Protestano i praticanti avvocati bloccati dal Covid: l'esame rischia di slittare ancora

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 22 Gen 2021 in Notizie

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Praticanti avvocati sul piede di guerra. Continuano a protestare, per lo più inascoltati, i laureati in Giurisprudenza con il praticantato già maturato nel corso del 2020 e che a causa della pandemia non hanno potuto sostenere l'esame e abilitarsi alla professione. Non un gruppetto sparuto, ma almeno 20-25mila giovani secondo le stime delle associazioni che li rappresentano. La richiesta principale è una: trovare soluzioni alternative all'esame tradizionale costituito da tre prove scritte e un orale. La via maestra potrebbe essere concentrare l'esame in una sola prova orale, il cosiddetto 'orale abilitante' che non comporterebbe assembramenti e rappresenterebbe la via di uscita dall'impasse. Il rischio è in alternativa restare praticanti ancora per mesi, senza poter esercitare e riuscire finalmente a cominciare a guadagnare.

Il caso scoppia a novembre dello scorso anno quando, dopo l'ultimo dpcm, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede annuncia lo slittamento delle prove scritte fissate per il 15, 16, 17 dicembre, come conseguenza «dell'aggravarsi dell'epidemia», e senza aprire a nessuna opzione alternativa per lo svolgimento dell'esame. Succede non solo agli aspiranti avvocati, ma anche a altre categorie professionali tra cui i giornalisti, che a loro volta vedono sospendersi lo scritto.

I praticanti avvocati non ci stanno e il 16 dicembre scattano sit in di protesta in tutta Italia, tra Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli, Palermo e Vibo Valentia. Nel capoluogo lombardo decine di giovani alzano striscioni in cui chiedono certezze. Rivendicano di essere loro a mandare avanti i tribunali, «se tutti i praticanti di Milano incorciassero le braccia la giustizia a Milano durerebbe dieci giorni» grida da un megafono un manifestante ripreso in un video. «Il ministro ha preferito assumere una linea compiacente verso quella cerchia più ristretta e corporativa dell'avvocatura» accusano in un comunicato congiunto alcune associazioni del settore, tra cui l'Associazione italiana dei praticanti avvocati Aipavv, il Coordinamento dei giovani giuristi italiani, il Comitato per l'esame da avvocato.

Una linea che «che sta falcidiando la maggior parte dei liberi professionisti» e che dimostra di «temere la concorrenza dei colleghi più giovani». L'assunto è che gli organi forensi si stiano giocando la carta del Covid per impedire l'accesso di nuove leve alla professione. «Vogliamo lavorare» scrivono, queste «sono decisioni miopi che tolgono l'opportunità di costruire il proprio futuro e rendersi indipendenti».

Nel frattempo, il 18 dicembre, il ministero della Giustizia rende note le nuove date per il concorso, che si dovrà tenere secondo i piani il 13, 14 e 15 aprile 2021. Lo stato di emergenza è stato però esteso dal governo fino al 30 aprile, dunque anche su quelle date pende l'incertezza. «Cosa si farà se, ad aprile, non si potrà svolgere l'esame?» chiede dalle proprie pagine Facebook il Comitato per l'esame da avvocato. «Qual è il piano B?». Le nuove date «non risolvono nulla e non offrono soluzioni». Il rischio è infatti saltare anche la sessione 2021, mentre gli altri professionisti procedono senza intoppi grazie all'orale abilitante riconosciuto per esempio a commercialisti e architetti (senza contare le lauree abilitanti introdotte di recente).

Alla questione si interessano alcuni politici. Lia Quartapelle, 38enne deputata del Pd, presenta il 23 dicembre un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro della Giustizia, ad oggi ancora senza risposta. «L'attuale esame di abilitazione, composto da tre scritti della durata di otto ore da svolgersi con carta e penna, è anacronistico» è la premessa. In più «c'è una ingiusta disparità di trattamento rispetto alle soluzioni alternative trovate per le altre categorie». L'appello è a chiarire «le misure che saranno prese nel caso in cui l'emergenza persista e l'esame venga di nuovo rinviato».

Anche Matteo Richetti, senatore del gruppo misto, classe 1974, prende le parti dei praticanti: «Tra totoministri e ricerche di 'costruttori', il Paese, quello reale, continua a fare i conti con la realtà» scrive sul suo account il 13 gennaio: «Il decreto Milleproroghe ha confermato modalità alternative per le prove di abilitazione» evidenzia, «ma non per gli aspiranti avvocati».
E rilancia: «Iniziamo a pensare a come far svolgere questo esame senza continuare a nascondere l’emergenza dietro un dito?».

Dagli organi istituzionali per ora nessuna risposta. Tra le associazioni si susseguono proposte, anche se non sempre condivise da tutti i rappresentanti. Tra le ultime quella di ridurre la prova a un solo esame scritto, che non risolverebbe però il problema della presenza fisica e dunque il rischio contagio. Una idea dell'ultima ora – chissà che non sia la definitiva - arriva dal presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano, il 61enne Vinicio Nardo [nella foto a sinistra].

«Vanno studiate forme di esame emergenziale» ragiona in un video Facebook del 13 gennaio. Niente a che vedere, precisa, «con la riforma dell'esame, che è allo studio del Parlamento» e per cui sono in corso audizioni informali in Commissione Giustizia alla Camera (l'ultima quella dell'associazione Cogita a favore della proposta di legge Di Sarno e Miceli che prevede una riduzione degli scritti). Escludendo l'esame da remoto «che comporta procedimenti infattibili in quattro mesi» prosegue, si rende necessario «un esame rafforzato orale, con una struttura più ampia e con materie diverse». Senza pensare a questo come a «un condono generale», ma solo come a «un decreto valido per un anno». I tirocinanti e i giovani in generale «sono quelli che patiscono di più questa situazione» ammette, dunque «non possiamo voltarci dall'altra parte» è la conclusione.


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