Categoria: Notizie

Best Stage 2014, la guida della Repubblica degli Stagisti per i giovani in cerca di stage

Nel 2006, soltanto otto anni fa, gli stage attivati nelle imprese private italiane erano 228mila. Nel 2009 il numero ha raggiunto il picco (mai più eguagliato) di 322mila stagisti. Oggi l'ultimo numero disponibile, quello relativo al 2012 (i dati sono sempre quelli dell'indagine Excelsior di Unioncamere), dice che gli stage nelle imprese private sono stati 307mila.Un fenomeno di estrema rilevanza, che la Repubblica degli Stagisti ha intercettato per prima, e alla quale si è dedicata, dapprima con un blog (dal settembre del 2007) e poi con questo sito web, una vera e propria testata giornalistica online, che dall'aprile del 2009 veglia sugli stagisti italiani, li informa, li aggiorna, li ascolta, si batte perché le loro condizioni siano migliorate, incentiva il mondo politico a elaborare normative migliori e quello imprenditoriale a offrire condizioni dignitose.Oggi è il giorno di Best Stage 2014: pubblichiamo una sorta di e-book, già scaricabile gratuitamente su questo sito (qui), proprio per fare il punto della situazione sull'universo stage e fornire a tutti i giovani che stanno attraversando il momento di passaggio dalla formazione al lavoro, o compiendo i loro primi passi nel mondo del lavoro, una bussola per orientarsi, conoscere i numeri, le leggi, le novità.Far luce su questo universo opaco non è facile. Prendiamo i numeri, per esempio. Essi sono in gran parte ignoti: sembra incredibile ma ancora non esiste un monitoraggio puntuale degli stage attivati, delle condizioni offerte, degli esiti occupazionali. Attraverso questa testata da anni chiediamo che ciascuna Regione se ne faccia carico, ma tutte finora hanno sottovalutato questo tema. Ecco allora che la Repubblica degli Stagisti funge da "supplente", elaborando stime - se non vere, quantomeno molto verosimili - del numero totale di stage in Italia. Noi calcoliamo che nel 2012 (ultimo anno utile, avendo come base la rilevazione Unioncamere Excelsior) gli stage attivati in Italia siano stati 425mila. Otteniamo questo numero sommando il dato "certo" degli stage nelle imprese private (307mila appunto secondo Unioncamere) con la stima degli stage negli enti pubblici e nelle associazioni non profit. Abbiamo fatto la precisa scelta di calcolare la stima al ribasso, perché non vogliamo esagerare. Il numero che forniamo vuole però essere più completo ed esaustivo di quelli parziali che circolano, e soprattutto vuole incentivare coloro che avrebbero il potere di fornire numeri più precisi… a farlo!Dal punto di vista normativo, da cinque anni a questa parte la situazione per un verso è migliorata, c'è stata una crescente attenzione al tema, testimoniata dalle linee guida concordate a gennaio 2013 in sede di Conferenza Stato-Regioni e trasformate in legge, nel corso dell'anno scorso, da parte di praticamente tutte le Regioni. Leggi limitate ai tirocini extracurriculari - salvo la Lombardia - ma che hanno comunque inciso positivamente, introducendo per esempio il diritto al compenso minimo: una battaglia da noi combattuta fin dal lontano 2009.La nostra pubblicazione Best Stage 2014 contiene anche le schede delle 28 aziende che fanno parte del nostro RdS network, la rete di aziende che partecipa alle iniziative della Repubblica degli Stagisti (permettendone peraltro, ciascuna con una quota di adesione annuale, la sostenibilità economica) e che ospitiamo sul nostro sito. Si tratta di aziende che hanno stipulato con noi un patto per la qualità e la trasparenza, impegnandosi a garantire un buon rimborso spese - almeno 500 euro al mese, cifra che anche oggi risulta superiore alla maggior parte dei minimi stabiliti dalle leggi regionali - e a rendersi trasparenti, fornendo ogni anno i numeri relativi all'utilizzo e agli esiti dello stage al loro interno. Abbiamo dunque aziende che assicurano ai propri stagisti un trattamento economico superiore alla media e un grado di trasparenza infinitamente più alto rispetto all'opacità diffusa.Alcune delle aziende che fanno parte dell'RdS network sono poi riuscite a garantire condizioni ancor migliori, rispettando la Carta dei diritti dello Stagista e in particolare il parametro del 30% di assunzione al termine dello stage. Anch'esso un parametro infinitamente migliore rispetto al panorama, se si pensa che la percentuale media di assunzione post stage nelle imprese private (rilevata dalla solita indagine Unioncamere Excelsior) sta sotto il 10% (9,1% per la precisione).Queste aziende hanno, per così dire, una "stella" in più per quest'anno, e ottengono il Bollino OK Stage 2014: nella pubblicazione Best Stage 2014 si trova dunque un logo che testimonia questa appartenenza a fianco del nome di alcune aziende.Infine, per la prima volta a sei imprese del network abbiamo assegnato un premio: un "RdS Award" per il loro comportamento eccezionale in un particolare campo. L'«RdS Award 2014 per il miglior tasso di assunzione post stage» a Everis, l'«RdS Award 2014 per il miglior utilizzo dell'apprendistato» a PwC, l'«RdS Award 2014 per il miglior rimborso spese» è andato a Tetra Pak. In più sono stati assegnati anche tre premi speciali e cioè l'«RdS Award 2014 speciale candidati RdS» che è andato a Ferrero, l'«RdS Award 2014 speciale miglior progetto youth employment» a Nestlé e l'«RdS Award 2014 speciale piccola azienda» a SIC servizi integrati e consulenze.La guida Best Stage 2014 è insomma un regalo di compleanno al contrario: per il nostro quinto compleanno, regaliamo ai nostri lettori uno strumento che speriamo sia utile per orientarsi nel difficile labirinto dello stage in Italia. CONDIVIDI SU FACEBOOK SCARICA BEST STAGE 2014

Almalaurea racconta i laureati 2013 tra opportunità e nuove sfide

L'Italia deve investire di più in istruzione superiore e ricerca o rischierà di non avere futuro. Lo scenario è quello delineato dal consorzio Almalaurea, che si pone quale punto di incontro tra laureati, università e aziende. A Pollenzo, sede dell'università di Scienze gastronomiche, opportunità e sfide dell'istruzione universitaria sono state sintetizzate nel corso del convegno organizzato per presentare il XVI Rapporto AlmaLaurea sul profilo dei laureati italiani, basato sui dati relativi al 2013. 230mila laureati coinvolti nell'indagine (132mila di primo livello, 65mila magistrali biennali e 24mila magistrali a ciclo unico), 64 atenei aderenti. L'analisi del consorzio accerta le caratteristiche del capitale umano formatosi nel sistema italiano nel 2013, confrontandolo talvolta con i dati dei laureati pre-riforma 2014. Il contesto in cui sono inserite le valutazioni è abbastanza negativo. Parlare di crisi di sistema è evidente sulla base di alcuni dati: oggi, solo tre diciannovenni su dieci si immatricolano all'università. Dal 2003, anno di picco con 338 mila immatricolati, al 2012 (270 mila) il calo è stato del 20%: effetto combinato del calo demografico, della diminuzione degli immatricolati in età più adulta, del deterioramento delle prospettive occupazionali dei laureati, «della difficoltà crescente di molte famiglie a sostenere i costi dell'istruzione universitaria e di una politica del diritto allo studio sempre più inesistente», come aggiunge Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea. Il basso livello di scolarizzazione della società italiana è testimoniato dal ridotto numero di laureati nella fascia d'età 25-34 anni: 21% in Italia contro una media Ocse del 39%. L'obiettivo fissato dalla Commissione europea per il 2020, raggiungere il 40% di laureati nella popolazione di età 30-34 anni, pare a questo punto impossibile anche solo da avvicinare.Anche perché studiare in Italia costa ancora troppo: i giovani e le famiglie sono sottoposti a una pressione inedita in merito alla qualità delle scelte formative e alla trasmissione di abilità utili per l'inserimento nel mercato del lavoro. In molti ragazzi dunque si manifesta, in modo sempre crescente, un interesse minore per gli studi universitari; considerazione sostenuta dal difficile inserimento nel mondo del lavoro, se si pensa che il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) nel solo 2013 è cresciuto di 4,5 punti percentuali, toccando il 40%, e che nel triennio 2011-2013 le posizioni lavorative sono scese del 6,7%, cioè quasi 586mila unità in meno. Sempre l'Istat fa sapere che in termini assoluti gli occupati della fascia anagrafica 15-34 anni sono diminuiti, fra il 2008 e il 2013, di 1 milione 803mila unità, e che il tasso di occupazione 15-34 anni è sceso dal (già basso in confronto agli altri Paesi europei) 50,4% del 2008 all’attuale (bassissimo) 40,2%.Un quadro scoraggiante insomma. Secondo i dati proposti dal rapporto Almalaurea, però, un titolo di studio universitario «tutela il giovane sul mercato del lavoro più di quanto non faccia il solo diploma» come sottolinea Cammelli: «I laureati continuano a godere di vantaggi occupazionali rispetto ai diplomati sia nell'arco della vita lavorativa sia e ancor più, nelle fasi congiunturali negative come quella attuale».Ma c'è anche qualche aspetto confortante nello scenario presentato nell'indagine: aumenta per esempio la quota di giovani che terminano gli studi nei tempi previsti, mentre diminuisce la quota di laureati che terminano gli studi con un numero alto di anni fuori corso; diventa più frequente la partecipazione alle lezioni; si estende la quota di stage e tirocini svolti durante gli studi e si mantiene costante la tendenza ad avvantaggiarsi delle opportunità di studio e di lavoro all'estero. In parallelo, ma non in assoluto rispetto ad altri paesi, cresce la capacità attrattiva degli atenei italiani relativamente agli studenti laureati in arrivo dall'estero (la metà considerando i livelli Ocse).«Il bilancio complessivo del Rapporto evidenzia i miglioramenti registrati dall'età alla laurea e dalla regolarità negli studi, aspetti storicamente dolenti dell'intero sistema universitario nazionale pre-riforma», commenta Andrea Cammelli. «A sottolineare la crescente, positiva collaborazione fra università e mondo del lavoro è invece la crescita delle esperienze di tirocinio e stage condotte soprattutto al di fuori dell'ambiente universitario».I laureati che hanno svolto tirocini riconosciuti dal proprio corso di studi nel 2013 sono stati il 61% di quelli di primo livello; il 41% dei magistrali a ciclo unico e il 56% dei magistrali (71% considerando anche coloro che l'hanno svolta solo nel triennio). Fra i laureati pre-riforma del 2004, erano solo uno su cinque. Un balzo in avanti importante se si considera che, secondo l'indagine, il tirocinio consente di aumentare le chance di trovare lavoro, ad un anno dal titolo, del 14%.«Lo scenario presente e futuro, nonostante i miglioramenti registrati, resta tuttavia estremamente incerto», chiarisce Cammelli. «E' vero che la formazione dei manager sta migliorando, negli ultimi due anni quelli in possesso di laurea sono passati dal 14,7% del 2010 al 24,5% del 2012, ma dobbiamo ancora recuperare un ritardo storico rispetto agli altri paesi dell'Ocse. Possono imprenditori non laureati apprezzare il valore di un titolo universitario?».Marilena De Giorgio

Premi di laurea, tutte le occasioni aperte fino ad agosto

Dalla sostenibilità ambientale al giornalismo, dalla responsabilità sociale all'e-learning. I numerosi bandi per premi di laurea attualmente in circolazione offrono ampie possibilità ai laureati di provare ad aggiudicarsi un contributo in denaro per il lavoro svolto. Uno dei premi più rilevanti è quello intitolato a Maria Grazia Cutuli, giornalista uccisa in Afghanistan nel 2001, riservato a lavori relativi a conflitti, mutamenti geopolitici e situazioni di marginalità. C’è tempo fino al prossimo 31 luglio per inviare la propria candidatura per il primo premio di 1500 euro e il secondo o il terzo, entrambi di 1000 euro. La selezione è aperta a tesi di laurea in materie giornalistiche di primo e secondo livello discusse in università italiane e tesi di dottorato discusse in un paese dell’Unione europea tra il 30 giugno 2013 e il 30 giugno 2014. Votazione minima: 100/110. La domanda di partecipazione va inviata agli indirizzi email info [chiocciola] fondazionecutuli.it o cultura [chiocciola] comune.santavenerina.ct.it, insieme alla documentazione richiesta nel bando.Scade invece un po' prima, il 17 giugno, il termine per un premio di laurea bandito dall'università di Milano e intitolato alla professoressa Clementina Gatti. Sono tre i riconoscimenti messi in palio: due del valore di 3mila euro ciascuno, destinati a laureati dell'ateneo e uno del valore di 4mila euro, indirizzato a laureati magistrali che hanno conseguito il titolo da non più di tre anni in un'altra università. Argomento della tesi storia antica e scienze dell'antichità. Le domande, scaricabili dal sito dell'università di Milano, devono essere presentate entro la data indicata allo sportello dell’ufficio tasse, esoneri e collaborazioni studentesche (via S. Sofia, 9/1 - 20122 Milano), allegando copia della tesi e certificato degli esami sostenuti.Più cospicuo, cinquemila euro lordi, il premio per tesi di laurea magistrale o dottorato discusse tra il primo maggio 2013 e il 30 aprile 2014 sui temi della responsabilità sociale nei settori pubblico e privato. A bandirlo l’amministrazione comunale di Milano, che ha deciso con questo riconoscimento di onorare la figura di Giovanni Marra, consigliere scomparso prematuramente. La domanda di partecipazione e la modulistica richiesta nel bando vanno inoltrati entro il 4 luglio al seguente indirizzo: Comune di Milano – Gabinetto del sindaco – Servizio affari legali, nomine e incarichi - Piazza Scala 2 - 20121 Milano.Nasce dalla collaborazione tra Sanpellegrino e Tesionline il premio di laurea dedicato a tesi incentrate sullo studio dell’acqua. Sono tre i premi banditi, dal valore di 1500 euro ciascuno, suddivisi per tre categorie: sostenibilità ambientale ed economica, acqua e benessere, made in Italy. Destinatari laureati triennali o magistrali che abbiano discusso una tesi su queste tematiche tra gennaio 2009 e il primo luglio 2014. L’ultimo giorno utile per presentare domanda è il prossimo 31 luglio. Per concorrere è necessario effettuare la registrazione sul sito dedicato al premio e compilare il form online.Stessa scadenza per il premio per tesi (triennali, magistrali e di master) sul reparto crocieristico discusse tra il primo giugno 2013 e il 30 maggio 2014. Il riconoscimento, del valore di 1000 euro, è messo in palio da Risposte Turismo, società di ricerca e consulenza del settore, nell’ambito della terza edizione dell’Italian Cruise Day, evento dedicato alla crocieristica. Il modulo di candidatura va compilato e inviato online. E-collaboration, social network ed e-learning sono alcuni temi di interesse per il premio bandito dall'Asfor (Associazione italiana per la formazione manageriale). Scadenza anche in questo caso 31 luglio. Possono partecipare laureati con titolo triennale, specialistico-magistrale o alta formazione (master o dottorato), conseguito tra il 2011 e il 2014. I vincitori di ciascuna delle tre categorie saranno premiati con un contributo di 500 euro. Il modulo di domanda, disponibile sul sito dell'Asfor, dovrà essere spedito entro la scadenza alla segreteria del premio presso l'Associazione (Segreteria Bando “e-Talenti dell’e-Learning e-Innovation” c/o Asfor - Associazione italiana per la formazione manageriale - viale Beatrice d’Este 10 - 20122 Milano).Energia, acqua, rifiuti, informatica (nel senso di e-governement), sviluppo del territorio sono le cinque categorie del premio "Si può fare di più", istituito dalla fondazione Cogeme. Ai vincitori delle prime quattro va un premio di 1500 euro lordi, alla tesi della quinta categoria un viaggio studio di 15 giorni. Possono concorrere per le prime quattro categorie laureati specialistici di tutti gli atenei italiani. Per la quinta categoria è suficiente la tesi triennale. Dal sito della fondazione è possibile scaricare la domanda, che va inoltrata entro il 31 luglio tramite posta o all'indirizzo mail fondazione [chiocciola] cogeme.net (purché gli allegati non superino i 6 MB). Alla domanda vanno allegati cv formato europeo, copia della tesi in pdf e breve sintesi del lavoro.L'8 agosto 2014 è infine l'ultimo giorno utile per concorrere al premio di laurea Manlio Resta, un riconoscimento del valore di 3250 euro lordi da attribuire all'autore di una tesi in materie economiche. Dalla collaborazione con l'Unione delle province d'Italia è stata istituita una nuova sezione del premio e un ulteriore premio di 2mila euro destinato a lavori che affrontano l'impatto economico della riorganizzazione di province e città metropolitane. La candidatura è aperta a laureati con titolo specialistico in discipline economche, con votazione di 110 o 110 e lode. La domanda va spedita alla segreteria della Fondazione (via Castiglione del Lago, 57 – 00191 Roma).Chiara Del Priore

Disoccupazione giovanile, ecco la storia dei 168 milioni per gli stage stanziati da Letta ma bloccati da un anno

I Neet sono un'emergenza nazionale concentrata soprattutto al Sud: per contrastare il fenomeno, su iniziativa del precedente governo, era stata predisposta l'attivazione di un fondo per l'attivazione di tirocini con uno stanziamento non indifferente 168 milioni di euro. Ma a distanza di più di un anno quei soldi non sono mai arrivati: sono rimasti bloccati in una delle numerose pieghe della burocrazia italiana. Lasciando in sospeso una delle tantissime riforme mai rese operative per mancanza dei rispettivi decreti attuativi. Questa, in breve, la storia. Quella di stanziare un ingente fondo che permettesse di attivare tirocini da offrire come opportunità ai Neet del Mezzogiorno era stata un'idea dell'allora ministro del Lavoro Enrico Giovannini. A giugno del 2013 viene emanato il decreto legge 76, destinato ai «primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in  particolare giovanile», come si legge nell'intestazione della norma. In quel momento, come adesso, è allarme nelle istituzioni per i numeri su disoccupazione e giovani fuori da ogni contesto lavorativo o di studio, i Neet appunto: secondo l'Istat nel terzo trimestre del 2013 sono 2 milioni e 350mila i 15-29enni classificabili come tali, mentre i non occupati tra i 15 e i 24 anni sono al 42%. Di lì il varo del decreto legge, le misure a favore dell'occupazione (tra cui quella sugli incentivi alle imprese per l'assunzione degli under 30) e i fondi per l'attivazione di nuovi stage inseriti tra le misure «contro la povertà nel Mezzogiorno». All'articolo 3, punto c, si afferma che verranno stanziate borse di tirocinio formativo che comporteranno «la percezione di una indennità di partecipazione, conformemente a  quanto previsto dalle normative statali e regionali, nel limite di 56  milioni di euro per l'anno 2013, 56 milioni di euro per l'anno 2014 e 56 milioni di euro per l'anno 2015». A un anno di distanza la Repubblica degli Stagisti ha deciso di andare a monitorare la situazione, per capire se effettivamente quelle borse stiano smuovendo il ristagnante mercato del lavoro del Sud. Ma parlando con i responsabili di Italia Lavoro, che dell'erogazione delle borse avrebbero dovuto occuparsi, la clamorosa scoperta è che quei fondi sono in pratica scomparsi: «Non ci sono i decreti attuativi, tutto è fermo». Così come lo sarebbero altri quasi 500 decreti partoriti nell'arco degli esecutivi Monti-Letta. Con buona pace degli annunci inneggianti al cambiamento di volta in volta nelle parole dei vari premier al governo. Una sorta di paralisi che non tutti si sentono di commentare: è il caso dei presidenti delle commissioni Lavoro di Senato e Camera, rispettivamente Maurizio Sacconi, del Nuovo centro destra, e Cesare Damiano, del Pd. È a loro che la Repubblica degli Stagisti ha chiesto per giorni un commento, che però non è mai arrivato né dall'uno né dall'altro. Chi si è invece esposto è Walter Rizzetto del Movimento 5 Stelle, vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera. «Credo che il decreto sia destinato all'oblio. Non nutro speranza sui termini della sua conversione, neppure come scelta politica» tuona alla Repubblica degli Stagisti. Rizzetto si dice scettico sul quadro generale del provvedimento firmato da Giovannini: «Non è con gli incentivi alle imprese che si crea lavoro» sottolinea, denunciando come si sia ancora molto lontani dall'obiettivo delle 200mila assunzioni. E rincara la dose anche sull'aspetto politico della vicenda: «Cosa si può pensare di uno Stato civile che – per mancanza di un decreto attuativo – non riesce a sbloccare 168 milioni già stanziati?». Il vicepresidente pentastellato non è convinto neppure della formula stage come misura di contrasto alla disoccupazione giovanile: «Spesso si tratta di giovani già molto preparati, a cui va offerto un lavoro vero: non servono altre scappatoie». Sulla stessa Garanzia Giovani, che definisce «un discreto inizio» rispetto al tema disoccupazione giovanile, Rizzetto rivela scenari inquietanti e per certi versi simili a quelli del decreto Giovannini: «Oltre al problema della pubblicità del programma, per cui molti giovani potenzialmente interessati dal programma, forse addirittura la metà, non ne sanno nulla, esiste un'altra drammatica realtà: il progetto non riesce a essere operativo in alcune regioni da me contattate perché, mi hanno detto, non riescono a interfacciarsi con il ministero». Moltissime sono in queste condizioni, «circa il 60%» precisa, «anche se la situazione pare si stia risolvendo».  Anche il direttore generale del ministero del Lavoro Salvatore Pirrone non si è sottratto alle domande della Repubblica degli Stagisti, fornendo però una risposta molto diversa da Italia Lavoro e del vicepresidente della Commissione lavoro della Camera. «L'attivazione dei 168 milioni stanziati dall'articolo 3 del dl 76 non richiede l'emanazione di un decreto ministeriale, ma semplicemente una procedura amministrativa» dice alla Repubblica degli Stagisti. Semplice 'procedura amministrativa' dunque e non decreto attuativo, a suo dire. Ma la sostanza non cambia, perché nei fatti quel provvedimento da 11 mesi è chiuso in un cassetto. «Data la natura dei fondi e la chiara complementarietà con la strategia per l'attuazione della Garanzia Giovani» aggiunge Pirrone «abbiamo atteso di definire il quadro di regole che presiedono al funzionamento di quella strategia». Ma che senso ha avuto, allora, emanare un decreto di fatto sovrapponibile al progetto Garanzia Giovani? «Credo che il dl 76 abbia semplicemente cercato di anticiparlo predisponendo strumenti e risorse per contrastare la disoccupazione giovanile» ipotizza il direttore generale: «In quest'ottica è da leggere anche l'incentivo per l'occupazione giovanile previsto dall'articolo 1 del dl». Tanto che gli stessi fondi inseriti nel programma, studiati sulla base del Pon (programma operativo nazionale), chiarisce ancora Pirrone, sono stati calcolati «avendo riguardo all'esistenza delle risorse della Garanzia Giovani», ovvero il miliardo e mezzo di dotazione. «Per questo motivo» conclude «contiamo di sbloccare nelle prossime settimane quelle risorse, che verranno utilizzate nell'ambito della Garanzia Giovani». Ecco spiegato dunque, forse, perché da qualche giorno il premier Matteo Renzi quando parla in pubblico di Garanzia Giovani dice che il fondo a disposizione è di 1 miliardo e 700 milioni di euro, non 1 miliardo e 500 milioni come precedentemente annunciato dai ministri competenti e come segnalato nelle slide del governo. Verranno dunque recuperati anche i 168 milioni del decreto Giovannini, rimasti a prendere la polvere per oltre un anno? A questo punto c'è da sperare di sì: meglio tardi che mai.Ilaria Mariotti

Giornalisti imprenditori, la nuova frontiera della professione ai tempi della crisi

Raccontare le nuove frontiere del giornalismo: raccontarle oggi, con la crisi, coi giornali che chiudono e i contratti articolo 1 che paiono un miraggio e i pezzi pagati 4 euro ai collaboratori esterni. Raccontare come il giornalismo può assumere la forma della libera professione. Ieri al Circolo della Stampa il Forum permanente sull'informazione di Assisi, di cui faccio parte, ha organizzato un incontro per presentare alcuni modelli imprenditoriali che sono riusciti a emergere negli ultimi anni nel settore della comunicazione - e per raccontare il mondo che ruota intorno a tutti quei giornalisti che non hanno un datore di lavoro alla vecchia maniera, con un contratto di lavoro subordinato e lo stipendio alla fine del mese, ma anziché vivere solo di collaborazioni "standard" si sono inventati qualcosa di speciale.Io ho raccontato la mia esperienza, la nascita della società Ventidue e delle sue testate giornalistiche, concentrandomi sul modello di business della Repubblica degli Stagisti. Un sistema innovativo e unico nel suo genere: una testata giornalistica che da cinque anni basa i suoi introiti non solo sui banner pubblicitari (i cui proventi sarebbero assolutamente insufficienti a garantire una sostenibilità finanziaria del progetto), ma sopratutto sul coinvolgimento attivo di una serie di aziende. Che a fronte di un impegno a comportarsi in maniera "etica" con stagisti e giovani dipendenti e del pagamento di una quota di adesione annuale, hanno uno spazio e alcuni servizi a disposizione sul sito. Un sistema virtuoso, che certamente ha sofferto la crisi - sopratutto nel biennio 2012/2013 - e la conseguente diminuzione delle aziende disponibili a investire in politiche di employer branding e di responsabilità sociale di impresa. Ma che è sempre pronto a intercettare tutto il buono che c'è nell'imprenditoria sana italiana e riversarlo in una attività giornalistica dedicata proprio al tema dell'occupazione giovanile. L'evento di ieri è stata l'occasione per scoprire molti altri modelli eccentrici di giornalismo, lontani dai soliti schemi. Per esempio Maria Chiara Voci ha raccontato di Spazi Inclusi, piccola società torinese nata da «un gruppo di giornalisti che avevano molto lavoro, tanto da non poterlo fare da soli, e che si sono voluti organizzare per evitare che qualcuno venisse travolto dal lavoro e altri stessero senza far niente». Una realtà nata intorno al marchio: «Alcuni di noi avevano già collaborazioni; avevamo inizialmente creato uno studio professionale ma non riusciva a rappresentarci tutti». Così quando è arrivata la possibilità della "srl a un euro" Spazi Inclusi si è trasformata in ssrl: «Non è certamente un percorso finito, tutti i giorni abbiamo problemi e dobbiamo imparare a fare gli imprenditori oltre che i giornalisti, e il service non riesce a sostenersi attraverso la sola fornitura di prodotti giornalistici». Dunque Spazi Inclusi ha da tempo aperto la sua attività anche al fronte aziendale: «Oltre a fornire il pezzo al Sole 24 Ore, ci capitare di produrre anche testi e video destinati al mercato privato». La società conta oggi 10 soci, di cui la metà "lavoratori", intorno a cui gravitano una quindicina di collaboratori. «Adesso per alcuni di noi il service è la maggior fonte di guadagno. Abbiamo un giro d'affari di circa 80mila euro l'anno, chi fra noi prende di più guadagna al mese sui 900-1000 euro: il resto bisogna andare a cercarselo altrove». Anche perché la società ha i suoi costi fissi insopprimibili: «Certo, non abbiamo dovuto versare i 10mila euro di capitale che ci volevano prima, ma comunque una società costa: 1500 euro all'anno per esempio di commercialista, 500 euro di deposito di bilancio». La prossima sfida, «includere dei soci con professionalità diverse dalla nostra», come per esempio dei consulenti di impresa: «Ne abbiamo incontrati alcuni che ci hanno proposto una collaborazione per noi molto interessante. Ci siamo accorti che per fare impresa bisogna avere delle competenze specifiche, mentre noi sappiamo fare bene solo i giornalisti».Il modello cui dichiaratamente guardano i torinesi di Spazi Inclusi è Fps Media, dove FpS sta per "Fuori per servizio", agenzia giornalistica nata nel settembre del 2009. Un gruppo di 10 soci, quasi tutti provenienti dall'ultimo biennio della scuola di giornalismo Ifg di Milano in via Filzi. A raccontarla ieri al Circolo della stampa c'era una delle socie, Natascia Gargano: «Ancor prima di finire la scuola ci eravamo resi conto che non ci sarebbero stati giornali ad assumerci. Eravamo tutti under 30, con qualche stage alle spalle in redazioni varie: l'idea era quella di provare a stare sul mercato con le nostre forze, e che in gruppo saremmo stati più forti che da soli». Forma societaria: la cooperativa, per i costi più contenuti: «Non avevamo soldi da investire, a parte i 600 euro versati da ciascuno di noi e serviti per avviare la struttura. Avevamo però da offrire il nostro lavoro». Oggi si definiscono «un network nazionale» perché oltre alla sede a Milano hanno collaboratori sparsi sul territorio, tra i quali per esempio, in Piemonte, gli stessi giornalisti di Spazi Inclusi: «Questo ci permette di prendere lavori in tutta Italia e anche all'estero, gestiamo anche un premio giornalistico cileno». I dieci soci giornalisti sono contenti e fieri del loro lavoro: «Siamo riusciti a sopravvivere perché siamo diventati giornalisti imprenditori. All'inizio prendevano tutto, anche il lavoretto sottopagato, poi quando ci siamo strutturati abbiamo potuto scegliere e dire anche qualche no, mettere qualche paletto. Abbiamo per esempio scelto di non lavorare per partiti politici: non che ci sia qualcosa di male, ma noi abbiamo preferito non farlo». E si sono dotati di un codice etico: «Anche noi come la Repubblica degli Stagisti pensiamo che il lavoro debba essere pagato dignitosamente, puntualmente e adeguatamente: sia il nostro sia quello dei nostri collaboratori. Siamo una cooperativa a tutti gli effetti, le nostre decisioni sono prese collegialmente, ognuno di noi poi ha una precisa responsabilità rispetto a una squadra di lavoro». I dieci soci si sono "autoassunti" come cococo: «un contratto subordinato sarebbe stato troppo costoso. Abbiamo degli stipendi che vanno dai 1200 ai 1500 euro netti mensili; il nostro obiettivo naturalmente é migliorare la nostra condizione contrattuale e i nostri stipendi». Ma tutto deve essere fatto a tempo debito, senza correre: «Per lungo tempo le entrate sono state risicate. Però la nostra curva é stata sempre ascendente, anche nei momenti peggiori, come nel 2011-2012. Abbiamo chiuso il bilancio del 2013 a 400mila euro, e per il 2014 stimiamo che arriveremo quasi al mezzo milione». Risultato, Fps è diventato «una calamita per professionisti che fanno cose diverse da noi, come video reporter o fotografi». Attraverso queste nuove collaborazioni possono «lavorare meglio, offrendo ai nostri committenti, dalla televisione all'azienda, un pacchetto completo: creare un sito, curare l'attività sui social, abbiamo addirittura creato un telegiornale dal nulla». In platea, il giornalista e sindacalista di lungo corso Edmondo Rho è molto colpito: «Passare da 0 a 400mila euro di fatturato in 5 anni, da giornalista economico lo giudico un ottimo risultato. E anche stipendi medi di 1200-1500 euro netti sono molto al di sopra della media di settore».Poi c'è una storia diversa, quella del progetto multimediale Italiani di Frontiera raccontata sopra le righe dal suo ideatore, Roberto Bonzio: «Dopo 30 anni di disonorata carriera giornalistica - cinque al Gazzettino di Venezia, quindici sanguinosi al giorno e dieci a Reuters - nel 2011 ho deciso di licenziarmi. La decisione l'ho presa dopo aver passato sei mesi con tutta la famiglia in Silicon Valley, a conoscere e raccontare le storie straordinarie di chi venendo dall'Italia ha creato impresa dall'altra parte del mondo». Bonzio cita Renzo Piano - «si va sulla frontiera per capire meglio il posto da cui si è partiti» - e si scaglia contro le «macerie culturali che la mia generazione di giornalisti lascia ai giovani, come la convinzione che non ci sia modo di uscire dalla crisi, o la triste abitudine di gioire della sconfitta altrui, che io ho ribattezzato sindrome del palio di Siena». Italiani di Frontiera è basato sull'innovazione, sul web: «Internet mi ha dato un strumento fondamentale, perché dopo soli tre mesi che ero in Silicon Valley tutti vedevano quello che stavo facendo: il progetto si è costruito una reputazione in tempo reale». Tornato in Italia, e in redazione, è partito un «percorso di autocoscienza su me stesso e su come si fa giornalismo». Così è arrivata la scelta di abbandonare il contratto sicuro e il giornalismo tradizionale: «Nel 2011 ho scommesso sul fatto che su questa cosa avrei campato, e oggi sono contento di averlo fatto. Non bisogna avere paura della novità, bisogna condividere, senza calcolare in ogni momento il proprio guadagno. Non c'è nessun modo come raccontare le storie delle persone per far volare le idee. Sono uno spacciatore di ottimismo: la materia prima di cui c'è più sempre bisogno». Italiani di Frontiera si differenzia rispetto agli altri progetti presentati nella mattinata di ieri anche perché non è dai contenuti giornalistici che proviene il profitto: «Come dire, "la prima dose è gratis": il guadagno non viene da ciò che scrivo, bensì da chi mi invita a realizzare eventi. Quest'anno ne ho già fatti una trentina, e suscitano sempre un incredibile entusiasmo».Un altro aspetto scandagliato nel corso della mattinata è stato l'utilizzo del crowdfunding in ottica giornalistica. A focalizzare questo tema Emanuela Zuccalà: «Anch'io sono una folle, dopo anni da freelance e dopo essere finalmente arrivata a un'assunzione, nel 2011 ho deciso di licenziarmi: non sono pentita della decisione, ma sconsiglio di farla… perché è un bagno di sangue!». Spiega Zuccalà che fino anche solo a un paio d'anni fa il crowdfunding, cioè la raccolta di finanziamenti per un determinato progetto affidata alla folla («crowd») attraverso piccole o grandi donazioni singole («funding»), era «cosa poco nota». E poco frequente era in particolare l'applicazione di questa particolare modalità al giornalismo. «Adesso invece ci sono esperienze molto interessanti. Per esempio è appena partita la raccolta di fondi per il progetto “Io sto con la sposa”, che si prefigge di raccogliere 200mila euro. In due giorni sono già a 12mila: noi per raccoglierne 13mila un anno fa ci mettemmo due mesi!». Una attenzione molto maggiore dunque per questo tipo di iniziative, che ha avuto un caso eclatante con l'ultima edizione del Festival del giornalismo di Perugia: «Sembrava che l'edizione 2014 non si dovesse fare, poi attraverso il crowdfunding gli organizzatori hanno raccolto oltre 100mila euro». Ma le donazioni dei privati possono essere la modalità del giornalismo del futuro? «No. Quantomeno non una via quotidiana, abituale: ha senso solo su documentari, inchieste, reportage fotografici». Giustamente infatti Zuccalà si chiede: «Perché mai i lettori, oltre al prezzo del giornale che acquistano, dovrebbero finanziare una inchiesta?». E cita una esperienza interessante ma controversa del quotidiano “Il giornale”: «Si chiama «Gli occhi della guerra», i giornalisti - collaboratori storici del giornale, firme conosciute ma non dipendenti della testata - aprono sottoscrizioni per farsi finanziare reportage in zone lontane. Questo apre molti interrogativi: non dovrebbe essere l'editore a finanziare questo tipo di lavoro giornalistico? Perché mai dovrebbe essere il lettore a pagare?». A Zuccalà insomma non piace questo sistema: «Bisogna chiedersi se è etico, perché in effetti assomiglia a una specie di ricatto: il messaggio sembra "siccome siamo in crisi, se volete leggere le notizie di Esteri sulle guerre dovete pagare di più"». E comunque «il crowdfunding si può fare una tantum, non “in serie”, altrimenti si perde in credibilità. E non è facile: bisogna già avere una folta rete di contatti, è un lavoro totalizzante». Insomma, una modalità valida anche in campo giornalistico, ma solo «per eventi spot».Ultimo aspetto, il coworking: cioè l'abitudine - sempre più diffusa tra i liberi professionisti, e anche tra i giornalisti freelance - di condividere uno spazio lavorativo per abbattere le spese e creare sinergie. Antonio Armano ha fatto il quadro della situazione: «A volte i freelance sono come agli arresti domiciliari: lavorare da casa presenta molti aspetti critici. Qui a Milano la modalità del coworking sta prendendo piede: ci sono già cinquecento postazioni di cui 24 riconosciute dal Comune. Di solito si tratta di uno spazio con scrivanie, una cucina per poter pranzare e di solito anche una sala riunioni». L'assessorato al Lavoro del Comune di Milano l'anno scorso ha messo a disposizione 300mila euro, di cui 100mila della Camera di commercio, attraverso un bando che é «agli sgoccioli ma ancora aperto», rivolto a liberi professionisti o a startupper. «Sono state ricevute 147 domande, il fondo che riguarda le imprese dispone ancora di qualche fondo perché sono arrivate meno richieste, mentre da parte di liberi professionisti ne sono arrivate 132». Requisiti molto ampi: «Il Comune ha cercato di non mettere troppi paletti, e questo è encomiabile, perché il tentativo è quello di intercettare una realtà per sua stessa natura molto fluida». Per esempio, per accedere al bando bisognerebbe avere una partita Iva, «ma in realtà basta almeno avere l'obiettivo di aprirne una». Vantaggi? «Il coworker riceve fino a 1500 euro all'anno per l'affitto. Il che copre mediamente la metà dei costi, dato che una postazione costa circa 200 euro al mese». Due gli esempi portati da Armano durante il dibattito: «C'è innanzitutto l'esperienza di Avanzi in via Ampere, in zona Città studi: un centinaio di postazioni che costano circa 2700 euro l'anno in una ex fabbrica di televisori. Il gruppo più numeroso è quello degli architetti / designer ma al secondo posto, con il 26%, ci sono i coworkers che si occupano di comunicazione». Il che non vuol dire solo giornalismo ma anche molte altre cose, come la pubblicità: «Per esempio in Avanzi c'è Babel, una piccola società di pr specializzata nell'editoria di libri che ha anche curato per Rcs la promozione delle "Cinquanta sfumature di grigio"». L'altro coworking space milanese citato è quello di via Meda: «Qui ci sono una decina di postazioni. Meda36 parte come società, poi decide di fare il coworking, non per occupare sedie vuote ma per attrarre nuove competenze e metterle in collaborazione e rete». L'invito insomma è quello di candidarsi, se interessati: «Ci sono ancora fondi per questo bando: i giovani, le società piccole, le startup possono ancora fare richiesta».Tra i tanti altri interventi che sono seguiti - da Massimo Zennaro, a capo del sindacato dei giornalisti veneti a Fabio Soffientini, responsabile del settore finanza e del neonato Centro studi dell'Inpgi, fino a Giovanni Matteoli della Casagit - quello che mi ha colpito di più è certamente quello del presidente Fnsi Giovanni Rossi. Perché dopo aver ricordato che vent'anni fa «a Bologna, alla presenza di tutti gli organismi di categoria, facemmo un convegno che aveva come titolo “Giornalista, imprenditore di se stesso”: dunque il tema è presente e discusso da tempo nel sindacato, anche se la verità é che l'attenzione non è stata sempre a livello necessario», Rossi ha dato un aggiornamento sulla collaborazione tra Fnsi e governo Renzi. «Abbiamo avviato una interlocuzione col governo, i nostri referenti sono il ministro del Lavoro Poletti e il sottosegretario con delega all'editoria Lotti. Ci sono 110 milioni di euro, di cui 50 per il 2014, previsti per interventi che dovrebbero servire a creare nuova occupazione dipendente in campo giornalistico». Rossi ha spiegato che c'è una novità rispetto al governo Letta: «Il sottosegretario ha cominciato a pensare a destinare una quota di questo fondo per sostenere le startup attive nel mondo del giornalismo web: i tempi però sono molto stretti per permettere una nostra interlocuzione, perché entro il 6 giugno dovrebbe uscire il decreto coi criteri». La novità nasce «dalla considerazione che il piattaforma tecnologica ha problema dal punto di vista degli introiti pubblicitari, dunque almeno in fase di avvio c'è bisogno di un sostegno». Al termine del suo intervento, ho chiesto pubblicamente a Rossi di far presente al sottosegretario Lotti che l'errore peggiore, se davvero questo decreto dovesse prevedere dei fondi per il sostegno alle testate online, sarebbe quello di limitare tali aiuti alle «startup», cioè a realtà giornalistiche ancora inesistenti o nate da poco, escludendo invece tutte quelle che da anni - come la Repubblica degli Stagisti e Articolo 36 - si fanno in quattro per offrire al pubblico una informazione seria e di qualità, riuscendo contemporaneamente a pagare dignitosamente chi quella informazione la produce con professionalità ed esperienza. Il presidente Fnsi ha preso nota e promesso che lo farà presente a Lotti. Speriamo.Eleonora Voltolina

Corte dei conti Ue, Echa e Comitato delle regioni: bandi per stage con rimborso di oltre 1000 euro al mese

Non per tutti i tirocini in ambito europeo le scadenze sono serrate. Sono diverse le istituzioni che, al contrario, decidono di lasciare aperte per tutto l'anno le candidature, per poi chiamare stagisti al bisogno. Un caso è quello della Corte dei Conti Ue, organo di controllo delle finanze europee con sede a Lussemburgo. Qui si può fare domanda sempre, anche se – si specifica sul sito - «per motivi di budget il numero di tirocini è molto ridotto». Poche decine si intende, visto che anche l'organico non è dei più nutriti: solo 28 giudici, uno per ogni stato membro, nominati dal Consiglio europeo per sei anni. Ad essere invece particolarmente sostanzioso è il rimborso spese, di circa 1200 euro – lordi – mensili, un compenso che per molti giovani italiani è di questi tempi un miraggio. Al solito la tassazione sarà poi applicata secondo la normativa del Paese di origine dello stagista. Ma attenzione: se si vuole ricevere l'emolumento sul modulo per fare domanda va barrata la casella 'tirocinio rimborsato', visto che alcuni traineeship non prevedono borsa. Le regole per partecipare alla corsa sono ridotte all'osso. Tra i requisiti richiesti ai ragazzi, si legge sull'homepage dedicata ai tirocini, la nazionalità di uno degli Stati membri dell'Ue, un diploma universitario o almeno quattro semestri di studio universitario in un settore di interesse per la Corte (quindi giurisprudenza, economia e scienze politiche), la conoscenza di almeno un paio di lingue ufficiali della Ue, di cui una in modo approfondito. Deve infine trattarsi di una prima esperienza alla Corte. Per candidarsi va compilata la domanda – una sintesi del proprio curriculum – in inglese o francese, e poi caricata sul sito. Seguirà una mail di conferma. Solo in caso di accettazione sarà richiesto l'invio di ulteriori allegati. Per chi parte la durata massima dello stage è di cinque mesi non rinnovabili. Per quanto riguarda i criteri di selezione, per gli organizzatori vale la regola del bilanciamento geografico, ovvero dare lo stesso spazio agli stagisti di tutti i Paesi membri. Una seconda chance per chi è in cerca di tirocini in Europa è all'Echa, autorità di regolamentazione della UE che «assiste le società affinché si conformino alla legislazione, e che promuove l'uso sicuro delle sostanze chimiche, fornisce informazioni e si occupa delle sostanze preoccupanti» fanno sapere sul sito. In questo caso ci si sposta a Helsinki in Finlandia, e per fare domanda non ci sono limiti di tempo. La durata degli stage varia dai tre ai sei mesi, non prorogabili, mentre le borse sono ancora più cospicue di quelle della Corte: 1300 euro lordi mensili, maggiorati del 50% per i disabili, più il rimborso delle spese di viaggio di andata e ritorno (se la distanza supera i 150 chilometri). Su questo aspetto il regolamento chiarisce però che in caso «i tirocinanti continuino a percepire una retribuzione dal proprio datore di lavoro o qualsiasi altra borsa o indennità avranno diritto alla borsa solo se l'importo percepito è inferiore a quello indicato qui sopra». In tale circostanza il rimborso si riduce alla differenza tra i due redditi. Per chi lavora inoltre esiste l'obbligo di «fornire una dichiarazione firmata dal datore di lavoro in cui figurino la retribuzione, le spese e le indennità». Gli stagisti non beneficiano tuttavia di assicurazione sanitaria, e dovranno stipularne una prima dell'inizio. Le posizioni aperte ogni anno sono poche, mai più di 20, e i requisiti abbastanza stringenti: oltre alla nazionalità Ue o appartenente allo Spazio economico europeo (con un margine riservato ai cittadini di Paesi terzi) e al fatto di essere alla prima volta nell'agenzia (non è consentito aver prestato servizio come collaboratori esterni), bisogna essere neolaureati in «settori attinenti alla legislazione vigente per le sostanze chimiche o in altri campi pertinenti all'ambito amministrativo delle istituzioni dell'Ue» è scritto sul sito, quindi chimica, tossicologia, biologia, scienze e tecnologie ambientali, oppure settori amministrativi come diritto, comunicazioni, finanza, risorse umane e tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni. Possono presentarsi anche dipendenti pubblici o privati che lavorino negli stessi ambiti. Infine occorre saper comunicare in inglese, avere una conoscenza approfondita di una delle lingue ufficiali dell'Unione e una conoscenza soddisfacente di un'altra lingua ufficiale. Le opportunità aperte per settembre sono qui, con deadline alla metà di giugno (pur non escludendosi candidature spontanee). Inviata la domanda, si può essere contattati per un colloquio via telefono o di persona. Agli ammessi arriverà una lettera con il contratto di tirocinio e le informazioni sulla partenza. Infine, gli stage al Comitato delle regioni Ue, l'assemblea delle rappresentanze territoriali della Ue. Cosa farà un tirocinante in questo organo di Bruxelles? A seconda del settore per cui si opta si tratterà di mansioni di stampo più «amministrativo o politico», dicono sul sito. Due le sessioni annuali, una primaverile (dal 16 febbraio al 15 luglio), una autunnale (dal 16 settembre al 15 febbraio), entrambe di cinque mesi. Anche per il CoR le posizioni sono limitate, ma il compenso mensile piuttosto generoso: si percepisce il 25% di un funzionario di livello AD 5, dunque circa 900 euro lordi mensili, aumentati di 100 euro per chi è sposato o ha figli, più maggiorazioni per disabili e rimborso delle spese di viaggio. I requisiti si ripetono: nazionalità europea, diploma universitario e buona conoscenza di una lingua ufficiale, più quella soddisfacente di inglese o francese. È escluso chi abbia avuto esperienze di collaborazioni retribuite con entità europee per più di due mesi. L'application, in inglese, francese o tedesco, si spedisce online. Le selezioni, sulla «base del merito e di criteri geografici» terminano circa tre mesi prima della partenza. Quindi, per chi si propone ora, le prime notizie arriveranno a metà estate. Ilaria Mariotti Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Uno stage all'estero nelle istituzioni UE? Ecco oltre 700 opportunità- Novanta stage ben pagati nelle agenzie europee: ecco i bandi in scadenza a giugno- Stage ben pagati in Europa, i bandi dell'Agenzia del farmaco e della Corte di giustizia attirano i giovani italiani

A Terni nuovo bando "Work Experience" per finanziare 90 stage: e spunta l'obbligo di assunzione

Le prime due edizioni hanno visto trasformarsi in assunzioni 142 dei 238 tirocini avviati. Sulla scorta di questo buon risultato, la provincia di Terni apre un nuovo bando “Work Experience”: novanta stage semestrali rivolti a disoccupati e inoccupati con un rimborso di 800 euro mensili. E l'obbligo, per l'azienda ospitante, di offrire un contratto al termine del progetto. Ma come è possibile "obbligare" all'assunzione? «Non c'è nessun appiglio legislativo particolare», spiega alla Repubblica degli Stagisti Fabio Narciso [nella foto], responsabile della programmazione del settore Politiche del lavoro e formazione della provincia di Terni: «Semplicemente ci siamo inventati questa formula: se non si conferma il tirocinante, non si può più presentare domanda nei bandi successivi». Il progetto è finanziato attraverso il Fondo sociale europeo e quindi l'esclusione si estende per tutta la durata della programmazione decisa a Bruxelles. In altre parole, dato che attualmente il piano copre il periodo dal 2014 al 2020, le imprese che dovessero inserire uno stagista tramite “Work Experience” e poi non lo confermassero rimarrebbero escluse dalla partecipazione al bando per i prossimi cinque anni.Un meccanismo «molto semplice, ma che ci ha portato ad avere un risultato occupazionale eccezionale»: quasi il 60% dei tirocinanti si è visto offrire un contratto - ovviamente non sempre a tempo indeterminato - al termine dello stage. L'obbligo di assunzione «di fatto porta a selezionare solo quelle aziende che vedono il tirocinio come uno strumento per l'inserimento e la formazione di forza lavoro». E non come un modo per ottenere una risorsa a costi vantaggiosi, chiudendo i rapporti alla fine del tirocinio. Il risultato è che il primo bando del 2010 ha visto 82 assunzioni su 133 partecipanti. Il secondo, pubblicato due anni più tardi, ha portato a 60 contratti firmati su 105 stage attivati. Risultati che hanno permesso al progetto “Work Experience” di essere inserito nella banca dati delle buone prassi di Italia Lavoro. Per quanto riguarda il 2013 «i tirocini si sono conclusi a fine marzo, ma noi lasciamo alle aziende 60 giorni di tempo perché venga sottoscritto il contratto». Dunque per conoscere i risultati di questa ultima tornata bisognerà attendere ancora qualche settimana.Tempi più stretti invece, invece fino al 30 maggio, per presentare domanda per il bando 2014. Possono partecipare persone di età compresa tra i 18 ed i 64 anni, disoccupate o inoccupate, che risiedano o siano domiciliate in provincia di Terni e che siano iscritte ai centri per l'impiego. E questo è un elemento critico: perché non concentrare l'attenzione sui giovani? «Il progetto è nato come borsa di studio per i giovani. Quest'anno il consiglio provinciale, valutando che la disoccupazione over 50 è pesante, ha inserito una priorità per queste persone». Che quindi avranno un punteggio in graduatoria maggiore di chi è appena uscito dalla scuola. Ma le domande di chi è prossimo alla pensione, assicura Narciso, «sono residuali». Altro elemento critico, la scelta di lasciare il finanziamento delle borse totalmente in carico alla provincia, senza chiedere una compartecipazione a chi ospita il tirocinante. «Non l'abbiamo chiesto perché già abbiamo inserito l'obbligo di assunzione. Chiedere anche di cofinanziare ci sembrava obiettivamente troppo». Come detto, la sanzione per le imprese che non assumono lo stagista è l'esclusione dai successivi bandi Work Experience. Perché non estendere questa misura a tutti i progetti della provincia? «Non possiamo ingessare le misure: in dodici anni che faccio questo mestiere ho imparato che bisogna dosare», spiega il responsabile della programmazione del settore Lavoro della provincia di Terni. Che mette i risultati in termini di posti di lavoro generati a sostenere la validità delle scelte compiute. «Ci sono delle aziende che hanno individuato WE come un canale per la ricerca di personale, tanto che il 60% partecipa a più di un'edizione». Ovviamente, dopo aver inserito in azienda i precedenti stagisti. «Non abbiamo un dato preciso», aggiunge Narciso, «ma stimiamo che il 50% delle assunzioni di laureati in provincia di Terni avvenga attraverso il bando Work Experience». Il tirocinio dura sei mesi, non può essere prorogato e prevede un impegno massimo di 8 ore giornaliere. Possono chiedere di ospitare un progetto le aziende che abbiano una sede operativa nel territorio provinciale purché nei 12 mesi precedenti non abbiano interrotto un rapporto di lavoro con personale che abbia lo stesso profilo richiesto per la “Work Experience”. Sono escluse anche quelle che abbiano partecipato a una delle tre precedenti edizioni del bando senza formalizzare l'assunzione al termine del progetto.Per quanto riguarda l'obbligo di assunzione, è possibile sottoscrivere un contratto a tempo indeterminato o di apprendistato. Possibili anche il tempo determinato e la collaborazione, purché la durata sia almeno di 24 mesi e la retribuzione lorda non scenda al di sotto degli 8mila euro annuali. Le imprese che abbiano tra i 6 e i 19 dipendenti possono chiedere di ospitare due stagisti, che diventano tre se il personale supera le 20 unità. In questi casi sarà necessario offrire un contratto ad almeno due dei tirocinanti coinvolti, pena l'esclusione dalla partecipazione ai bandi fino al 2020.Il sistema prevede che una volta raccolte le candidature degli aspiranti stagisti, i curricula vengano inviati alle aziende, che ne selezionano alcuni per un colloquio conoscitivo. «Per lo svolgimento di queste interviste noi mettiamo a disposizione una sede fisica ed un'equipe di mediatori e psicologi del lavoro» aggiunge Narciso. Alle aziende partecipanti vengono inoltre segnalati altri bandi promossi dall'Unione Europea e se qualcuna decide di provare a candidarsi c'è un aiuto da parte della Provincia per la procedura di presentazione della domanda. È anche grazie a questi ulteriori servizi che “Work Experience” è stata inserita da Italia Lavoro nel libro delle buone prassi dei servizi per l'impiego.Riccardo Saporiti

Movin'Up, 80mila euro per giovani artisti che vogliono farsi conoscere all'estero

Taglia il traguardo della sedicesima edizione Movin'Up, iniziativa finalizzata alla promozione all’estero dell’attività di giovani artisti italiani. Il programma porta la firma di ministero dei Beni Culturali e Gai (l'associazione per il circuito dei Giovani artisti italiani) e punta a sostenere giovani creativi di età compresa tra i 18 e i 35 anni - nati quindi tra il primo gennaio 1979 e il primo gennaio 1996 - di nazionalità italiana o residenti da almeno un anno in Italia. Obiettivo di base dell’iniziativa è fornire un supporto economico ad artisti invitati a festival, mostre e altri eventi da enti pubblici e privati, istituzioni culturali o che abbiano in progetto produzioni o coproduzioni da realizzare all’estero nel periodo compreso tra il primo luglio e il 31 dicembre 2014. Tanti gli ambiti di interesse: dalle arti visive alla musica, dal design alla scrittura.C’è tempo fino al 23 maggio 2014 per provare a ottenere il contributo, che permette di coprire parzialmente o totalmente i costi sostenuti durante il soggiorno: viaggio, permanenza ed eventuali spese legate alla propria produzione artistica, ad esempio l’acquisto di materiali. Per candidarsi l’artista deve presentare una lettera di invito con firma autenticata dell’ente straniero e un preventivo di spesa relativo al proprio progetto. Il contributo viene erogato però al vincitore solo a conclusione dell’esperienza all’estero, successivamente alla presentazione di una dettagliata rendicontazione delle spese sostenute.Per l’edizione 2014 i fondi, stanziati in parte dal ministero dei Beni Culturali e in parte dalla Gai, ammontano a circa 80mila euro - suddivisi per le due sessioni previste. Ogni edizione è infatti articolata in due tempi e il bando per la seconda viene di solito pubblicato nell’autunno dello stesso anno. La cifra è sostanzialmente identica a quella stanziata per l’edizione precedente. Dalla Gai spiegano che il numero di progetti finanziabili non è stabilito in fase di bando ma viene fissato solo dopo la valutazione delle proposte: l’importo attribuibile a ciascun progetto non è standard, ma può variare in base alle caratteristiche della singola idea creativa e può coprire anche solo in parte le spese. Nell’edizione 2013 sono stati finanziati complessivamente 42 progetti su 249 candidature, assegnando a ciascun singolo progetto un contributo variabile tra i 330 e i 5mila euro.La valutazione delle proposte e lo stanziamento dei fondi sono effettuati da una giuria nazionale di esperti di differenti settori artistici costituita ad hoc, che svolge la selezione sulla base dei criteri elencati nel bando: caratteristiche del progetto, per le quali viene attribuito un punteggio da 1 a 10 (qualità, innovazione, solidità degli obiettivi), qualificazione dell’ente invitante o ospitante; curriculum artistico del candidato; eventuale coinvolgimento di altri artisti nel progetto. «In occasione di ciascuna sessione di selezione viene convocata una commissione nazionale di esperti appositamente costituita, il cui giudizio è inappellabile, che vaglia le domande individuando gli aventi diritto, stila una graduatoria e sulla base del budget complessivamente disponibile in ogni sessione individua l'entità del contributo economico da assegnare a ciascun vincitore. I nominativi dei giurati insieme la budget totale che verrà distribuito vengono pubblicati sul sito internet del concorso successivamente a ciascuna scadenza di candidatura», spiega alla Repubblica degli Stagisti Patrizia Rossello, responsabile relazioni esterne Gai.La domanda di partecipazione può essere inviata esclusivamente online tramite il sito Giovaniartisti.it, attraverso la creazione di un account e la compilazione dell’application form, alla quale vanno allegati una serie di documenti necessari ai fini della candidatura. Vale a dire: lettera d’invito dell’ente straniero in lingua inglese, cv del candidato, presentazione breve del progetto e descrizione dettagliata libera, presentazione dell’istituzione estera invitante, copia di un documento di identità e infine preventivo particolareggiato delle spese previste. Creato nel 1999 e dal 2003 gestito in collaborazione del ministero dei Beni Culturali, a oggi il programma ha permesso di sostenere 612 su 1845 progetti presentati, per un totale di oltre 1100 artisti. Per molti dei vincitori Movin'Up  è stato un trampolino di lancio per esperienze successive, come la partecipazione ad eventi internazionali di prestigio del proprio settore di interesse. Il designer Gian Piero Giovannini, per esempio, si è aggiudicato il premio speciale Movin'Up partecipando all'edizione 2013 del DMY, International Design Festival di Berlino.Chiara Del Priore Foto IRENE PITTATOREHow to move your artwork from museum to public space: una ricerca internazionale e un libro d'artista. Un progetto di Irene Pittatore a cura di Nicoletta Daldanise RICCARDO BANFINo standing just dancing, copertina del libro 

Stage, volontariato, diritti umani: il no profit che non paga

Tanti sogni, un solo obiettivo: mettersi a servizio degli altri e impegnarsi per tutelare i diritti umani. Il percorso? Una laurea, un master, diversi corsi di lingua, uno stage. E poi? Un lavoro per potersi mantenere durante l’ennesimo stage o volontariato non retribuito. Questo è il destino di tanti giovani italiani alla ricerca di un’organizzazione non governativa, di un’associazione, di un ente disposto ad accoglierli. Un amaro risveglio per tanti giovani laureati che ogni giorno finiscono per accettare stage privi di compenso in associazioni e organismi con fini di solidarietà sociale e sviluppo, nella speranza di vedersi riconosciuto un giorno il diritto ad essere pagati. Come funziona il no profit in Italia? E quale peso ha nel sistema produttivo nazionale? Il No profit in ItaliaIl no profit è disciplinato dal decreto legislativo 4 dicembre 1997 n. 460. L’articolo 10 afferma che «sono organizzazioni non lucrative di utilità sociale (onlus) le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato». Si tratta di una definizione ampia che comprende anche le organizzazioni di volontariato iscritte nell’apposito registro regionale e le organizzazioni non governative (Ong) riconosciute idonee dal ministero degli Esteri e le cooperative sociali. Nello specifico queste ultime, per essere riconosciute dal Ministero e per operare nel campo della cooperazione, devono soddisfare determinati criteri elencati dalla legge 49/187. E’ bene ricordare inoltre che le Ong operano principalmente a livello internazionale in Paesi in via si sviluppo a differenza delle associazioni che invece concentrano la loro azione a livello nazionale.Il peso del No profit nell’economia nazionaleSecondo l’ultimo Censimento dell’industria e dei servizi, pubblicato dall’Istat nel 2011, le istituzioni no profit e gli enti senza scopo di lucro e con natura privatistica sono più di 300mila. All’interno di tali organizzazioni i lavoratori temporanei ed esterni corrispondono rispettivamente a 5mila e 270mila, a fronte di 680mila lavoratori dipendenti e di quasi 5 milioni di volontari impiegati in settori diversi. Il rapporto Cooperazione, non profit e imprenditoria sociale: economia e lavoro 2014, curato da Unioncamere-Si.Camera, ha evidenziato inoltre come il peso occupazionale delle istituzioni no profit nel sistema produttivo nazionale sia aumentato rispetto al 2001, anno del secondo censimento. Secondo quest’ultimo, infatti, «i lavoratori esterni rappresentano oltre un terzo del totale nazionale comprensivo della sfera privata e pubblica oltre a quella no profit». Negli ultimi dieci anni l’inclusione sociale e i servizi hanno impiegato figure professionali diverse e gli addetti sono così passati da 488mila a più di 680mila unità.La crescita del no profit ha incrementato il suo peso del settore nell’economia nazionale arrivando a rappresentare il 6,4% dell’economia nazionale, con 65mila unità attive in più rispetto al 2011. Ma bisogna anche considerare che negli ultimi dieci anni sono aumentate le istituzioni che impiegano lavoratori esterni - 36mila nel 2011 contro 17mila nel 2001 con un incremento del numero di collaboratori del 169,4% - e che al contempo si è registrato un moderato aumento delle istituzioni con addetti con una crescita del personale dipendente pari al 39,4%. Un risultato che trova una spiegazione nella precarietà dei progetti gestiti su base annuale a seconda dei finanziamenti e coordinati da figure professionali spesso inquadrate con contratti a progetto o altre forme di collaborazione. Nonostante la crisi abbia avuto un notevole impatto sul funzionamento di tali enti, considerato che i loro fondi sono costituiti da donazioni private e finanziamenti pubblici, il settore continua a richiamare figure professionali di alto livello alle quali, peraltro, nella maggior parte dei casi non vengono riconosciuti una retribuzione equa e un corretto inquadramento contrattuale.Stage negli enti no profit: il miraggio del rimborso speseIn un mondo globalizzato, il settore no profit risulta essere dunque in crescita. I servizi forniti spesso fungono da compensatore rispetto alle lacune del welfare, e stando al Rapporto Almalaurea pubblicato nel 2013 impiegano attualmente il 7% dei laureati. Nessun rapporto censisce però quanti stagisti vengano ospitati all’interno di organizzazioni no profit. La Repubblica degli Stagisti già nel 2012 aveva posto all'ordine del giorno questo problema, stimando per parte sua che nelle oltre 200 mila associazioni esistenti gli stagisti fossero più di 60mila. I dati si riferivano al Censimento generale dell’industria e servizi realizzato dall’Istat nel 2001. Considerato che oggi gli enti no profit sono più di 300mila il numero degli stagisti potrebbe aggirarsi sui 90mila all’anno.I giovani laureati, attratti dai principi e dai valori propugnati da tali associazioni, si affacciano nel settore allo scopo di promuovere la cultura, attività sportive, ricreative, di sostegno agli anziani e alle famiglie e nel settore della sanità, spesso in grande buona fede e non completamente consapevoli che la gavetta sarà, nella maggior parte dei casi, caratterizzata da stage non retribuiti e lunghi periodi di volontariato full time. Peraltro in realtà l’art. 2 della legge 266/91 afferma che per volontariato «deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà».Gli annunci: stage gratuiti in associazioniEppure basta accedere alla sezione lavora con noi per rendersi conto che per potersi occupare di diritti umani bisognerà rinunciare ai propri. Ecco due esempi, assolutamente casuali, per descrivere la situazione che accomuna decine di migliaia di soggetti che fanno parte della galassia del no profit. Un'associazione che tutela i diritti dei bambini offre tantissimi stage, tutti «full time» e tutti rigorosamente «gratuiti» (anche definiti, in maniera impropria, «non retribuiti»). Spesso negli annunci viene specificato che sarà data precedenza a chi ha una determinata laurea, oppure esperienze pregresse nello stesso campo, oppure una conoscenza approfondita di una certa lingua. Insomma, skills che si richiedono solitamente a chi si candida per un lavoro - non per un'esperienza di formazione on the job. Peraltro negli annunci dell'Aibi come di moltissime altre associazioni spesso viene specificato che un periodo di volontariato svolto in precedenza può aiutare il candidato a essere selezionato. Ecco allora che si mette in moto un meccanismo malato, per cui donare il proprio tempo per motivi solidaristici si trasforma nell’unica possibilità di poter poi sperare di entrare - ovviamente attraverso uno stage - in una determinata realtà non profit. Un altro esempio: MArteLive, l'associazione culturale no-profit Procult, ha pubblicato nelle scorse settimane un annuncio su molti siti specializzati, tra cui Bakeca.it, annunciando di cercare «urgentemente» un/a stagista under 35 da inserire nel progetto MarteCard. Come «urgentemente»? Il carattere di urgenza è completamente incompatibile con la finalità dello stage, che è quella di realizzare un percorso formativo esclusivamente a vantaggio del tirocinante. Se qualcuno ha bisogno «urgente» di un collaboratore dovrebbe aprire una posizione di lavoro, non di stage. Invece qui gli annunci segnalano che «lo stage è di 3/6 mesi e non è retribuito» aggiungendo a mò di contentino che «per chi fosse interessato esiste l'opportunità di acquisire crediti formativi e l'attestato di Stage per il progetto biennale MArteLive 2014 e di diventare collaboratori di riferimento per MarteLive». Dopo aver prestato per mesi servizio gratuitamente, però. Lo stage prima della laurea All’interno delle università la situazione non cambia. A spiegarlo è Paolo De Stefani, ricercatore e professore aggregato di diritto internazionale presso la facoltà di scienze politiche dell'u\niversità di Padova: «Per gli studenti non ci sono borse in generale e quindi nemmeno per il sostegno ai tirocini, in materia di diritti umani o altro. Gli stage universitari sono quasi per definizione non retribuiti, anche se sarebbe buona prassi prevedere qualche forma di rimborso. Il settore dei diritti umani non fa eccezione». Secondo il docente, ma sembra più un auspicio che una constatazione, «Chi opera in questo settore tende a essere più attento a fenomeni di "sfruttamento" che possono coinvolgere lo stagiaire o altri collaboratori delle strutture ospitanti». Ma la situazione anziché migliorare sta peggiorando: «Negli ultimi anni la disponibilità di enti pubblici o privati a corrispondere rimborsi o pocket money è diminuita, così come si è ristretta la possibilità di accedere a stage dopo aver conseguito la laurea. Bisognerebbe utilizzare meglio l'opportunità di abbinare lo stage universitario con programmi che prevedono delle borse. Per esempio, far riconoscere come stage il servizio civile nazionale o regionale, abbinare stage universitario e esperienze a programmi di mobilità internazionale: il servizio volontario europeo, una sperimentazione è stata avviata in questi anni a Padova, o il programma Gioventù in azione - dal 2014 confluito nel programma Erasmus+. Gli studenti - e le università, naturalmente - dovrebbero meglio organizzarsi per cercare opportunità di finanziamento presso istituti, fondazioni, sia italiane sia straniere. Ciò non esenta le università dal cercare di attuare accordi ad hoc con fondazioni bancarie o aziende dedicate a finanziare, tra l'altro, le internship presso organismi privati o pubblici attivi sui diritti umani o materia connesse» conclude De Stefani. Il tabù italianoA fronte della frequentissima negazione di un compenso, si può dire insomma che i giovani che aspirano a una carriera nel no profit abbiano accettato lo status quo, prendendo per buona la risposta standard che le associazioni utilizzano per giustificare gli stage gratuiti e i compensi molto bassi ai collaboratori: «abbiamo pochi soldi, non si può pretendere di essere pagati, altrimenti si toglierebbero soldi alle opere di bene». Ma è davvero così? Quanti sono i fondi che effettivamente ricevono tali associazioni? É possibile che nemmeno le Ong riconosciute dal ministero degli Esteri e spesso destinatarie di fondi pubblici non siano in grado di pagare i loro stagisti? Parlare di questo in Italia è tabù.  L’anno scorso infatti la pubblicazione del libro-denuncia L’industria della carità di Valentina Furlanetto ha sollevato un polverone. Senza voler screditare il lavoro del mondo della solidarietà molto attivo e fruttuoso in Italia, è difficile non ammettere che il no profit sia molto meno controllato del profit - anche considerando che le Odv e le Ong con proventi inferiori a 51mila Euro non hanno l’obbligo di presentazione dei loro bilanci. La Furlanetto in un’intervista al quotidiano La Repubblica aveva richiamato l’attenzione sulla relazione della Corte dei Conti del 2012, ricordando gli ottantaquattro progetti analizzati dalla Corte dal 2008 al 2010, da cui è emerso che spesso i fondi non sono arrivati a destinazione, i rendiconti sono spariti e i progetti sono rimasti fermi.Nebbia fitta dunque per i giovani italiani che desiderano lavorare nel settore, in attesa di una normativa chiara ed efficiente capace di distinguere tra volontariato e stage, tra diritto al rimborso spese e utilizzazione dei fondi per scopi solidaristici. Questo non succede solo in Italia - dove peraltro nel corso del 2013 sono entrate in vigore in quasi tutte le Regioni italiane nuove normative in materia di stage che almeno per quelli "extracurriculari" prevedono l'obbligo di corrispondere un compenso mensile (tra i 300 e i 600 euro a seconda della Regione), obbligo cui devono assoggettarsi anche gli enti no profit -  bensì anche all’estero. Nel prossimo articolo la Repubblica degli Stagisti andrà a indagare la situazione nelle le sedi del no profit per antonomasia: Bruxelles, Ginevra e New York. Alessia BottonePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Lavoro e volontariato, dove sta il confine?- La lista dei tirchi: la "black list" degli organismi internazionali che non pagano gli stagisti- Mae-Crui, la vergogna degli stage gratuiti presso il ministero degli Esteri: ministro Frattini, davvero non riesce a trovare 3 milioni e mezzo di euro per i rimborsi spese?  

Campania, spariti i soldi destinati alle borse di studio: l'Unione degli universitari fa ricorso alla Corte dei conti

Più di 13 milioni di euro destinati agli enti per il diritto allo studio della regione Campania che non sono mai stati utilizzati per la loro finalità - cioè appunto erogare borse di studio - lasciando a secco tra i 12 e i 13mila studenti: da queste cifre è partita la battaglia dell’Unione degli universitari per sapere che fine avessero fatto quei soldi e obbligare la Regione a darli ai legittimi destinatari. «Abbiamo chiesto più volte spiegazioni» racconta alla Repubblica degli Stagisti Gianluca Scuccimarra, (nella foto) coordinatore nazionale dell’Udu «ma dalla Regione hanno sempre tentato di negare, salvo nelle ultime dichiarazioni dell’assessore regionale che ha detto esplicitamente che questi soldi mancavano ma stavano arrivando. Ad oggi però non se ne ha ancora notizia e in ogni caso sarebbero dovuti arrivare un anno e mezzo fa». In effetti la regione Campania, attraverso un comunicato dell’assessore all’istruzione Caterina Miraglia, ha precisato che la parziale «erogazione delle borse di studio per l’anno accademico 2012/2013, è derivata dalla modifica dell’importo della tassa così come disposta con il decreto legislativo 68/2012 che ha innalzato l’importo da 62 a 140 euro. L’assegnazione delle risorse» continua il comunicato «è stata invece effettuata moltiplicando la popolazione studentesca dell’anno accademico 2011-12 per il precedente importo di 62 euro, così come iscritto in bilancio». Il motivo sarebbe dovuto al fatto che non è stato possibile effettuare una variazione di bilancio ma, sempre nella nota del 12 marzo, si precisa che si stanno concludendo le operazioni di verifica per permettere l’assegnazione alle Adisu delle somme dovute e l’immediata erogazione. Nel frattempo, però, l’Udu Campania ha depositato a inizio aprile un esposto alla Corte dei conti per chiedere spiegazioni e capire per cosa quei soldi, vincolati alle borse di studio, siano stati invece utilizzati. «Non è un ricorso amministrativo ma una denuncia su cui si svilupperanno delle indagini» precisa Scuccimarra «quindi prima di un mese è difficile che esca fuori qualcosa». La Repubblica degli Stagisti ha contattato Michele Bonetti, legale dell’Udu, per avere qualche informazione in più sui tempi: il legale ha confermato che bisognerà aspettare cinque-sei mesi prima di avere una decisione della Corte. Considerando già i due anni di attesa trascorsi, però, non si tratta di un'attesa così lunga e l’Unione studenti universitari dalla sua ha il buon risultato ottenuto in Piemonte, altra regione in cui i fondi destinati per il diritto allo studio – in questo caso per l’anno accademico 2011/12 - erano stati impropriamente usati per altro. Anche in quel caso l’Udu aveva fatto ricorso al Tar per capire che fine avessero fatto i due milioni di euro. E alla fine ha vinto. «C’è voluto un anno per avere una sentenza del Tar, più un altro anno circa perché la Regione cominciasse a erogare le borse di studio. A partire dal 16 marzo 2014, però, sono state distribuite le borse ai destinatari», conferma con soddisfazione Scuccimarra, aggiungendo che per fortuna le uniche regioni ad aver «fatto questo gioco» sono solo Piemonte e Campania - quantomeno per quanto risulta all’Udu al momento attuale. La scoperta dei soldi mancanti in Campania è stata fatta analizzando bene i dati «del ministero dell’istruzione che ogni anno pubblica i finanziamenti che le regioni mettono sul diritto allo studio» spiega ancora il coordinatore nazionale Udu. «Leggendoli, anche grazie alla presenza di alcuni ragazzi nei consigli di amministrazione degli enti per il diritto allo studio, ci siamo accorti che mancavano dei soldi dai fondi che di solito dovrebbero incamerare le università sulle tasse regionali. È facile calcolare l’ammontare complessivo perché ogni studente, tranne i borsisti, le paga. Così, facendo il calcolo tra quello che doveva essere l’ammontare e quanto invece è stato erogato in borse di studio ci siamo accorti di questo ammanco». Un taglio alle borse di studio che era ancora più difficile da giustificare visto che proprio il decreto legislativo 68, di cui parla l’assessore Miraglia nel suo comunicato, imponeva «di aumentare del 125% la tassa regionale per il diritto allo studio che però deve essere dedicata direttamente per l’erogazione delle borse: ci sono già sentenze del Tar a confermarlo», ricorda Scuccimarra.La decisione del tribunale amministrativo è quindi molto attesa: secondo dati ministeriali, infatti, la copertura delle borse di studio nell’anno accademico 2012/13 è stata del 27% per gli studenti campani idonei, ma «se le borse fossero state erogate con i fondi ad esse destinati, saremmo arrivati a una copertura di oltre il 70%». Cifre importanti, soprattutto in tempi di crisi in cui sostenere tutte le spese connesse all'iscrizione di un corso di laurea, è diventato sempre più difficile per molte famiglie italiane. Ed è proprio su questo fronte che si indirizzano le richieste dell’Unione degli universitari al nuovo governo Renzi: «Chiediamo di cominciare a rimpinguare il fondo per il diritto allo studio. Mancano in totale 150 milioni di euro per poter coprire tutte le borse. È un investimento minimo rispetto a quelli che sono i bilanci del ministero dell’istruzione. E con quei 150 milioni noi riusciremmo a dare una borsa di studio a tutti coloro che ne hanno diritto».  Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Prestiti d’onore, bassissimi anche nel 2013 i finanziamenti agli studenti- Dottorato, in Campania si fa in azienda- Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all'ossoE anche:- Studiare costa, ma in Italia i prestiti d'onore ancora non decollano- Talento x investimento = risultati: la formula anticrisi per i giovani