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Fonderia dei Talenti, gli italiani all'estero hanno uno strumento in più per fare rete e trovare lavoro

Un sito che vuole dinamizzare l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro, per un tipo di italiani in particolare: gli expat. Coloro che hanno deciso di trasferirsi all'estero e che dunque hanno accumulato - e stanno accumulando - esperienze di studio o più spesso di lavoro in Paesi stranieri. Un target particolare, una nicchia molto importante sopratutto considerando che in Italia l'emigrazione sta aumentando a tassi vertiginosi, e dalle ultime ricerche emerge che sono proprio i giovani più brillanti a cercare fortuna fuori confine.Ma tutti questi giovani spesso desiderano mantenere un legame con l'Italia, e se trovassero l'occasione giusta sarebbero ben contenti di poter rientrare; allo stesso modo molte aziende considerano appetibili i cv di chi ha passato qualche anno all'estero, non foss'altro che per la perfetta conoscenza della lingua del Paese d'accoglienza, oltre che per il fatto di aver conosciuto altri metodi di lavoro, altre culture professionali e aver acquisito know how certamente più internazionali.Per questo è nata una nuova fondazione, fortemente voluta da Guglielmo Vaccaro e Alessia Mosca, i due parlamentari che hanno elaborato e portato ad approvazione la legge ribattezzata "Controesodo" che prevede incentivi fiscali per gli under 40 laureati che dopo almeno due anni all'estero abbiano deciso di rientrare in Italia. «Oggi lanciamo il progetto: questa piattaforma con l'aiuto di tutti aiuterà a fare sistema di tutto quello che c'è. Ci sono tanti virus positivi nel nostro sistema che si contaminano uno con l'altro e prendono forza. La Fonderia dei Talenti vuol essere collettore di energie positive. Il mio ingaggio parte su cose molto concrete» ha spiegato la Mosca: «Gli italiani all'estero vogliono sapere cosa succede, avere non solo il contatto con le aziende ma anche l'accesso alle informazioni sulle iniziative. Con la Fonderia vogliamo sprovincializzare un po' questo paese, nel senso positivo».La fondazione infatti si chiama "Fonderia dei Talenti"; collabora strettamente con l'associazione Italents e a fine novembre a Milano, ospitata nella Sala Falck della sede di Assolombarda, ha presentato al pubblico il suo nuovo sito. Con un saluto di buon auspicio da parte del padrone di casa: «Nella mia vita precedente ho usato la legge Controesodo per portare a casa in Italia due giovani che avevano fatto un phd, uno dalla Cina e uno dagli Stati Uniti: un 28enne e un 32enne che oggi vivono e lavorano in Italia» ha infatti detto Michele Angelo Verna, da pochi mesi direttore generale dell'associazione delle industrie lombarde. Il quale ha in effetti una "vita precedente" da direttore delle Risorse umane, e conosce bene dunque il tema dell'incrocio tra domanda e offerta e della costante ricerca dei giovani più talentuosi, anche fuori confine, da parte delle aziende più innovative: «Gli head hunter potranno usare questo sito come una grande banca dati», ha aggiunto.In effetti il sito assomiglia a un social network "geolocalizzato": ognuno può iscriversi e segnalare il proprio desiderio di trovare opportunità in Italia o all'estero. «Abbiamo creato una una piattaforma online gratuita» ha spiegato Lorenzo Pompei [nella foto, in primo piano], segretario generale della Fonderia, illustrando i meccanismi di funzionamento del sito: «Forti del sostegno di Microsoft e Unicredit, abbiamo voluto realizzare una piattaforma di nicchia, attraverso cui vogliamo incentivare uno spirito di collaborazione tra chi è in Italia e i tanti che sono all'estero». Patrizia Fontana, head hunter e co-fondatrice della Fonderia, non ha negato che sia difficile far decollare un nuovo sito come questo, nel mare magnum del web di oggi: «Ma ricordo a tutti che qualche anno fa Linkedin sembrava "strano", ad utilizzarlo erano in pochi: oggi invece noi head hunter lo usiamo tutti». Una scommessa dunque che può essere vinta: «Le aziende hanno una opportunità enorme nell'utilizzare sia la legge Controesodo sia questo nuovo sito. Anche le piccole e medie imprese hanno bisogno di competenze specifiche, e queste possono essere trovate nei giovani italiani all'estero» ha sottolineato Fontana. Il sito della Fonderia potrebbe diventare uno strumento anche per mercati specifici, come quello dei ricercatori e dei docenti universitari. In questo senso è andato l'intervento di Andrea Sironi, rettore della Bocconi: «Le aziende competono in mercati nazionali e internazionali. Anche per gli atenei é così: competiamo sulla faculty cioè sui docenti, e sugli studenti. In Bocconi da diversi anni ci siamo dati una regola: abbiamo un divieto di assumere come docenti i nostri dottorati». Dunque diventa imperativo guardare all'esterno: «Quest'anno abbiamo assunto 15 nuovi docenti, 5 italiani e 10 stranieri. Per noi la legge sul Controesodo é fondamentale, perché rende più competitive le nostre offerte rispetto al gross salary». Puntando l'attenzione su un aspetto misconosciuto: «In questi casi non di rado la variabile cruciale è il coniuge. Molto spesso i grandi centri di ricerca cercano una collocazione anche al coniuge: vi sono per esempio esperienze a Monaco o a San Francisco di università, centri di ricerca, atenei che si mettono in rete e fanno squadra per generare offerte». Concludendo con una nota di realismo: «Tra i nostri giovani all'estero c'è forte il desiderio di rientrare, ma spesso non si trovano le condizioni giuste». Non basta infatti che arrivi un'offerta: per convincere un talento a tornare in patria bisogna che l'offerta sia congrua sotto tanti punti di vista, dall'avanzamento di carriera alla retribuzione adeguata. A questo proposito un progetto affine alla Fonderia dei Talenti è "Destinazione Italia", un piano del governo Letta che dovrebbe entrare in vigore dal 2014 e che ha tra i suoi obiettivi quello di attrarre capitali e talenti dall’estero. «Il nostro tentativo è proprio quello di mobilitare la rete di persone che stanno all'estero e che hanno molte cose da dire» ha confermato Alessandro Aresu, collaboratore del ministero dell'Istruzione proprio su "Destinazione Italia".Anche a livello locale il pubblico si muove: «Bisogna innanzitutto costruire massa critica intorno alla legge controesodo» ha sintetizzato Cristina Tajani,  assessore alle Politiche per il lavoro, sviluppo economico, università e ricerca del Comune di Milano: «Noi abbiamo realizzato varie iniziative sul tema del rientro dei talenti, tra cui un sondaggio realizzato dall'associazione italents». Raccontando poi l'esperienza di Welcome business: «Finanziare l'apertura di imprese StartUp da impiantare nella città di Milano: finora abbiamo selezionato otto progetti che abbiamo presentato e premiato l'anno scorso a dicembre, e che oggi sono diventati giovani imprese che provano a competere sul mercato».Un'iniezione di fiducia nei confronti della risposta positiva del mercato di fronte a una iniziativa come quella della Fonderia dei Talenti arriva anche da  Marco Simoni, oggi capo segreteria del viceministro Calenda e docente in aspettativa di politica economica alla London School of Economics: «Da un anno e mezzo a questa parte le nostre esportazioni sono cresciute più di quelle tedesche e francesi. Bisogna ammettere che alcune cose funzionano nonostante grandi ritardi, nonostante le politiche degli ultimi vent'anni abbiano ignorato che noi siamo un Paese basato sul manifatturiero e sulle pmi. Il problema non è che noi andiamo fuori, ma che nessuno viene dentro: alla London School of Economics ci sono tantissimi italiani. La cifra del tempo in cui viviamo è quella della internazionalizzazione. Non mi stupisce che qualcuno da San Francisco si sia già iscritto al sito della Fonderia dei Talenti» è la sua conclusione: «Magari a tornare non ci pensa per niente, ma per lui è comunque interessante fare parte di una rete. La vecchia emigrazione vedeva il siciliano andare a New York e tagliare i ponti, tornare in Sicilia magari dopo  trent'anni. Invece adesso c'è la rete, che va potenziata. Le informazioni vanno fatte circolare: fare rete è molto importante». Una ideale risposta a distanza a Simoni arriva da Roberto Bonzio, ideatore del progetto multimediale Italiani di Frontiera: «I nostri peggiori difetti? L'incapacità di fare squadra, la diffidenza verso il successo altrui, l'assuefazione alla convinzione che importi più l'appartenenza che il merito» è la sua riflessione: «Bisogna ribaltare il modo di pensare, raccontando modelli e storie positive. Abbiamo ammirato per anni degli autentici somari: l'auspicio è che la Fonderia dei Talenti spazzi via questa fattoria dei somari».Durante la presentazione, poi, particolarmente significativi sono stati due interventi dal pubblico. Il primo quello di Tommaso Arenare, head hunter di Egon Zehnde: «Sono ammirato da questa iniziativa. Questo è un paese che ha il Parlamento più giovane della sua storia, e con la maggior quantità di donne. Guardo con grande ammirazione alla Fonderia perché dimostra che l'Italia può attrarre talento, anche talenti diversi. Quando l'Italia fa così, fa squadra. La crescita arriverà, ci sono tutti gli ingredienti perché il talento si trasformi in crescita». Il secondo quello di un manager di Key to people: «È incredibile come le belle notizie siano poco diffuse. Ho incontrato tantissimi direttori del personale che nemmeno conoscevano la legge Controesodo: questa cosa rattrista un po'. Noi come head hunters abbiamo il compito di mediare tra le aziende italiane e i professionisti, anche quelli che arrivano dall'estero: la Fonderia sarà un acceleratore che noi tutti utilizzeremo e divulgheremo. Anche perché non bisogna dimenticare che i talenti non sono solo i numeri 1: le aziende cercano anche i numeri 2, i numeri 3…». Sono dunque aperte le iscrizioni al sito, che già oggi conta diverse centinaia di iscritti. Nella speranza che ad iscriversi siano anche tante aziende in cerca di talenti da assumere.Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Sulla Rete i giovani italiani scalpitano per fare rete: ITalents sbarca su Facebook, ed è boom- Fuggi-fuggi dall'Italia: sono almeno 2 milioni i giovani all'estero

Tirocini in Lombardia, il 9 dicembre entra in vigore la nuova normativa

In Lombardia è cominciato il conto alla rovescia: tra meno di due settimane entrerà finalmente in vigore la nuova normativa in materia di stage elaborata e approvata nei mesi scorsi dalla Regione guidata da Roberto Maroni. Lo scorso 25 ottobre c'era stato in giunta l'ultimo voto alla delibera, ma mancava ancora un passaggio: «i presenti Indirizzi» si leggeva nel testo  «entreranno in vigore 30 giorni dopo la pubblicazione dei decreti dirigenziali che definiscono i modelli di convenzione di tirocinio e progetto formativo individuale» [clicca qui per scaricare la delibera in formato pdf]. Risultato, un comprensibile timore che la questione si tirasse per le lunghe. Invece no. La Regione è stata di parola e a sole due settimane dall'approvazione in giunta, sul Bollettino ufficiale dello scorso 8 novembre, ha pubblicato il Dduo (acronimo che sta per «Decreto Dirigente Unità Organizzativa») 5 novembre 2013 - n. 10031 intitolato «Nuovi indirizzi regionali in materia di tirocini – Disposizioni attuative». Un documento di 16 pagine focalizzato sopratutto su un particolare tipo di tirocini, quelli svolti da soggetti stranieri. La Repubblica degli Stagisti ha dunque contattato la Regione per chiedere delucidazioni in merito, e sopratutto capire se questo documento avrebbe chiuso l'iter per l'entrata in vigore della legge, malgrado nella delibera del 25 ottobre si parlasse di «decreti dirigenziali» al plurale. L'ufficio Comunicazione istituzionale della Regione ha risposto subito confermando che il documento in questione è quello definitivo: «In materia di tirocini, al momento, non è prevista l'approvazione di altri documenti». Dunque il countdown è ufficialmente partito l'8 novembre e si concluderà il giorno dopo l'Immacolata: «I nuovi indirizzi regionali in materia di tirocini entrano in vigore a partire dal 9 dicembre». Dalla Regione specificano che «l'allegato A del Decreto n. 10031 riporta gli standard minimi richiesti per la stipula delle convenzioni e dei progetti formativi individuali (Allegato A) e i format per la redazione della convenzione, dei progetti formativi e della relazione finale». [clicca qui per scaricare il dduo in formato pdf]. È l'ultimo atto - almeno per ora - di un lungo percorso che la Repubblica degli Stagisti ha seguito con attenzione fin dall'inizio. In estrema sintesi, ai tempi della riforma Fornero era stata avviata una riflessione sulla necessità di riformare anche la normativa sugli stage, introducendo alcune garanzie in favore degli stagisti tra cui il diritto a ricevere una congrua indennità. Essendo lo stage un argomento ostico dal punto di vista delle competenze (le più recenti interpretazioni giuridiche vogliono questo strumento spezzato esattamente a metà: gli stage svolti durante il periodo di studi - «curriculari» - sarebbero di competenza statale, quelli svolti al di fuori, dunque una volta diplomati o laureati - «extracurriculari» - di competenza regionale), la strada intrapresa dal governo Monti era stata quella di sedersi al tavolo con i rappresentanti delle Regioni, in sede di Conferenza Stato-Regioni, ed elaborare delle «linee guida» che poi ciascuna si sarebbe impegnata a tradurre in propria normativa regionale. Le linee guida hanno visto la luce a fine gennaio di quest'anno: delineavano tutta una serie di paletti da porre agli stage. Ogni Regione avrebbe dovuto implementarle entro 6 mesi; la Regione Lombardia aveva però accumulato un po' di ritardo, arrivando alla deadline di fine luglio con una bozza pronta ma non ancora approvata.Ci sono voluti due passaggi, uno all'inizio di settembre e uno a fine ottobre, per arrivare alla definizione della normativa lombarda. Non senza bracci di ferro e polemiche, anche perché la giunta Maroni ha scelto di andare al di là del tracciato, e di normare non solo i tirocini extracurriculari (di sua competenza), bensì anche quelli curriculari.La nuova normativa presenta aspetti certamente positivi, altri migliorabili, altri ancora decisamente negativi che la Repubblica degli Stagisti ha a più riprese evidenziato alla Regione. E ovviamente già c'è chi sta vivisezionando il testo e chiedendo delucidazioni alla Regione rispetto alla interpretazione dei singoli passaggi. Per esempio CS&L, consorzio che raggruppa oltre 40 organizzazioni non profit, ha inviato nei giorni scorsi alla Regione un documento dettagliato su due colonne: a sinistra il dettato della normativa e a destra i quesiti sui singoli articoli. Per esempio, là dove si si legge che i «destinatari» dei «tirocini extracurriculari “formativi e di orientamento”» sono persone che abbiano «conseguito un titolo di studio entro e non oltre 12 mesi, inoccupati in cerca di occupazione, disoccupati e occupati con contratto di lavoro o collaborazione a tempo ridotto», CS&L chiede se ci sia «un parametro preciso per dire che è a tempo ridotto». Poco più sotto, relativamente ai destinatari dei «tirocini extracurriculari di “inserimento / reinserimento al lavoro”, finalizzati a percorsi di inserimento / reinserimento nel mondo del lavoro» indicati quali «inoccupati in cerca di occupazione, disoccupati, lavoratori sospesi, in mobilità e occupati con contratto di lavoro o collaborazione a tempo ridotto», CS&L incalza: «Cosa si intende per “lavoratori sospesi”?». Rispetto al divieto posto dalla nuova normativa di avviare tirocini in aziende che abbiano «in corso procedure di CIG straordinaria o in deroga, per mansioni equivalenti a quelle del tirocinio», CS&L si concentra sulle altre tipologie utilizzate dalle aziende in crisi, domandando alla Regione: «Contratti di solidarietà e mobilità rientrano tra gli elementi che impediscono l’attivazione di tirocini?» (ma qui la risposta sembra già evidentemente negativa). E ancora, di fronte alla promessa della normativa di vietare gli abusi, prevedendo che non possano essere accolti per «sostituire i lavoratori con contratti a termine nei periodi di picco delle attività né sostituire il personale nei periodi di malattia, maternità, ferie o infortuni, o per ricoprire ruoli necessari all'organizzazione», CS&L chiede alla Regione Lombardia di specificare a chi competa «la funzione di verifica di questi condizioni».Tutte domande che per ora restano senza risposta; Marco Forlani, responsabile dell'area Lavoro di CS&L, spiega alla Repubblica degli Stagisti di aver parlato con un funzionario che gli ha prospettato la pubblicazione a breve, da parte della Regione, di una serie di Faq (“frequently asked questions”) per spiegare i punti meno chiari del testo. Faq che ancora però sul sito non si trovano.Pur restando in attesa di questi dettagli, il 9 dicembre sarà comunque un giorno importante per tutte le persone che sul territorio lombardo si accingono ad entrare nel mondo dello stage nella sua forma extracurriculare: da quella data potranno fare riferimento a un impianto normativo un po' più tutelante, a cominciare dal compenso minimo che la giunta Maroni ha fissato in almeno «400 euro mensili, al lordo delle eventuali ritenute fiscali», che si riducono a un minimo di «300 euro mensili qualora si preveda la corresponsione di buoni pasto o l’erogazione del servizio mensa», oppure nel caso di stage part-time («qualora l’attività di tirocinio non implichi un impegno giornaliero superiori a 4 ore»), o infine nei casi in cui «il soggetto ospitante sia una Pubblica Amministrazione».Ma attenzione: solo chi farà stage extracurriculari verrà avvantaggiato dalla nuova normativa lombarda. Tutti gli studenti - di scuole, corsi, università, master - che faranno invece stage inquadrabili come «curriculari» saranno anzi in un certo senso danneggiati da questa nuova formulazione. La delibera di giunta approvata dalla Regione infatti prevede un «liberi tutti» per questo tipo di tirocini, permettendo per esempio che una stessa persona possa fare presso lo stesso soggetto ospitante più di uno stage. Cadono i vincoli numerici che imponevano una proporzione massima tra stagisti e risorse umane presenti: ciò di fatto permetterà a un'azienda in Lombardia di avere un numero potenzialmente infinito di stagisti curriculari (oltre a quelli extracurriculari, per i quali però è almeno previsto un tetto massimo pari al 10% del personale dipendente o collaboratore). Inoltre, a differenza come si diceva sopra di quelli extracurriculari, gli stage curriculari sono permessi anche alle realtà che abbiano effettuato licenziamenti nei 12 mesi precedenti o che abbiano in corso procedure di cassa integrazione. Oltre al fatto che, è bene ricordarlo, agli stagisti curriculari non viene garantito nemmeno un minimo di indennità di partecipazione, rendendoli i "cugini poveri" degli stagisti extracurriculari.Dunque benvenuta alla nuova legge regionale lombarda in materia di stage, ma tenendo bene a mente che essa tutela solo una metà degli stagisti, e lascia scoperta (anzi, in condizioni peggiori che in precedenza) l'altra metà. Per la quale si spera il prima possibile in un intervento del ministero dell'Istruzione, che si decida a far uscire dalla «vacatio legis» i tirocini curriculari, dando anche a loro un quadro normativo certo e tutelante.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Tirocini in Lombardia: la nuova legge non è ancora operativa, mancano i decreti dirigenziali- Tirocini in Lombardia, Ambrosoli e Castellano: «Subito i decreti dirigenziali, altrimenti la delibera sarà solo un annuncio»E anche:- La Corte costituzionale annulla l'ultima legge sugli stage: «Solo le Regioni competenti in materia»

Troppi atenei, troppi docenti, troppi laureati: i falsi miti che affossano l'università italiana

In Italia ci sono troppi atenei, ci sono più docenti che studenti e questi ultimi non pagano abbastanza l'iscrizione all'università. Sarà vero? Il mensile Altreconomia ha recentemente “smascherato” alcuni miti che ruotano intorno al mondo accademico, frutto di distorsioni dell'informazione non sempre casuali ma guidate a volte da precisi intenti politici. Per sfatare queste leggende metropolitane, pericolose per la percezione e la qualità dell'università italiana, è nato Roars sta per “Return On Academic ReSearch”, un network composto da ricercatori e docenti con l'obiettivo di intervenire in modo credibile nella discussione intorno al settore universitario e della ricerca in Italia. L'intento della rete è quello di rivolgersi agli interlocutori che devono gestire il processo di trasformazione dell’università italiana, specialmente le forze politiche che si candidano a governare il Paese. Tra i membri di Roars c'è Giuseppe Di Nicolao, docente ordinario di Identificazione dei modelli di analisi dei dati presso il dipartimento di ingegneria industriale e dell'informazione dell'università di Pavia. “Scontiamo un grave ritardo su istruzione e formazione che deriva da un retroterra storico molto svantaggiato” ha detto Di Nicolao ad Altreconomia. “Non è solo una sensazione quella per cui ci sia una distorsione dell'informazione”. Primo mito: si sente dire che in Italia avremmo troppi atenei. Eppure secondo l'Ocse - che ogni anno pubblica dati sui sistemi universitari dei Paesi aderenti - nel 2009 l'Italia aveva 1,6 atenei per milione di abitanti. La Spagna 1,7, la Gran Bretagna 2,3, l'Olanda 3,4, la Germania 3,9, la Francia 8,4, gli Stati Uniti 14,5. La Repubblica degli Stagisti ha contattato Di Nicolao per approfondire ulteriormente questo tema: «l'Italia è stato fino agli anni '70 un paese analfabeta. Poi c'è stato il boom dell'istruzione. O almeno, sembrava un boom ma in realtà si era, e si è ancora, addirittura indietro rispetti agli altri stati». Secondo Di Nicolao la prova sta nel numero di laureati tra i 25 e i 34 anni: «Siamo ultimi in Europa». Sì, ultimi come numero di laureati e lo confermano i dati: 21% contro una media Ocse del 39%, nella fascia delle persone tra 24 e 35 anni. Ma non ne avevamo troppi? Altra disinformazione. Anzi, secondo il consorzio interuniversitario Almalaurea le immatricolazioni si sono ridotte del 13% in sette anni. Ulteriore leggenda da sfatare quella relativo al numero di docenti (intesi dall'Ocse come chiunque faccia attività didattica): si sente dire anche in questo caso che l'Italia sarebbe un paese densamente popolato da professori; ma in realtà il loro numero, in rapporto agli studenti, fa piazzare l'Italia al 21esimo posto su 26 Paesi. Un dato disponibile a tutti da diversi anni, come ammette lo stesso Di Nicolao, ma non utilizzato probabilmente perché non conforme con una certa ideologia politica. Anche sui dottorandi non c'è storia, l’Italia ricopre gli ultimi posti in questa classifica: è al di sotto della media Ocse e si colloca in 21esima posizione su 32 nazioni. «Non abbiamo un sovrappiù di docenti» conferma infatti ad Rds De Nicolao. Quindi quando politici e studiosi dicono che è necessario tagliare risorse per il fatto che ci sono troppi docenti, non è vero? «Si fa leva su luoghi comuni che derivano da una prospettiva sbagliata». E a proposito di costi l'analisi di Altreconomia continua spiegando come molti sostengano che le tasse degli studenti (in media 7mila euro l'anno) siano insufficienti a coprire il reale costo del sistema. Ancora l'Ocse, invece, ci indica come terzi nella classifica delle rette: più care dell'Italia solo Gran Bretagna e Olanda. Dal momento che il costo medio per studente è tra i più bassi in Europa, e le tasse sono alte e lo Stato italiano investe poco, si può dire che, dati alla mano, l'Italia spende molto poco per la sua scuola. Anzi, più precisamente l'Italia spende meno di tutte le nazioni europee, tranne che dell'Ungheria. Ancora si possono ricordare le parole dell'ex ministro Mariastella Gelmini la quale diceva che l'università italiana costava troppo. E furono approvati i tagli: da 7,3 siamo passati a 6,6 miliardi di euro, diventando il taglio più corposo in Europa.«Quello che è un problema strutturale viene ricondotto a problema antropologico» continua Di Nicolao. «Cioè si dice: ci sono troppi anziani nelle università e i giovani sono pigri. Ma questo è un modo di non vedere il reale problema che sta nel sostegno allo studio. Ad esempio ci sono borsisti hanno tutti i requisiti per avere diritto al sostegno allo studio. Per mancanza di risorse questo non viene dato».Viene da chiedersi: la disinformazione fa parte degli intenti politici, e se sì, qual è l'obiettivo? Ancora Di Nicolao: «sicuramente c'è una lettura ideologica, quindi succede che opinionisti e studiosi predichino sempre la stessa ricetta distorcendo i dati a sostegno delle proprie tesi. È come il fanatismo religioso: nessuno usa un approccio scientifico parlando di università. Rimasi stupito sentendo dire un ex ministro dell'istruzione, che era stato anche rettore di università, che l'Italia è l'unico paese ad avere così tanti 'fuori corso'. Ma i dati dicono il contrario. Ecco, è dannoso parlare solo attraverso preconcetti perché poi la politica non risolverà i problemi veri. Non sa individuarli». In conclusione, la domanda che Di Nicolao si pone - e che si era posto anche su Altreconomia - è di cruciale importanza: «Che sistema produttivo è quello che non sa che farsene della percentuale più bassa di laureati in Europa? Un sistema arretrato». Un Paese talmente poco istruito che non percepisce nemmeno il ritardo in cui vive: il fatto che un laureato non trovi lavoro nel Paese con il più basso tasso di laureati in Europa è un segnale allarmante di un sistema produttivo bloccato e senza soluzioni.Maurizio BongioanniPer saperne di più su questo argomento, leggi anche gli articoli:- Italiani incompetenti perfino se laureati, maglia nera dell'Ocse- Con la cultura si mangia in tutto il mondo, perché in Italia no?- Decreto Fare, cosa cambia per università e ricerca  

Safari Job, luci e ombre dei tirocini riservati ai figli dei dipendenti pubblici

Sono stati presentati a fine ottobre i risultati del primo – e per ora unico – progetto Safari Job, realizzato nel 2011-2012: un programma di 400 tirocini all'estero di quattro o sei mesi finanziati dall'ex Inpdap, ora Gestione dipendenti pubblici dell'Inps, che ha coinvolto circa 300 figli di lavoratori statali. Requisiti: un diploma o una laurea con un buon voto, lo stato di disoccupazione, l'età inferiore ai 32 anni e un reddito che non superasse i 32mila euro. I dati che ha fornito l'Agenzia Giovani, l'ente che ha gestito i tirocini in partnership con l'istituto previdenziale e ha poi eseguito un monitoraggio a sei mesi dall'esperienza, sono apparentemente buoni. Dei circa 230 ragazzi intervistati più di un terzo sta lavorando, mentre il 31,6% sta proseguendo il percorso di studi. I restanti si dividono tra chi ha intrapreso un altro tirocinio (12,7%), e chi è tornato inattivo (19,6%). A ben vedere però questi numeri non dicono molto sulla effettiva riuscita del Safari job: non è specificato infatti se quel terzo di giovani occupato lo è direttamente nell'azienda in cui è stato ospitato, oppure ha trovato lavoro da sé. Il che significherebbe che lo stage, magari di per sé molto formativo, ha solo contribuito all'arricchimento personale e del curriculum. Non è il solo aspetto del programma a sollevare qualche perplessità, benché l'intenzione di fondo sia inappuntabile: il rispetto delle linee guida stabilite da Bruxelles nell'ambito del cosiddetto libro verde in materia di tirocini, approvato nel 2009 con lo scopo di implementare la mobilità dei giovani europei e promuoverne l'apprendimento - anche nell'ottica di fornire elementi di controllo per evitare la piaga, molto radicata in Italia ma diffusa più o meno in tutta Europa, dei giovani inattivi, i cosiddetti Neet (nello stesso quadro in cui si colloca anche la Garanzia Giovani appena varata dal ministero del Lavoro). Una sorta di fase due quindi rispetto ai vari Leonardo, Erasmus e Comenius, in cui agli Stati membri è richiesto un impegno maggiore per politiche più incisive, efficienza negli interventi di follow up e riconoscimento di competenze ex post. Il Safari Job ha però una caratteristica tutta sua. Si legge sul bando che «per la partecipazione al tirocinio formativo è previsto il versamento di un contributo calcolato in relazione all’Isee e alla durata prescelta dal candidato per il soggiorno», un obolo da versare prima della partenza che varia dai 300 euro (per 4 mesi e con un Isee inferiore agli 8mila euro) ai 2mila (per tirocini semestrali e con reddito dai 24 ai 32mila euro). Senza che sia previsto alcun rimborso spese per lo stage. In compenso però il contributo dà diritto a una serie di facilitazioni, che di fatto riducono al minimo la necessità per i ragazzi di fare appello alle proprie finanze: è garantita infatti la copertura dell'alloggio nel Paese straniero (spesso presso famiglie che offrono ospitalità come secondo lavoro), le spese del viaggio più quelle per i trasporti locali, un corso di lingua in loco, un seminario di preparazione pre stage, l'assicurazione sanitaria. Meccanismo questo che non è peraltro limitato ai Safari Job, come spiega alla Repubblica degli Stagisti Paola Trifoni, coordinatrice per il progetto dell'Agenzia Giovani: «Ogni dipendente pubblico deve versare per legge un piccolo tributo mensile destinato a un fondo speciale (il cosiddetto Fondo Credito, ndr), a cui poi tutti gli assicurati possono attingere per usufruire di prestazioni creditizie agevolate» come mutui, prestiti o altro. Benefit che esistono anche in altre casse di previdenza, ma che per la Gestione separata dell'Inps - cui sono iscritti d'ufficio tutti i dipendenti pubblici italiani - si estendono anche a vacanze studio, master, borse di studio, corsi di aggiornamento professionali per i figli dei dipendenti, il tutto finanziato in parte con trattenute minime sugli stipendi dei lavoratori (in media dello 0,5%) e in parte da quote di partecipazione corrisposte in anticipo sull'attività, come nel caso del progetto in questione. «Con il risultato che molti familiari dei dipendenti si trovano a poter frequentare un master o usufruire di una vacanza studio in convenzione a costi stracciati» sottolinea la Trifoni. Ma il caso degli stage non può passare inosservato: possibile che un colosso previdenziale come l'Inpdap, oggi fuso con l'Inps, non sia in grado di erogare un rimborso spese 'reale' agli stagisti selezionati, invece di somministrarlo sotto forma di 'pacchetto tutto incluso' previo contributo iniziale sostenuto dai genitori? Senza contare l'aspetto della scelta delle aziende ospitanti, di quelle che impartiscono i corsi di lingua o delle famiglie ospitanti. «Se ne occupano agenzie sul posto cui ci affidiamo» è la risposta un po' ponziopilatesca della Trifoni, che sottintende che l'Agenzia non vigila in prima persona sulla qualità degli stage. La brochure sui risultati del progetto parla addirittura di tirocini spezzettati in più imprese: «185 hanno svolto lo stage in un'unica azienda, e i restanti 126 lo hanno fatto in diverse aziende, da due a quattro». Elemento paradossalmente considerato positivo, perché ha dato «la possibilità di sviluppare il know how in diversi ambiti lavorativi», si legge. Gli ex tirocinanti intervistati nel video di presentazione del Safari Job (nel 2012) si dicono – naturalmente – entusiasti di aver partecipato. Nunzia Patruno [nella foto], pugliese e avvocato, racconta di essere stata assegnata all'Eurodesk di Bruxelles (restando quindi «in casa»: curiosamente è infatti la stessa agenzia, versione belga, che fornisce il supporto tecnico all'iniziativa dell'Inpdap), e di essersi occupata del sito dell'organizzazione. È convinta che l'opportunità «la aiuterà in futuro a inserirsi meglio nel contesto lavorativo». Lo stesso tirocinio, nello stesso ente, lo ha svolto anche la 22enne Irene Artesano, laureata in Scienze della Comunicazione. «Aggiorno i dati per il portale, ho migliorato la lingua e mi confronto con persone diverse», afferma. «Ho imparato a controllare l'emotività» spiega ancora Chiara Guerra, 24enne di Lecce, laureanda e stagista presso un'agenzia interinale inglese. Dell'esito di questi tirocini, però, non è dato sapere. Gianluca Troiano, 31enne di Chieti e laureato in Sociologia, ha fondato un gruppo su Facebook dedicato ai tirocini Safari Job. Adesso è di nuovo disoccupato, eppure si dice soddisfatto: «Sono un diversamente abile e non è facile trovare da solo un'azienda compatibile con i propri interessi». Per 20 settimane in una cittadina del sud dell'Inghilterra, dove ha svolto lo stage presso una charity, ha pagato 1250 euro, ma nel complesso «giudico quei mesi positivi». La richiesta di pagamento della quota che deve comunque aver scoraggiato i quasi 500 rinunciatari di cui si scopre l'esistenza nella relazione finale: sono più di un terzo degli 800 selezionati. Anche sul forum della Repubblica degli Stagisti i dubbi sulla validità del progetto non mancano: «L'organizzazione lascia molto a desiderare, nessun colloquio bensì solo alcuni documenti da compilare, cv, lettera di presentazione e videocv» scrive in un post una ragazza che si firma Fragolina. Gli fa eco Arciere87: «Io stesso ho avuto problemi, così come molti altri ragazzi che si sono trovati in seria difficoltà». Per ora il bando resta sospeso, «avendo esaurito i fondi a disposizione» precisano sul sito di Safari Job. In attesa forse che si facciano avanti altre centinaia di giovani disposti a pagare per un tirocinio all'estero. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani- Mae-Crui, la vergogna degli stage gratuiti presso il ministero degli Esteri: ministro Frattini, davvero non riesce a trovare 3 milioni e mezzo di euro per i rimborsi spese?- Nuova risoluzione Ue, regolamento europeo sugli stage più vicino- Stage all'estero senza assicurazione sanitaria: le storie di chi ci è passato

Nestlé needs YOUth, Van Rompuy: «Iniziativa da cui trarre ispirazione». Il ministero: «Speriamo che altre aziende si uniscano»

10mila posti di lavoro e altri 10mila opportunità di stage, nei prossimi tre anni, senza per questo licenziare o prepensionare gli attuali dipendenti. Una iniziativa che la multinazionale Nestlé ha presentato lo scorso venerdì a Roma, in contemporanea con la Grecia, attraverso un dibattito da cui sono emersi spunti interessanti. La mattinata è stata aperta da Alessandra Del Boca, membro del Consiglio del Cnel, che ha fatto gli onori di casa: «Dico benvenuta a questa iniziativa che butta sul tappeto dei posti di lavoro e che permette ai ragazzi di avere una opportunità». A entrare nel dettaglio del progetto sono stati i supermanager della Nestlé. Prima Laurent Freixe, vicepresidente esecutivo di Nestlé e Zone Director per l’Europa, che in un messaggio video ha raccontato questa «iniziativa ambiziosa per aiutare i giovani a sviluppare le proprie competenze e a trovare un lavoro», ripercorrendo i passaggi di una «crisi finanziaria che si è trasformata in crisi economica, poi sociale, e infine in alcuni paesi anche politica». L'intenzione è quella di dare una mano ai governi nel gestire la drammatica situazione occupazionale dei giovani europei: «La politica ha un ruolo nel creare occupazione, ma il è il settore privato a fornire il più alto numero di posti di lavoro. Noi in Nestlé abbiamo una lunga tradizione nell'assumere giovani». Non ci saranno, ha aggiunto Freixe, solo le 20mila opportunità aperte all'interno del gruppo, ma anche un coinvolgimento capillare della rete dei fornitori e dell'indotto: «una “Alliance” che aprirà altre opportunità in vari settori, dalla logistica all'amministrazione».Subito dopo Leo Wencel, capo Mercato del gruppo in Italia, ha parlato di un «progetto che aiuterà i giovani di tutta Europa a sviluppare le proprie competenze e a trovare un lavoro» e ribadito che «le aziende creano occupazione in Europa e il loro contributo è essenziale. Oggi possiamo e dobbiamo fare di più per aiutare i giovani a trovare un lavoro».Spianando la strada al secondo (e ultimo) video messaggio della giornata, quello di Herman Van Rompuy: «Un giovane su quattro é disoccupato, malgrado a volte un'eccellente livello di istruzione» ha esordito il presidente del Consiglio Europeo. «Dove i governi possono aiutare le condizioni, le aziende possono aprire opportunità» ha continuato, riservando parole lusinghiere al progetto di Nestlé: «Sono ammirato, é la prima iniziativa così grande di cui vengo a conoscenza. Sarà utile per risollevare l'economia, e ispirerà anche noi».Giacomo Piantoni, direttore delle Risorse umane del gruppo in Italia [nella foto, a fianco di Wencel], ha spiegato come questa scelta aziendale si collochi nel perimetro delle azioni di responsabilità sociale dell'impresa: «L'iniziativa si interseca nel nostro progetto di csr, per creare valore nel tessuto sociale all'interno del quale l'azienda opera, al di là dei profitti per gli azionisti». Per una volta dunque viene messa da parte la rigida logica dei numeri: «I criteri su cui verranno valutati i risultati di questa iniziativa non saranno solo di profitto e redditività, bensì anche quelli relativi all'area della creazione del valore condiviso. Vogliamo dare un messaggio di speranza e di coraggio a tutti i giovani che stanno cercando lavoro in Italia».Ma come sarà strutturato in concreto questo progetto? Piantoni ha spiegato che le mille opportunità previste per l'Italia saranno suddivise in 600 stage e circa 450 assunzioni nelle aree di business. Più nel dettaglio, “Nestlé needs YOUth” sarà  suddiviso in quattro assi. Il primo: avvicinare il mondo del lavoro ai giovani, aprendo l'azienda ai giovani. Qui avranno spazio azioni come le visite nei siti produttivi, nelle sedi, nei magazzini; workshop su come si costruisce un cv. «Faremo parlare i nostri giovani, quelli che sono appena entrati in azienda, con i giovanissimi» ha raccontato Piantoni: «Intendiamo poi intensificare la presenza nelle job fairs e avviare partnership sempre più spinte con le università e le scuole secondarie; abbiamo già belle iniziative con Sanpellegrino campus, vogliamo moltiplicarle».Il secondo asse è quello degli stage e tirocini di qualità, in cui la filiale italiana già dimostra da anni un'attenzione particolare attraverso l'adesione al network della Repubblica degli Stagisti: «Aumenteremo di circa il 50% il numero degli stage, anche intensificando l'alternanza tra studio e lavoro». I tirocini non avranno luogo soltanto nelle sedi italiane del gruppo: «In questo ambito si pone l'iniziativa "solidarietà nord-sud": Nestlé ha 153 fabbriche, 18 centri di ricerca, 94mila dipendenti. Ovviamente, le opportunità maggiori si trovani nei Paesi del Nord. Dunque facendo network tra le filiali di Nestlé in Europa genereremo un risultato interessante».Terzo asse, le assunzioni nei business: «Malgrado la crisi, ci sono dei business che crescono. Per esempio Nespresso, Dolcegusto, Baci perugina, Antica gelateria del corso sono aree in espansione», e su quelli prevalentemente si concentreranno gli ingressi attraverso contratto. «Con questo progetto abbiamo proprio cambiato mentalità. Prima pensavamo che per affrontare il momento di difficoltà avremmo dovuto rimpicciolirci, ora pensiamo alla crisi come opportunità, stiamo pensando anche di fare insourcing di alcune attività importanti». Quarto e ultimo asse, il coinvolgimento degli stakeholders: «È importantissimo il ruolo del sindacato; e poi alcuni nostri fornitori hanno già chiesto di collaborare a questa iniziativa». Il sindacato infatti plaude compatto all'iniziativa ed è impaziente di mettersi al tavolo per stilare un accordo che regoli questa iniziativa. «Non mi stupisce che un progetto del genere venga da Nestlé, con cui le relazioni sindacali sono assolutamente consolidate» è il commento di Stefania Crogi, segretaria nazionale della Flai, ramo della Cgil che segue il settore dell'agroindustria: «L'azienda auspica un accordo quadro, e io penso che sia obbligatorio farlo: noi siamo pronti con la penna in mano per disciplinare questo bisogno di giovani che ha Nestlé». Sulla stessa linea Stefano Mantegazza, segretario generale Uila-Uil: «Il progetto è straordinario innanzitutto per la dimensione europea. Il mio auspicio è che il segnale sia raccolto dal nostro governo e Parlamento, perché anche qui si vuole uno choc nel rapporto tra università e impresa. Per troppo tempo abbiamo vissuto una cesura tra cultura e azienda, invece dobbiamo essere consapevoli che quest'ultima è un luogo dove si costruiscono persone, opportunità professionali, e si costruisce sapere». Mentre il rappresentante della Fai-Cisl, Fabrizio Scatà, ha posto l'accento sul valore sociale dell'iniziativa: «Plaudo all'iniziativa di Nestlé; è importante quando il privato dà un significato alla sua missione, che non sia solo di profitto ma anche di attenzione sociale. Il progetto si propone di non penalizzare gli attuali occupati, dunque ci sarà una implementazione dell'organico». Aprendo nel finale del suo intervento anche una riflessione sul ruolo del pubblico in questo contesto: «Le politiche attive del lavoro e del collocamento rappresentano un grande problema nel nostro Paese. Anche per questo i soldi pubblici dovrebbero essere dati solo alle aziende etiche, che rispettano i contratti di lavoro e rispettano il territorio e le persone».L'iniziativa di Nestlé insomma raccoglie molti complimenti. Ma c'è anche chi utilizza l'evento di presentazione per ricordare che un progetto singolo di una singola impresa, anche se con numeri significativi, non basta. «Sono scioccato positivamente da quello che ho visto e dalla filosofia che c'è dietro. Reagire in maniera proattiva e credendo al futuro è un messaggio di speranza» è la considerazione di Stefano Da Empoli dell'I-com, l'Istituto per la competitività, che ha allargato subito la sua analisi alle azioni che il governo dovrebbe mettere in atto: «Nel breve periodo si devono trovare le risorse per tagliare il carico fiscale almeno sui giovani», per fronteggiare quella che è una vera e propria «emergenza sociale». Ma attenzione: «Non si possono immaginare provvedimenti che riguardino solo 10, 20 o anche 100mila persone. Dunque la riduzione del cuneo fiscale è il primo obiettivo, ancor più che rivedere i contratti». Secondo Da Empoli, ricercatore all'università RomaTre, l'intervento dello Stato è improcrastinabile: «Le iniziative private come questa, pur notevolissima, non bastano. Ci vuole un intervento pubblico strutturale, per esempio per avvicinare i giovani alle aziende già durante la scuola superiore, sicuramente all'università» e ripensare la lunghezza degli studi: «In Italia ci si laurea non prima dei 25-26 anni, questo ci pone in ulteriore difficoltà».Ancor più focalizzato su questi temi l'intervento di Marco Oriolo, vicepresidente dei giovani imprenditori di Confindustria: «La disoccupazione è il non solo dramma del paese, ce ne sono molti altri: la troppa burocrazia, lo spreco di capitale umano. Ma non servono incentivi o bonus alle assunzioni per convincere una impresa ad assumere, questi sono solo palliativi: l'impresa assume se serve forza lavoro al suo business. Dunque la crescita é l'unica via: bisogna trovare il modo di incentivarla. C'è bisogno di una riduzione degli adempimenti burocratici, di flessibilità del lavoro in entrata e in uscita, di una semplificazione delle leggi sul lavoro. E poi ci vuole una riforma fiscale: per una tassazione più giusta non solo per le persone ma anche per le imprese». Oriolo ha ricordato che «su 100 euro che un'impresa guadagna, gliene rimangono 32, contro una media Ocse tra 55 e 65: una situazione che noi consideriamo quasi di confisca. Questo conta nel campo della competitività con le imprese straniere» e ha puntato anche il dito sulla scarsa comunicazione tra le agenzie formative e il tessuto imprenditoriale: «Bisogna lavorare sulla formazione dei giovani e su una maggiore relazione tra scuola e lavoro; sull'orientamento dei ragazzi, non solo per l'università ma anche per la scelta delle scuole superiori. Noi sosteniamo l'apprendistato e lo consideriamo un ottimo strumento, anche se bisogna ancora limare qualche vincolo: ma la transizione scuola lavoro nel nostro paese non funziona bene. Solo 3 giovani su cento affiancano esperienze di lavoro alla scuola: la media europea è al 13%, la virtuosa Germania è già al 22%». Insomma, secondo Oriolo il progetto “Nestlé needs YOUth” è interessante ma il punto focale è «mettere le imprese in grado di offrire naturalmente posti di lavoro, in modo che il processo di contrasto alla disoccupazione giovanile sia strutturale»: dunque «il modo migliore per dare opportunità ai giovani» non sta secondo Confindustria «nel fare iniziative riservate a questo target», e qui il riferimento esplicito è alla Youth Guarantee, bensì nel «sostenere la crescita e lo sviluppo delle imprese e delle start up».Le considerazioni di Oriolo vengono in parte contestate da Anna Laura Marini, vicedirettore della Direzione generale per l'istruzione e la formazione tecnica superiore del ministero dell'Istruzione, che nel suo intervento cita i tre regolamenti emanati nel 2010 che hanno riformato i licei e le scuole tecniche professionali: «Oggi non possiamo più dire che i programmi sono sbagliati, perché i programmi non ci sono più. Nei regolamenti c'è un soggetto nuovo, il "comitato tecnico scientifico" in cui ci dovrebbe stare anche l'impresa, per avere voce in capitolo su come quella scuola costruisce il proprio piano di studi».Dopo un intervento di Anna Ascani, 26enne parlamentare del Partito democratico eletta in Umbria - patria della Perugina, uno dei fiori all'occhiello del gruppo Nestlé - che ha ricordato come i giovani deputati rappresentino «non solo delle parti politiche ma anche una generazione all'interno del parlamento» e ha fatto un riferimento alla Youth Guarantee («Noi la chiamiamo l'Europa buona, non solo quella del fiscal compact. L'Europa ci mette a disposizione dell'Italia 1 miliardo e 200 milioni di euro: soldi che non vanno sprecati, bensì usati per incrementare il numero dei ragazzi che utilizzano i servizi pubblici al l'impiego»), a Daniele Fano - braccio destro del ministro Giovannini, assente giustificato per una influenza - è toccato il compito il compito chiudere l'evento. «Una volta il Friuli produceva l'80% delle sedie di tutto il mondo, oggi ne produce una frazione infinitesimale. La crisi in Italia pone una sfida aggiuntiva rispetto agli altri paesi: la sfida di rilanciare un modello che va reinventato» ha esordito il responsabile della segreteria tecnica del ministero del Lavoro: «Il ministro Giovannini, che è stato all'Istat e prima ancora all'Ocse, ama dimostrare che quelle imprese che si dimostrano attente ai temi sociali sono anche quelle che vanno meglio nel business. Mi metto il cappello di sindacalista e a Nestlé dico: aiutateci ancora di più, con i fornitori, con l'indotto». Richiesta prontamente afferrata da Leo Wencel: «Possiamo creare un'onda di collaborazione, questo sarà il frutto vero di questa operazione».Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- 20mila opportunità di stage e lavoro, Nestlé lancia un progetto europeo per l'occupazioneE anche:- Youth Guarantee, le richieste delle associazioni giovanili al ministero del Lavoro- Una «dote» per trovare lavoro e 400 euro al mese di reddito di inserimento: la proposta di Youth Guarantee

20mila opportunità di stage e lavoro, Nestlé lancia un progetto europeo per l'occupazione

Se i numeri della disoccupazione giovanile in Italia sono spaventosi, peggiori solo di quelli di Grecia e Spagna, non è che il resto d'Europa sia immune dal problema. Con situazioni e intensità diverse, la grande crisi globale comporta per le nuove generazioni che si affacciano al mercato del lavoro in tutto il vecchio continente un ambiente generalmente ostile e povero di opportunità. Così si innesca un circolo vizioso: se la crisi avanza il business cala, il fatturato della maggior parte delle aziende si riduce, e di pari passo si ridimensiona la propensione di queste imprese ad investire in nuovi capitali, sopratutto umani. In questo modo cresce la disoccupazione e l'inoccupazione, circolano meno soldi, il mercato si contrae ulteriormente, e la spirale prosegue all'infinito, in un infinito ribasso.Alcune teorie economiche suggeriscono infatti in momenti di crisi di invertire la rotta. Investire, crescere, creare lavoro. Un comportamento anticiclico che funziona da antidoto, interrompendo il circolo vizioso e immettendo nuova linfa ai mercati.Il primo referente che viene chiamato in causa, in questi casi, è lo Stato. Ai governi si chiede di investire, di assumere, di lanciare grandi opere, di immaginare nuovi progetti che comportino la creazione di posti di lavoro. In Europa da ormai almeno un paio d'anni la grande polemica non a caso è quella tra i sostenitori dell'austerity a tutti i costi, con tagli spietati alla spesa pubblica, e quelli che invece chiedono che accanto al contenimento delle spese poco utili vi siano anche investimenti che possano far ripartire le imprese, l'economia, e dunque anche il mercato del lavoro.Ciò non toglie che anche il settore privato possa fare la sua parte. E oggi una delle più grandi multinazionali esistenti al mondo, la svizzera Nestlé, annuncia l'avvio di un piano in questo senso. Un progetto su larga scala che coinvolge tutte le filiali europee dell'azienda ed è mirato a creare 20mila nuove posizioni professionali per giovani di tutta Europa nel triennio 2014-2016: solo per l'Italia si tratterà di oltre mille opportunità a partire dall'anno prossimo.Nestlé in Italia già da anni dimostra con i fatti la sua attenzione ai giovani e al tema dell'occupazione giovanile. Aderisce infatti fin dal suo avvio, nel 2009, all'iniziativa Bollino OK Stage, impegnandosi a rispettare i principi della Carta dei diritti dello stagista.Questo progetto europeo si inscrive nella stessa logica di responsabilità sociale di impresa, con una portata enormemente più vasta e con una consapevolezza che spesso chi si occupa di mercato del lavoro sottovaluta: che investire in maniera anticiclica porta un grande vantaggio all'investitore nel medio-lungo periodo. Anche il titolo dell'iniziativa, «Nestlé needs YOUth», ricalca questo convincimento: che questi 20mila posti in tutta Europa, che nei prossimi tre anni verranno occupati da giovani capaci e intraprendenti, non siano una "carità" che l'azienda fa ai poveri giovani europe, bensì un investimento - il migliore che un'azienda possa fare - sul proprio futuro. Una strategia che Nestlé mette in campo sfruttando anche la sua "multinazionalità", e dunque aprendo nelle sedi nei Paesi meno colpiti dalla crisi opportunità di formazione e di lavoro per i giovani provenienti dai Paesi dove le condizioni economiche sono peggiori. Under 30 che avranno dunque il doppio vantaggio di accedere a un'opportunità, tanto più preziosa quanto è grave il periodo di crisi, e di poter fare un'esperienza all'estero. «Come parte integrante del progetto è inoltre previsto un selezionato gruppo di posizioni specificamente pensate per offrire ai giovani dell’Europa meridionale, l’area più colpita dal fenomeno» spiega l'azienda in una nota «la possibilità di vivere preziose esperienze lavorative all’estero – in Svizzera, Francia, Germania, Austria, Paesi Nordici e Regno Unito». L'iniziativa viene presentata oggi ad Atene e in contemporanea anche a Roma, alla sede del Cnel, attraverso una tavola rotonda con un parterre d'eccezione: il direttore centrale dell'Istat Linda Laura Sabbadini, il vicepresidente dei Giovani di Confindustria Marco Oriolo, una folta rappresentanza di sindacalisti. In prima linea a raccontare il progetto anche i grandi capi di Nestlé: da Atene Laurent Freixe, vicepresidente esecutivo di Nestlé e Zone Director per l’Europa, in videocollegamento insieme al presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy; e a Roma a Leo Wencel e Giacomo Piantoni, rispettivamente capo Mercato e direttore Risorse umane del Gruppo Nestlé in Italia.Il progetto appare talmente incisivo, e unico nel suo genere, da meritarsi la partecipazione del capo della segreteria tecnica del ministro del Lavoro Enrico Giovannini, Daniele Fano. Perché oltre ai posti che Nestlé aprirà al suo interno l'obiettivo è quello di creare una catena positiva, un circolo virtuoso che coinvolga le migliaia e migliaia di aziende che gravitano intorno a Nestlé: collaboratori, fornitori, rivenditori. Una rete enorme: 63mila realtà produttive a livello europeo che verranno invitate «a prendere parte al progetto Nestlé needs YOUth offrendo opportunità di lavoro, tirocinio e stage ai giovani». Un programma parallelo con una sua denominazione specifica: «Alliance for Youth».L'idea di fondo è che se qualcuno ci mette del suo, e investe invece che ritirarsi nel suo orticello, e offre opportunità e getta il cuore oltre l'ostacolo, la strada per superare finalmente questa crisi sarà più breve e meno accidentata. Nestlé impartisce oggi un segnale forte al suo gruppo dei pari, le grandi aziende europee: non basta vantarsi, sui propri siti o alle fiere del lavoro o nei convegni, di essere buoni e belli ed eticamente responsabili, di cercare talenti e offrire ottime opportunità di formazione e di carriera. In un momento come questo, con i tassi di disoccupazione a cifra doppia, le parole non bastano più. Ci vogliono i fatti. E sta ai big dell'economia e dell'impresa dare il buon esempio. Con i fatti. Con i posti di stage e di lavoro. Con le opportunità di occupazione e di reddito. Per cambiare marcia una volta per tutte. Non resta che vedere se qualche grande impresa si lascerà ispirare, e sceglierà di spingere l'acceleratore sull'inserimento di giovani in organico.Per saperne di più su questo argomento:- Paese che vai, stage che trovi: maxi report della Commissione europea

La Fabbrica Vercelli "produce" stage: con vincoli innovativi per farli trasformare in contratti

Tirocini di tre mesi con possibile proroga di altri tre: ma per concederla verrà chiesto - cosa inaudita - alle aziende ospitanti l'impegno scritto ad offrire successivamente  un contratto di lavoro della durata di almeno sei mesi. Il meccanismo introdotto nel bando “Fabbrica Vercelli”, promosso dalla Provincia, punta a garantire un massiccio inserimento lavorativo, seppure anche solo con un tempo determinato, dei 70 tirocinanti under 35 che saranno coinvolti nel progetto, che prevede anche una indennità mensile pari a 500 euro al mese.Alla prospettiva di un'attività che avrà la durata di almeno un anno e all'obbligo di trasformare lo stage in un rapporto di lavoro fa da contraltare la scelta dei settori nei quali si svolgeranno i tirocini: impiegati amministrativi, operai, non meglio specificati tecnici, addetti alle pulizie, magazzinieri, commessi, baristi e camerieri. Tutte professioni più che rispettabili, ma che certamente non richiedono addirittura sei mesi di formazione on the job. «Con questo bando non vogliamo fare formazione, ci preme l'inserimento lavorativo», replica alla Repubblica degli Stagisti Massimo Camandona [nella foto a destra], assessore al Lavoro della Provincia di Vercelli, che promuove il bando insieme alla Regione Piemonte e al Consorzio dei comuni per lo sviluppo del Vercellese: Dopo tre mesi chiediamo all'impresa che ospita il progetto di manifestare la volontà di offrire un contratto di almeno sei mesi. Altrimenti scatta la sospensione del tirocinio».Ma questa non è l'unica misura introdotta per evitare che qualche imprenditore pensi di utilizzare lo stage per avere un operaio gratis. Intanto i progetti non possono essere attivate per quelle aree organizzative e per le figure professionali rispetto alle quali ci siano lavoratori inseriti in qualunque tipologia di cassa integrazione. Espressamente vietato anche l'impiego di tirocinanti al posto di lavoratori con contratti a termine per coprire i periodi di picco delle attività, né in sostituzione di dipendenti in malattia, in maternità o in ferie.Ancora, le imprese che non abbiano prorogato né stabilizzato persone i cui contratti a termine vanno a scadenza entro il 15 novembre, data ultima per i tirocinanti per presentare domanda, non possono attivare tirocini nelle medesime mansioni. Né possono farlo se hanno effettuato, negli ultimi sei mesi, licenziamenti collettivi o individuali. In questo modo si evita il rischio che si sostituisca un dipendente con uno stagista. Ci sono poi dei limiti al numero di progetti che ogni singola azienda può attivare: uno per le imprese fino a cinque dipendenti, due per quelle che ne hanno tra sei e ventuno. Mentre per le attività che danno lavoro a più di venti persone, il numero massimo di tirocinanti è pari al 10 per cento dei dipendenti, e comunque non può superare la quota di cinque. Questo significa che un'azienda con 40 lavoratori potrà attivare quattro tirocini, mentre una che ne impiega 80 non potrà chiederne più di cinque.Possono candidarsi giovani disoccupati o inoccupati di età compresa tra i 18 ed i 35 anni, in possesso del diploma di scuola secondaria di primo grado, che siano residenti in Provincia di Vercelli alla data del 1 giugno 2013 e siano iscritti ai centri per l'impiego. Saranno questi ultimi a valutare l'ammissibilità delle candidature, quindi invieranno i curricula dei candidati alle aziende che sceglieranno, a loro discrezione, le persone ritenute più idonee per dare il via al progetto.Saranno invece gli interessati a selezionare due delle aree professionali nelle quali si articola il bando. Le domande devono essere presentate, entro il prossimo 15 novembre, consegnandole a mano ai centri per l'impiego di Vercelli e di Borgosesia. Ai selezionati verrà riconosciuta una borsa mensile di 500 euro, totalmente a carico degli enti che hanno promosso il bando e un costo complessivo di oltre 2 milioni di euro, a fronte di un impegno di almeno 96 ore mensili: e forse anche un contratto di lavoro al termine del tirocinio.Riccardo SaporitiVuoi saperne di più sui tirocini in Piemonte? Leggi anche:- Nuove leggi sugli stage: Piemonte vicino al traguardo, Val d'Aosta lontana- La legge 34/2008 della Regione Piemonte su mercato del lavoro e stage- Regione Piemonte, un milione di euro per chi sostiene i giovani imprenditori

Una «dote» per trovare lavoro e 400 euro al mese di reddito di inserimento: la proposta di Youth Guarantee

Un miliardo e duecento milioni di euro. Fondi europei che dovrebbero arrivare all'Italia nel corso dei prossimi due anni, cioè nel biennio 2014-2015, per l'attuazione del progetto di Youth Guarantee. Si tratta di una iniziativa che, nella sua accezione europea, impegna un Paese a garantire ai suoi giovani - entro quattro mesi dal termine degli studi o dalla perdita di un impiego - una buona offerta di lavoro, oppure un contratto di apprendistato, o un tirocinio di qualità, o almeno un corso di formazione professionale. In Italia è stata ribattezzata "Garanzia giovani" e la platea, a livello europeo limitata ai giovani under 25, è stata allargata -  per la peculiarità del sistema scolastico e della fase di ingresso nel mercato italiano, che porta i nostri giovani ad affacciarsi al mondo del lavoro mediamente con un paio d'anni di ritardo rispetto ai coetanei europei - agli under 30.Ora il grande dibattito è: come spendere questo miliardo e 200 milioni? È chiaro che bisogna fare di tutto perché questi soldi vengano messi a frutto e non sprecati: cioè che vadano a finanziare progetti efficaci. E l'efficacia qui è calcolabile in un solo modo: contando quanti giovani in più rispetto al normale riusciranno a trovare lavoro attraverso i canali speciali messi a punto, appunto, nell'ambito della "Garanzia giovani". Bisogna però sgomberare il campo da voli pindarici: questi soldi non possono essere usati a piacimento. L'Europa ce li dà solo a patto che li usiamo per i giovani beneficiari dell'intervento. Dunque i fondi non potranno andare a finanziare qualsiasi cosa: dovranno essere destinati strettamente alla fascia di età che la Youth Guarantee intende garantire.La Repubblica degli Stagisti ha studiato a fondo la questione, e ha formulato una proposta articolata, già presentata nelle scorse settimane al ministro del Lavoro, che mira a utilizzare più o meno la metà dei soldi in iniziative ad hoc, e l'altra metà per realizzare misure a favore delle imprese con una defiscalizzazione delle assunzioni effettuate nell'ambito del programma Youth Guarantee, e a favore dei servizi pubblici all'impiego con corsi intensivi di formazione per il personale e miglioramento dei sistemi informatici in dotazione, e la creazione all'interno di ciascun cpi di una sezione dedicata specificamente ai giovani, con personale specializzato nel tema della ricerca di stage e primo impiego.Ecco dunque la proposta sulle iniziative ad hoc: realizzare una “dote Youth Guarantee di inserimento / ricollocazione”. Questa dote sarà distribuita in tre direzioni: una parte di soldi direttamente al giovane in cerca di lavoro, un'altra parte a chi lo aiuterà a trovarlo, una terza parte all'azienda che lo assumerà.Nello specifico cioè la Repubblica degli Stagisti suggerisce che sia istituito un "reddito di inserimento", dell'importo di 400 euro al mese (per un massimo di 4 mesi), condizionato a che il beneficiario compia correttamente il percorso di inserimento / ricollocazione. Questo anche in considerazione del fatto che l'Italia è uno dei pochi Paesi che ancora non prevede un capillare e universalistico sostegno al reddito, specialmente per le fasce più giovani. Questi 400 euro aiuteranno gli under trenta che entreranno nel circuito Youth Guarantee a sostenersi economicamente durante i mesi della ricerca intensiva di impiego. Le caratteristiche immaginate - durata del periodo di sussidio molto limitata e vincolata a un'azione in prima persona da parte del percettore - riducono al minimo il rischio che il fatto di ricevere questo sussidio dissuada i beneficiari dal cercare attivamente una occupazione. Ma questo è solo uno degli aspetti della proposta, che nel concreto si sviluppa attraverso una presa in carico dell'aspirante lavoratore da parte di una "cellula" che lo aiuterà nella ricerca. Questa "cellula" sarà costituita da un centro per l'impiego (o, per chi si sia laureato da meno di 12 mesi, eventualmente anche dall'ufficio stage-placement della propria università) e da una agenzia per il lavoro privata che collaboreranno per offrire al giovane il miglior servizio possibile. La cellula riceverà una una tantum molto ridotta (la proposta indica 100 euro a ciascuna delle due parti) per "istruire la pratica", cioè per prendere in carico il ragazzo. Tutto il resto del beneficio economico arriverà solo a condizione di aver raggiunto l'obiettivo: cioè una assunzione con un contratto di tipologia subordinata (tempo indeterminato, tempo determinato, apprendistato) oppure con un contratto a progetto o di lavoro in somministrazione della durata di almeno 12 mesi.L’entità del premio dovrà variare (nella proposta è indicata una forbice da 2mila a 5mila euro) in relazione al grado di “collocabilità” di ciascuna persona, secondo un criterio basato sopratutto sull'età (dove i più vicini ai 29 anni sono i più difficilmente collocabili), alla spendibilità del titolo di studio sul mercato del lavoro (basandosi sui più recenti dati Istat, Almalaurea, etc) e al tasso di disoccupazione giovanile della provincia. Al cpi (o ufficio placement universitario) e agenzia spetterebbe una percentuale del 25% ciascuna, e l'azienda che assume verrebbe premiata con il restante 50% della somma del voucher, ovviamente con la penalizzazione di dover restituire l'intera somma se interrompesse il rapporto di lavoro prima dei 12 mesi.La Repubblica degli Stagisti nella sua proposta ha vivamente sconsigliato il ministero del Lavoro dall'utilizzare i fondi europei della Youth Guarantee per l'attivazione di stage, spiegando che essi sono già numerosissimi in Italia e non particolarmente efficaci al fine dell'effettivo successivo inserimento nel mercato. In caso però il ministero del Lavoro voglia comunque prevedere di destinare una parte dei fondi per l'attivazione di stage, ha proposto alcuni vincoli e correttivi. Tra i più importanti, per esempio, che l'eventuale programma "Stage Youth Guarantee" preveda l'attivazione esclusivamente di quei tirocini di inserimento / reinserimento lavorativo destinati a persone che hanno concluso gli studi da almeno 12 mesi; che vi sia un ferreo controllo a monte della qualità formativa degli stage proposti con esclusione categorica di stage per mansioni di basso profilo; che gli stage non possano durare più di 4 mesi e che il programma imponga la modalità del co-finanziamento dell'indennità da parte delle imprese secondo la proporzione del 50% - 50%, in modo da evitare la trappola degli "stagisti pagati dallo Stato" che deresponsabilizzano le aziende. Inoltre, la Repubblica degli Stagisti suggerisce che non vengano ammesse come soggetti ospitanti amministrazioni pubbliche (che poi non sarebbero in grado di assumere), bensì solo aziende che dichiarino esplicitamente e pubblicamente, all'atto di richiesta di partecipazione al programma, di avere intenzione di allargare l'organico effettuando assunzioni nel breve-medio periodo.La proposta prende spunto da alcuni documenti: per esempio la mozione bipartisan presentata da numerosi giovani deputati in cui si legge l'impegno di utilizzare i fondi per «potenziare ed armonizzare il ruolo dei centri per l'impiego, e di tutti gli strumenti per le politiche attive sul lavoro, su tutto il territorio nazionale» (Atto Camera Mozione 1-00034, presentato da Monica Gregori), nonché «a promuovere con urgenza le misure necessarie in materia di adattamento dei centri per l'impiego (attraverso cui, secondo alcune stime, attualmente trovano lavoro solo il 2,7% dei giovani) per supportare al meglio le iniziative a favore dell'occupazione giovanile» (Atto Camera Mozione 1-00070, presentato da Anna Ascani). E dall'ordine del giorno presentato a metà ottobre da senatori di SC e PD riguardante il progetto del “contratto di ricollocazione”. Il costo delle misure proposta dalla Repubblica degli Stagisti non sarebbe esorbitante. Ciascun “reddito di inserimento” costerebbe 1.600 euro: se fosse attivato a favore di 100mila giovani costerebbe 160 milioni di euro. Ciascun avvio di servizio “dote Youth Guarantee” costerebbe 200 euro, dunque se fosse attivato a favore di 100mila giovani costerebbe 20 milioni di euro, di cui 10 andrebbero direttamente ai centri per l'impiego, da condividere in piccola parte con gli uffici placement universitari. Allo stesso modo ciascun voucher “dote Youth Guarantee” costerebbe mediamente 3.500 euro: calcolando ottimisticamente una percentuale di riuscita del 50%, se la dote fosse attivata a favore di 100mila giovani e andasse a buon fine in 50mila casi, costerebbe 175 milioni di euro - di cui quasi 44 milioni andrebbero direttamente ai centri per l'impiego, da condividere in parte con gli uffici placement universitari.Per quanto riguarda invece gli eventuali "Stage Youth Guarantee", se ne fossero attivati 100mila il contributo statale, secondo le modalità virtuose immaginate dalla Repubblica degli Stagisti, ammonterebbe a 100 milioni di euro, più altri 50 come "premio" per quelli andati a buon fine (con esito assunzione con contratto di tipologia subordinata o cocopro della durata di almeno 12 mesi), calcolando in maniera estremamente ottimistica una percentuale di riuscita del 50%. A queste cifre andrebbero aggiunti qualche centinaio di migliaia di euro per finanziare ricerche mirate sugli skill shortages sui territori e per l'ottimizzazione informatica della piattaforma e per la comunicazione dell'iniziativa.Oggi il ministro Giovannini incontrerà le associazioni e i movimenti giovanili - dalle rappresentanze "junior" di Confagricoltura, Confcommercio e Confartigianato alle reti e ai coordinamenti universitari, dalle rappresentanze di Confcooperative e Legacoop ai giovani dell'azione cattolica al Forum nazionale dei giovani - e all'incontro sarà presente anche la Repubblica degli Stagisti: pronta a portare avanti le sue proposte, discuterle ed elaborare una strategia vincente per far fruttare al meglio questo miliardo e 200mila euro a favore dei giovani italiani in cerca di impiego.Per saperne di più:- Giovani, la cultura è l'asset per ripartire: Giovannini annuncia 1 miliardo e 200 milioni per la Youth Guarantee- Contro la disoccupazione non servono più stage, ma stage più efficaci e centri per l'impiego efficientiE anche:- Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani - Solo un giovane su dieci viene assunto dopo lo stage: «il mondo deve sapere» anche questo- Progetto Neet: per 3mila giovani del Sud sei mesi di tirocinio pagati dallo Stato. Ma servono davvero?

Tirocini in Lombardia: la nuova legge non è ancora operativa, mancano i decreti dirigenziali

E adesso anche la Lombardia ha la sua nuova legge regionale sui tirocini, coerente con le linee guida concordate a gennaio in Conferenza Stato - Regioni. Almeno sulla carta. Lo scorso venerdì la giunta regionale ha infatti approvato, con la deliberazione X/825 del 29 ottobre, i "Nuovi indirizzi regionali in materia di tirocini", dopo un iter che aveva visto due settimane fa arrivare l'ok della commissione consiliare competente. Ma attenzione, la normativa non è ancora in vigore: come si legge nella delibera, «i presenti Indirizzi entreranno in vigore 30 giorni dopo la pubblicazione dei decreti dirigenziali che definiscono i modelli di convenzione di tirocinio e progetto formativo individuale». Dunque bisognerà ancora attendere questi decreti, e dopo che essi saranno stati approvati, ancora un mese. In altre parole: la nuova normativa esiste, ma solo in teoria. «I tempi potrebbero essere brevissimi, dal punto di vista squisitamente teorico anche nell'ordine di una sola settimana» spiega alla Repubblica degli Stagisti il consigliere regionale Pd Fabio Pizzul «ma l'esperienza pregressa ci dice che potremmo anche attendere molto. Una delle attenzioni che avremo qui in consiglio regionale è quella di tenere sotto controllo i tempi per evitare una ulteriore dilatazione: ricordo peraltro che questa legge sarebbe dovuta essere pronta già a luglio, e abbiamo dunque già accumulato quattro mesi di ritardo. Noi siamo in dialogo e contatto con le Direzioni preposte, faremo pressing perché i decreti dirigenziali arrivino in tempi congrui».C'è però un precedente che non fa ben sperare: la delibera regionale sui tirocini attualmente in vigore era stata approvata dalla giunta Formigoni il 20 marzo del 2012, ma erano poi passato quasi un anno perché la giunta arrivasse a completare il lavoro e a renderla effettivamente operativa (emanando a fine novembre il penultimo decreto necessario, con le indicazioni per l’avvio dei tirocini curriculari ed extracurriculari, e addirittura a fine gennaio 2013 l'ultimo, con le precisazioni sul metodo di applicazione delle indicazioni operative). Inoltre, rispetto alla nuova delibera è importante sapere che «ai tirocini in corso di svolgimento alla data di entrata in vigore dei presenti Indirizzi continua ad applicarsi la normativa di riferimento vigente alla data del loro avvio» specificando che il discorso varrà «anche in caso di proroga, se prevista e ammissibile dalla normativa di riferimento». Il documento, lungo 17 pagine [qui lo si può scaricare in formato pdf], una volta entrato in vigore ridisegnerà in maniera significativa la vita dei circa 90mila giovani (e meno giovani) che ogni anno svolgono stage nel territorio lombardo. Rispetto al testo che era stato presentato al pubblico dalla Regione a fine luglio, quello appena approvato - che ha visto il coinvolgimento diretto dell'assessorato al lavoro con l'assessore Valentina Aprea, di concerto con l'assessorato al Commercio e quello alle Attività produttive - contiene delle modifiche abbastanza rilevanti. Prima di tutto in ordine al rimborso spese obbligatorio in favore dei tirocinanti extracurriculari. Nella prima bozza era previsto che tale rimborso fosse di almeno 400 mensili, al lordo delle eventuali ritenute fiscali, «riducibile a 300 euro mensili qualora si preveda la corresponsione di buoni pasto o l’erogazione del servizio mensa». Nel testo definitivo sono state introdotte due ulteriori categorie di stage per le quali il limite minimo scende da 400 a 300: gli stage part-time, cioè quelli in cui «l’attività di tirocinio non implichi un impegno giornaliero superiori a 4 ore», e quelli svolti all'interno di enti pubblici. Un'altra modifica rilevante è quella scaturita da un braccio di ferro sotterraneo di alcune categorie datoriali, tra cui per esempio i panettieri, che hanno fatto pressione sulla Regione. La prima bozza di delibera prevedeva infatti il divieto di svolgere stage in orari notturni. Le parti datoriali sembrano averla avuta vinta perché nel testo definitivo appare un nuovo passaggio: «la possibilità di svolgimento del tirocinio in orario notturno, vale a dire nella fascia oraria compresa tra le ore 23 e le ore 7 può essere prevista, nell’ambito di intese sindacali aziendali e ferme restando le tutele già previste dalla normativa vigente ed particolare per i minori, a condizione che la specifica attività del soggetto ospitante giustifichi tale modalità di svolgimento». E così i panettieri - e non solo - potranno ancora ospitare stagisti nottetempo. «Anche a noi risulta che questa modifica sia scaturita da una richiesta specifica, appunto quella dei panettieri» conferma Pizzul: «Se questo va a vantaggio di chi fa lo stage e ha assoluto bisogno di svilupparlo in quella fascia oraria, va bene. Ma rimane l'assunto di fondo: per nessun motivo lo stage deve sostituire del lavoro. E tutte queste eccezioni purtroppo rischiano di aprire qualche pertugio. Ma in generale la cosa positiva è che finalmente il dispositivo sia arrivato, e che si sia messo termine a un periodo di incertezza».Anche il giovane consigliere Jacopo Scandella, compagno di partito di Pizzul, reputa molto positivamente alcuni aspetti della delibera - primo fra tutti l'introduzione dell'indennità minima obbligatoria «che si mantiene al di sopra del minimo stabilito dalle linee guida nazionali», e considera giusto che siano state previste delle deroghe «per quanto riguarda i tirocini attivati con persone disabili o svantaggiate, e credo che questo possa essere un bene per far si che questi ragazzi e ragazze possano continuare a sperimentarsi in esperienze di utilità sociale». Scandella promette un forte impegno del gruppo Pd nel «verificare periodicamente l'efficacia di questa nuova norma» e a realizzare «un monitoraggio, almeno ogni sei mesi, che metta in luce il numero e la natura dei tirocini attivati rispetto al passato, oltre ad un rapporto sulle esperienze dirette dei tirocinanti che spesso descrivono la situazione meglio di qualsiasi dato». Senza perdere la speranza di poter tra qualche mese rivedere la norma «anche per quanto riguarda i praticantati negli studi professionali», anche se la regolamentazione di questo tema «non dipende soltanto da regione Lombardia».La parte più critica della delibera appena approvata è secondo Scandella quella che riguarda i tirocini curriculari, «per i quali non solo non è prevista nessuna retribuzione minima, ma neppure un limite massimo di tirocinanti per azienda. La speranza è che il rapporto tra dipendenti e tirocinanti si mantenga entro i limiti del buonsenso, ma dovrà essere monitorato seriamente». Rincara la dose Pizzul: «Gli uffici stage e placement di alcuni atenei ci hanno segnalato che la delibera rischia di complicare alcuni passaggi e di scaricare più responsabilità sulle università, che sono le realtà che attivano il maggior numero di stage in Regione Lombardia. Il loro timore è di un irrigidimento; gli uffici tecnici della Regione ci hanno assicurato che non sarà così, ma effettivamente il testo della delibera contiene alcuni passaggi critici». Da cosa nasce questa paura? Rispetto ai soggetti promotori il testo specifica che hanno «funzioni di progettazione, attivazione e monitoraggio del tirocinio, nonché di garanzia della regolarità e qualità dell’iniziativa, in relazione alle finalità definite nel progetto formativo», che devono individuare «un proprio tutor per collaborare alla stesura del progetto formativo, per l’organizzazione e il monitoraggio del tirocinio e la redazione dell’attestazione finale» definendo che il tutor debba essere almeno diplomato («in possesso di uno dei seguenti titoli di studio: diploma di laurea, diploma di istruzione secondaria superiore, diploma o qualifica di IeFP»). A livello burocratico, che debbano effettuare la "comunicazione obbligatoria" di avvio del tirocinio, ma solo in caso di stage extracurriculari entro i 12 mesi dalla laurea perché per gli stage curriculari vi è una esplicito esonero; e assicurare (niente di nuovo sotto il sole) l'assicurazione del tirocinante contro gli infortuni sul lavoro presso l’Inail e l'assicurazione «per la sua responsabilità civile verso i terzi durante lo svolgimento del tirocinio con idonea compagnia assicuratrice». In più di questo, che sembra davvero il minimo, la delibera aggiunge che «nell’ambito di un singolo tirocinio, non è in ogni caso possibile svolgere contemporaneamente il ruolo di soggetto promotore e di soggetto ospitante», impedendo dunque di fatto che le università possano continuare ad attivare da sole stage al proprio interno, come alcune di loro hanno fatto finora. Ma a scatenare i timori degli uffici stage universitari sono state probabilmente le ultime righe della delibera, che recitano: «La Regione si riserva di effettuare controlli sulla base dei dati di monitoraggio ed attraverso le verifiche in loco presso il promotore, al fine di verificare la corretta gestione del tirocinio, nel rispetto di quanto previsto dai presenti Indirizzi e di quanto stabilito dalle specifiche convenzioni di tirocinio», avvertendo che «in caso di violazioni la Regione, qualora il promotore sia un soggetto appartenente al sistema regionale degli accreditati e autorizzati, assume i provvedimenti sanzionatori previsti dalla normativa vigente sull’accreditamento e sull’autorizzazione». Alla Repubblica degli Stagisti però questo passaggio sembra invece molto responsabilizzante: e si spera che venga utilizzato non tanto nei confronti delle università, che nella maggior parte dei casi attivano stage adeguati al percorso formativo dei propri studenti e neolaureati, bensì nei confronti della numerosa pletora di altri soggetti promotori, alcuni dei quali svolgono davvero ben pochi controlli sulla qualità formativa degli stage che promuovono, limitandosi a soddisfare le richieste delle proprie aziende clienti, da cui ricevono un pagamento per l'attivazione dei tirocini. In ogni caso, tutti questi discorsi sono importanti ma non riguardano in concreto la situazione attuale: ad oggi la nuova legge lombarda sui tirocini è solo teorica. Perché diventi finalmente operativa bisogna attendere ancora: sperare che i decreti dirigenziali arrivino quanto prima, e poi da lì far partire i 30 giorni di ulteriore attesa prima dell'effettiva entrata in vigore.Eleonora Voltolina[la foto del palazzo della Regione Lombardia è di Antonello - modalità creative commons]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Nuova normativa sui tirocini, il ritardo della Lombardia - Tirocini, la Regione Lombardia scopre le carte: normiamo anche i curriculari- Regole per gli stage in Lombardia, le proposte della Repubblica degli Stagisti alla RegioneE anche:- La Corte costituzionale annulla l'ultima legge sugli stage: «Solo le Regioni competenti in materia»

Dopo un anno di stop riparte il servizio civile: ma i posti sono solo 15mila

Finalmente è uscito il bando del servizio civile. La pubblicazione arriva dopo l’annus horribilis del 2012 in cui il bando non era stato emanato a causa dei tagli ai fondi. La Repubblica degli Stagisti aveva denunciato la soppressione ed era partita un’interrogazione parlamentare dei deputati Pd Alessia Mosca e Guglielmo Vaccaro, ma a nulla erano valse le proteste: i fondi non c'erano e per il 2012 non c'è stato verso di ripristinare, nemmeno in extremis, il bando ordinario. Tutte le aspettative si sono dunque concentrate sul  bando 2013, la cui uscita era stata inizialmente promessa per la scorsa primavera, poi per settembre. Invece si è dovuto attendere il 4 ottobre per vederlo pubblicato: gli aspiranti candidati hanno tempo fino alle ore 14 di lunedì 4 novembre per fare domanda di partecipazione ai progetti disponibili in Italia e all’estero. Ma si dovranno contendere un numero di posti davvero ridotto rispetto agli altri anni: poco più di 15mila. Le condizioni e le modalità di accesso alla selezione sono identiche a quelle degli anni precedenti. Il bando è rivolto ai cittadini italiani con un’età compresa tra i 18 e i 28 anni, mentre sono esclusi coloro che fanno parte dei corpi militari o di polizia, hanno riportato condanne penali, hanno già prestato il servizio civile o che vi hanno rinunciato prima della scadenza senza motivo giustificato. Inoltre i partecipanti non devono aver avuto un rapporto di lavoro con l’ente prescelto per più di tre mesi, nell’anno precedente alla richiesta.Le domande vanno compilate secondo il modello contenuto nell’allegato 2 e la scheda dell’allegato 3 del bando nazionale, senza dimenticare di inviare i titoli e una fotocopia di un documento d’identità valido; a questo punto la documentazione potrà essere indirizzata alla sede dell’ente attraverso la posta elettronica certificata (Pec) in formato pdf, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno oppure a mano. L’ente avvierà in seguito le procedure selettive al fine di stilare le graduatorie finali, che dovranno essere trasmesse al Dipartimento, via internet o via Pec, entro e non oltre il 31 marzo 2014, pena la mancata attivazione del progetto.I candidati sono tenuti a presentare una sola domanda per un solo progetto di servizio civile, da scegliere tra quelli inseriti nel bando nazionale e quelli presenti nei diversi bandi delle regioni e delle province autonome. Per avere informazioni più dettagliate in questo senso è saggio controllare il contenuto dei singoli bandi nonché i siti degli enti promotori.I criteri per orientarsi nella scelta possono essere di vario tipo, certamente uno di questi è il numero di opportunità: ad esempio, come si legge nell’elenco dell’allegato 1 del bando nazionale, l’Arci offre 106 progetti e cerca 937 volontari, l’Anpas propone 21 progetti e recluta 600 volontari, mentre all’estero spicca Focsiv-Volontari nel mondo, alla ricerca di 233 persone per 11 progetti.Invariati restano l’assegno mensile di 433,80 euro per i volontari in Italia così come il contributo aggiuntivo di 15 euro giornalieri per i volontari all’estero, che godono anche di un ulteriore concorso sia per le spese di vitto e alloggio sia per quelle dei viaggi di andata e ritorno.Se da una parte dunque il servizio civile ha ripreso la sua ordinaria attività, dall’altra è necessario correggere alcuni aspetti problematici e ottimizzare il potenziale di un’iniziativa così preziosa per i giovani. A partire dall’aumento del numero di posti disponibili, molto modesto in questa edizione, «uno tra i più bassi degli ultimi anni» come conferma alla Repubblica degli Stagisti Raffaele De Cicco, coordinatore dell’Ufficio per il Servizio civile nazionale: si tratta di un contingente complessivo di poco più di 15mila persone, sommando i 14.700 volontari da impegnare nei progetti nazionali e i 450 volontari destinati all’estero.Volontari che anche quest'anno saranno però esclusivamente cittadini italiani. Uno degli obiettivi per il 2014 è quello di risolvere proprio la questione del requisito tassativo della cittadinanza italiana, che esclude i cittadini comunitari ed extracomunitari regolarmente soggiornanti. «Un’odiosa ed intollerabile discriminazione» si legge nell’interrogazione parlamentare del Pd dello scorso 22 ottobre rivolta dai deputati Guerini, Laforgia, Pastorino e dal senatore Scanu al Presidente del consiglio richiedendo un celere intervento.In realtà il tema era già stato affrontato il 17 luglio scorso, durante l’incontro tra la Consulta nazionale del servizio civile e il ministro per l'integrazione Cécile Kyenge, a cui è passato il testimone della delega alle politiche giovanili dopo le dimissioni di Josefa Idem. De Cicco, presente a quell’incontro, ribadisce che si sta lavorando in questo senso, con un impegno più ampio, non limitato al servizio civile, e che chiama in causa la legge sulla cittadinanza: «Se non si modifica la normativa attuale non è possibile che i ragazzi non cittadini italiani possano partecipare al servizio civile nazionale. La sfida del ministro è quella di porre a sistema questa questione nell’ambito di un quadro più generale, quello della cittadinanza e del modello culturale per cui gli immigrati devono essere visti come una risorsa e non come un problema».Una sfida che si affianca a quella del recupero dei fondi, indispensabile per aumentare il numero dei posti. Per il 2013 il finanziamento ha potuto contare su un budget finale superiore ai 70 milioni, non senza passare attraverso un percorso piuttosto spinoso, conclusosi con l’approvazione a fine luglio in Senato dell’emendamento al decreto legge 76: l’emendamento ha stabilito l’incremento del fondo nazionale di 1 milione e mezzo di euro per l'anno 2013 e di 10 milioni di euro per il 2014. Per il 2014 inoltre la nuova legge di stabilità ha messo in cantiere 105 milioni: questi, se si accerta che i 10 milioni del decreto legge sono aggiuntivi, determinerebbero un bilancio totale di 115 milioni. Per la prima volta dal 2007/2008 dunque la legge di stabilità inverte la tendenza e gli stanziamenti registrano un’ascesa. Tuttavia in entrambe le occasioni è stata denunciata l’insufficienza di queste cifre. Ad agosto Sel ha proposto un altro emendamento, a firma del deputato Giulio Marcon, poi bocciato, per aumentare i fondi a 15 milioni per il 2013 e a 50 milioni per il 2014. Invece in merito alla recente finanziaria i soggetti rappresentati dalla Cnesc, la Conferenza nazionale enti per il servizio civile, hanno apprezzato la legge, trovando però l’inganno, dal momento che «i circa 73 milioni di euro previsti per ciascuno dei due anni successivi sono assolutamente inadeguati».Senza dubbio per migliorare la situazione le risorse stanziate devono essere integrate ulteriormente. E in questo senso Garanzia per i giovani è stato individuato come uno dei percorsi aggiuntivi; in generale il rapporto con gli altri paesi europei potrebbe rivelarsi una strada che porta lontano. Tanto che il prossimo 5 e 6 novembre De Cicco incontrerà a Bruxelles alcune associazioni di Francia, Belgio, Germania e Lussemburgo, per iniziare a parlare dell’idea di un servizio civile europeo volontario perché «va ridisegnato un servizio civile che deve uscire modificato dalla crisi senza perdere la sua matrice originaria». Un’idea che potrebbe essere messa sul tavolo del semestre europeo del prossimo anno e formalizzata con protocolli d’intesa tra i paesi che hanno il servizio civile volontario, istituzionalizzando gli scambi, con l’obbligo della reciprocità. Un progetto in nuce che si affianca ad altri obiettivi urgenti e ben precisi. Il servizio civile 2013 è appena partito ma ci sono già abbastanza argomenti per cominciare a pensare sin da adesso alla prossima tornata.Marta LatiniPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Servizio civile: il bando slitta a settembre e il numero di posti sarà il più basso di sempre- Servizio civile, dalla legge di stabilità nessun aiuto- 20mila posti per il servizio civile, aperto il nuovo bando. Ma Giovanardi chiede alle Regioni un cofinanziamento: «La coperta è sempre più corta»