Danone diventa Bcorp: “Perseguire obiettivi sociali oltre che economici: così il mondo del business diventa migliore”
C’era una volta un mondo in cui le aziende non pensavano solo al profitto. In cui si sentivano responsabili di quel che producevano, di come lo vendevano, di come lavoravano e vivevano i loro dipendenti, degli effetti che la loro attività aveva sull’ambiente circostante. Aziende che miravano a perseguire obiettivi sociali oltre che economici; che volevano che il loro impatto fosse misurabile non solo con il fatturato, ma anche con l’attenzione all’ambiente, alle persone, al territorio.Non è che una favola, giusto? In effetti, no. Da qualche anno è una realtà – o meglio, è l’obiettivo a cui si mira con le “benefit corporations”: un movimento nato negli Stati Uniti che sta diffondendo in tutto il mondo. «Le Benefit Corporation rappresentano l'evoluzione, forse la rappresentazione più spinta di quello che è un business sostenibile: il concetto di usare il business come forza positiva» ha spiegato in un Ted Talk l’imprenditore Eric Ezechieli, founder di Nativa, prima Benefit Corporation e B Corp in Europa: «Come possiamo usare questa straordinaria potenzialità per contribuire a risolvere le grandi sfide del nostro tempo? Qualsiasi azienda può cominciare a reinterpretarsi e reinventarsi in questa direzione, e quindi può cominciare a diventare rigenerativa».Diverse aziende han deciso di scommettere su questa filosofia. Tra queste c’è il gruppo Danone, che sta trasformando tutte le sue sedi in questo senso. «Abbiamo nel mondo già tantissime entità che sono certificate BCorp» spiega Fabrizio Gavelli, Ceo per la divisione Specialized Nutrition South Europe di Danone: «Le prime sono nate negli Stati Uniti: Danone US è la più grande BCorp del mondo. Ne abbiamo poi in Inghilterra, in Francia, in Spagna… Attualmente il 45% del nostro business è certificato BCorp nel mondo. Nel momento in cui raggiungeremo l’80%, saremo una BCorp come corporation». Danone si era prefissata di raggiungere questo obiettivo entro il 2030, anticipando poi al 2025: «E secondo me riusciremo anche prima, perché questa è una grande priorità della nostra azienda: vogliamo diventare presto la più grande azienda Bcorp del mondo come conglomerato».In Italia Danone conta quasi 500 dipendenti e da molti anni dimostra la sua attenzione al tema dell’occupazione giovanile di qualità facendo parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti, assicurando ai suoi tirocinanti un buon rimborso spese mensile (da 700 a 1000 euro al mese), e assumendone oltre il 60% al termine dell’esperienza formativa. Ha implementato una policy per la diversità e inclusione, un’altra per le politiche genitoriali; è da anni nella classifica dei Great Place to Work e ha di recente vinto il premio Most Attractive Employer 2020 di Universum. E ora il passo verso la Bcorp.In Italia ci sono due modi, non mutuamente esclusivi, di abbracciare questo modello. Uno è fare il processo di certificazione BCorp, cioè incaricare una società (la più nota è l’americana BLab) che arriva in azienda a fare un lungo assessment sugli obiettivi ambientali, sociali, di governance, di relazione coi dipendenti, i fornitori, i consumatori, il territorio. «Abbiamo avuto per quasi un anno i certificatori di BLab» conferma Gavelli. Un procedimento non semplice: «è veramente mettere a nudo l’azienda». Il risultato di questo lavoro viene trasformato in un punteggio: se si superano gli 80 punti (il massimo è 200) si è BCorp.L’altro modo è diventare Benefit Corporation: in Italia questa nuova forma giuridica di impresa è stata introdotta con la legge 208/2015, a prima firma Mauro Del Barba, senatore del Partito democratico, ed è entrata in vigore a gennaio del 2016. Diventando Società Benefit, si legge sul sito omonimo curato da BLab e AssoBenefit, si modifica lo scopo di una società “dando agli imprenditori la libertà di prendere in considerazione le persone e l’ambiente oltre al profitto”. La scelta di diventare Società Benefit “non ha alcun impatto sulle imprese già esistenti, sulle altre forme societarie, o dal punto di vista fiscale”. Obiettivo di questa forma giuridica è proteggere “la missione aziendale in caso di entrata di nuovi investitori, cambi di leadership e passaggi generazionali”; offrire “maggiore flessibilità e solidità in caso di vendita” e preparare le aziende “perché mantengano la loro missione dalla fase di startup alla quotazione in borsa”.Le tre società del gruppo Danone in Italia – Danone, Mellin e Nutricia – sono diventate Benefit Corporation all’inizio di quest’anno, cambiando il loro statuto. «Siamo andati alla Camera di Commercio e abbiamo detto “noi da oggi ci vogliamo chiamare società benefit perseguendo degli obiettivi specifici di One Planet, One Health, One Community”: e abbiamo iniziato formalmente questo percorso» ricorda Gavelli, citando le parole chiave che Danone ha scelto come sua “vision” fin dal 2017: l’idea che la salute delle persone e quella del pianeta siano interconnesse, e la “call to action” ai consumatori e a chiunque abbia a che fare con il tema del cibo ad abbracciare la “food revolution”, un movimento che incentiva l’adozione di abitudini alimentari più sane e più sostenibili.«Il ruolo delle BCorp è diventare rigenerative» aggiunge Sonia Malaspina, direttrice HR Sud Est Europa di Danone: «Finora le aziende son state “estrattive”, nel senso negativo, perché hanno sfruttato l’ambiente, il territorio, le comunità, le persone. Invece cambia il concetto: l’azienda deve fare di tutto per avere un impatto positivo sui vari ecosistemi che gestisce. Una posizione ancora più attuale in un momento storico come questo» dove le aziende si trovano a gestire «le persone e le loro famiglie» colpite direttamente o indirettamente dalla pandemia di Covid. Ad agosto 2020 è arrivato anche l’annuncio della certificazione: un percorso lungo, costoso e macchinoso. «Sono aggettivi appropriati» conferma Fabrizio Gavelli, perché il processo «mette in luce tutti gli aspetti dell’azienda che funzionano… e quelli che devono essere migliorati». Ma le tre società del gruppo Danone hanno tutte superato il tetto dei famosi ottanta punti, e sono ora BCorp.Una scelta di questo tipo ha un impatto sui dipendenti: è una dichiarazione di responsabilità, un messaggio all’esterno che dice “per noi ci sono cose che contano più del profitto”. Già «noi non parliamo di dipendenti ma di “danoners”, cittadini di Danone» specifica Malaspina: «In questa categoria consideriamo le persone assunte, e anche tutti i collaboratori: quindi gli stagisti sono dei danoners, gli agenti. C’è una attenzione alla comunità delle nostre persone come prima comunità». In questo contesto, la certificazione Bcorp è stata una presa di posizione che ha generato fierezza: «Il sentimento che mi hanno restituito le nostre persone è un forte orgoglio: “Ma allora ciascuno di noi può fare la differenza”. Un messaggio potentissimo. Far parte di un’azienda che si pone anche un obiettivo di impatto sociale coinvolge tutti, trasversalmente ai settori aziendali e all’età: per le persone che stanno terminando la loro carriera è qualcosa che fa ben sperare per il futuro dei nostri figli».Le Bcorp sono circa 3.500 nel mondo, poco più di cento in Italia. «Noi come Danone vorremmo che ci fossero sempre più aziende che ottengano questa certificazione» dice ancora Gavelli. L’obiettivo è che si venga a creare «un sistema aperto: che il maggior numero possibile di aziende si avvicini a quesa filosofia, perché in questo modo il mondo del business, nel mondo e in Italia, migliorerebbe. Saremmo ben contenti che anche i nostri concorrenti, oltre che tutto il mondo del Food in generale, potessero abbracciare questi principi». Perché questo riferimento proprio al settore Food? «Perché è il nostro mondo, ma sopratutto perché è la categoria più grande del mondo. Il Food ha a che fare con alcuni sistemi produttivi fondamentali per i Paesi: l’agricoltura in Europa occupa una percentuale enorme di persone; la trasformazione del mondo agricolo è uno dei temi politici più importanti. Da Ippocrate col suo “Le vostre medicine siano i cibi” a Steve Jobs che pochi giorni prima di morire disse “Fate sì che i cibi siano le vostre medicine, prima che le medicine diventino i vostri cibi”, c’è molto da cui trarre ispirazione. Il Food ormai fa parte integrante della nostra vita, della nostra salute, della salute dell’ambiente. Detto ciò, non è che gli altri settori non abbiano la sensibilità per farlo! Ci sono aziende meravigliose in Italia che stanno diventando paladine nelle loro rispettive categorie».Qualche nome? «La prima, che noi citiamo sempre perché è la più grande BCorp europea, è Chiesi» risponde Gavelli: «Un’azienda farmaceutica di Parma che ha fatto un percorso bellissimo. Poi c’è Davines, un’azienda di cosmesi più piccola che ha sempre sede a Parma, molto all’avanguardia, che ha fatto della sostenibilità il suo pay-off: si chiama Sustainable Beauty». E ancora «Wekiwi, un operatore di elettricità e di gas, una start-up che sta avendo un grande sviluppo, che vede l’energia in modo sostenibile». E poi, in un settore limitrofo a quello del Food che è quello della ristorazione, c’è l’esempio della catena milanese Panino Giusto: «Il movimento BCorp prescinde dalla dimensione, anzi è nato dalle aziende piccole. E questa è una forza; in un Paese come l’Italia, dove tutto nasce dalla piccola e media impresa, lo è ancora di più. Ci sono aziende minuscole, anche di pochissimi dipendenti, che hanno deciso di fare questo percorso».Ma perché la forza riesca a dispiegarsi c’è bisogno di un cambio di paradigma: «Corrono i cinquant’anni della teoria economica di Friedman sulla shareholder theory, quella secondo cui si lavora solo ed esclusivamente per un ritorno agli azionisti. Questo è… morto!» dice senza indugi Gavelli: «Si deve passare da una shareholder economy a una stakeholder economy, cioè l’azienda deve creare valore non solo per gli shareholder, coloro i quali hanno prestato e stanno prestando capitale, ma anche per tutti i suoi partner: in primo luogo le persone che lavorano per l’azienda, e poi i fornitori, i clienti, il sistema politico, l’ambiente». E attenzione, non «per fini filantropici», nel senso che creare profitto per gli azionisti va benissimo: ma sapendo che «l’evoluzione dell’azionariato e della remunerazione del capitale passa attraverso la creazione di valore».Il movimento, nato in America, sta trovando in Italia un terreno particolarmente fertile: «Abbiamo già 500 aziende Benefit Corporation, imprenditori che hanno deciso di cambiare lo statuto delle proprie aziende: non mi sembra una cosa da sottovalutare». I riscontri istituzionali ottenuti in quattro anni non sono pochi: oltre al fatto che «nel 2016 noi siamo stati il primo Paese come entità politica» a istituire una forma societaria apposta per riconoscere questo tipo di azienda, Gavelli nota anche che «la commissione parlamentare Agricoltura sta prendendo questo movimento in maniera molto seria» e che «il presidente Conte ha scritto un libro di cui un capitolo è dedicato proprio alle società Benefit», oltre al fatto che «esiste Assobenefit, l’associazione delle società benefit, fondata da un parlamentare, il cui fine è di promuovere il fatto che più aziende possibili cambino il loro statuto». Anche questa una cosa «quasi solo italiana».Gavelli crede molto nel tessuto potenziale di start-up che operano nell’area della sostenibilità, e nelle nuove generazioni: «Possono fare da stimolo al mondo economico e industriale. Qualcosa per cui noi non siamo secondi ad altri Paesi in Europa».