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Vulcanus in Japan non si ferma per il Covid: ecco come andare per un anno in Giappone in stage

Un periodo di formazione di un anno in Giappone finanziato dalla Commissione europea e dalle aziende ospitanti. È quanto offre il programma Vulcanus in Japan, lanciato nel 1997, a una trentina di studenti universitari dell’Unione europea o di paesi aderenti al Cosme (Competitiveness of enterprises and small and medium-sized enterprises), un programma dell’Ue per la competitività delle imprese.Le candidature resteranno aperte dal 10 gennaio al 10 febbraio 2021. Per poter presentare domanda di partecipazione occorre: essere studenti, almeno al quarto anno complessivo di studi, presso università dell’Ue o del Cosme; essere iscritti a facoltà scientifiche o tecniche (es. Ingegneria, Informatica, Chimica, Fisica, Matematica) e restare iscritti almeno fino al giugno successivo all’invio della domanda. Il programma, per l’edizione 2021/2022, si terrà a partire dal 1° settembre 2021 e comprenderà: un seminario di una settimana sul Giappone, un corso intensivo di lingua giapponese della durata di quattro mesi e un tirocinio di otto mesi presso un’azienda giapponese. Il tutto sarà preceduto da un incontro preliminare, che si terrà presso la sede di Bruxelles del programma a luglio 2021. Nel caso in cui lo scenario sanitario globale non lo consentisse, quest'ultimo si svolgerà online. Previsto un rimborso spese a rate per un totale di circa 15mila euro (1 milione e 900mila yen), volto a coprire il viaggio di andata e di ritorno, l’assicurazione e le spese di soggiorno in Giappone. L’alloggio sarà messo a disposizione, per tutti i dodici mesi, dall’azienda ospitante, mentre l’Eu-Japan Center for Industrial Cooperation, promotore e gestore del programma, finanzierà il seminario e il corso di lingua. Nato nel 1987 per iniziativa della Commissione Ue - Direzione generale per le imprese e l’industria e del ministero per l’economia giapponese, il Centro si propone di rafforzare i legami industriali tra Europa e Giappone. Oltre a Vulcanus in Japan, fra l’altro, promuove anche Vulcanus in Europe per gli studenti giapponesi, gestito dall’ufficio di Tokyo.I partecipanti sono selezionati in base al curriculum accademico, alla conoscenza della lingua inglese scritta e parlata, alla motivazione e alla capacità di adattamento. Ogni anno fanno domanda oltre 600 studenti universitari. Circa 700 le domande nell'ultima tornata.Le maggiori nazionalità rappresentate dalle candidature sono Polonia e Spagna, seguite dall’Italia. Dal Program Officer, ci dicono che non sono autorizzati a condividere il dato sulle candidature per Paese, ma che ogni anno sono mediamente 2-3 i ragazzi italiani ammessi a partecipare. I principali campi che impiegano i tirocinanti sono: IT, ingegneria elettronica, ingegneria meccanica, fisica, materiali. Ma anche chimica, architettura, nanotecnologie, matematica.  I tirocini si svolgono presso alcune delle principali aziende multinazionali del Giappone: hanno ospitato tirocinanti in passato NTT, Hitachi, Fujitsu, Canon, Mitsubishi Chemical, Bosch etc. Le destinazioni che hanno accolto più partecipanti sono: Kanagawa, Tokyo, Ibaraki, Kyoto, Saitama. Dei partecipanti, secondo un recente report del programma, l’89 per cento dichiara un impatto positivo sulla propria carriera e il 24 per cento è attualmente coinvolto nel business Eu-Giappone. Il 27 per cento è rimasto o è tornato in Giappone per un periodo minimo di cinque anni, il 59 per cento per almeno dieci anni e il 14 per cento per almeno quindici. A partire dal mese di dicembre, si potranno consultare le offerte di tirocinio per la prossima sessione. L’esito delle domande si conoscerà entro metà marzo. Anche se le candidature online si potranno inviare dal 10 gennaio al 10 febbraio 2021, è consigliato muoversi con anticipo, in quanto la domanda richiede tempo e attenzione e ha doppio binario: si deve infatti presentare sia in modalità online, via Dropbox, che cartacea. Va infatti compilata al computer, in inglese, stampata e inviata per posta all’Eu-Japan Center for Industrial Cooperation, insieme agli otto documenti richiesti, tra cui il curriculum vitae, la lettera motivazionale, la lettera di presentazione a firma di un docente universitario, il certificato storico accompagnato da un prospetto che spieghi come viene valutato il profitto nell'ateneo e un certificato medico recente. I candidati vincitori dovranno versare un deposito di 200 euro, che verrà restituito una volta completato il programma.Vulcanus in Japan rappresenta una delle opportunità formative internazionali più prestigiose, per la possibilità di avvicinarsi a una realtà culturale e tecnologica diversa e stimolante e di interagire con un mercato in espansione, ricco di spunti e opportunità.Rossella Nocca

“I giovani rivendichino il potere di tracciare la propria via maestra”: cento proposte per il ministro dell'Economia

I giovani vogliono dire la loro. Sui temi dell’ambiente, certo, finiti in cima all’agenda politica un paio d'anni fa non a caso grazie a una quindicenne svedese di cui ora tutti i grandi della terra conoscono il nome: Greta Thumberg. Sui temi della cultura, per smentire chi dall’alto della sua poltrona e dei suoi capelli bianchi ancora afferma che con quella “non si mangia”. Sui temi dei diritti – di cittadinanza, civili, politici. Sui temi della legalità. E, certo, anche sui temi del lavoro, dell’università e della scuola. In tutto il mondo, e anche in Italia. Di fronte a una politica che quasi sempre li ignora – basti pensare al muro di gomma che si sono trovati di fronte decine di migliaia di stagisti quando si sono trovati in difficoltà allo scoppio della prima pandemia: non un euro è stato speso, a livello nazionale, per sostenerli – i diretti interessati si rimboccano le maniche.L’iniziativa più recente, in Italia,  è un “manifesto generazionale” indirizzato al ministero dell'Economia, al ministro Roberto Gualtieri, al viceministro Antonio Misiani e a tutte le forze di centrosinistra. I promotori sono i giovani dell’associazione del PD InOltre - Alternativa Progressista, che hanno federato intorno al progetto realtà provenienti da moltissimi campi: da Antigone alla Federazione degli Studenti, da Legambiente a Federspecializzandi, dalla Federazione Giovani Socialisti all’Arci – passando per la Rete degli Studenti Medi, l’Unione degli Universitari, Arcigay, Libera, Italiani Senza Cittadinanza, Movimento Giovanile della Sinistra, Onde Rosa, Questa è Roma, fino ai giovani membri di Fridays for Future, del Comitato Esame Avvocato, della Primavera degli Studenti, del Progetto Freeweed, di UniSì Milano e di Voto dove Vivo.Un “Coordinamento di Associazioni Progressiste” dunque, con tante sigle e mission diverse, che il presidente di InOltre Giordano Bozzanca [nella foto] auspica non si disperda – che la collaborazione non sia cioé episodica. Per questo contemporaneamente è nato anche Sidera, un tavolo permanente «che traccia il proposito di un percorso e confronto condiviso». Il nome deriva dall’etimologia della parola desiderio, come spiega Bozzanca: «Ne parla Cesare nel “De Bello Gallicum”, definendo come desiderantes i soldati che, deposte le armi, attendevano sotto un cielo privo di astri e stelle polari i compagni ancora in battaglia, a rischio della propria vita. Ed è proprio contro quella particella privativa “de” della parola “De-siderare”, che svuota il loro cielo da direzione e prospettive future, che il coordinamento di giovani si scaglia, rivendicando il potere di tracciare da sé la propria via maestra».Anche Repubblica degli Stagisti ha partecipato, dando il suo contributo sopratutto alle pagine del policy paper che riguardano i temi dell’università e del lavoro. E non a caso il punto 2 del paragrafo sul lavoro riporta proprio la proposta di regolamentare  tirocini e stage con l’approvazione di uno Statuto generale del Tirocinante che definisca diritti e meccanismi di tutela per farli valere, per evitare che si trasformino in «mera manodopera a basso costo» (e qui naturalmente il riferimento alla recente risoluzione del Parlamento Europeo a condanna dei tirocini gratuiti è d’obbligo!). Si trova poi più avanti anche un riferimento alla necessità di introdurre una indennità minima per i tirocinanti curriculari.Per “rivendicare il potere di tracciare da sé la propria via maestra” i giovani avanzano tante altre proposte. In tutto, a scorrere le venti pagine del manifesto, se ne trovano oltre cento. Sul tema cultura, per esempio, propongono l’introduzione di un rimborso del 50% per le spese di avviamento di attività culturali a beneficio degli imprenditori under 35, e di agevolazioni economiche per l’iscrizione dei minori ad attività culturali (come corsi musicali o artistici), garantendo loro le medesime detrazioni fiscali previste per l’iscrizione alle associazioni sportive.Sul tema scuola, oltre all’annoso tema della necessità di investire per ristrutturare gli edifici scolastici in molti casi fatiscenti, i giovani propongono di inserire la “Media Education” all’interno del percorso di studio fin dalle scuole elementari e di «educare gli educatori»: è chiaro a tutti quanto le nostre vite siano ormai influenzate dai mezzi di comunicazione, e quanto la vita “online” abbia codici e insidie peculiari, che vanno imparati e gestiti per non esserne fagocitati. E per quanto riguarda l’università al primo punto vi è l’innalzamento della soglia ISEE-U per l’accesso alle borse di studio a 28mila euro e l’eliminazione degli “idonei non beneficiari”, vera beffa tutta italiana – della serie “avresti diritto ai soldi, ma ahimè non te li diamo”. Per l’ambiente i giovani ritengono prioritario investire nella digitalizzazione del paese – anche legata alla estensione dell’utilizzo dello smart working – e nel completamento dello sviluppo della rete 5G a livello nazionale; e poi naturalmente incentivare l'efficientamento energetico degli edifici, la mobilità alternativa, il trasporto pubblico su rotaia; ma anche progetti in scala ridotta, come la promozione di grandi orti condivisi nei grandi centri urbani.Sui diritti è chiaro l’impegno per facilitare l’acquisizione della cittadinanza italiana per chi abbia effettuato un percorso di studi (principio di ius culturae) o sia nato in Italia (principio di ius soli temperatum); prosegue poi la battaglia per il diritto di voto ai fuori sede, suggerendo anche la sperimentazione del voto digitale;Nel documento trovano spazio anche la legalizzazione della cannabis, misure di contrasto alle violenze omo-transfobiche e di sostegno ai percorsi di vita delle persone LGBTQI+, il rafforzamento dei centri anti-violenza per donne maltrattate, l’estensione del congedo di paternità fino a 4 mesi, e la necessità di una equa suddivisione del recovery fund e dei fondi europei dedicati alla ripresa economica post-crisi coronavirus in maniera paritaria tra i settori con maggiore forza lavoro maschile e femminile. E ancora, rispetto al tema delle disabilità, l’abbattimento delle barriere architettoniche e un salto di qualità nell’inclusione dei portatori di handicap nelle scuole e nelle università. Nel paragrafo che chiude il policy paper, dedicato alla Legalità, si parla di riforma della prescrizione e di irragionevole durata dei processi ma anche di immissione in ruolo di nuovi magistrati, funzionari, cancellieri e di investimenti sull'edilizia dei Palazzi di Giustizia e delle carceri.«Il nostro auspicio» dice il Coordinamento «è che le forze politiche di centrosinistra recepiscano questo documento unitario» e «ne riconoscano il valore», ricordando come esso sia il «frutto di una collaborazione fra realtà che insistono sull’intero territorio nazionale e si impegnano ogni giorno concretamente per il Paese». E che queste forze politiche compiano anche il passo successivo, traendo spunto dai punti programmatici: affinché la politica «non solo non si dimentichi dei giovani, ma che li metta finalmente al centro del futuro del Paese».

Il Parlamento si mobilita per i giovani: le proposte

Qualcosa bolle in pentola in Parlamento per i giovani italiani. Nei prossimi giorni sarà discussa una nuova mozione a prima firma del deputato di Italia Viva, Massimo Ungaro, classe 1987 [nella foto sotto], «concernente iniziative a favore della formazione e dell'occupazione per l'emancipazione giovanile» (qui il testo di una prima versione dell'atto). In Italia sui giovani «c'è molta retorica, fa bello parlarne come per la parità tra i sessi» dice Ungaro alla Repubblica degli Stagisti. Ma la verità è «che i giovani non vengono considerati perché non votano oppure se ne vanno» sintetizza. Nel frattempo i Neet, i ventenni inattivi, continuano a crescere, «e sono arrivati a toccare quota 2 milioni e 157mila». Serve agire subito quindi, in questi mesi preparatori del piano per la ripresa a cui è condizionato l'incasso dei fondi del Recovery Fund. Nella mozione sono elencate in diciassette punti le richieste per evitare che la crisi scatenata dal Covid peggiori ulteriormente le condizioni in cui già versano intere generazioni. «Di Neet arriveremo a contarne tre milioni» paventa Ungaro, «se continueremo a non fare niente».  Serve un «piano shock» soprattutto sugli inattivi, «perché si è visto come l'inattività nella fase in cui si dovrebbe accedere al mercato del lavoro ha ripercussioni poi per tutta la vita». Nella mozione al punto due si parla di una azione «AttivaGiovani, che preveda per i Neet un periodo di lavoro e formazione presso le imprese con contestuale erogazione di un ristoro economico». Nel Regno Unito – dove Ungaro ha vissuto a lungo: è stato infatti eletto nella circoscrizione Estero – c'è già, ed è una sorta di Garanzia giovani potenziata: «Si chiama Kickstart scheme, e premia le aziende che assumono inattivi con il rimborso dei costi: su di loro non ricade neppure un euro», è tutto a carico dello Stato. E ancora, la seconda proposta è per un Credito giovani, «strumento equivalente a una dote universale per cui» spiega Ungaro, «al compimento dei 18 anni si erogano 15mila euro vincolati a un progetto come l'avvio di un'azienda o l'iscrizione all'università». Una misura nella direzione di abbattere le disuguaglianze sociali, offrendo a tutti le stesse condizioni di partenza. Poi l'apprendistato professionalizzante, «che andrebbe riformato semplificando gli oneri burocratici in modo che diventi via maestra di accesso al lavoro» è scritto nel testo della mozione. Si chiede poi di «rilanciare l'istruzione tecnica superiore», «sostenere l'empowerment femminile», «predisporre investimenti per i giovani professionisti che scelgono di restare in Italia».  Non mancano i tirocini, specie quelli curriculari, da modificare «facendoli diventare realmente formativi», e per quelli extracurriculari contrastarne «l'uso improprio». Per i primi in particolare, esiste una proposta di legge per abolirne la gratuità a prima firma proprio di Ungaro. Sulla stessa materia c'è anche un intervento della deputata Pd Chiara Gribaudo, ascoltata nell'audizione alla Camera del 21 ottobre scorso su Garanzia giovani, programma che l'Unione europea vorrebbe rimodulare alla luce degli effetti della pandemia sull'occupazione giovanile. Che sta pagando il pezzo più alto, «con il dieci per cento di disoccupati in più tra chi ha meno di 25 anni» ha rimarcato Gribaudo nell'audizione. In particolare, ha proseguito, «sono stati i tirocini a essere pesantemente colpiti», tanto che la deputata aveva perorato nei mesi scorsi, purtroppo inascoltata, una indennità di ultima istanza per i tirocini saltati causa Covid e non coperti dai provvedimenti regionali. Il Parlamento europeo, ha ricordato Gribaudo, ha di recente emanato una risoluzione di condanna contro i tirocini gratuiti, troppo spesso «utilizzati come semplice taglio del costo del lavoro». Per far funzionare davvero Garanzia giovani «andrebbe abolita la gratuità degli stage curriculari, mentre quelli extracurriculari andrebbero rivisti sia per qualità di percorsi sia per la percentuale degli assunti». È incentrato su questi due punti l’emendamento alla legge di Bilancio proposto dalla deputata, che chiede anche di innalzare l’indennità minima degli extracurricolare da 300 a 600 euro: «Vedremo cosa succederà, intanto continuo a porre il tema» promette Gribaudo alla Repubblica degli Stagisti. Sempre dalle fila del Pd c'è un'altra mozione per i giovani, a prima firma del senatore Tommaso Nannicini, presentata lo scorso 14 luglio. Ancora una volta nel testo si evidenzia come a rimetterci nella pandemia sono stati soprattutto i giovani: «Dall'inizio della crisi uno su sei ha smesso di lavorare» scrivono i firmatari. «Molti infatti, lavorano in settori particolarmente colpiti come turismo, ristorazione, arti e intrattenimento, mentre altri stanno cercando di entrare nel mercato del lavoro proprio ora che tali settori non sono più in grado di assumere». Il Governo dovrà varare il piano per beneficiare dei fondi del Next Generation Ue. All'esecutivo si chiede quindi «di definire un grande piano industriale di investimenti» nel quale i giovani partecipino come «parte integrante». E ancora, si fa menzione a «un vero sistema duale di formazione-lavoro», a «un piano per la cultura digitale nell'insegnamento», a «sostegni per studenti per promuovere il diritto allo studio e la riduzione delle tasse universitarie». Anche dall'opposizione richieste simili. A prima firma del deputato di Fratelli D'Italia Francesco Lollobrigida [nella foto a destra] è la mozione dello scorso due novembre. Il partito guidato da Giorgia Meloni sollecita il Governo a «studiare strategie di lungo periodo per maggiori livelli di occupazione giovanile e più alto livello di tenore di vita delle giovani generazioni». I percorsi di formazione andrebbero poi «riformati in modo da consentire un inserimento più agevole nel mondo del lavoro». Per evitare «forme di sfruttamento e precariato legalizzato», devono essere adottate «iniziative volte a riformare le regole e le modalità di fruizione di tirocini e apprendistati affinché diventino veri strumenti di inclusione». Sono tutti temi, quelli sulla questione giovanile, su cui «non c'è tanta diversità politica» ha sottolineato Ungaro, «perché non si può negare l'esistenza di un iceberg». Lo scopo sarà quindi la creazione di un testo congiunto «in modo da coinvolgere anche le opposizioni», e su cui il deputato si dice fiducioso di ottenere il sì anche dai colleghi delle altre parti politiche.  Ilaria Mariotti

Che succede ai tirocini di Garanzia Giovani nelle regioni in zona arancione e gialla?

Alla vigilia del prossimo Dpcm – che dovrebbe cambiare in parte le limitazioni introdotte con il decreto del 3 novembre – l’Italia è ancora divisa in zona rossa, arancione e gialla. Nei territori identificati con gli ultimi due colori le limitazioni sono molto minori rispetto alla zona rossa, anche per quanto riguarda lo svolgimento dei tirocini e di conseguenza degli stage in Garanzia Giovani. Quindi, nello specifico, che cosa sta succedendo ai tirocinanti impegnati in Garanzia Giovani nelle zone arancioni e gialle d’Italia?Le regioni che rientrano nella categoria arancione sono quelle identificate con un rischio medio-alto secondo l’Ordinanza del 13 novembre del ministero della salute, cui sono seguite altre di aggiornamento, di cui l’ultima il 27 novembre, ovvero: Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Basilicata, Puglia e Calabria. Sono o passano a zona gialla provincia di Trento, Veneto, Liguria, Lazio, Molise, Sardegna e Sicilia.Il Dpcm di inizio novembre nulla dice esplicitamente riguardo ai tirocini attivati tramite Garanzia Giovani, ma solo nelle faq pubblicate il 23 ottobre il Governo specifica che i tirocini, al pari delle attività di ricerca e di laboratorio sperimentale e delle esercitazioni «possono ricominciare a essere svolte in presenza a condizione che vi sia un’organizzazione degli spazi e del lavoro tale da ridurre al massimo il rischio di prossimità e di aggregazione». Si specifica pure, però, che nel caso questo non possa accadere «si potrà ricorrere alle modalità a distanza».Per questo motivo in tutte le zone rosse gli stage o sono stati sospesi o hanno visto la loro prosecuzione in smart internshipping. La situazione è diversa per le zone arancioni e gialle dove le limitazioni agli spostamenti sono molto minori e dove, quindi, i tirocini possono teoricamente continuare anche in presenza. Tra le regioni in zona arancione solo alcune, attraverso note o decreti regionali, specificano il caso particolare dei tirocini in Garanzia Giovani: Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Puglia e Calabria.In Piemonte, fino a pochi giorni fa in zona rossa, non cambia nulla visto che già il 13 novembre la Prefettura ha chiarito che tutti i tirocini curriculari ed extracurriculari, quindi anche in Garanzia giovani, potevano proseguire purché nel rispetto dei protocolli condivisi di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenitmento della diffusione del virus. Nulla cambia nemmeno per le nuove attivazioni visto che la Regione ha già precisato che per tutto il perdurare dell’emergenza Covid il servizio di presa in carico della Garazia Giovani può essere erogato a distanza attraverso una videochiamata.Anche la Lombardia è passata da pochi giorni in zona arancione ma al momento non sono stati pubblicati aggiornamenti sullo svoglimento dei tirocini. Il che significa che resta valido l’avviso del 17 novembre per lo svolgimento a distanza delle attività di formazione del programma Garanzia giovani. Sul portale regionale è presente anche un aggiornamento di tutte le misure adottate ora in zona arancione. In Friuli Venezia Giulia la Garanzia giovani prende il nome di Pipol, Piano integrato di politiche per l’occupazione e per il lavoro, prevedendo anche l’attivazione di tirocini extracurriculari. Nel decreto 21654 del 26 ottobre si consente lo svolgimento dello stage nella modalità a distanza prevedendo per i tirocini finanziati in qualsiasi modo, risorse regionali, por fse o pon iog, la possibilità dello smart internshipping o della modalità mista.Nella regione Puglia pochi giorni fa sono state approvate modifiche e integrazioni al Piano di attuazione regionale relativo alla seconda fase della Garanzia Giovani e sono al momento in corso i bandi rivolti agli operatori per presentare candidature per la realizzazione di percorsi di avviamento al lavoro, tra cui anche tirocini extracurriculari. Per quanto riguarda gli stage in corso la Regione è intervenuta il 5 novembre con un documento in cui si forniscono precisazioni sulla prosecuzione delle attività formative in fase di svolgimento o di prossimo avvio riguardanti l’avviso multi misura della Garanzia Giovani, misura 2A “formazione mirata all’inserimento lavorativo”. Nel testo si precisa che le attività didattiche devono proseguire in  modalità a distanza mentre quelle di laboratorio che non possono svolgersi in fad possono proseguire in presenza.La Calabria è passata da pochi giorni dalla zona rossa alla gialla, ma per gli stage in Garanzia Giovani non cambia nulla. E infatti Patrizia Greto dell’ufficio stampa della Regione, cui la Repubblica degli Stagisti aveva chiesto spiegazioni, aveva già confermato che «i tirocini di Garanzia Giovani per le attività che non sono state bloccate dall’ultimo Dpcm sono regolarmente in corso, fermo restando la volontà dei tirocinanti e soggetti ospitanti alla loro prosecuzione». Gli stage sono svolti in presenza e per le aziende che prima della chiusura del bando, a fine giugno, hanno presentato una richiesta di tirocinio che oggi risulta ancora aperta è possibile individuare un giovane e avviarlo allo stage.Sempre in zona arancione c’è la regione Marche, che proprio ad agosto ha pubblicato il nuovo bando per accedere ai tirocini extracurriculari di Garanzia Giovani e pochi giorni fa, il 24 novembre, ha pubblicato la graduatoria degli ammessi. Nel testo si legge anche che «l’avvio dei tirocini extracurriculari deve avvenire nel rispetto delle disposizioni nazionali e regionali vigenti». La Regione non si è espressa nello specifico caso degli stage di Garanzia Giovani, ma per i tirocini extracurricolari aveva stabilito la possibilità di svolgerli anche a distanza con precedente autorizzazione. Emilia Romagna e Umbria non danno specifiche informazioni riguardo agli stage di Garanzia Giovani e contemplano solo il caso generico dei tirocini extracurriculari.L’Emilia Romagna non dà indicazioni particolari sul sito sulla gestione dei tirocini in Garanzia Giovani. Nell’ultima ordinanza del 27 novembre la numero 223, però, si specifica che «i corsi di formazione, di qualunque genere o natura, organizzati da soggetti sia pubblici che privati possono svolgersi solo con modalità a distanza». Indicazione che può quindi valere per la parte formativa della Garanzia Giovani.Anche la regione Umbria nulla dice di specifico sulla Garanzia giovani ma con una circolare del 5 novembre già affermava che «tutti i corsi di formazione pubblici e privati approvati o autorizzati dalla Regione Umbria e da Arpal Umbria devono essere svolti in modalità telematica a distanza». La Basilicata da pochi giorni in zona arancione non disciplina nello specifico gli stage in Garanzia giovani.Sono invece in zona gialla, quindi senza alcuna limitazione, con un rischio medio di diffusione del contagio: Provincia di Trento, Liguria, Veneto, Lazio, Molise, Sardegna e Sicilia. Per queste regioni non ci sono teoricamente limitazioni nello svolgimento in azienda degli stage anche in Garanzia Giovani. Anche se in Veneto, come conferma alla Repubblica degli Stagisti Simone Chigliaro dell’Ufficio coordinamento del sistema di collocamento ordinario e mirato della Regione, «i tirocini di Garanzia Giovani sono tutti sospesi dal 4 novembre».Se la Provincia di Trento, il Veneto, il Lazio, il Molise e la Sardegna erano già precedentemente in zona gialla, Liguria e Sicilia sono passate in questa categoria solo con provvedimento del 27 novembre. La Liguria già precedentemente non si era espressa riguardo alla possibilità di svolgimento a distanza degli stage di questo tipo, scrivendo nell’ordinanza del 13 novembre che per quanto riguarda «la possibilità di svolgimento, totale o parziale, in modalità agile di tirocini extracurriculari finanziati con risorse pubbliche, si rinvia alle decisioni che verranno eventualmente prese dalle rispettive autorità di gestione dei programmi Por – Fse e Pon - Iog»,  scaricando quindi sull’autorità di gestione la decisione.Per la Sicilia non ci sono al momento informazioni in  merito alla prosecuzione a distanza o meno degli stage in Garanzia Giovani.Tutti i casi sopra esposti sono in vigore fino al prossimo dpcm che dovrebbe vedere la sua pubblicazione tra il 3 e il 4 dicembre e potrebbe, con eventuali nuove classificazioni, incidere anche sull’andamento degli stage attivati tramite i fondi europei.Marianna Lepore

Covid, stage in calo anche in Campania: e si accentua lo sbilanciamento (che già esisteva) a favore degli stagisti maschi

Come va la vita agli stagisti italiani? La Repubblica degli Stagisti da mesi sta raccogliendo informazioni sugli effetti dell’emergenza Covid sullo stage. Oggi approfondiamo la situazione nella regione Campania.Al momento in cui l’emergenza è scoppiata, a marzo, in Campania erano in corso di svolgimento 12.101 tirocini extracurricolari. Nel dettaglio, 6.224 erano gli uomini impiegati in questi percorsi di formazione on the job e 5.877 le donne, con una distribuzione dunque del 51,5% di opportunità per gli uomini contro un 48,5% di opportunità per le donne.Dai dati inediti forniti alla Repubblica degli Stagisti dall’Ufficio V del Gabinetto del Presidente della Giunta Regionale  – quello che si occupa tra le altre cose di Università, Istruzione, formazione, lavoro e politiche giovanili – di questi oltre 12mila tirocini, 2.843 risultano essere stati interrotti. Gli altri sono stati variamente sospesi – per qualche settimana o qualche mese – e poi ripresi, alcuni nella modalità “smart” da casa, altri in presenza. In particolare in provincia di Napoli era attiva, al momento dello scoppio della pandemia, la maggior parte – quasi la metà – dei tirocini campani: per la precisione 5.262, che coinvolgevano un 51% di stagisti maschi e un 49% di femmine. A Caserta ve ne erano in corso 3.055 (52% maschi, 48% femmine), a Salerno 2.563 (in perfetta parità 50-50), ad Avellino 794 (qui 53% maschi e 47% femmine) e infine Benevento, dov’erano in corso 427 tirocini (52% a favore di uomini, 48% a favore di donne).E poi cos’è successo? Al di là dei tirocini sospesi che hanno potuto, passata la fase emergenziale, riprendere il loro corso, tra il 1° maggio e il 31 agosto risultano essere partiti in Campania 7.279 nuovi percorsi di stage extracurricolare. 4.162 di questi percorsi sono stati attivati a favore di uomini e solo 3.117 a favore di donne. Quindi vuol dire che le proporzioni rispetto alle opportunità in Campania sono decisamente cambiate dopo il Covid: le donne hanno avuto accesso solamente al 43% degli stage, mentre il 57% è stato destinato agli uomini. Confrontando questi dati con quelli dello stesso periodo dell’anno scorso, sullo stesso territorio, si scopre che nel periodo  1° maggio - 31 agosto i tirocini attivati erano stati 10.238: il Covid quindi ha causato anche dopo la prima fase emergenziale un calo significativo delle opportunità di tirocinio in Campania, che si sono ridotte del 30% circa. Da rilevare anche che la Campania già in epoca pre-Covid non era una campionessa di parità: i tirocini partiti tra maggio e agosto 2019 erano infatti già pesantemente sbilanciati a favore dei maschi, 54% contro solo 46%. E lo squilibrio adesso è ulteriormente peggiorato, dato che sono aumentati di tre punti percentuali i tirocini che coinvolgono uomini e sono diminuiti di tre punti percentuali i tirocini che coinvolgono donne. Come se in questo periodo di difficoltà fosse più opportuno, più importante garantire ai maschi la maggior parte delle chance di entrare nel mondo del lavoro.Tornando all’oggi, e ai 7.279 partiti in Campania tra il 1° maggio e il 31 agosto del 2020, anche in questo caso Napoli fa la parte del leone, numericamente, con 3.270 attivazioni. Per quanto riguarda la differenza di genere, il 55,5% dei 3.270 partiti in questa provincia ha riguardato uomini e solo il 44,5% ha riguardato donne. Dei 2.128 stage attivati a Salerno, il 56% era per stagisti maschi e solo il 44% per stagiste femmine. In provincia di Caserta le nuove attivazioni sono state solo 975, e qui la percentuale di stagisti maschi schizza a 57% e per le donne le opportunità si fermano a 43%. Ancor più marcata la disparità di genere in provincia di Avellino, dove tra maggio e agosto risultano essere partiti 679 tirocini, per il 69% a favore di uomini e solamente per il 31% a favore di donne. Dei 227 tirocini attivati a Benevento, infine, il 59% riguarda maschi e solo poco più del 41% coinvolge femmine. E passiamo ora al tasso di assunzione. In Campania, sempre secondo i dati del Gabinetto del Presidente della Giunta Regionale, nel 2019 questo tasso in media è stato pari al 28,5%: ciò significa che dei 27.250 tirocini partiti tra il 1° gennaio e il 31 dicembre del 2019, 7.774 si sono poi trasformati in contratto di lavoro. Tale percentuale sale addirittura all’80% se non si prende in considerazione chi assume: cioè se si contano come “assunti” tutti coloro che si sono visti offrire un contratto di lavoro dopo aver fatto un tirocinio, indipendentemente dall'azienda dove lo avevano svolto (e indipendentemente anche dalla tipologia e dalla durata del contratto proposto). Che alla Regione risultano essere 21.965.Sembra una percentuale sproporzionata – la media nazionale rilevata rispetto a questo specifico dato è intorno al 50% – ma la Regione la conferma: «​I dati sono corretti» assicura Arturo Bisceglie, già funzionario dell’Agenzia Regionale per il lavoro e l’Istruzione e ora in forza alla Direzione generale per l'istruzione la formazione, il lavoro e le politiche giovanili della Regione: «Il rifinanziamento del Programma Garanzia Giovani Nuova fase  ha dato un impulso alla crescita delle contrattualizzazioni dei tirocini, creando un vero e proprio effetto di trascinamento», aggiungendo che «la misura di accompagnamento al lavoro di Garanzia Giovani, tra la prima fase del Programma e la nuova fase, non è stata mai interrotta».Naturalmente questi sono i dati 2019, cioè in epoca pre-Covid. Inevitabile prevedere che questo trend iper-positivo di assunzioni di persone che hanno fatto tirocini risulterà smorzato quando saranno disponibili i dati del 2020; a quel punto si vedrà quali risorse la Regione Campania – che in primavera non è stata, purtroppo, tra quelle che hanno destinato un indennizzo ai tirocinanti danneggiati dal Covid – sceglierà di mettere in campo.

Che succede ai tirocini di Garanzia Giovani nelle regioni in zona rossa?

Che succede ai tirocini di Garanzia Giovani ora che è scattata la “seconda ondata” di Covid e l'Italia è stata divisa in zone gialle, arancioni e rosse? In particolare, nelle regioni dichiarate “rosse” questi tirocini possono proseguire tranquillamente? Migliaia di giovani se lo chiedono. Durante la prima fase della pandemia, quando i tirocini vennero inizialmente tutti sospesi per poi a macchia di leopardo riprendere in smart internshipping, non tutte le regioni si comportarono allo stesso modo nel disciplinare questi stage. Che tecnicamente sono extracurricolari “normali”, certo, uguali a tutti gli altri – ma forse “un po' più uguali degli altri”, perchè finanziati con fondi pubblici europei. Quindi, adesso, che cosa sta succedendo ai tirocinanti impegnati in Garanzia Giovani nelle zone rosse d’Italia? Le regioni che rientrano in questa categoria sono quelle individuate secondo l’ultima Ordinanza del 13 novembre del ministero della salute, cui sono seguite altre di aggiornamento, ovvero: Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Provincia Autonoma di Bolzano, Toscana, Abruzzo, Campania, Calabria.Il Dpcm del 3 novembre nulla dice esplicitamente riguardo ai tirocini attivati tramite Garanzia giovani. Per quanto riguarda gli stage, però, proprio nelle faq pubblicate il 23 ottobre dal Governo si specifica che i tirocini, al pari delle attività di ricerca e di laboratorio sperimentale e delle esercitazioni «possono ricominciare a essere svolte in presenza a condizione che vi sia un’organizzazione degli spazi e del lavoro tale da ridurre al massimo il rischio di prossimità e di aggregazione». Si specifica pure, però, che nel caso questo non possa accadere «si potrà ricorrere alle modalità a distanza». Tra queste regioni in zona rossa solo alcune, attraverso note o decreti regionali, specificano il caso particolare dei tirocini in Garanzia Giovani: Piemonte, Lombardia, Toscana e Calabria.In Piemonte a inizio novembre è stato stabilito di sospendere l’attività in presenza in università e istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica e pochi giorni dopo, il 13, la Prefettura ha chiarito che tutti i tirocini curriculari ed extracurriculari, quindi anche in Garanzia giovani, potevano proseguire purché nel rispetto dei protocolli condivisi di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus. Per quanto riguarda le nuove attivazioni, la Regione precisa che al momento e per tutto il perdurare dell’emergenza Covid il servizio di presa in carico della Garanzia Giovani, quindi la prima parte parte del percorso con la predisposizione di un percorso personalizzato, può essere erogato a distanza attraverso una videochiamata.La Lombardia il 17 novembre ha pubblicato un avviso per aggiornare le modalità operative per questi stage. Nel testo del decreto si riprende la nota 4649 del 23 aprile 2020 in cui l’Autorità di gestione del programma Garanzia giovani dà indicazioni operative per lo svolgimento a distanza delle attività di formazione e alla luce del Dpcm del 5 novembre permette di erogare a distanza tali misure dal 9, approvando nel testo di pochi giorni fa le indicazioni per le rendicontazioni della formazione erogata a distanza. La Regione ha poi pubblicato delle faq relative alla gestione dei tirocini in emergenza Covid utili per tutti i tipi di stage.La Toscana è in zona rossa dal 15 novembre e con l’ordinanza numero 109 del Presidente della Giunta regionale ha stabilito che i tirocini non curriculari possano essere svolti in presenza se le attività lavorative di riferimento non sono state sospese e nel rispetto delle indicazioni tecniche definite nelle linee guida. A fare da discrimine sulla possibilità di attivarne di nuovi o di sospendere quelli in corso è la realizzazione degli obiettivi formativi: se permane nonostante il periodo di pandemia, lo stage può continuare, altrimenti deve essere sospeso. Nello specifico i tirocini in Garanzia Giovani sono attualmente attivi compatibilmente con la effettiva operatività dei soggetti ospitanti. «Così come durante la prima fase della pandemia, è possibile utilizzare la modalità di svolgimento a distanza tramite strumenti ict anche per la Garanzia Giovani, così come è possibile attivarne di nuovi», spiega alla Repubblica degli Stagisti la neo assessora all’istruzione Alessandra Nardini, che ha sostituito in corsa Cristina Grieco.La Calabria è stata inserita in zona rossa dall’inizio e in data 6 novembre il Dipartimento lavoro ha pubblicato le disposizioni per la gestione dei tirocini extracurriculari. Nel testo si ribadisce la possibilità di svolgimento in smart internshipping dello stage e si richiama la nota protocollare 163309 del 14 maggio per tutto quello non presente nel nuovo documento. Il riferimento è importante perché in quella nota si consentiva la ripresa delle attività formative on the job e di tutti i tirocini curriculari ed extracurriculari e si richiamava anche la circolare di chiarimento sul tipo di stage coinvolti, la 106008 dell’11 marzo: nell'elenco si trovano anche di Garanzia giovani. Il che significa che anche in questa seconda fase della pandemia gli stage attivati attraverso il programma europeo sono sospesi o, nel caso fosse possibile, possono continuare in smart internshipping. E infatti Patrizia Greto dell’ufficio stampa della Regione, cui la Repubblica degli Stagisti ha chiesto spiegazioni, conferma che attualmente «i tirocini di Garanzia Giovani per le attività che non sono state bloccate dall’ultimo Dpcm sono regolarmente in corso, fermo restando la volontà dei tirocinanti e soggetti ospitanti alla loro prosecuzione». Gli stage sono svolti in presenza e per le aziende che prima della chiusura del bando, a fine giugno, hanno presentato una richiesta di tirocinio che oggi risulta ancora aperta è possibile individuare un giovane e avviarlo allo stage.L’Abruzzo solo il 20 novembre con una nuova ordinanza del ministero della salute è passato dalla zona arancione alla rossa. La restrizioni erano, però, già state adottate dalla Regione con un’ordinanza del 16. Nel testo della nuova ordinanza si stabilisce che i tirocini extracurricolari possono proseguire in presenza e per aiutare aziende e stagisti si è predisposto un elenco con le faq aggiornate in cui, chiaramente, si scrive che «anche adesso che la Regione è stata dichiarata zona rossa, i tirocini di Garanzia Giovani possono proseguire in modalità in presenza, nell’ambito delle aziende le cui attività produttive, industriali, commerciali, di servizi e sociali sono tra quelle autorizzate ad essere svolte». Anche se non c’è nessun riferimento specifico alla Garanzia Giovani, per analogia si può intuire che tali tirocini debbano seguire le indicazioni generali fornite dalla Regione sullo svolgimento dei tirocini extracurricolari: è il caso della Campania in cui con l’ordinanza numero 90 del 15 novembre si stabilisce, genericamente, che è sospesa la frequenza delle attività formative ma queste possono proseguire a distanza.Diverso, invece il caso di Valle d’Aosta e Provincia Autonoma di Bolzano che non hanno al momento tirocini attivi in Garanzia Giovani. La prima perché «si sta ancora lavorando alla predisposizione del nuovo avviso, rivolto alle agenzie per il lavoro accreditate in regione per la presentazione di progetti di tirocinio e formazione», come spiega Garbiella Frassy, del Dipartimento Politiche del lavoro della Regione. La seconda, invece, non ha attuato la Garanzia giovani, quindi non ha stage di questo tipo.L’elenco è in divenire, visto il possibile passaggio di altre regioni in zona rossa e gli aggiornamenti che tutti si aspettano in vista del 3 dicembre, data ultima per cui le disposizioni sono state previste. Marianna Lepore

La rivincita dello smart working, il Covid spazza via i pregiudizi sul lavoro a distanza

Guardato con diffidenza in passato e spesso poco utilizzato dalle aziende, lo smart working è diventato fondamentale durante la prima fase della pandemia da Coronavirus questa primavera quando, all’improvviso, si è rivelata unica modalità di lavoro possibile per dipendenti e imprese. Ora che l’emergenza Covid inizia a ridiffondersi in tutte le regioni torna utile verificare quanto il lavoro a distanza abbia funzionato e quali siano state le criticità e i benefici. A farlo è una ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of management del Politecnico di Milano. Come spesso capita i numeri fotografano perfettamente la situazione: durante la fase più acuta dell’emergenza lo smart working ha coinvolto praticamente tutte le grandi imprese italiane, il novantasette per cento, e ha registrato ottime adesioni anche nelle pubbliche amministrazioni, solo tre punti percentuali sotto, scendendo di molto per quanto riguarda la sua applicazione nelle piccole e medie imprese, che hanno aderito nel cinquantotto percento dei casi, ma registrando in totale veri e propri numeri da capogiro: 6 milioni 58mila lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570mila censiti nel 2019. Capofila per numero di adesioni allo smart working sono le grandi imprese con oltre due milioni, seguite a sorpresa dai lavoratori agili nella pubblica amministrazione, 1 milione 850mila, tallonati dai dipendenti delle microimprese sotto i dieci addetti, 1milione e mezzo, e da quelli nelle pmi, poco più di un milione.La ricerca, è bene ricordare, si è concentrata solo sulla popolazione dei lavoratori dipendenti escludendo quindi tutte le altre forme contrattuali. Ciò vuol dire purtroppo che sono rimasti fuori dalla rilevazione dell'Osservatorio anche gli stagisti, ritenuti profili meno autonomi, per i quali l’accompagnamento in presenza è ritenuto fondamentale. La pandemia sta portando tanti cambiamenti anche in materia di tirocini, ma per ora lo smart internshipping resta purtroppo fuori dall’analisi del Politecnico.Quello che lo studio evidenzia è come l’emergenza Covid abbia accelerato una trasformazione del modello di organizzazione del lavoro che in tempi normali avrebbe richiesto anni, «dimostrando che lo smart working può riguardare una platea potenzialmente molto ampia di lavoratori, a patto di digitalizzare i processi e dotare il personale di strumenti e competenze adeguate», spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart working, che lancia però un monito: «Ora è necessario ripensare il lavoro per non disperdere l’esperienza di questi mesi e passare al vero e proprio smart working, che deve prevedere maggiore flessibilità e autonomia nella scelta di luogo e orario di lavoro», così da spingere anche a una maggiore responsabilizzazione sui risultati.L’analisi mostra, infatti, come la modalità utilizzata sia stata spesso più vicina al telelavoro che allo smart working e qui è necessario specificare la differenza tra le due. Con telelavoro, infatti, si intende un lavoro che si svolge a distanza rispetto alla sede centrale, grazie proprio alle tecnologie informatiche, ma rispetta per esempio gli orari tipici di un ufficio. Diverso, invece, lo smart working in cui l’orario è autodeterminato perché l’importante è raggiungere l’obiettivo prefissato e non ha obbligo di avere un luogo fisico fisso in cui lavorare.  La ricerca dell’Osservatorio del Polimi si sofferma proprio sulla modalità del telelavoro applicata, evidenziando come quasi tre lavoratori su dieci abbiano trovato difficoltà nel separare il tempo del lavoro da quello privato e mantenere equilibrio tra i due. Se il work life balance è stato il primo ostacolo per i dipendenti delle aziende, il secondo è stata la disparità di carico di lavoro seguita dall’impreparazione dei manager nel gestire l’ufficio da remoto. La situazione cambia quando l’analisi è fatta per le pubbliche amministrazioni, perché qui la difficoltà maggiore, riscontrata quasi dalla metà del campione, ha riguardato l’inadeguatezza delle tecnologie a disposizione, seguita sempre dalla disparità di carico di lavoro, dall’equilibrio tra vita privata e professionale e dalle scarse competenze digitali. Eppure sono state proprio queste ultime ad essere state migliorate da sette lavoratori su dieci nelle grandi imprese e da metà del campione della PA, numeri che evidenziano i benefici che lo smart working ha avuto in generale nel comparto del lavoro.Fanno riflettere alcuni numeri, che sottolineano la necessità di modernizzazione degli uffici pubblici. Secondo i dati raccolti durante il primo lockdown c’è stata una differenza non di poco conto tra privato e pubblico. Nel primo caso si vede un aumento della dotazione hardware in favore dei dipendenti pari quasi al settanta per cento, il che significa che le aziende si sono rese disponibili a dotare i propri lavoratori ad esempio di computer per continuare a lavorare da casa. Situazione che nel pubblico è avvenuta solo per quattro casi su dieci. E infatti, dall’altro lato, c’è stata l’introduzione della logica “bring your own device”, quindi dell’utilizzo dei propri pc personali non necessariamente dotati di tutti i programmi necessari, per tre quarti dei dipendenti della pa: il doppio di quanto successo nel privato.Tra le innovazioni applicate durante il lockdown nel campo del lavoro a distanza, è stato il coinvolgimento di professionalità prima ritenute incompatibili con questo modello. Hanno, infatti, lavorato da remoto per la prima volta gli operatori di call center, gli addetti allo sportello e gli operai specializzati. Ma è lo sconvolgimento totale del mondo del lavoro per come è stato concepito fino ad oggi la vera novità. Perché l’indagine, pubblicata prima che le nuove misure restringessero nuovamente le libertà di movimento causa impennata dei contagi, già fotografava a settembre una situazione in cui gli smart worker erano scesi a 5 milioni, perdendo in pratica per strada solo un milione di lavoratori, dimostrando che lo smart working è ormai entrato nella quotidianità degli italiani. Tanto che si stima che al termine dell’emergenza il totale di dipendenti che lavoreranno a distanza saranno 5,35 milioni, con una media delle giornate da remoto che sarà di quasi tre alla settimana per i dipendenti privati e un giorno e mezzo nella pubblica amministrazione.Ancora una volta l’emergenza ha permesso di capire l’importanza dei vantaggi del lavoro agile e di sperimentarlo su larga scala. «Il rischio, però» spiega Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working, «è di trattarlo come un obbligo normativo o una misura temporanea ed emergenziale: si tratta invece di un’occasione storica che ci porterà verso un “new normal”, con benefici non soltanto nel lavoro, ma sull’intero ecosistema di servizi, città e territori».Durante il convegno di presentazione della ricerca, qualche giorno fa, sono stati assegnati anche gli Smart working Award 2020, riconoscimento dell’Osservatorio alle organizzazioni che si sono distinte per capacità di innovare le modalità di lavoro grazie ai loro progetti di lavoro a distanza. Tre i premiati: Credem Banca, vince lo Smart Working Award 2020 fra le grandi imprese perché durante la pandemia ha esteso il lavoro totalmente da remoto a tutti i dipendenti, circa 5mila lavoratori, prevedendo una giornata agile anche per il front office; Cerence, ritira il premio fra le pmi per aver favorito lo smart working sin dalla nascita nel 2019; Regione Lazio, riceve il premio nella categoria pubblica amministrazione per un progetto che grazie a razionalizzazione degli spazi e percorsi di formazione è riuscita ad affrontare l’emergenza senza grosse criticità.L’applicazione dello smart working durante la pandemia, quindi, ha dimostrato come sia possibile un modo di lavorare diverso anche per figure una volta ritenute incompatibili con questo modello ed è riuscita ad abbattere nella stragrande maggioranza delle grandi imprese le barriere e i pregiudizi sul lavoro agile, segnando una svolta irreversibile nell’organizzazione del lavoro. Tanto che un terzo delle grandi imprese ha deciso di modificare i progetti di smart working in corso. E ora, con la nuova crescita di contagi in tutta Italia, è probabile che il lavoro a distanza – mai veramente abbandonato in questi mesi – torni prepotentemente protagonista.Marianna Lepore

400 milioni in più per il Servizio civile, bando 2021 per oltre 50mila volontari

Il 16 novembre scorso il testo della Legge di Bilancio 2021 ha confermato l’incremento di 400 milioni di euro del fondo destinato al servizio civile universale per il 2021 e il 2022, che si aggiungono a quelli già stanziati, per un totale di 299 e 306 milioni. Il fondo permetterà di coinvolgere 55mila volontari per anno. Il ministro per le politiche giovanili e lo sport con delega al servizio civile, Vincenzo Spadafora, ha inoltre preso un «impegno a dedicare parte del Recovery Fund al servizio civile». «Questo è un evento che non avveniva da molti anni» commenta soddisfatta Feliciana Farnese, presidente della Consulta nazionale per il servizio civile universale: «Avevamo visto infatti consolidarsi come prassi quella di risorse aggiuntive instillate goccia a goccia e soggette a continui ricalcoli e tagli.»A fine settembre 127 enti accreditati e 132 personalità tra esponenti del terzo settore, della cultura e della società civile avevano firmato la lettera-appello “Servizio civile, non si può dire no”, promossa dalla testata Vita per lo stanziamento di «adeguati fondi aggiuntivi per il servizio civile universale» e rivolta al presidente del consiglio Giuseppe Conte e ai ministri delle politiche giovanili e dell’economia Vincenzo Spadafora e Roberto Gualtieri. Fra il 2010 e il 2019, come sottolineato nella lettera, sono stati finanziati 261.975 posti, a fronte delle 787.051 domande. Insomma, due richieste di partecipazione su tre non sono andate a buon fine.     In quest’anno difficile, il mondo del servizio civile ha dimostrato e sta dimostrando una straordinaria capacità di adattarsi alla situazione di emergenza. Dopo la sospensione iniziale, i progetti sono stati quasi tutti riavviati, in alcuni casi rimodulati, e i giovani volontari hanno potuto continuare a dare il proprio contributo nel modo più consono alle esigenze figlie della pandemia in corso. Secondo l’ultimo report del Dipartimento per le politiche giovanili, aggiornato al 15 ottobre scorso, sono 32.539 gli operatori volontari in Italia, di cui 32.006 (il 98,36 per cento) già ritornati o in procinto di ritornare in servizio attivo. 468 su 510, invece, gli operatori che hanno proseguito il servizio civile all’estero. «Sicuramente la situazione di emergenza» commenta Enrico Maria Borrelli, presidente del Forum nazionale servizio civile e di Amesci «e l’opportunità data al servizio civile di rendersi strumento al servizio dei bisogni del paese sono state occasione per riaccreditarlo agli occhi del governo.»Una sfida nuova è stata anche quella del volontariato “da remoto”. «La modalità a distanza» racconta il presidente del Forum «su cui all’inizio eravamo scettici perché temevamo di perdere il contatto umano, si è rivelata fondamentale. In particolare per la formazione, dove è stata molto apprezzata dai ragazzi, ma anche per progetti che potevano essere realizzati da remoto senza perdere efficacia, come quelli legati al sostegno telefonico. Un’esperienza che stiamo immaginando di replicare non necessariamente in emergenza ma anche ad esempio per ovviare a difficoltà logistiche.» «L’emergenza ci ha offerto un nuovo modo di guardare le cose, dove la direzione, da seguire sarà la flessibilità e la semplificazione», gli fa eco Farnese. Che spiega che anche le modalità di selezione dei prossimi volontari saranno riviste: «Nel prossimo bando si farà inevitabilmente riferimento al fatto che gli enti dovranno eseguire i colloqui di selezione da remoto nonché tutte le attività a questi collegati, anche laddove i sistemi accreditati degli enti non prevedano tale modalità.»Ma come sarà il servizio civile universale nel 2021? «Fino all’anno scorso gli enti presentavano singoli progetti» spiega alla Repubblica degli Stagisti Borrelli «mentre da quest’anno è stata introdotta la programmazione, quindi tutti i progetti concorrono a realizzare un unico grande obiettivo. Storicamente il 60 per cento di essi sono rivolti all’ambito sociale di assistenza, sostegno, inclusione di minori e migranti, lotta alla povertà. Questa volta sarà dato molto spazio anche agli obiettivi dell’Agenda Onu 2030 legati allo sviluppo sostenibile.» Come ricordato attraverso i suoi canali dal Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale, i giovani tra i 18 e i 28 anni che vorranno candidarsi come operatori volontari al prossimo bando, in uscita entro l’anno, dovranno avere a disposizione l’identità digitale. È quindi consigliato procedere già da ora alla richiesta gratuita dello Spid, sistema unico di identità digitale, in modo da essere pronti per compilare la domanda non appena il bando sarà pubblicato.    Presto si scoprirà se la ritrovata attenzione dell’opinione pubblica e il ruolo del servizio civile nell’emergenza Covid-19 hanno fatto crescere la voglia da parte dei giovani di partecipare e di rendersi utili attraverso un’esperienza di volontariato in uno dei progetti sparsi per il territorio nazionale e internazionale. Rossella Nocca

Slittano gli esami, «ora un praticante avvocato rischia di metterci quattro anni dalla laurea all'abilitazione»

A pagare lo scotto dell'emergenza epidemiologica sono anche i candidati alle prove di abilitazione professionale, finite nel calderone degli eventi rimandati a data da destinarsi in ottemperanza alle misure anti Covid. Tra i più eclatanti il caso degli aspiranti avvocati, il cui esame – adesso rinviato – era fissato per dicembre. Il rischio è così di restare anni in attesa di poter esercitare la professione. «Esiste una sola sessione di esami all'anno» spiega alla Repubblica degli Stagisti il portavoce del Comitato per l'esame da avvocato, che preferisce restare anonimo. «Chi come me si è laureato nel 2018 finirà per abilitarsi se tutto va bene dopo tre o quattro anni, nel 2022». Una volta ottenuta la laurea in Giurisprudenza, si passa infatti al praticantato di 18 mesi, e poi ancora all'esame scritto a cui – in caso di superamento – segue la prova orale dopo mesi e mesi. I praticanti in questa condizione si aggirano intorno ai 20-25mila. Per loro la doccia fredda è arrivata il 5 novembre scorso, al varo dell'ultimo dpcm per contrastare l'epidemia. «L’aggravamento della situazione sanitaria e la conseguente necessità di ridurre, quanto più possibile, le occasioni di diffusione del virus» ha scritto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sulla sua pagina Facebook, «impongono il rinvio delle prove scritte programmate per il 15-16-17 dicembre». La prossima sessione, si legge, «potrebbe tenersi nella primavera 2021». Si era pensato perfino di «parcellizzare gli esami su tutto il territorio» prosegue il ministro, per evitare rischiosi assembramenti. «Ma con l’evoluzione del quadro epidemiologico, il rinvio rappresenta purtroppo una scelta obbligata». Salvi solo gli esami orali per chi ha svolto gli scritti nel 2019 e al momento in corso, «perché per questi è possibile implementare modalità che garantiscano la sicurezza». Il risultato è che «contando il periodo di praticantato per lo più a titolo gratuito» commenta il Comitato per l'esame da avvocato, «per i laureati si profileranno anni senza percepire un euro». Per loro le porte della professione e dei primi guadagni si aprono infatti solo con l'acquisizione del titolo e la possibilità di firmare gli atti in proprio, senza necessità «di farsi rappresentare dai grandi studi». Non solo: «spesso per studiare per l'esame si frequentano scuole di specializzazione da migliaia di euro» aggiunge il portavoce. In più c'è l'acquisto dei libri, che per un aspirante avvocato «può comportare spese tra i 200 e i 400 euro per un codice commentato». Insieme alle tasse di esame sui 90 euro «parliamo di un esborso di 1500-1700 euro che rischia di diventare vano sia perché la preparazione data dalla scuola si affievolisce con i mesi, sia perché i materiali rischiano di diventare obsoleti». Un danno a cui i praticanti chiedono di ovviare «procedendo come per gli esami di abilitazione di commercialisti e consulenti del lavoro, abolendo la prova scritta, oppure introducendo modalità che consentano di svolgere l'esame da remoto». Opzione che i moderni software consentirebbero, ma rispetto a cui è arrivato l'alt del ministero di Giustizia e degli organi forensi. La verità «è che la professione è in crisi, per cui chi è già dentro ha tutto l'interesse a serrare le fila» sintetizza il Comitato. Salve dall’attesa sono invece tutte quelle categorie professionali per cui esiste già l’orale abilitante invocato dai praticanti avvocati. La regola vale per agronomi, forestali, architetti, assistenti sociali, attuari, biologi, chimici, geologi, ingegneri, tecnologi alimentari, commercialisti, esperti contabili e revisori legali. Discorso a parte invece per le lauree abilitanti introdotte con il decreto legge 17 marzo 2020, e che consentiranno a medici, veterinari, psicologi, odontoiatri e farmacisti di iscriversi all'albo subito dopo la laurea, senza passare per un'ulteriore prova. La scure dell'ultimo dpcm si è abbattuta poi sul concorsone straordinario per la scuola, a cui ha partecipato già oltre il 60 per cento dei candidati, e che ripartirà appena lo consentirà l'andamento dell'epidemia. Stessa sorte è toccata ai giornalisti iscritti all'esame di abilitazione professionale. La 132esima sessione d'esame era fissata per il 28 aprile scorso, poi slittata causa Covid al 4 agosto. Niente da fare anche qui per la prova scritta da remoto: «L'ipotesi è stata bocciata dal ministero della Giustizia» scrive Valentina Ersilia nel gruppo Facebook degli iscritti all'esame. La successiva sessione, fissata per il 3 dicembre, è stata invece rinviata «a data da destinarsi» secondo le ultime indicazioni dell'Ordine dei giornalisti. E anche per i giornalisti le convocazioni per gli orali, in corso in queste ore, sono invece state confermate. «La scorsa primavera, circa un mese prima della data dello scritto, ci è arrivata la notizia dello slittamento della prova» ripercorre Matteo Caminiti, giornalista 34enne del Giornale di Arona e appena abilitato dopo il superamento dell'ultimo esame di agosto. «Ci sono stati lacune nella comunicazione da parte dell'Ordine» dice il giornalista. «Per l'orale il mio giorno era proprio il 5 novembre, avevo il treno prenotato e l'ho preso senza sapere se la convocazione fosse confermata». Solo una volta arrivato sul posto «e dai commenti sul gruppo Facebook dei candidati all'esame ho saputo che l'orale ci sarebbe stato».Quanto alla precedente sessione, «ci eravamo anche iscritti al corso di Fiuggi (un corso di preparazione all'esame che costa circa 450 euro, ndr), ma per fortuna le spese ci sono state rimborsate perché non si è più tenuto». Il ritardo «ci ha condizionato anche nella preparazione» inevitabilmente allungata. Ma per i giornalisti il disagio è minore rispetto agli avvocati: alle prove di abilitazione, anche queste suddivise in scritte orali, si presentano mediamente 4-500 candidati. Inoltre le prove sono almeno due all'anno, e dal superamento della stessa non dipende la possibilità di lavorare.«Io sono assunto da dieci anni» conferma Caminiti, «il titolo ho voluto prenderlo per soddisfazione personale e poi perché nella vita non si sa mai». L'esame che consente l'iscrizione all'elenco dei professionisti apre ad esempio anche l'accesso ai concorsi Rai per giornalisti. Quanto ai costi, l'iscrizione comporta una spesa di circa 300 euro. «Io mi ero iscritto anche alla sessione successiva a quella di agosto, poi revocata» spiega Caminiti. «Ma l'avrei fatto anche senza il Covid per assicurarmi nel caso non avessi passato lo scritto». Fortunatamente però è arrivato il rimborso anche di quelle spese, «eccezion fatta per i cinquanta euro di diritti di segreteria». Ilaria Mariotti 

Danone diventa Bcorp: “Perseguire obiettivi sociali oltre che economici: così il mondo del business diventa migliore”

C’era una volta un mondo in cui le aziende non pensavano solo al profitto. In cui si sentivano responsabili di quel che producevano, di come lo vendevano, di come lavoravano e vivevano i loro dipendenti, degli effetti che la loro attività aveva sull’ambiente circostante. Aziende che miravano a perseguire obiettivi sociali oltre che economici; che volevano che il loro impatto fosse misurabile non solo con il fatturato, ma anche con l’attenzione all’ambiente, alle persone, al territorio.Non è che una favola, giusto? In effetti, no. Da qualche anno è una realtà – o meglio, è l’obiettivo a cui si mira con le “benefit corporations”: un movimento nato negli Stati Uniti che sta diffondendo in tutto il mondo. «Le Benefit Corporation rappresentano l'evoluzione, forse la rappresentazione più spinta di quello che è un business sostenibile: il concetto di usare il business come forza positiva» ha spiegato in un Ted Talk l’imprenditore Eric Ezechieli, founder di Nativa, prima Benefit Corporation e B Corp in Europa: «Come possiamo usare questa straordinaria potenzialità per contribuire a risolvere le grandi sfide del nostro tempo? Qualsiasi azienda può cominciare a reinterpretarsi e reinventarsi in questa direzione, e quindi può cominciare a diventare rigenerativa».Diverse aziende han deciso di scommettere su questa filosofia. Tra queste c’è il gruppo Danone, che sta trasformando tutte le sue sedi in questo senso. «Abbiamo nel mondo già tantissime entità che sono certificate BCorp» spiega Fabrizio Gavelli, Ceo per la divisione Specialized Nutrition South Europe di Danone: «Le prime sono nate negli Stati Uniti: Danone US è la più grande BCorp del mondo. Ne abbiamo poi in Inghilterra, in Francia, in Spagna… Attualmente il 45% del nostro business è certificato BCorp nel mondo. Nel momento in cui raggiungeremo l’80%, saremo una BCorp come corporation». Danone si era prefissata di raggiungere questo obiettivo entro il 2030, anticipando poi al 2025: «E secondo me riusciremo anche prima, perché questa è una grande priorità della nostra azienda: vogliamo diventare presto la più grande azienda Bcorp del mondo come conglomerato».In Italia Danone conta quasi 500 dipendenti e da molti anni dimostra la sua attenzione al tema dell’occupazione giovanile di qualità facendo parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti, assicurando ai suoi tirocinanti un buon rimborso spese mensile (da 700 a 1000 euro al mese), e assumendone oltre il 60% al termine dell’esperienza formativa. Ha implementato una policy per la diversità e inclusione, un’altra per le politiche genitoriali; è da anni nella classifica dei Great Place to Work e ha di recente vinto il premio Most Attractive Employer 2020 di Universum.  E ora il passo verso la Bcorp.In Italia ci sono due modi, non mutuamente esclusivi, di abbracciare questo modello. Uno è fare il processo di certificazione BCorp, cioè incaricare una società (la più nota è l’americana BLab) che arriva in azienda a fare un lungo assessment sugli obiettivi ambientali,  sociali, di governance, di relazione coi dipendenti, i fornitori, i consumatori, il territorio. «Abbiamo avuto per quasi un anno i certificatori di BLab» conferma Gavelli. Un procedimento non semplice: «è veramente mettere a nudo l’azienda». Il risultato di questo lavoro viene trasformato in un punteggio: se si superano gli 80 punti (il massimo è 200) si è BCorp.L’altro modo è diventare Benefit Corporation: in Italia questa nuova forma giuridica di impresa è stata introdotta con la legge 208/2015, a prima firma Mauro Del Barba, senatore del Partito democratico, ed è entrata in vigore a gennaio del 2016. Diventando Società Benefit, si legge sul sito omonimo curato da BLab e AssoBenefit, si modifica lo scopo di una società “dando agli imprenditori la libertà di prendere in considerazione le persone e l’ambiente oltre al profitto”. La scelta di diventare Società Benefit “non ha alcun impatto sulle imprese già esistenti, sulle altre forme societarie, o dal punto di vista fiscale”. Obiettivo di questa forma giuridica è proteggere “la missione aziendale in caso di entrata di nuovi investitori, cambi di leadership e passaggi generazionali”; offrire “maggiore flessibilità e solidità in caso di vendita” e preparare le aziende “perché mantengano la loro missione dalla fase di startup alla quotazione in borsa”.Le tre società del gruppo Danone in Italia – Danone, Mellin e Nutricia – sono diventate Benefit Corporation all’inizio di quest’anno, cambiando il loro statuto. «Siamo andati alla Camera di Commercio e abbiamo detto “noi da oggi ci vogliamo chiamare società benefit perseguendo degli obiettivi specifici di One Planet, One Health, One Community”: e abbiamo iniziato formalmente questo percorso» ricorda Gavelli, citando le parole chiave che Danone ha scelto come sua “vision” fin dal 2017: l’idea che la salute delle persone e quella del pianeta siano interconnesse, e la “call to action” ai consumatori e a chiunque abbia a che fare con il tema del cibo ad abbracciare la “food revolution”, un movimento che incentiva l’adozione di abitudini alimentari più sane e più sostenibili.«Il ruolo delle BCorp è diventare rigenerative» aggiunge Sonia Malaspina, direttrice HR Sud Est Europa di Danone: «Finora le aziende son state “estrattive”, nel senso negativo, perché hanno sfruttato l’ambiente, il territorio, le comunità, le persone. Invece cambia il concetto: l’azienda deve fare di tutto per avere un impatto positivo sui vari ecosistemi che gestisce. Una posizione ancora più attuale in un momento storico come questo» dove le aziende si trovano a gestire «le persone e le loro famiglie» colpite direttamente o indirettamente dalla pandemia di Covid. Ad agosto 2020 è arrivato anche l’annuncio della certificazione: un percorso lungo, costoso e macchinoso. «Sono aggettivi appropriati» conferma Fabrizio Gavelli, perché il processo «mette in luce tutti gli aspetti dell’azienda che funzionano… e quelli che devono essere migliorati». Ma le tre società del gruppo Danone hanno tutte superato il tetto dei famosi ottanta punti, e sono ora BCorp.Una scelta di questo tipo ha un impatto sui dipendenti: è una dichiarazione di responsabilità, un messaggio all’esterno che dice “per noi ci sono cose che contano più del profitto”. Già «noi non parliamo di dipendenti ma di “danoners”, cittadini di Danone» specifica Malaspina: «In questa categoria consideriamo le persone assunte, e anche tutti i collaboratori: quindi gli stagisti sono dei danoners, gli agenti. C’è una attenzione alla comunità delle nostre persone come prima comunità». In questo contesto, la certificazione Bcorp è stata una presa di posizione che ha generato fierezza: «Il sentimento che mi hanno restituito le nostre persone è un  forte orgoglio: “Ma allora ciascuno di noi può fare la differenza”. Un messaggio potentissimo. Far parte di un’azienda che si pone anche un obiettivo di impatto sociale coinvolge tutti, trasversalmente ai settori aziendali e all’età: per le persone che stanno terminando la loro carriera è qualcosa che fa ben sperare per il futuro dei nostri figli».Le Bcorp sono circa 3.500 nel mondo, poco più di cento in Italia. «Noi come Danone vorremmo che ci fossero sempre più aziende che ottengano questa certificazione» dice ancora Gavelli. L’obiettivo è che si venga a creare «un sistema aperto: che il maggior numero possibile di aziende si avvicini a quesa filosofia, perché in questo modo il mondo del business, nel mondo e in Italia, migliorerebbe. Saremmo ben contenti che anche i nostri concorrenti, oltre che tutto il mondo del Food in generale, potessero abbracciare questi principi». Perché questo riferimento proprio al settore Food? «Perché è il nostro mondo, ma sopratutto perché è la categoria più grande del mondo. Il Food ha a che fare con alcuni sistemi produttivi fondamentali per i Paesi: l’agricoltura in Europa occupa una percentuale enorme di persone; la trasformazione del mondo agricolo è uno dei temi politici più importanti. Da Ippocrate col suo “Le vostre medicine siano i cibi” a Steve Jobs che pochi giorni prima di morire disse “Fate sì che i cibi siano le vostre medicine, prima che le medicine diventino i vostri cibi”, c’è molto da cui trarre ispirazione. Il Food ormai fa parte integrante della nostra vita, della nostra salute, della salute dell’ambiente. Detto ciò, non è che gli altri settori non abbiano la sensibilità per farlo! Ci sono aziende meravigliose in Italia che stanno diventando paladine nelle loro rispettive categorie».Qualche nome? «La prima, che noi citiamo sempre perché è la più grande BCorp europea, è Chiesi» risponde Gavelli: «Un’azienda farmaceutica di Parma che ha fatto un percorso bellissimo. Poi c’è Davines, un’azienda di cosmesi più piccola che ha sempre sede a Parma, molto all’avanguardia, che ha fatto della sostenibilità il suo pay-off: si chiama Sustainable Beauty». E ancora «Wekiwi, un operatore di elettricità e di gas, una start-up che sta avendo un grande sviluppo, che vede l’energia in modo sostenibile». E poi, in un settore limitrofo a quello del Food che è quello della ristorazione, c’è l’esempio della catena milanese Panino Giusto: «Il movimento BCorp prescinde dalla dimensione, anzi è nato dalle aziende piccole. E questa è una forza; in un Paese come l’Italia, dove tutto nasce dalla piccola e media impresa, lo è ancora di più. Ci sono aziende minuscole, anche di pochissimi dipendenti, che hanno deciso di fare questo percorso».Ma perché la forza riesca a dispiegarsi c’è bisogno di un cambio di paradigma: «Corrono i cinquant’anni della teoria economica di Friedman sulla shareholder theory, quella secondo cui si lavora solo ed esclusivamente per un ritorno agli azionisti. Questo è… morto!» dice senza indugi Gavelli: «Si deve passare da una shareholder economy a una stakeholder economy, cioè l’azienda deve creare valore non solo per gli shareholder, coloro i quali hanno prestato e stanno prestando capitale, ma anche per tutti i suoi partner: in primo luogo le persone che lavorano per l’azienda, e poi i fornitori, i clienti, il sistema politico, l’ambiente». E attenzione, non «per fini filantropici», nel senso che creare profitto per gli azionisti va benissimo: ma sapendo che «l’evoluzione dell’azionariato e della remunerazione del capitale passa attraverso la creazione di valore».Il movimento, nato in America, sta trovando in Italia un terreno particolarmente fertile: «Abbiamo già 500 aziende Benefit Corporation, imprenditori che hanno deciso di cambiare lo statuto delle proprie aziende: non mi sembra una cosa da sottovalutare». I riscontri istituzionali ottenuti in quattro anni non sono pochi: oltre al fatto che «nel 2016 noi siamo stati il primo Paese come entità politica» a istituire una forma societaria apposta per riconoscere questo tipo di azienda, Gavelli nota anche che «la commissione parlamentare Agricoltura sta prendendo questo movimento in maniera molto seria» e che «il presidente Conte ha scritto un libro di cui un capitolo è dedicato proprio alle società Benefit», oltre al fatto che «esiste Assobenefit, l’associazione delle società benefit, fondata da un parlamentare, il cui fine è di promuovere il fatto che più aziende possibili cambino il loro statuto». Anche questa una cosa «quasi solo italiana».Gavelli crede molto nel tessuto potenziale di start-up che operano nell’area della sostenibilità, e nelle nuove generazioni: «Possono fare da stimolo al mondo economico e industriale. Qualcosa per cui noi non siamo secondi ad altri Paesi in Europa».