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Tirocini all'Europarlamento con 1200 euro di rimborso, aperte le candidature per 200 posti

Tempo di candidature per aspiranti stagisti in ambito internazionale. Pochi giorni fa, il 15 marzo si sono aperte le selezioni per la nuova tornata di tirocini al Parlamento europeo, con le consuete opzioni, generale o giornalismo. Si potrà fare domanda fino al 15 maggio a mezzanotte, mentre le partenze dei percorsi formativi sono fissate per il primo ottobre, con una durata di cinque mese (fino a fine febbraio 2015 dunque). I cinque mesi di tirocinio non sono prorogabili, si avverte sul sito. Ed è un peccato perché – a guardare la borsa di studio – la tentazione di restare verrebbe: l'Europarlamento riconosce un rimborso di 1.213 euro mensili, la cui tassazione dipende poi dai paesi di origine dei tirocinanti. La cifra viene aumentata del 50% per i disabili, ed è tarata sul costo della vita della sede di destinazione. «Se questa dovesse essere al di fuori del Belgio o del Lussemburgo» precisano le faq, «l'entità della borsa si adatterà al maggiore o minore costo della vita». Considerando che il prezzo medio di una stanza in affitto è simile in queste città alle tariffe di Roma e Milano per esempio (dai 300 ai 600 euro, si legge nelle faq), il margine per mantenersi è piuttosto ampio. Per il primo mese è anche possibile chiedere un anticipo fino al 90%, e anche per i viaggi di andata e ritorno sono previste coperture - sempre che la distanza tra il proprio domicilio e la sede dello stage superi i 50 chilometri. Infine il rimborso per le spese di missione: ce ne possono essere anche un paio al mese secondo il regolamento per seguire i lavori parlamentari in altri sedi, come a Strasburgo. Qui l'emolumento si aggira attorno ai 270 euro per due giorni. Quali sono le condizioni per partecipare? Oltre a un diploma universitario, è richiesta la cittadinanza di uno stato membro, una «profonda conoscenza» di una delle lingue ufficiali Ue, e il prerequisito di non aver svolto nessun incarico retribuito presso le istituzioni europee per più di quattro settimane consecutive. Solo per chi si candida come giornalista ci sono ulteriori paletti: come spiegato sul sito è necessaria «una competenza professionale comprovata da pubblicazioni, o dall'iscrizione all'ordine dei giornalisti di uno stato membro dell'Unione europea, o da una formazione giornalistica riconosciuta negli stati membri dell'Unione europea o negli stati candidati all'adesione». Non è quindi ammesso alla selezione chi sia alle prime armi anche perché ai finalisti saranno assegnate mansioni tipiche del mestiere, «come l'editing», si legge ancora tra le faq.  Per partecipare va dunque compilato e inviato online l'application form. In questo passaggio c'è da fare attenzione perché dopo trenta minuti scade la sessione e «tutti i dati inseriti andranno perduti». Conviene quindi consultare prima le faq e sapere che tipo di informazioni e documentazione andrà fornito. Per esempio, una lettera motivazionale da redigere in una delle tre lingue indicate, quindi inglese, francese o tedesco, oppure in una delle lingue ufficiali della Ue (pertanto anche l'italiano). Spedita la domanda, si apre la selezione. «L'ufficio di collegamento esamina la ricevibilità delle candidature», stabilisce il regolamento, e anche «le qualifiche e le attitudini dei candidati» valutandole a seconda «delle esigenze specifiche di servizio connesse alle attività prestate e delle capacità di accoglienza». Che tradotto significa che l'Europarlamento si riserva di contattare un numero di candidati che dipende di anno in anno dalle esigenze di lavoro contingenti. L'elenco definitivo dei selezionati viene stilato entro un mese dall'inizio del tirocinio, in questo caso a settembre. A ognuno verrà poi notificato l'esito della graduatoria. Non esiste dunque un numero esatto di stagisti accolti annualmente. «Per il primo turno di tirocini del 2014, quindi quelli che hanno inizio il 1 marzo e finiscono il 31 luglio, il numero di candidature per gli Schuman è stato di 5715. A livello annuale la cifra chiaramente raddoppia», riferiscono alla Repubblica degli Stagisti dal dipartimento comunicazione della sede milanese del Parlamento Ue. I giovani italiani sono sempre tra i più attivi in questo tipo di opportunità – e non c'è da biasimarli vista la situazione lavorativa del paese: «Di queste domande, 2.194 erano provenienti da italiani», ancora in aumento rispetto al 2013, quando già era stato registrato un vero e proprio boom. Questo mentre però il numero complessivo delle candidature scende (nel 2013 erano poco più di 6mila): una dato eloquente. I prescelti sono all'incirca due centinaia per ogni tornata, ed è l'opzione generale a essere la più quotata: «1823 richieste contro 371 dell'opzione giornalismo» fa sapere l'addetto alla comunicazione, «con un'età media che oscilla intorno ai 25 anni». Casi di assunzione post stage purtroppo però non ce ne sono. «L'unica procedura di assunzione presso il Parlamento europeo, così come per le altre istituzioni comunitarie» chiosano dall'ufficio comunicazione, «avviene con sistema centralizzato tramite concorsi gestiti dall'Epso», l'ufficio per la selezione del personale delle comunità europee.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Tirocini Schuman al Parlamento europeo: 150 opportunità da 1200 euro al mese aperte anche ai giornalisti- Il sogno di un lavoro nella comunicazione: una ex stagista Schuman a caccia della buona occasione- Tirocini Schuman, un lettore vince e ringrazia la Repubblica degli Stagisti: «Ho saputo del bando grazie alla vostra Newsletter»

Legge elettorale, il voto fuori sede appeso a un filo

Sono giorni cruciali per quasi un milione di cittadini italiani fuori sede per motivi di studio o di lavoro. Nell’ambito della discussione sulla legge elettorale, rinviata a lunedì, alla Camera sta per essere preso in esame un emendamento che, se approvato, potrebbe permettere agli elettori che vivono lontano da casa di esercitare il voto «a distanza». Il provvedimento - numero 2.0336 - presentato dal deputato di Scelta Civica Pierpaolo Vargiu e cofirmato da dieci deputati del Partito Democratico, prevede l’adozione anche per l’Italia del modello dell’advanced voting, ossia il voto anticipato, come accade già in Danimarca. Gli elettori italiani all’estero potrebbero esprimere la propria preferenza prima dell’election day presso le prefetture di domicilio se si trovano nel nostro paese o presso le ambasciate se all’estero. Voti che sarebbero successivamente scrutinati insieme a tutti gli altri.L’emendamento, appoggiato dal comitato Io voto fuori sede che dal 2008 sostiene la causa della riforma del voto per chi è lontano dalla sua residenza, ha incassato anche l’appoggio del Movimento Cinque Stelle e di Sel. Le scorse settimane però la corsa alla tanto auspicata approvazione del provvedimento è stata frenata da due ostacoli non di poco conto. Le prima tegola arriva dal Partito Democratico: se in più di un’occasione numerosi deputati Pd si sono dichiarati favorevoli al provvedimento, ora invece sembra regnare l’incertezza. Anche se, a dire il vero, all'interno del Pd c'è chi si è battuto e continua a battersi per i cittadini in mobilità, come il deputato Marco Meloni, già firmatario di una proposta di legge sul tema. Il voto rischia però di essere subordinato alla posizione del gruppo parlamentare, vincolato agli accordi tra partito e Forza Italia sull’Italicum, rischiando di non andare a buon fine. Ed è proprio al presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e a Silvio Berlusconi che Stefano La Barbera (foto a sinistra), presidente di Io voto fuori sede, si è rivolto con una lettera aperta pubblicata sul sito del comitato, chiedendo ai due leader di lasciare carta bianca sul voto ai deputati dei propri partiti, invitandoli a riflettere sui vantaggi di un provvedimento che «non sposta di una virgola il contenuto degli accordi ma restituisce semplicemente il diritto di voto a un milione di cittadini». Tra questi, tantissimi studenti Erasmus e universitari e lavoratori fuori sede, i giovani a cui il nuovo premier si è spesso rivolto, promettendo sostegno e cambiamento. E che ora rischiano di vedere compromesso un diritto fondamentale come quello al voto per la bocciatura di un provvedimento causata proprio dagli accordi sulla legge elettorale sostenuta da Renzi.All’appello del comitato Io voto fuori sede non è però mai stata data risposta. E purtroppo i segnali negativi non finiscono qui. Nei giorni scorsi il deputato Pd e sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, in occasione della presentazione dell’emendamento, ha espresso parere negativo, evidenziando il rischio di un maggiore esborso economico per «attrezzare» prefetture e ambasciate rispetto ai costi attualmente sostenuti per le agevolazioni sulle spese ferroviarie, marittime e aeree per lo spostamento dei cittadini nella propria sede elettorale. Affermazione a detta di Stefano La Barbera non veritiera: «solo per i rimborsi elettorali di viaggio si parla di quasi 27 milioni di euro spesi a legislatura,a fronte di una soluzione che potrebbe costarne circa un milione».Al momento la «storia infinita» della riforma delle modalità di voto per i fuori sede continua a confermarsi un percorso tutt’altro che facile. Partita nel 2008 grazie a una petizione online che ha raccolto più di 13mila firme, la questione è poi sfociata in una serie di proposte di legge, che si sono però sempre concluse in un nulla di fatto. A gennaio dello scorso anno, la protesta in rete dei 25mila studenti Erasmus impossibilitati a recarsi a casa in vista delle elezioni politiche ha riportato alla ribalta il problema, che però dopo pochi mesi è stato di nuovo messo nel dimenticatoio. Ora la discussione sulla legge elettorale potrebbe essere l’occasione buona per mettere la parola «fine» a una questione che rischia di mettere per l’ennesima volta in discussione un diritto che dovrebbe essere scontato e soprattutto garantito a tutti senza difficoltà.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Voto impossibile per studenti Erasmus, la rabbia dei 25mila da Facebook a Palazzo Chigi- Stefano La Barbera: «Con delle semplici mail ci siamo fatti sentire in Parlamento. E in risposta abbiamo ottenuto quattro proposte di legge»  - Io voto fuori sede, quando la partecipazione politica passa per la rete

Pessima decisione europea sui tirocini, lo Youth Forum: a rischio la qualità degli stage della Garanzia Giovani

Largo agli stage di bassa qualità, senza remunerazione, dunque potenzialmente discriminanti perché riservati solo a chi ha famiglie che possono permettersi di mantenere i figli. Questo è lo scenario fortemente negativo tracciato ieri dallo Youth Forum, organismo che rappresenta le associazioni giovanili di tutta Europa e che a Bruxelles vigila sulle politiche e su tutte le tematiche che riguardano i giovani. Il motivo della preoccupazione è l'ultimo atto del percorso di un documento che a livello europeo avrebbe dovuto delineare precisi paletti e regole di qualità per garantire a tutti i giovani dei 28 Paesi Ue l'accesso a stage di qualità.  Un percorso nato dal basso, dalla società civile, con l'elaborazione della European Quality Charter on Internships and Apprenticeships (la Carta europea per la qualità dei tirocini e dei praticantati), documento alla cui stesura anche la Repubblica degli Stagisti contribuì attivamente, e che venne presentato alla fine del 2011 a Parigi all'Ocse: «La faccenda non era assolutamente all'ordine del giorno delle istituzioni: in questi anni siamo riusciti a metterla nell'agenda sia del parlamento, sia della Commissione, sia del consiglio» ricorda Giuseppe Porcaro, segretario generale del Forum e da anni impegnato nella battaglia per la qualità degli stage e dei contratti di lavoro offerti ai giovani.«La nostra Charter venne ripresa dal Parlamento in vari rapporti, poi la Commissione riprese l'idea, e così siamo arrivati a dicembre del 2013 ad avere un documento della Commissione, il Framework». Un documento che «già per noi non era il top», ammette Porcaro, ma che alla luce di ciò che è successo ieri finisce per sembrare già ottimo. Il Framework non ha avuto però un immediato valore operativo: c'era infatti bisogno di un ulteriore passaggio per il Coreper, per una approvazione finale del testo da inviare agli stati membri – il testo che a quel punto avrebbe rappresentato la posizione ufficiale dell'Unione europea sul tema degli stage, la prevenzione degli abusi, la garanzia di formazione di qualità e di condizioni dignitose, anche dal punto di vista economico, per gli stagisti. Il Coreper è il comitato dei rappresentanti permanenti, composto da rappresentanti degli Stati membri aventi il rango di ambasciatori degli Stati membri presso l’Unione europea, ed è responsabile della preparazione dei lavori del Consiglio dell’Ue.«Un primo problema è che già la posizione della Commissione era molto ambigua, sopratutto sulla parte della remunerazione degli stagisti. Noi dunque all'epoca avevamo criticato il Framework, ma cautamente, perché comunque quel testo riprendeva alcuni dei concetti della nostra Charter. Era già un passo avanti: se fosse stato approvato dal Coreper sarebbe stata una vittoria. Perché la questione principale è che le politiche del lavoro, e dunque anche la tematica dello stage, non sono competenze europee ma nazionali: dunque eravamo fin dal principio consapevoli dei limiti di questa battaglia, delle resistenze che avremmo trovato». Lo Youth Forum insomma ha agito realisticamente, sostenendo il documento della Commissione anche se non perfettamente allineato alle posizioni espresse nella sua Charter, ritenendolo comunque utile per regolamentare a livello europeo gli stage. Per questo il passaggio di ieri era fondamentale: «Per poter avere una presa di posizione forte sugli stati membri», sintetizza Porcaro, c'era bisogno che il Coreper approvasse un testo forte». Invece no. «Quello che è accaduto è esattamente il contrario di quello che volevamo».Ieri quindi è andato in scena l'epilogo molto deludente – anche se forse non completamente inaspettato – per lo Youth Forum e in generale per i giovani europei. Il Coreper ha emesso un documento che il Forum in una nota ha definito senza mezzi termini «fiacco», dicendosi «dispiaciuto» per l'occasione mancata. Il testo sugli stage, insomma, è una versione annacquata del testo della Commissione europea, che a sua volta era una versione annacquata della Charter. In tutti questi passaggi sono andati persi i punti fondamentali che avrebbero garantito una vera tutela della qualità degli stage, a cominciare dal principio che gli stagisti, sopratutto quelli che in Italia definiremmo "extracurriculari", abbiano diritto a ricevere un congruo compenso per la loro prestazione di "formazione on the job". «Ci sono vari aspetti che noi come Youth Forum abbiamo evidenziato come problematici» conferma Porcaro alla Repubblica degli Stagisti: «Uno dei punti cruciali è che il testo del Coreper esclude, o quantomeno non rende vincolante, la raccomandazione riguardante gli stage di qualità per tutti quelli che sono finanziati da programmi dell'Unione europea con il fondo sociale. Il problema è che dunque viene esclusa tutta l'area della Garanzia giovani». Un aspetto contrario alla logica e al semplice buonsenso – che vorrebbe che tutti gli stage, a maggior ragione quelli finanziati con soldi pubblici, debbano essere strutturati secondo i (pochi) criteri di qualità del documento del Coreper. «Già il documento non ha valore costringente, è semplicemente una raccomandazione agli Stati membri. Ciascuno Stato può decidere di seguirne o no i dettami; non c'è nessun tipo di sanzione sugli Stati che non rispettano questa raccomandazione, perché giustamente è solo una raccomandazione». Il timore dello Youth Forum è legato alla stretta attualità, e cioè all'implementazione in tutti gli stati europei del progetto di Garanzia giovani, per il quale l'Ue ha stanziato un finanziamento non indifferente: «Abbiamo paura che alcuni Paesi facciano una Youth Guarantee di bassa qualità: se sono stati esclusi da questa raccomandazione quegli stage che sono finanziati da fondi europei, mi viene da pensare che per la Youth Guarantee si voglia fare un discorso al ribasso. Il rischio, se non c'è nemmeno una raccomandazione forte a livello europeo, è che se non esiste una legislazione nazionale che già tutela gli stagisti nei singoli Paesi, gli stage promossi all'interno della Youth Guarantee possano risultare di poco utili». Il fulcro del problema, comunque la si giri, è la (non) competenza europea in materia di lavoro: «Il nodo fondamentale, quello su cui ci siamo scontrati fin dall'inizio con le rappresentanze degli imprenditori a livello europee, è proprio la paura che attraverso la discussione sugli stage si andasse a scardinare la competenza a livello nazionale della materia dei lavoro e dei contratti» conferma Porcaro: «Non si tratta solo della discussione sulla remunerazione dello stage, la partita è più ampia ed è riferita alla competenza dell'Unione su questa materia. Una questione che invece bisogna discutere, perché si tratta di un fattore fondamentale. Altrimenti parliamo sempre di più di mercato del lavoro flessibile, europeo, mobile, però le regole del mercato del lavoro restano nazionali, e questo è un problema che incide in generale su qualsiasi tentativo di rilanciare l'Europa che non può fatto a pezzi, settorialmente: c'è bisogno di una politica industriale, di una politica finanziaria e fiscale, e c'è anche bisogno di una politica sul lavoro».Il documento approvato ieri segna una brutta battuta d'arresto per i difensori dei diritti degli stagisti a livello europeo. «Possiamo dire che quella rappresentata dal testo del Coreper è la posizione definitiva rispetto al policy framework della Commissione. Per il momento dunque siamo arenati su questa posizione. A questo punto bisogna capire che strategia adottare come società civile rispetto a questo tema. Ma ci sono le elezioni europee alle porte: bisognerà vedere se con la prossima legislatura, con il nuovo Parlamento e la nuova Commissione, ci sarà una volontà politica diversa». Comunque lo Youth Forum, promette Porcaro, non si fermerà: «Sarebbe un peccato doversi rassegnare ora, semplicemente perché il Consiglio ha preso questa decisione: la lotta deve continuare».

Al via Erasmus+, partono i finanziamenti dell'Agenzia Giovani

Erasmus+ entra ufficialmente nel vivo. Da gennaio di quest'anno – e per il settennio 2014-2020 – è infatti operativo il programma che rappresenta l'evoluzione del vecchio Erasmus universitario, e che ingloberà in un unico grande calderone tutti i progetti europei di interscambio, come Leonardo e Comenius tanto per citare i più noti. L'Europa ha già stanziato i fondi, che ammontano a 14,7 miliardi (in aumento del 40% rispetto al passato), di cui 1,8 destinati all'Italia. Di questi, 95 milioni andranno all'Agenzia Nazionale per i Giovani (Ang), l'ente incaricato di attuare il programma per il nostro Paese, anche se solo per il capitolo Youth. Erasmus+ si compone infatti di quattro settori: istruzione, formazione, giovani e sport. La restante parte - escluso lo sport, di cui si occupa la Commissione Ue - è assegnata all'ambito istruzione e formazione, la cui gestione è demandata in Italia all'Isfol e all'Indire. Per raccontare quali siano in concreto le opportunità per i giovani l'Ang ha appena concluso una due giorni di seminario a Roma, dedicata proprio a informare tutte le associazioni giovanili interessate a ricevere un finanziamento europeo finalizzato a mettere in piedi iniziative di mobilità giovanile inerenti la sezione Gioventù, quindi per ragazzi sotto i 30 anni. «Due terzi dei finanziamenti serviranno a erogare borse di mobilità a più di 4 milioni di persone per consentire loro di studiare, ricevere una formazione, lavorare o fare attività di volontariato all’estero nel periodo 2014-2020 (rispetto ai 2,7 milioni nel periodo 2007-2013)» si legge nel sito di Erasmusplus. È dunque la mobilità in Europa il fulcro dell'iniziativa della Commissione europea - infatti la sezione Gioventù beneficerà solo del 10% dei fondi. Ma per l'Ang si tratta comunque di un salto decisivo: le assegnazioni per il periodo 2007-2013 erano pari a circa la metà, ovvero 56,7 milioni di euro. A farsi avanti nel 2014 – sul piatto per quest'anno ci sono 12 milioni – possono essere associazioni culturali, ong, enti pubblici, gruppi di giovani (almeno quattro, anche non associati, con un'idea per uno scambio europeo) o youth workers, ovvero chi si occupa del reinserimento giovanile sul piano della formazione. Non sono ammesse invece proposte individuali. Per la cosiddetta Key Action 1, vale a dire le iniziative pensate per la mobilità degli individui, le scadenze sono tre: 17 marzo, 30 aprile, primo ottobre. Si possono presentare progetti riguardanti sia i giovani (attraverso scambi o servizi di volontariato), sia gli youth workers, con l'obiettivo di potenziarne la formazione e la messa in rete. Nel primo caso saranno coinvolte persone sotto i 30 anni per interscambi con soggetti di Paesi membri della durata anche annuale (nel caso del volontariato), che promuovano tra le altre cose il confronto, la conoscenza di diverse realtà culturali e l'apprendimento non formale, cioè al di fuori dei circuiti istituzionali della scuola o dell'università. I rimborsi a favore dei partecipanti a uno di questi percorso di mobilità sono di massimo 40 euro giornalieri, mentre i volontari potranno percepire fino a 600 euro annuali. Per gli youth workers invece non esiste limite di età, e i programmi potranno attenere a esperienze come seminari o corsi formativi. Ciascuna giornata qui verrà rimborsata con cifre che si aggirano intorno ai 60 euro. A questa tranche di progetti, che è la principale delle tre, andrà il 66% dei finanziamenti; un 29% sarà invece destinato alla Key Action 2. Per questa - i cui termini di presentazione sono il 30 aprile e il primo ottobre - il tema di riferimento è la cooperazione per l'innovazione e lo scambio di buone prassi. Come spiega l'Ang nelle schede informative, per il filone secondario i progetti dovranno mirare a sviluppare «pratiche innovative nel settore gioventù» o promuovere la «validazione di competenze formali e non formali». In sintesi dovranno preoccuparsi di creare «partenariati strategici». Le stesse deadline sono poi previste per l'Azione 3, ovvero quella delle «politiche per riformare», a cui è indirizzato solo un fondo residuale pari al 5% del totale. I progetti qui dovranno avere a che fare con «consultazioni tra decision makers delle politiche della gioventù» si legge ancora nella documentazione definita dall'Ang, o ad esempio con meeting di preparazione alla conferenza della gioventù che si terrà durante il semestre europeo di presidenza italiana. Vedersi approvare e finanziare un progetto comporta una serie di step burocratici non semplicissimi, che l'Ang ha illustrato alla folta rappresentanza delle organizzazioni accorsa a Roma per il seminario (i partecipanti erano più di 300). In sintesi il percorso prevede – dopo lo studio della guida pubblicata dalla Ue a gennaio, un manuale di 270 pagine non proprio scorrevolissime ma che costituisce la Bibbia di Erasmus+ – la registrazione al portale dei partecipanti (URF, ovvero Unique Registration Facility), consentita solo dopo l'autenticazione in Ecas (ovvero lo European Commission's user Authentication Service). L'iscrizione comporta l'obbligo di allegare tutti i documenti che certificano la legalità delle organizzazioni – atti costitutivi, statuti etc.  – e il rilascio di un codice. Solo a questo punto si può elaborare l'E-form, e quindi presentare il progetto e inviarlo all'ente attuatore, nel caso italiano l'Ang. Finalizzata questa fase, entro quattro mesi si conoscerà l'esito della valutazione del progetto. Se convalidato, una prima parte del finanziamento verrà emesso dall'ente attuatore entro 30 giorni. In buona sostanza quindi, per partecipare come candidati a un bando bisognerà attendere almeno la fine dell'estate 2014.  «Erasmus+ darà gambe e sostanza alle idee» dei gruppi che si faranno avanti, ha dichiarato in un comunicato il direttore generale dell’Ang, Giacomo D’Arrigo: «Maggiore sarà la loro possibilità di accedere al programma, maggiore sarà la possibilità di crescita per il Paese». Perché dietro uno stanziamento raddoppiato rispetto al settennio precedente, le intenzioni di Bruxelles sono chiare – anche alla luce delle altre politiche giovanili messe in campo di recente, in primis la Youth Guarantee: combattere con fermezza l'emergenza della disoccupazione giovanile. Viste le circostanze del momento storico, per l'Italia sprecare questa opportunità (e questi soldi) sarebbe davvero imperdonabile. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Più Erasmus, «Erasmus +»: tutte le novità per formarsi all'estero- 25 anni di Erasmus: una scelta vincente, anche per l'occupabilità- D'Arrigo, nuovo dg dell'Agenzia giovani: «Migliori condizioni di partenza e più opportunità, ecco i miei obiettivi»- Erasmus Placement: per gli studenti universitari tirocini da 600 euro al mese in tutta Europa. Ecco come funzionano i bandi

Università telematiche, è scontro aperto con il ministero dell'Istruzione

  Iscritti e laureati in calo; troppi docenti precari; scarsa attenzione alle attività di ricerca. Il quadro che emerge dalla relazione conclusiva sulle università telematiche redatta dalla Commissione di studio nominata dal Miur non è affatto roseo per gli atenei online. E la replica non si è fatta attendere, dando vita a un botta e risposta sfociato nel mese di gennaio nella richiesta di dimissioni del ministro Carrozza - ormai uscente - da parte di una delle università interessate. La Repubblica degli Stagisti ha letteralmente "inseguito" per settimane i vertici del Miur per avere chiarimenti, ricevendone però solo posticipazioni, scuse e promesse di colloqui con i funzionari competenti e di interviste mai mantenute. E l'inseguimento si è purtroppo concluso con un nulla di fatto.La cronostoria. Lo scorso giugno a viale Trastevere sono partite le attività di un gruppo di lavoro formato da docenti ed esperti, con il compito di fare il punto sulla qualità delle università telematiche. Indagine riassunta in un documento di 17 pagine pubblicato sul sito del ministero a fine ottobre. La relazione parte da un excursus normativo, che va dal 2003, anno di istituzione degli atenei online, a oggi per poi focalizzarsi su alcuni punti, da cui emergono quasi subito quelle che il documento definisce «un numero notevole di criticità». La prima riguarda il calo del numero di iscritti e laureati nelle undici università telematiche nell’anno accademico 2013/2013 rispetto al precedente: i primi sarebbero passati da circa 39mila a poco meno di 36mila, mentre il numero degli studenti arrivati alla laurea sarebbe sceso dai poco più di 3200 del 2011/2012 ai 1219 dell’anno accademico successivo. Un valore diminuito quasi di un terzo. Insomma, gli atenei telematici sembrano aver perso l’appeal degli anni passati. E la relazione del ministero non risparmia colpi. A partire dall’ «assenza di vincoli previsti per il reclutamento di docenti e ricercatori universitari, in particolare in merito all’assunzione per chiamata diretta», secondo cui non tutto il personale degli atenei telematici passerebbe per regolare concorso. In alcune università telematiche, poi, si registrerebbe un «eccessivo ricorso a personale a tempo determinato, con un forte squilibrio tra il numero di ricercatori e il numero di professori».Non soltanto: secondo la commissione, gli atenei online non rispetterebbero le normali procedure concorsuali per il reclutamento del personale docente, ma farebbero anche eccessivo ricorso a professori e ricercatori precari. A supporto di queste affermazioni non sono, però, riportate cifre, ma semplicemente elencati i nomi di alcuni atenei che rientrerebbero in queste casistiche, tra cui Unicusano, San Raffaele, Uninettuno e Mercatorum. Anche le stesse attività di insegnamento e di ricerca sono finite sotto la lente di ingrandimento del Miur. La commissione afferma che tuttora, malgrado la regolamentazione normativa, non esistono «criteri determinati e chiari per la valutazione dell’attività formativa, con particolare riferimento agli sbocchi professionali» e manca una «regolamentazione rigida in merito all’attivazione dei corsi di laurea». Con riferimento allo scorso anno, ad esempio, l’Anvur, agenzia nazionale impegnata nella valutazione del sistema universitario e delle ricerca, ha dato parere negativo all’accreditamento di alcuni nuovi corsi di laurea presso atenei telematici. Parere rovesciato in parte da alcune sentenze della giustizia amministrativa, che hanno permesso comunque l’istituzione dei corsi di laurea. Ma non finisce qui: secondo la relazione, alcuni atenei telematici non farebbero neppure tanto per migliorare la qualità della propria offerta, dedicando poco spazio ad attività di ricerca. Un simile quadro non poteva lasciare indifferenti le dirette interessate, che hanno affilato le armi e sono partite al contrattacco. Fino ad arrivare allo scorso 7 gennaio, quando l’Unicusano, ateneo online con sede a Roma, ha diffuso un comunicato chiedendo le dimissioni dell'ex ministro Carrozza, definendo «fazioso e pregiudizievole» il suo approccio alle università telematiche. Una risposta all’affermazione che la titolare di viale Trastevere aveva rilasciato all’emittente televisiva La7, dicendo che tutti i docenti devono rispondere a un preciso status giuridico, che deve essere valido anche per gli insegnanti delle telematiche. Una frase congegnata malamente, che lasciava intendere che ci fosse una sorta di disparità tra professori e ricercatori degli atenei «a distanza» rispetto a quelli tradizionali.La Repubblica degli Stagisti ha intervistato il rettore dell’Unicusano Fabio Fortuna (foto), professore ordinario di economia aziendale, per cercare di avere un quadro più chiaro della situazione. Il rettore ha risposto colpo su colpo ai punti «critici» emersi dalla relazione della commissione di viale Trastevere, a suo avviso «stilata con approssimazione e generalizzazione, senza riferimenti specifici e differenziati per le singole università». La «controffensiva» parte dalle cifre: «non è vero che gli iscritti al mio ateneo sono in calo, il numero complessivo è di 12.223 (la relazione parla di 9753 iscritti nell’anno accademico 2012/2013, in diminuzione rispetto ai 10223 dell’anno precedente). Pittoresca, poi, l’ipotesi, riportata in una tabella, abbia avuto solo un laureato nell’ultimo anno accademico: in realtà sono stati oltre mille», afferma il rettore. Altro punto «caldo» le modalità di reclutamento di docenti e ricercatori e la predominanza di personale a tempo determinato: «i nostri docenti sono reclutati attraverso concorsi pubblici, esattamente come avviene per tutti i docenti e i ricercatori che fanno parte del sistema universitario. Attualmente la nostra università dispone di un personale di 54 tra professori ordinari, associati, straordinari a tempo determinato e ricercatori a tempo determinato e indeterminato. Di questi 33 sono professori e ricercatori a tempo indeterminato, mentre i restanti 21 sono a tempo determinato. Effetto della legge Gelmini, che dal 2010 non permette di emanare bandi a tempo indeterminato per i ricercatori e 17 dei 19 ricercatori a tempo determinato del nostro ateneo sono diventati tali tramite bandi successivi a quell’anno». Secondo Fortuna, inoltre, la stessa attività di ricerca non sembra passare in secondo piano nella propria università, a differenza di quanto riscontrato nella relazione: «l’Unicusano ha evidenziato risultati veramente incoraggianti nella VQR (Valutazione della qualità della ricerca, ndr), collocandosi intorno al sessantesimo posto e lasciandosi alle spalle atenei statali che esistono da decenni. L’ateneo si sta, inoltre, dotando di risorse tecnologicamente avanzate per lo svolgimento di attività scientifiche, soprattutto in ambito ingegneristico».Restano dunque molti punti in sospeso: ad esempio, quali sono i dati corretti e come sono stati calcolati nella relazione del Miur le cifre relative alle singole università? E se la legge equipara di fatto atenei telematici e università tradizionali, da dove nascono tutte le disparità riscontrate sul reclutamento dei docenti e sulla verifica della qualità dell’offerta formativa? La Repubblica degli Stagisti ha chiesto per quasi due mesi al ministero e allo staff della Carrozza maggiori delucidazioni sia su questi punti sia sul tema dimissioni, provando anche a interpellare i responsabili del dipartimento Miur interessato ai temi università e ricerca. Richieste che, nonostante continui solleciti, sono state più volte rifiutate o posticipate. Ora la palla passerà al prossimo ministro dell'Istruzione, che tra le gatte da pelare si troverà dunque anche l'affaire università telematiche.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Le università telematiche compiono dieci anni: capolinea o nuova partenza?- Laureati italiani, più veloci e qualificati: ma le speranza di lavoro sono poche- Università, allarme del Cun: il taglio dei fondi fa crollare le immatricolazioni  

Fondo monetario e Centro Europeo di Lingue, ultimi giorni per candidarsi ai bandi di stage

Ancora pochissimi giorni per candidarsi a uno dei tirocini più esclusivi attualmente sul mercato: quelli al Fondo Monetario Internazionale di Washington, l'ente che si occupa di «garantire la stabilità del sistema monetario internazionale» e «la salute dell'economia mondiale», si legge sul sito. Le selezioni dei circa 50 trainees ammessi ogni anno scadono il 23 febbraio, mentre le partenze per il tirocinio sono a giugno (in genere, è specificato sul sito, le date sono il 23 giugno e il 7 luglio, ma si tratta di riferimenti puramente indicativi da riconfermare di volta in volta). La durata varia dalle dieci alle tredici settimane, quindi da un minimo di due mesi e mezzo a un massimo di poco più di tre. Tra gli aspetti che più spiccano del programma, c'è senz'altro quello finanziario: il rimborso è pari a circa 3600 dollari al mese (sulle faq del sito definito infatti un «competitive salary»), l'equivalente di 2600 euro al mese, più una parziale assicurazione medica. Molto di più di uno stipendio medio italiano. E una cifra talmente elevata che l'ufficio stampa del Fmi preferisce non confermare alla Repubblica degli Stagisti trincerandosi dietro ragioni di privacy (mostrando così, però, una politica di scarsa trasparenza), ma che risulta anche da altre fonti ufficiali come il sito del Dipartimento per le Politiche sociali delle Nazioni Unite. A parte vengono riconosciuti anche i rimborsi per i viaggi di andata e ritorno verso Washington. Per l'alloggio bisogna invece organizzarsi in modo autonomo, anche se l'ente garantisce un aiuto nella ricerca di una sistemazione. Per potersi candidare i requisiti sono doppi. Da un lato i tirocini vengono offerti a studenti di dottorato (Phd) in Macroeconomia o materie affini al primo o secondo anno, quindi ancora 'studenti' a tutti gli effetti, con età inferiore ai 32 anni all'inizio del tirocinio, una eccellente padronanza dell'inglese e altrettanto buone competenze informatiche. Dall'altra invece ci sono chance anche per semplici laureandi alla specialistica, non più grandi dei 28 anni, anche qui con una conoscenza ottima della lingua e dell'informatica. Un filone parallelo è quello per la ricerca di un intern nel settore Legal, che deve essere laureato in Giurisprudenza e con meno di 28 anni. Di cosa si occupano gli stagisti del Fondo Monetario Internazionale? «I progetti assegnati loro cambiano di anno in anno» è precisato nella presentazione del programma, ma a titolo di esempio si possono citare gli argomenti trattati nel 2013: le risposte dei mercati alle politiche messe in campo per risolvere la crisi finanziaria globale, l'integrazione finanziaria e la ciclicità dei flussi di capitale, gli effetti delle liberalizzazioni del conto capitale nei paesi a basso reddito e via dicendo. Una volta spedita l'application form, si riceve alcuna notifica di ricezione, ma solo i candidati finalisti verranno contattati per una successiva valutazione. Gli aspiranti stagisti sono comunque avvisati: «le selezioni sono altamente competitive». Per il futuro degli stagisti all'Fmi, le prospettive possono anche essere rosee. Non nel senso che l'assunzione sia certa, ma nell'ottica del cosiddetto 'Economist Program', un progetto per reclutare talenti under 33, e rispetto a cui l'internship rappresenta un lasciapassare.  Di tutt'altro tenore invece, per chi fosse in cerca di tirocini rimborsati all'estero di stampo linguistico-letterario, quelli al Centro Europeo di Lingue Moderne (Ecml) - con sede nella cittadina storica di Graz, in Austria - un distaccamento del Consiglio Europeo che si occupa di promuovere le politiche europee per l'educazione linguistica. Si tratta di un ente minore, con uno staff di soli otto membri fissi, da cui si desume che non siano molti i tirocinanti ammessi a ogni sessione. Il programma si svolge due volte l'anno ed è semestrale. Per chi si candida alle selezioni attuali, la cui scadenza è il 28 febbraio, la partenza è prevista per luglio (e la fine a dicembre). L'application si fa online, e non sono accettati curriculum in formato europeo. I rimborsi non sono molto elevati ma comunque accettabili: 720 euro al mese, da cui viene detratta l'assicurazione (pari a circa 20 euro mensili), senza però coperture delle spese di andata e ritorno. Per quanto riguarda l'alloggio, esiste però una via preferenziale. Il centro ha infatti una convenzione con alcune residenze studentesche dove – è scritto sul sito – risiede la maggior parte dei tirocinanti. I requisiti per partecipare non sono fissi, ma cambiano a seconda di uno dei dipartimento di destinazione, come spiegato qui: amministrazione, sito web, logistica e documentazione. Tuttavia per tutti e quattro i casi è necessaria la conoscenza dell'inglese e del francese (il tedesco è solo un di più, anche se è la lingua parlata nella città sede della struttura), essere studenti universitari o laureati, e in generale skill quali competenze informatiche, flessibilità e accuratezza. La settimana lavorativa è full time (per la precisione di 38 ore e 45 minuti), con dodici giorni di vacanza spalmati sui sei mesi. Curioso poi che tra gli ex stagisti che raccontano la loro esperienza la maggior parte provenga da Paesi dell'est. Questo perché il centro aderisce al Council of Europe parcial agreement, una convenzione tra trentadue Stati membri di cui fanno parte tra gli altri Paesi come Francia, Germania, Austria, Spagna, Irlanda Danimarca, Bosnia, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Romania, Lituania, Slovenia, Montenegro e altri. L'Italia però è esclusa. Il che non vuol dire che non ci si possa candidare, ma semplicemente che la priorità «è data agli originari di questi altri Stati», chiariscono le informazioni fornite sul sito. Quanto al processo di selezioni, solo i tirocinanti prescelti riceveranno una lettera di accettazione da parte dell'Ecml, in cui saranno indicate le condizioni dello stage che spetta al candidato sottoscrivere. Oltre al potenziamento delle conoscenze linguistiche e all'esperienza in un ambiente multiculturale, non c'è però da aspettarsi una futura carriera all'interno del centro. O almeno così si direbbe dai racconti degli ex pubblicati sul sito: tutti entusiastici, ma nessuno di questi parla di un inserimento post stage. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Stage da tremila dollari al mese al Fondo monetario internazionale: candidature aperte fino al 15 gennaio- Stage al Fondo monetario internazionale, le voci degli «ex»: Elva Bova, la mia esperienza dall'economia dell'Africa a quella dei Paesi arabi- Stage, ti voglio in tutte le lingue dell'Ue: 60 tirocini da 1200 euro per traduttori al Parlamento europeo. Candidature fino al 15 novembre- Decine di stage nelle agenzie "minori" della Ue: compensi da più di mille euro all'Era, Efsa ed Ecdc

Ministero degli Esteri, torna una specie di Mae-Crui ma solo per gli studenti: stage curriculari con rimborso

Il Mae-Crui è morto, viva gli stage al Mae. Nel luglio del 2012 il ministero degli Esteri aveva sospeso il programma di collaborazione con la Fondazione della Conferenza dei rettori. Oggi la Farnesina fa ripartire un progetto aperto alle singole università per tirocini curriculari. E soprattutto con la presenza di un minimo di rimborso spese.Sono queste le principali novità rispetto all'ormai chiusa (quantomeno per ora) collaborazione con la Crui. In precedenza, infatti, le esperienze formative all'interno delle sedi diplomatiche italiane erano aperte a studenti e laureati. E non prevedevano alcun tipo di indennità, con il risultato che i partecipanti dovevano farsi carico delle spese di viaggio, spesso un biglietto aereo intercontinentale, e di soggiorno nel Paese in cui si svolgeva lo stage. Nel 2012 il ministero degli Esteri decise di sospendere il progetto, motivando la decisione con l'entrata in vigore della riforma Fornero del mercato del lavoro. In particolare l'articolo 12, quello che introduceva (anche se solo sulla carta) l'obbligo di garantire una “congrua indennità” al tirocinante, senza però generare spese ulteriori per gli enti pubblici.Ora, sebbene la normativa sia di fatto entrata in vigore solo lo scorso anno, quando buona parte delle Regioni -competenti sul tema - ha approvato propri provvedimenti in materia, il Mae anziché tentare di modificare il proprio bilancio e tagliare qualche spesa inutile al fine di ricavare le risorse per finanziare le borse per i tirocinanti, aveva preso questa posizione "radicale", di cancellare in anticipo e in toto il Mae-Crui. Un programma che per anni aveva permesso a decine di migliaia di giovani di fare esperienze formative in ambasciate, consolati e istituti di cultura in giro per il mondo, oltre che naturalmente nella sede centrale del ministero a Roma, la Farnesina.Tutto è rimasto fermo fino all'inizio di quest'anno, quando la Repubblica degli Stagisti si è accorta che l'università Ca' Foscari di Venezia aveva annunciato di aver stretto un accordo con il consolato italiano di Melbourne, in Australia, per dei progetti di stage all'interno della sede diplomatica, il primo dei quali prenderà il via già entro questo mese di febbraio. «Il Mae-Crui non esiste più, ma c'è la possibilità di avviare accordi con ambasciate, consolati e istituti di cultura. Noi l'abbiamo fatto per gli studenti del corso di laurea in Commercio estero, che prevede un tirocinio obbligatorio», spiega alla Repubblica degli Stagisti Lucy Kusminova, responsabile del progetto “Desk in the world” dell'ateneo veneziano. Alla base dell'intesa c'è il fatto che è l'università a garantire una borsa allo studente che volerà in Oceania per un percorso formativo della durata di tre mesi. I costi di volo e di assicurazione medica rimangono però tutti a carico del tirocinante: «Non abbiamo borse di studio specifiche per gli stage al di fuori dell'Unione Europea». Per progetti come quello di Melbourne, dunque, i partecipanti devono accontentarsi del rimborso spese. Col risultato che solo per raggiungere la sede in cui si svolgerà il progetto e per essere sicuri di ricevere un trattamento medico gratuito in caso di bisogno, il rischio è che si spenda molto di più della somma che verrà rimborsata. «Se sono interessati a determinate destinazioni, gli studenti devono purtroppo farlo a proprie spese. Dico purtroppo, sicuramente non è giusto». Eppure è dai tempi del Mae-Crui che le cose vanno così e nessuno fa nulla per cambiarle.Ma a quanto ammonta la somma garantita a chi parteciperà a questo progetto? Paradossalmente a definirlo non sono le singole università (quelle che materialmente mettono mano al portafoglio ed erogano l'indennità agli stagisti-studenti), bensì il ministero. «Siamo intorno a un minimo di 300 euro», spiega infatti Giovanni Zanfarino della direzione generale per le risorse e l'innovazione del Mae. «Non fissiamo una cifra minima precisa», prosegue, «però diciamo che non deve essere simbolica. E poi noi possiamo garantire anche delle facilitazioni non monetarie». Come il vitto, i biglietti per il trasporto pubblico locale o, in quelle sedi che ne sono dotate, l'alloggio in foresteria. Ma a quanto deve ammontare la borsa per non essere considerata «simbolica» dai dirigenti della Farnesina? «Deve essere compresa tra i 300 ed i 600 euro».Una somma coerente con le diverse indennità fissate dalle Regioni che hanno già legiferato in materia - per quanto la norma faccia riferimento ai tirocini extracurriculari, mentre in questo caso si tratta di curriculari. «Teoricamente non sono incorporati nella categoria di quelli per i quali è obbligatoria la borsa, ma il ministero ha deciso che anche questi non devono essere gratuiti». Decisamente un passo avanti rispetto al vecchio programma Mae-Crui, che mandava i laureati ai quattro angoli del mondo senza un euro di rimborso. «Oggi ospitiamo solo tirocini curriculari all'interno di un corso di laurea, di un master o di un dottorato, per una durata massima di tre mesi. Deve essere l'università a contattare la sede diplomatica, inviando una bozza di convenzione e descrivendo il progetto formativo, normalmente legato ad attività di studio o di documentazione». L'approvazione finale spetta poi al ministero. Ma oltre a Ca' Foscari quanti altri atenei hanno avviato collaborazioni di questo tipo? «Finora solo la Sant'Anna di Pisa che ha chiesto accordi con più sedi, garantendo borse mensili da 600 euro. Ci sono altre università che stanno valutando la possibilità, non sono tantissime anche a causa della situazione economica». La spesa relativa alla borsa, stando agli standard ministeriali, oscilla tra 900 e 1.800 euro per ciascun tirocinante.Resta però un mistero il motivo per il quale il ministero non sia riuscito a trovare quei pochi soldi, circa 4 milioni di euro (su un bilancio annuale che per il Mae si aggira sui 2 miliardi), che sarebbero bastati ad assicurare un rimborso decente (secondo la proposta avanzata già nel lontano 2010 dalla Repubblica degli Stagisti, 500 euro al mese per i tirocini nei confini Ue e 1000 per quelli extra Ue) a circa 1800-2mila universitari ogni anno. Ora insomma il ministero riapre le porte ai tirocinanti, imponendo però agli atenei di farsi carico della indennità: una modalità che, in tempi di vacche magre quanto a finanziamenti per università e ricerca, comporterà prevedibilmente un numero molto contenuto di convenzioni e di opportunità di stage. Riccardo SaporitiVuoi sapere cosa è successo con i tirocini Mae-Crui? Leggi anche:- Ministero degli Esteri, 555 stage Mae-Crui bloccati e non si capisce il perché- Tirocini Mae-Crui, la Crui non vuole rischiare che siano cancellati: forse perchè ci guadagna?- Mae-Crui sospesi: una pressione per essere esonerati dal (futuro) obbligo di compenso agli stagisti?E anche:- Mae-Crui, il ministero degli Esteri avrebbe già i fondi per l'indennità agli stagisti: ecco dove- Appello al ministro Bonino: subito un rimborso per gli stagisti Mae Crui, i soldi già ci sono- Stagisti Mae-Crui, grazie alla Camera il rimborso spese è (un po') più vicino

Alle piccole imprese 250 milioni per le assunzioni di laureati: ma per i bandi si attende il nuovo governo

Duecentocinquanta milioni per avvicinare impresa e ricerca. È forse l'ultima misura relativa all'occupazione giovanile presa da Enrico Letta in qualità di premier e deliberata dal Consiglio dei ministri lo scorso 6 febbraio: uno stanziamento per incentivare le assunzioni di personale qualificato nelle piccole e medie imprese. Sono tre i dicasteri che nei prossimi mesi dovranno pubblicare i bandi per reclutare le risorse in questione (non solo dottori di ricerca ma, come ha precisato il Governo, anche semplicemente laureati): il ministero della Coesione Territoriale, quello dello Sviluppo economico e quello dell'Istruzione. Con la finalità, si legge nel comunicato che Palazzo Chigi ha emesso sulla misura, di «rafforzare la ripresa economica con azioni qualificate per la crescita e valorizzare immediatamente le opportunità offerte dal nuovo ciclo di programmazione europea». Questa volta però lo stimolo alla innovazione delle imprese passerà attraverso lo 'svecchiamento' della materia prima di un'impresa, la sua dotazione di personale, estendendo così «l’occupazione qualificata» e al contempo potenziando «l'innovazione e internazionalizzazione delle imprese». Le coperture giungono dall'Europa, in particolare dai fondi strutturali europei per le Regioni del Mezzogiorno. Una parte dei finanziamento è invece di origine nazionale, grazie a un cosiddetto fondo di rotazione, che permette di anticipare fino a 500 milioni sulla base della legge di stabilità sui fondi europei 2014-2020 (e solo previa autorizzazione della Commissione Ue). Un'altra fetta proviene infine dai fondi nazionali per le Regioni del centro nord.Le misure progettate sono sette. Si va dalla cosiddetta Rise&Shine, con cui si offrono incentivi alle imprese che assumono con contratti a tempo indeterminato, previo stage annuale, dottori di ricerca e laureati magistrali in discipline tecnico-scientifiche, a quella denominata 'Mille e più uno dottorati industriali', che mette in campo 2mila percorsi formativi frutto di accordi fra scuole di dottorato delle università e altri soggetti operanti nei territori di riferimento (tra cui regioni, imprese, enti di ricerca, pubbliche amministrazioni) e cofinanziati dalle imprese (per entrambe le iniziative il bando è a carico del Miur e la deadline rispettivamente tre e un mese dall'assegnazione dei fondi). E sempre a carico del Miur saranno i bandi - da pubblicare entro due mesi dall'arrivo delle risorse - per promuovere «l’aggregazione di gruppi di ricerca competitivi intorno a grandi temi di ricerca» come scritto nella presentazione del progetto, e il «coordinamento e networking di gruppi di ricerca, preferibilmente interdisciplinari e intersettoriali, nei quali i ricercatori e le imprese del Paese possono assumere ruoli di leadership». Spicca poi l'iniziativa 'Un laureato in ogni impresa' che prevede la concessione di un credito di imposta pari al 35% del costo aziendale sostenuto per le assunzioni o stabilizzazioni a tempo indeterminato di laureati magistrali o dottori di ricerca (per massimo 200mila euro annui per impresa), prima sostenendo il costo dello stage e poi la sua - eventuale - trasformazione in una assunzione indeterminata. Questo bando, per la cronaca, è a carico del ministero dello Sviluppo economico, che dovrà emetterlo entro due mesi dalla ricezione dei fondi. E ancora, stessa tempistica anche per i voucher per l'innovazione e l'internazionalizzazione  delle pmi, con concessioni di contributi a fondo perduto fino al 60% del costo dei servizi acquistati per le migliorie, per far sì che le imprese si modernizzino. Tutti interventi che sembrerebbero muoversi nel senso della ripresa economica partendo dall'emergenza più grande del Paese, ovvero il lavoro. E rimettendo in gioco alcune delle sue risorse più preziose, come laureati e ricercatori. Eppure la Adi, l'associazione dottori di ricerca italiani, non sembra appoggiare in toto il provvedimento. Alla Repubblica degli Stagisti Alessio Rotisciani, responsabile comunicazione dell'organizzazione, spiega che «seppure questa iniziativa sia auspicabile, si inserisce in un contesto di generale definanziamento dell'università» e in questo senso «lascia perplessi uno stanziamento di 250 milioni di euro di cui però non è valutabile la possibile incisività in un domani». Per essere davvero efficiente una politica di questo tipo secondo Rotisciani «non può non andare a braccetto con un intervento forte di rigenerazione del sistema complessivo italiano della ricerca». Non basta insomma incentivare le imprese a inserire in organico giovani qualificati a garantire a loro e al Paese un futuro migliore, né dà certezza di una stabilizzazione lavorativa: «Siamo ultimi nella classifica Ocse per finanziamenti alle università. La ricerca di base è in grande difficoltà e per camminare sulle sue gambe ha bisogno di risorse». L'altro rischio a cui apre un'iniziativa simile è relativo all'impiego distorto di fondi pubblici finalizzati alla ricerca applicata (ovvero quella 'pilotata' dalle aziende per fini propri). «Non che questa sia il male assoluto» precisa Rotisciani, ma per esempio se «un dottorato in consorzio con le imprese si svolge in una modalità per cui viene finanziata una manodopera per un processo produttivo che ha una attinenza modesta con la ricerca, allora stiamo utilizzando male del denaro pubblico». La soluzione, chiedono dall'Adi, sta quindi nella definizione di «criteri stringenti e chiari che normino questo avvicinamento» tra ricerca e impresa, con «vincoli per quanto riguarda l'assunzione delle persone che intraprendono il percorso, e scongiurare così il rischio che l'iter si interrompa bruscamente e i giovani ripiombino nella disoccupazione». L'ipotesi peggiore in questo momento, ma che l'impostazione attuale del progetto non esclude del tutto: gli incentivi – si legge nel testo – non dipendono dalla garanzia di assunzione, ma solo dall'apertura di una collaborazione con un laureato o dottore di ricerca.Critica anche la posizione della Cna, Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa, riguardo questa misura «dai contorni ancora non delineati», come conferma alla Repubblica degli Stagisti Mario Pagani, responsabile del dipartimento delle politiche industriali di Cna. La reazione di primo acchito verso un'iniziativa che incrementi l'impiego di laureati è positiva, vista la generale «diffidenza degli imprenditori verso l'assunzione di laureati, secondo quanto emerso da uno studio recente: sono visti come inadeguati dal punto di vista delle competenze e con molte pretese». Di qui la scelta di non assumerli perché potrebbero «alterare le dinamiche di una piccola azienda», dove peraltro la maggior parte dei dipendenti è «tutt'al più diplomata». Al netto di queste considerazioni, il rischio secondo Pagani è che un pacchetto di misure come quello prospettato dal governo possa essere scarsamente applicabile in un settore «in cui il 95% delle imprese non arriva a dieci addetti, e il 98% a 50». I bandi sono spesso rivolti «a target troppo alti, diretti a una fascia minima di imprese». L'ideale sarebbe invece ideare «formule nuove che vadano incontro alle piccole imprese». Pagani fa un esempio: «un ricercatore inserito in un nucleo ristretto di addetti rischia di diventare insostenibile», allora perché «non condividerlo tra più imprese» in modo da suddividerne costi e benefici? Un appello al prossimo esecutivo dunque, affinché agisca sui singoli bandi che dovranno tradurre in azioni concrete questi impegni programmatici facendo in modo che questa potenziale spinta all'innovazione delle pmi non si riduca a un flop. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Università, ricerca al collasso: e il paradosso è che i dottorandi vengono considerati studenti- Fuga dei cervelli, il 73% dei ricercatori italiani all’estero è felice e non pensa a un rientro- Dalla ricerca universitaria alla consulenza aziendale in PwC: la storia di Francesca- Censis: in Italia i laureati lavorano meno dei diplomati. E i giovani non credono più nel «pezzo di carta»

Erasmus +, al via il super-programma di studio all'estero targato UE

L’Erasmus + diventa realtà. Dopo l’annuncio di quest’estate, lo scorso 20 dicembre è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il regolamento attuativo del programma relativo ad attività nell’ambito dell’istruzione, formazione, gioventù e sport, che sostituisce tutti i progetti di mobilità europea fino a ora esistenti. Beneficiari del programma circa quattro milioni di soggetti, tra cui due milioni di studenti di scuola superiore, 500mila giovani per attività di volontariato all’estero e scambi giovanili e più di 125mila tra scuole e istituti di formazione, interessati a dare vita a partenariati strategici. Il documento prevede uno stanziamento, da qui al 2020, di circa 14 miliardi e 700 milioni di euro a copertura di queste attività, con un ridimensionamento rispetto ai 16 miliardi annunciati a luglio, quando si è parlato di un incremento del 20% rispetto ai fondi precedentemente stanziati per questo tipo di iniziative. È di un miliardo e 800 milioni il budget stanziato per il 2014. Di questi, il 77,5% sarà assegnato ad attività di istruzione e formazione (suddivise tra istruzione superiore, scolastica, professionale e apprendimento degli adulti); il 10% alla gioventù, in particolare per attività di mobilità internazionale; il 3,5% ai prestiti destinati agli studenti; il 3,4% a finanziamenti per le agenzie nazionali che gestiscono il programma e i restanti saranno suddivisi tra lo sport e la copertura di spese amministrative. Fondi che saranno stanziati in due tranche, la prima a copertura dei primi quattro anni e la seconda per i restanti tre e che saranno distribuiti tra i vari paesi secondo un criterio già stabilito in precedenza, fondato sul numero di giovani presenti in ciascuno stato e sulla distanza di quel paese dal centro dell’Europa. All’Italia andrà il 10-15% dell’importo totale dei finanziamenti. Dunque una cifra pari a poco più di due miliardi e 200milioni, suddivisi per sette anni (circa 320 milioni di euro l'anno).Quali soggetti possono ottenere fondi e come? La Commissione Europea ha pubblicato una guida all’Erasmus +, che ne spiega obiettivi e caratteristiche e soprattutto contiene informazioni utili per la richiesta dei finanziamenti. Sono ammessi istituzioni, organizzazioni e consorzi appartenenti agli stati membri dell’UE, ai paesi EFTA (Islanda, Liechtenstein e Norvegia), agli stati candidati all’ingresso nell’Unione Europea, cioè Turchia e Repubblica di Macedonia e, infine, alla Svizzera. Non sono consentite domande da parte di singoli candidati.Chi intende partecipare deve consultare sul sito di Erasmus + l’elenco delle agenzie nazionali che si occuperanno della gestione delle candidature e alle quali bisogna inviare i documenti necessari per poter richiedere i finanziamenti. Al momento la documentazione completa non è ancora disponibile. Tra pochi giorni sarà possibile scaricarla dal sito di Erasmus +. È possibile inviare le richieste anche all’Agenzia europea per l’istruzione, gli audiovisivi e la cultura, con sede a Bruxelles. Tutte le scadenze possono essere consultate attraverso un documento scaricabile dal sito di Erasmus + e partono dal 17 marzo 2014, termine per la presentazione di domande relative a progetti di mobilità per l’apprendimento. Fino ad aprile, invece, possono fare domanda istituzioni e organizzazioni che intendono creare o migliorare partenariati nei settori dell’istruzione, della formazione dei giovani e del mondo del lavoro. Restano ovviamente ancora validi i bandi finora pubblicati con scadenza fissata nei prossimi mesi, che rientrano nei programmi di apprendimento (Erasmus, Leonardo, Comenius e Grundtvig), Gioventù in Azione, Erasmus Mundus, Tempus, Alfa, Edulink e programma di cooperazione bilaterale con i paesi industrializzati. Per i candidati non cambierà molto rispetto al passato. Nel caso del progetto Erasmus, ad esempio, i bandi continueranno a essere gestiti dagli uffici relazioni internazionali dei singoli atenei. Aumentano, invece, le opportunità per lo studente che parte per un periodo di studio all'estero. Luisella Silvestri, dell'Ufficio Erasmus + Istruzione di Roma, ha spiegato qualche novità alla Repubblica degli Stagisti: «Con Erasmus + sarà possibile svolgere un'esperienza di studio o di traineeship più di una volta in ciascun ciclo di studio, entro il limite massimo di 12 mesi. Potranno beneficiare dei bandi per traineeship anche i neolaureati entro un anno dal conseguimento del titolo, purché facciano richiesta prima della fine degli studi. E probabilmente per il futuro, anche se non subito dall'anno accademico 2014/2015, la mobilità sarà infine estesa anche ai paesi terzi».Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Più Erasmus, «Erasmus +»: tutte le novità per formarsi all'estero- Vivere e lavorare all'estero, il web insegna come fare - 25 anni di Erasmus: una scelta vincente, anche per l'occupabilità

Stage truffa, il "tirocinante" fa le pulizie in una villa all'Olgiata e a pagare il compenso è la Regione Lazio

La storia di Marco D. arriva alla redazione della Repubblica degli Stagisti con un post. "Marcus" - così si firma sul forum – esordisce così: «Volevo raccontarvi la mia esperienza di tirocinio: tutti i giorni vado in una bellissima casa a pulire i pavimenti, fare giardinaggio, lavare la macchina, servire a tavola la proprietaria con una divisa da domestico. E vengo trattato malissimo». Contattato dalla redazione, Marco aggiunge alla storia altri particolari sconcertanti. Tra cui il principale è che lo stage viene pagato con soldi pubblici, l'ente promotore è una cooperativa e l'azienda ospitante un'impresa di pulizie; e per giunta la cui titolare è amica della proprietaria della casa di lusso dove il giovane è stato spedito a fare il "periodo formativo" come cameriere-tuttofare.Marco ha solo 19 anni, è di Roma, e appartiene a una di quelle categorie che il decreto legislativo 276 del 2003 definisce svantaggiate. Tra queste ci sono i disoccupati di lunga durata (quindi per più di dodici mesi) indicati dal regolamento Ce 2204 di cui lui, diplomato in Ragioneria, fa parte. Marco racconta di aver sempre lavorato in passato come barista e cameriere durante le pause estive e che questo stage gli è stato offerto dopo essersi presentato al suo municipio di riferimento per chiedere un sussidio. «Ero disoccupato e stavo attraversando un periodo di grave difficoltà economica», racconta. A questo punto l'assistente sociale dell'ente lo mette in contatto con la cooperativa, e quest'ultima con l'impresa di pulizie che, dopo il colloquio, gli chiede di iniziare a prestare servizio presso una casa privata come domestico full time. «Avevo bisogno di soldi, quindi ho accettato», riconosce. E qui viene il colpo di scena: l'inquadramento non è come collaboratore domestico retribuito secondo il contratto nazionale di categoria, bensì come stagista «pulitore». A 400 euro lordi al mese. E non è tutto: questi miseri 400 euro al mese non li paga nemmeno il 'soggetto ospitante', cioè l'impresa di pulizie che offre i suoi servizi alla proprietaria della «bella casa» descritta da Marco – in uno dei quartiere più chic della capitale, l'Olgiata. Lo stage è infatti finanziato interamente dall'ente promotore del tirocinio, ovvero la cooperativa, a sua volta foraggiata da soldi pubblici: per la precisione da uno stanziamento della Regione Lazio. Spulciando nel marasma dei bandi online, in particolare quelli rientranti nella categoria Borsa Lavoro (in teoria un programma regionale per l'occupazione, di fatto un calderone in cui si incrociano competenze e fondi di Regioni, Province e Comuni), spunta infatti un avviso pubblico risalente al 2007, emanato dall'assessorato Lavoro e Formazione (oggi suddiviso in due unità), dal titolo «Invito a presentare proposte progettuali rivolte alle cooperative sociali e loro consorzi inerenti l’inserimento e la stabilizzazione occupazionale, lo sviluppo delle competenze e l’organizzazione di beni e servizi». Stanziamento totale (a valere fino al 2013) 7 milioni 644.531 euro, tutti a disposizione delle cooperative che si faranno avanti con progetti ritenuti congrui dall'ente locale. Per ottenere il finanziamento basta che nella documentazione presentata figuri tra gli obiettivi «l'incremento occupazionale di soggetti svantaggiati» si legge nel bando. Oltre alla copertura fino al 75% dei «costi di tutoraggio e formazione», è previsto anche un «contributo pari al 50% dei costi salariali per ciascun destinatario svantaggiato inserito per dodici mensilità, fino alla decorrenza massima di 8.000 euro». In pratica è la Regione a sostenere buona parte delle spese per ogni lavoratore o tirocinante reclutato. Un bel colpo per la piccola coop romana, di cui Marco non vuole però fare il nome: «Questo tirocinio mi fa comodo in questo momento, percepisco uno stipendio a cui non posso rinunciare e non me la sento di denunciarli». Preferisce andare avanti con lo stage, spiega alla Repubblica degli Stagisti – finché durerà, quindi per qualche mese ancora: Borsa Lavoro consente tirocini fino alla durata di un intero anno. Nel caso in questione, la durata prevista dello "stage" di Marco presso la casa di Roma nord è di sei mesi, ma potrebbe anche essere prorogata per altri sei. Poi forse toccherà a qualcun altro, perché la situazione – per quanto lo sfruttamento sia lampante – non presenta aspetti tecnicamente illegali. L'attivazione ad opera di una cooperativa sociale è una ipotesi prevista dalla Dgr 99/2013 con cui la Regione Lazio ha recepito l'estate scorsa le linee guida sugli stage redatte in sede di conferenza Stato Regioni nel gennaio del 2013. Anche la durata, sei mesi, rispetta la legge, e almeno formalmente i due tutor ci sono. Quello dell'ente promotore è la vicepresidente della cooperativa. Quello dell'azienda ospitante è una caposquadra che però Marco non vede mai. Qualche raro rapporto ce l'ha invece con la titolare dell'impresa di pulizie: «una tipa con Rolex al polso e Mercedes Slk che mi ha accompagnato diverse volte dalla signora da cui vado: sono amiche, si salutano con baci e abbracci quando si vedono». Dettagli che fanno quadrare il cerchio: la facoltosa signora dell'Olgiata invece di pagarsi il domestico per intero, si affida alla 'selezione' di personale dell'impresa e paga alla cooperativa una cifra forfettaria, come assicura Marco, pur non sapendone l'entità. Il suo rimborso invece è pagato dai cittadini, grazie al finanziamento regionale vinto dalla cooperativa. E anche i versamenti al ragazzo, i 400 euro mensili, sono regolari: in linea con quanto stabilito dalla Regione Lazio con la legge regionale di luglio, con cui ha fissato per gli stagisti un rimborso di almeno 400 euro. Peccato però che sia l'aspetto formativo a essere del tutto assente: a meno che non si voglia credere che il legislatore abbia utilizzato la dicitura «tirocini di formazione e orientamento» prevedendo la possibilità che ci fosse bisogno di un percorso formativo di sei mesi, o addirittura oltre, per imparare a fare le faccende domestiche. Gli unici due interlocutori con cui la Repubblica degli Stagisti è riuscita a entrare in contatto dopo diverse mail e telefonate sono Paola Bottaro, dirigente del settore Formazione, che – seppur incredula («non credo sia possibile un fatto simile» assicura, «ma in caso sarebbe da Ispettorato del Lavoro») chiarisce di non essere più responsabile dei tirocini da quando il dipartimento è stato suddiviso l'anno scorso; e Carlo Caprari, dipendente della Direzione Lavoro diretta da Marco Noccioli, a cui il bando citato fa capo. «Se non ci arrivano denunce concrete da parte degli interessati non possiamo fare nulla», ammette Caprari: «Noi partiamo dal presupposto che siano tutti onesti quelli che fanno domanda di finanziamento, dopodiché valutiamo la congruità del progetto e in una seconda fase la rendicontazione». Se tutto fila senza segnalazioni, insomma, è come se non fosse successo nulla. Caprari precisa anche che sulle Borse Lavoro è regnato finora un gran caos: «Sono state utilizzate per una serie infinita di interventi», per cui spesso a occuparsene sono stati alla fine anche Comuni o municipi. E così in buona sostanza si sono ancor più ridotte, a causa della grande frammentazione, le possibilità di controllo per i già pochissimi ispettori del lavoro operativi. Su una questione però Caprari è perentorio: «Se dovessimo scoprire la presenza di una truffa ai danni della Regione, scatterebbe immediatamente la revoca del finanziamento e la richiesta di restituzione del denaro pubblico». Per essere di nuovo destinato a favore della collettività.Ma per questo ci sarebbe bisogno che Marco facesse il nome della cooperativa: e lui è ben intenzionato a non farlo, per tenersi stretto questo lavoro camuffato da stage che almeno gli assicura ogni mese un'entrata di 400 euro.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Zara: per fare il commesso serve lo stage. E così l'azienda risparmia- Stagisti-correttori di bozze alla Armando Curcio Editore: il «lavoro» è da casa e senza rimborso- Tanti stage impropri, nessuna segnalazione agli ispettori. Perché? Due testimonianze- La Cgil scende in campo per stanare gli sfruttatori di stagisti con la campagna «Non + Stage Truffa»E anche: - Tirocini, nuova norma in Lazio: rimborso minimo a 400 euro e stage anche in aziende senza dipendenti