era interessante; mi assegnarono come cliente Fiat Powertrain, e così potei anche restare a vivere a Torino. Le attività erano le più disparate: piccole ricerche di mercato, creazione di survey interne, consulenza per la formalizzazione di alcuni processi aziendali… Dopo qualche mese cominciai a manifestare interesse per essere spostato all’estero, ma purtroppo non si presentavano proposte concrete. Nel frattempo nell’estate del 2006 feci il mio primo viaggio in Cina, un po’ per caso: capitò che un amico di famiglia che da qualche anno aveva cominciato a lavorare lì si trovasse in quel periodo in Italia e avesse lasciato un appartamento vuoto a Shanghai. Senza pensarci troppo presi un biglietto e partii in solitaria, per venti giorni. Tornato in Italia cominciai a cercare opportunità di lavoro in Cina – ma nulla si mosse fino a quando, nel gennaio 2007, si aprì il bando del Master dei Talenti della Fondazione CRT e decisi di candidarmi, focalizzandomi sui tirocini in Cina: in particolare ce n’erano due «papabili» per il mio profilo. Feci i colloqui di rito e ad aprile mi comunicarono che avevo vinto la posizione di stage in Fata, azienda del gruppo Finmeccanica. Accettai al volo e comunicai alla Booz Allen Hamilton le mie dimissioni, che diventarono effettive un paio di mesi dopo. Se ebbi qualche ripensamento a lasciare un contratto per uno stage? Assolutamente no, anche se il lavoro BAH era molto interessante: dal punto di vista economico, lo stipendio che percepivo era decisamente inferiore rispetto alla borsa che avrei ricevuto dalla Fondazione CRT. Una decina di giorni per preparare la partenza e a fine giugno partii alla volta di Pechino dove il 1° luglio iniziai il mio stage in Fata.Lo stage prevedeva uno stipendio mensile di 3300 euro lordi, che ripuliti facevano circa 2400 netti; si svolse al 99% a Pechino, tranne per una fiera a Shanghai. Le mansioni prevedevano principalmente ricerche di mercato in ambito logistica (porti) ed energia (fonti rinnovabili). In Fata, trattandosi di un ufficio di rappresentanza, le persone erano davvero poche, due italiani e cinque cinesi; ma proprio mentre mi trovavo a Pechino un’altra azienda del gruppo, Ansaldo STS, cominciò ad appoggiarsi a noi per seguire una gara di appalto per una linea ferroviaria ad alta velocità in Cina e il caso volle che questo contratto arrivasse alla firma proprio quando il mio tirocinio stava per scadere. Così, poco prima che finisse il mio periodo con la Fondazione, Ansaldo mi offrì un lavoro: tornai di corsa in Italia a firmare il contratto e ritornai in Cina ad agosto. Rimasi a Pechino fino a settembre, dopodiché tornai a Genova per esigenze di progetto e lì rimasi, a parte un paio di trasferte cinesi di alcune settimane, fino a marzo 2009. Da quel momento sono tornato nuovamente, e questa volta (semi)definitivamente, in Cina. Il mio contratto attuale è locale (cinese), ma con un trattamento praticamente pari a quello di una trasferta. Aggiungendo allo stipendio base la diaria e i rimborsi vari arrivo a guadagnare una cifra abbastanza soddisfacente, in linea con quelle rilevate nella survey della Fondazione CRT [lo stipendio medio per gli ex tirocinanti MdT rimasti all'estero è 2400 euro al mese, con punte oltre i 3mila, ndr]; inoltre le tasse in Cina sono più basse di quelle italiane, si risparmia circa un 8%. Però i contributi non sono recuperabili, perchè da quel che ho capito non esistono al momento accordi tra Italia e Cina in questo senso. Per questo in futuro vorrei riuscire a farmi pagare, specialmente se continuerò a lavorare all'estero, una sorta di pensione privata.Del MdT ho sicuramente un bellissimo ricordo: un anno davvero divertente, spensierato, in un paese tutto nuovo (che ancora oggi mi riserva sorprese e sfide quotidiane) e con una disponibilità economica, considerato anche il più basso costo della vita locale, davvero superiore alla media. Vivevo spendendo circa 1400 euro al mese, con un tenore di vita che sicuramente in Italia non avrei potuto mantenere nemmeno dando fondo completamente alla lauta borsa del MdT. Avevo preso in affitto di un monolocale e pagavo più o meno 350 euro al mese, più una trentina di euro per spese tipo internet, acqua calda ed elettricità.Non avendo fatto altri stage precedentemente mi è difficile fare paragoni, ma immagino che quello che differenzia il Master dei Talenti dagli altri sia il trattamento economico di tutto rispetto e l’attenzione con la quale la Fondazione segue gli stagisti per garantire in caso di problemi con l’azienda ospitante una pronta soluzione. Difficile dire se la mia vita è stata cambiata dal MdT o se ho scelto il MdT perchè volevo cambiare vita: sicuramente è stata una fantastica opportunità, capitata proprio nel momento giusto, e  ha dato una “accelerata” al mio percorso.Tornare in Italia? Per il momento non è in programma e credo che non lo sarà ancora per molti anni. Vengo una volta all'anno a trovare parenti e amici; di solito però preferisco godermi le vacanze da queste parti, ci sono ancora molti posti che voglio visitare. I miei genitori soffrono un po' la distanza ma sono convinto che, soprattutto osservando lo sconsolante panorama lavorativo italiano, siano contenti della mia scelta.Testo raccolto da Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Da oggi aperto il nuovo bando del Master dei Talenti: 75 stage a cinque stelle per i migliori neolaureati di Piemonte e Val D'Aosta- Occupati e ben pagati: ecco l'identikit di chi ha partecipato al Master dei Talenti della Fondazione CRT- Due parole con Andrea Martina, ideatore della campagna di comunicazione Master dei Talenti 2009E anche le testimonianze di altri ex tirocinanti CRT:- Chiara Santi, grazie alla CRT ho scoperto la sicurezza sul lavoro e me ne sono innamorata- Francesco Imberti, dalla Cina con amore (per il cibo italiano)- Paola Laiolo, da Torino a Bruxelles inseguendo l'Europa