Categoria: Interviste

Claudia Cucchiarato, la portavoce degli espatriati: «Povera Italia, immobile e bigotta: ecco perché i suoi giovani scappano»

La Repubblica deli Stagisti incontra Claudia Cucchiarato, 31enne giornalista e autrice del libro Vivo altrove (Bruno Mondadori).La fuga dei giovani dall'Italia è fisiologica o deve preoccupare?In un momento di globalizzazione economica, proliferazione dei voli low-cost, sviluppo del tele-lavoro, la partenza dei giovani da tutti i Paesi del mondo è fisiologica. La fuga dei giovani dall'Italia è preoccupante perché riguarda una fetta grandissima della popolazione, di tutte le regioni e di tutte le estrazioni sociali ed economiche; tuttavia, allo stesso tempo, queste partenze in massa non vengono controbilanciate da un flusso in ingresso di persone delle stesse caratteristiche, come succede in tutti gli altri Paesi industrializzati.All'estero i giovani italiani trovano migliori opportunità di lavoro e stipendi più alti: verità o leggenda?Nella maggior parte dei casi è una verità, ma ci sono anche le leggende. Barcellona, per esempio, non è il miglior posto in cui migrare soprattutto in questo momento per trovare lavoro, manca anche per gli autoctoni, eppure tutti i giorni ricevo almeno una mail di qualcuno che ha deciso di venirci comunque. Le fughe spesso non sono solo per questioni economiche o professionali, ma anche in virtù di una qualità della vita migliore. Detto questo, nella maggior parte dei casi fuori dall'Italia essendo “nessuno” è più facile trovare un lavoro qualificato e ben pagato se si ha voglia di lavorare e una buona preparazione.Nel suo libro c'è anche chi finisce a fare il cameriere: ma allora vale davvero la pena di andarsene?Sì: perché quello che non c'è in Italia non è solo il lavoro, ma soprattutto le condizioni di libertà minime per sentirsi persone. La produzione culturale di una città come Londra, la multietnicità di una città come Berlino, il clima e la qualità della vita a basso costo di una città come Barcellona o Madrid, sono tutti fattori che incidono molto nella decisione di tagliare la corda e trasferirsi in un posto in cui stare meglio, sentirsi liberi di vestirsi come si vuole o uscire con la persona che si ama, maschio o femmina che sia. È anche l'apertura della società e il grado di civiltà di un Paese a rendere più appetibile la maggior parte dei posti che esistono nel mondo, o almeno in Europa, rispetto all'immobile e spesso insopportabilmente bigotta società italiana.Con Sergio Nava, autore del blog Fuga dei Talenti e del libro omonimo, avete lanciato un paio di mesi fa il Manifesto degli Espatriati: in cosa consiste questa iniziativa?Io e Sergio ci siamo conosciuti qualche mese fa per la presentazione del mio libro a Milano e ci siamo trovati subito d’accordo nel pensare che era ora di smettere di lamentarsi o limitarsi a raccogliere lamentele nei nostri rispettivi spazi web. Abbiamo quindi deciso di allearci e di passare dalle parole ai fatti, riassumendo tutto quello che dell’Italia non piace alle persone che abbiamo intervistato negli ultimi anni. Il Manifesto degli Espatriati raccoglie in nove punti queste considerazioni e si conclude con un decimo punto, in cui i firmatari si impegnano a lavorare affinché queste “pecche” del sistema Italia vengano risolte. In poche settimane abbiamo già raccolto mille firme.Il Manifesto può essere sottoscritto solo da chi è andato a vivere all'estero. E se qualcuno rimasto in Italia volesse darvi sostegno, come potrebbe farlo?Chi vive in Italia non può per definizione sottoscrivere un Manifesto degli Espatriati. Però quotidianamente sia io che Sergio riceviamo commenti nei nostri blog sul Manifesto, gli italiani che vivono in Italia o chiunque altro può commentare l'iniziativa nei post dedicati al Manifesto sui siti Vivo altrove e Fuga dei Talenti.Quali sono oggi i tre-quattro Paesi che consiglierebbe a un aspirante espatriante?Io continuo a consigliare la Spagna a chi vuole fare un'esperienza di vita stimolante dal punto di vista della libertà di espressione o della qualità della vita a basso costo. Sicuramente la Germania in questo momento è il Paese in cui si trova più facilmente lavoro, anche se Berlino è la città con il tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti in Europa, chi ci va oggi lo fa per mettere in piedi una propria impresa o per fare lavori di tipo artistico. Gli Stati Uniti e l'Inghilterra, come anche l'Olanda, sono posti sicuramente molto aperti e accoglienti per giovani molto preparati come di solito sono gli italiani.A livello europeo, l'Italia è il paese peggiore dal punto di vista delle opportunità offerte ai giovani, o ci sono posti dove si sta ancora peggio?Dipende da che tipo di Paesi vogliamo prendere in considerazione. Sicuramente ce ne saranno di posti anche in Europa in cui i giovani non vengono valorizzati, eppure tra tutte le interviste che ho fatto per il libro, le storie che ho raccolto nel blog e nel sondaggio lanciato nel sito di Repubblica a ottobre (oltre 25mila testimonianze raccolte), pochissime persone mi hanno detto di aver trovato società di arrivo poco propense a vedere le giovani generazioni come una risorsa. Ovunque i giovani sono il futuro da coltivare, non una minaccia da mettere sotto giogo, come spesso sembra accadere in Italia, dove abbiamo la classe politica, dirigente, insegnante più anziana del mondo. Un record almeno ce l'abbiamo, sarà pur per qualcosa. Io credo che sia perché quando si ha addirittura un presidente del Consiglio che, aiutato dalle televisioni che possiede, vende la vecchiaia come una malattia più che come una tappa fisiologica della vita, allora è inevitabile che i giovani vengano guardati con un mix di invidia e timore.Lei vive da cinque anni a Barcellona. Tornerebbe? Per il momento non ho intenzione di tornare, sarebbe strategicamente e professionalmente sbagliato per diversi motivi. Eppure il motivo principale per cui in questo momento non tornerei è perché la mia vita ormai è qui, il mio fidanzato, la mia “famiglia” acquisita, i miei amici... Mi manca moltissimo la mia famiglia naturale, ma ci metto meno tempo e spendo meno soldi io a tornare da Barcellona a Treviso con un volo low-cost di quello che ci mette mio fratello a tornare da Milano a Treviso in treno. E poi sono del parere che esista un tempo di permanenza all'estero (di solito 4-5 anni), superato il quale tornare indietro diventa veramente difficile, soprattutto dopo aver constatato che in tutti questi anni poco o nulla è cambiato nel Paese d'origine. E in Italia negli ultimi cinque anni secondo me non solo non è cambiato nulla di quello che non mi piaceva, ma se possibile sono pure peggiorate molte cose. C'è un sacco di lavoro da fare, bisognerebbe iniziare subito o aver iniziato ieri.Intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Vivendo altrove, il confronto fra l’Italia e altri paesi diventa impietoso. E illuminante». In un libro le storie degli italiani che fuggono all'estero

Il deputato Aldo Di Biagio spiega la sua interrogazione: «Bisogna difendere chi ha lauree "deboli" dalla discriminazione nelle selezioni»

Tre deputati di diversi schieramenti, Aldo di Biagio e Angela Napoli del Fli e la 30enne Marianna Madia del Pd, decidono di fare fronte comune per difendere i laureati (e specialmente le laureate) che hanno scelto facoltà cosiddette deboli, come quelle umanistiche, e si trovano in difficoltà perché durante i colloqui le imprese dimostrano di prediligere quasi esclusivamente chi ha fatto Economia o Ingegneria. I tre hanno presentato a metà ottobre un'interrogazione parlamentare al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, in cui esprimono preoccupazione per «i parametri stringenti a cui i profili dei candidati devono attenersi per essere in linea con quelli ricercati: per tutte le aree operative [...] dal settore amministrativo, commerciale, passando per il settore acquisti e risorse umane sembrano essere ricercati esclusivamente laureati con un età non superiore ai 26/28 anni, con un'esperienza di almeno due anni e soprattutto con una laurea in ingegneria gestionale o economia e commercio anche se talvolta per le posizioni aperte sarebbero più indicate formazioni attinenti ad altri percorsi universitari».Per approfondire i contenuti di questa inconsueta interrogazione la Repubblica degli Stagisti intervista Di Biagio, 46 anni, tra il 2001 e il 2005 a capo dell'ufficio Rapporti internazionali del gabinetto del ministro Alemanno al dicastero delle Politiche agricole e forestali, che nel 2008 è stato eletto deputato nella circoscrizione Estero - Europa.L'interrogazione parte dalla presa d'atto che una larga fetta di neolaureati si trova le porte sbarrate. È colpa delle aziende che sono troppo "conformiste" e cercano sempre gli stessi profili o dei ragazzi che si iscrivono alle facoltà sbagliate? Forse la risposta è più semplice. Vi è un allarmante scollamento tra il mondo dell’impresa e quello della formazione. Imprenditori, selezionatori e datori di lavoro in genere non conoscono il mondo dell’università, per cui tendono a rifugiarsi in profili universitari sempreverdi come Economia, ignorando tutto il resto. Non esistono percorsi formativi per così dire “sbagliati”: è il pensare comune che per sintesi tende ad inquadrare come “non corretto” ciò che non è integrato. Secondo me una laurea in Scienze politiche piuttosto che in Relazioni pubbliche o Scienze della comunicazione offre quell’eclettismo e quella trasversalità di competenze di cui le imprese hanno realmente bisogno, soprattutto per competere sui mercati internazionali. In questa tendenza tutta italica del fare selezione si colloca la filosofia del decennio, cioè quella di dare preponderanza al parere dello psicologo del lavoro che invece dovrebbe intervenire, eventualmente, solo nella fase conclusiva della selezione. Insomma: bisogna dare priorità alla competenza, non alla laurea né alla rispondenza psicologica del candidato con le discutibili pratiche adoperate del selezionatore-psicologo in fase di selezione. Al primo posto la meritocrazia, null’altro. È di qualche giorno fa un’allarmante dichiarazione dell’ad di Fiat Marchionne che ha ribadito che l'Italia è al centodiciottesimo posto su centotrentanove per efficienza del lavoro ed è al quarantottesimo posto per la competitività del sistema industriale. Negli ultimi dieci anni il nostro paese non ha saputo reggere il passo con gli altri: probabilmente anche per colpa dell’incapacità del nostro sistema industriale di individuare il profilo professionale giusto per il posto giusto.Denunciate anche una discriminazione: i maschi sarebbero avvantaggiati nelle selezioni rispetto alle femmine. Quali fonti si possono utilizzare per avere un quadro più preciso di questa situazione? E come porvi rimedio? Innanzitutto bisogna leggere la miriade di dati statistici che ci scorrono sotto gli occhi tutti i giorni: da Almalaurea all’Istat la percentuale di donne occupate è sempre più bassa rispetto a quella maschile, ne consegue che forse risultano essere le donne quelle maggiormente penalizzate anche nelle dinamiche di selezione. Alle osservazioni di natura matematica si aggiungono le molte testimonianze di donne che denunciano che, malgrado il fatto che gli annunci di lavoro siano rivolti ad ambosessi ai sensi della normativa vigente, spesso in realtà l’azienda vuole un uomo – ma questo i selezionatori non te lo dicono o forse te lo fanno intuire all’ultimo. Anche aziende importanti fanno muovere giovani laureate da ogni parte d’Italia per organizzare colossali selezioni, magari coinvolgendole in più step, ma poi in realtà finiscono per prendere il giovane ventiseienne con laurea in Economia. È un copione che si ripete, e la cosa più drammatica è che a questi giovani non viene nemmeno pagata la trasferta. Su questo versante – al fine di smussare le derive sessiste delle dinamiche occupazionali – sono molti i progetti in cantiere che stiamo portando avanti anche nell’ambito di Generazione Italia e Futuro e Libertà per l’Italia.Però rispetto alla laurea e al genere del candidato le aziende private, proprio perchè sono private, possono fare un po' come gli pare... o no? L’autonomia organizzativa, gestionale ed operativa delle nostre aziende non coincide con l’anarchia. Non si può nascondere un comportamento ai limiti della costituzionalità dietro il dito della crisi, delle esigenze interne e della rispondenza psicologica tra profilo ricercato e quello selezionato. In questo il Parlamento e i ministeri competenti, pur nei limiti del caso, possono sollevare il problema ed analizzare potenziali interventi. L’avvio di un’indagine ministeriale e parlamentare può offrire strumenti in grado di indirizzare, magari con provvedimenti specifici o direttive. E le imprese non potranno ignorarli. Vuole lanciare un appello ai lettori della Repubblica degli Stagisti? Ho avuto modo di leggere molti interventi sul vostro portale, le istanze e i problemi che questo “popolo” costantemente pone in evidenza restando però inascoltato. Trovo interessante la vostra iniziativa e credo che sia fondamentale che si crei un rapporto di input-feedback con le istituzioni al fine di migliorare ciò che non va nel nostro sistema, soprattutto nel mercato del lavoro. Invito i lettori della Repubblica degli Stagisti che hanno sperimentato la difficoltà di districarsi nella giungla dei colloqui di lavoro e nel percorso minato selle selezioni a raccontare le loro storie: ogni testimonianza potrà essere di supporto alle indagini che stiamo avviando. Condividete con noi le vostre esperienze! Quali effetti concreti potrà produrre la vostra interrogazione?In primis ha l’ambizione di sollevare il caso creando il problema, finora ignorato nelle sedi istituzionali. Soltanto dinanzi al problema si possono definire delle soluzioni. Ci tengo a chiarire che potranno essere avviate due indagini: una di carattere interno al ministero del lavoro, quindi di natura ministeriale, che coinvolgerebbe anche gli uffici territoriali del ministero. L’altra di natura parlamentare, per raccogliere informazioni, confrontare i dati in materia, ascoltare i protagonisti di questa vicenda e delineare un dossier che servirà da base per eventuali provvedimenti normativi. Non si può prevedere un riscontro a breve, ma l’attenzione è talmente elevata che provvederemo a sollecitare rapidamente i vari step in tempi non eccessivamente dilatati. Abbiamo bisogno di dare delle risposte ai nostri laureati, per far capire che ci siamo e non attendiamo inermi che facciano le valigie per raggiungere qualche paese straniero. La fuga dei talenti è una sconfitta per il nostro sistema e questo intervento parlamentare ne rappresenta una presa di coscienza.intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Ingegneria ma non solo: quali sono le lauree più utili per trovare lavoro?- Trovare lavoro dopo la laurea o il master, attenzione alle percentuali di placement: a volte possono riservare sorprese- Dalla parte dei laureati - lo stage serve per trovare lavoro?E leggi anche le storie di vita vissuta raccolte dalla Repubblica degli Stagisti su questo argomento:- Laurea in psicologia, ma con qualcosa in più: il cinese. La storia di Alessandro, «cool hunter» tra Pechino e Shanghai- Tecnologie fisiche innovative, facoltà poco conosciuta ma molto utile per trovare lavoro: la storia di Michela

Leonzio Borea, direttore dell'Ufficio servizio civile nazionale: «Offriamo ai giovani un'esperienza preziosa, ma abbiamo sempre meno fondi»

Lunedì 4 ottobre scadono i termini per fare domanda per partecipare al bando 2010 del servizio civile nazionale: in palio quasi 20mila percorsi di un anno nel volontariato, con un piccolo compenso di 433 euro al mese. La Repubblica degli Stagisti fa in esclusiva il punto della situazione con Leonzio Borea, direttore dell'ufficio Servizio civile nazionale - il dipartimento della Presidenza del consiglio dei ministri che si occupa di questa iniziativa - chiedendogli un bilancio del bando e una previsione su come potrà sopravvivere il progetto a fronte dei grandi tagli subiti negli ultimi tre anni. Borea, 59 anni, è avvocato penalista ed è stato senatore dal 2001 al 2006 per l'Udc; è alla guida dell'Unsc dal luglio del 2008.Direttore, chi sono i soggetti accreditati a ospitare i vostri volontari? E quali sono i settori più rappresentati?Gli enti accreditati sono ad oggi 3.585: 1.710 onlus, cioè cooperative e associazioni, e poi enti pubblici: enti locali, università, scuole, ministeri, aziende ospedaliere, consorzi. Infine ci sono anche tre Ong. Il settore prevalente è quello dell’assistenza, che assorbe  il 61% delle risorse; segue il settore educazione e promozione culturale con il 24%, il settore del patrimonio artistico culturale con l’8%, e poi ambiente e Protezione civile.Il sistema prevede che questi soggetti accreditati percepiscano indennizzi?Noi corrispondiamo agli enti, quale contributo per la formazione dei giovani, solo 90 euro una tantum per ciascun volontario e il rimborso del vitto e dell’alloggio se previsti dal progetto. Eroghiamo poi direttamente  a ciascun volontario, tramite accredito su conto corrente bancario, la paga mensile di 433,80 euro.Tutti i volontari svolgono al massimo trenta ore settimanali di servizio civile?No, trenta ore è l’orario minimo. Ciascun ente prevede l’orario settimanale di attività utile alla realizzazione del progetto, fermo restando l’obbligo del monte annuo di 1.400 ore.Fate un monitoraggio a posteriori della soddisfazione dei volontari rispetto all’esperienza effettuata?Sì, e abbiamo un'ottima customer satisfaction. Tutti i volontari che abbiano svolto almeno 9 mesi di servizio sono invitati a compilare un questionario di fine servizio; in più sul sito dell’ufficio, nell’area  dedicata ai volontari, ognuno può scrivere la propria esperienza nella sezione «Racconta il tuo servizio civile»: le testimonianze sono molto positive. L’Unsc poi commissiona periodicamente ad enti di ricerca le tematiche che intende approfondire: per esempio la Fondazione Zancan nel 2008 ha condotto uno studio «Valutare il servizio civile: volontari, enti e utenti a confronto». In più ogni anno la Cnesc - la Conferenza  enti per il servizio civile, che raccoglie 15 tra le maggiori associazioni accreditate - pubblica un suo Rapporto da cui si rilevano dati interessanti sul lavoro  degli enti, dei volontari e dell’Unsc. E in ultimo anche gli enti attuano un monitoraggio sulla formazione, strumento indispensabile per sviluppare la cultura del servizio civile, assicurarne il carattere nazionale ed unitario, per formare  cittadini responsabili e socialmente attivi.Come mai solamente il 2% dei progetti di servizio civile ha luogo all’estero?La richiesta è aumentata nell’ultimo periodo, ma non è possibile soddisfarla poiché i costi del volontario all’estero sono quasi doppi rispetto al volontario che opera in Italia: c'è un contributo aggiuntivo di 15 euro al giorno più 20 euro per il vitto e l’alloggio per tutto il periodo di permanenza all’estero. Costi per noi troppo alti. Poi gli enti che organizzano progetti all’estero sono pochi rispetto a quelli con sedi nazionali, avendo la necessità di avere sedi idonee ad ospitare i volontari.Il budget a disposizione del servizio civile a partire dal 2008 ha subito un calo molto forte. Come lo possiamo spiegare?Già era prevista una riduzione dei fondi, 170 milioni di euro per il 2009 e 120 per il 2010. Il dramma è che poi su questi 120 milioni si è abbattuta un'altra scure, che ci ha portato via un altro 20%: quindi altri 20 milioni di euro in meno. E siamo arrivati a 100.Ma chi è che decide questi tagli?Siamo nella finanziaria: quindi Tremonti e un po' Brunetta. La riduzione dei fondi destinati al servizio civile è il risultato della crisi economica che ha coinvolto tutti, pubblica amministrazione compresa.Il rimborso di 433,80 euro al mese significa che ogni volontario costa poco più di 5.200 euro. Nel 2006 erano stati attivati 45mila percorsi di scn, pari a una spesa di quasi 300 milioni di euro. No, di più! Infatti fino al 2007 il volontario costava 7.200 euro, perché gravava l'Inps per il 25,4%:  fortunatamente poi nel 2009 siamo riusciti a eliminarla. Quindi per l'anno 2006 la spesa fu di oltre 320 milioni di euro: ma siccome il budget non c'era, si crearono delle passività che abbiamo poi smaltito in questi anni. Io ho ereditato infatti 93 milioni di euro di oneri previdenziali e fiscali da pagare. Ogni 100 milioni, è importante sapere che prima del 2009 ben 33,9 se ne andavano tra Inps e Irap. Ora almeno l'Inps non lo paghiamo più!Cioè l'Inps ha rinunciato a questi soldi, o li prende da qualche altra parte?No, siamo noi che abbiamo fatto modificare la norma, inserendo nella finanziaria 2009 un emendamento che ha mutato il sistema previdenziale che riguardava il volontario, dandogli la possibilità di riscattare immediatamente l'anno di servizio civile ai fini pensionistici, ma ponendo direttamente a lui l'onere economico del riscatto.In pratica questo vuol dire che ora è il ragazzo che si deve pagare l'Inps?Esattamente. Spiego meglio. Prima della sospensione della leva obbligatoria, il volontario era un «obiettore di coscienza» e veniva equiparato a un militare: quindi aveva diritto a una contribuzione figurativa a carico dello Stato. Nel 2006, con la sospensione della leva obbligatoria, l'Unsc era stato costretto a pagare l'Inps a favore del volontario. L'Inps con due grandi forzature aveva equiparato il volontario a un cocopro, quale non è perché il volontario non è un lavoratore, riconoscendogli però per l'anno di volontariato per il quale noi pagavamo 2mila euro di contribuzione solamente 4 mesi di anzianità. In più il contributo era riscattabile, da parte del ragazzo, solo se dopo il servizio civile svolgeva almeno altri 2 anni e 8 mesi da cocopro. In un'assemblea nazionale della fine del 2008 io esposi il problema ai volontari, e loro con grande senso di responsabilità si resero immediatamente disponibili a rinunciare a questa miseria di 4 mesi di contribuzione pur di dare la possibilità ai più giovani di fare questa esperienza del servizio civile: in questo modo dandoci la possibilità di investire fondi in volontari anziché nell'Inps.Generosi, ma il loro "sacrificio" non è valso a molto: negli ultimi tre anni il numero di posti si è comunque più che dimezzato. Il servizio civile rischia di andare in estinzione?Non è questa l’intenzione. Stiamo lavorando per trovare un sistema di finanziamento attraverso la copartecipazione degli enti, fruitori del servizio. A tale scopo il Consiglio dei ministri il 3 settembre 2009 ha approvato  uno schema di disegno di legge che delega il governo alla redazione di un testo unico: l’obiettivo è riorganizzare l’attuale normativa non solo alla luce del principio affermato dalla Corte costituzionale, che ha individuato nella «difesa della Patria» art. 52 della Costituzione la natura giuridica del scn, ma anche in relazione alle nuove esigenze. In particolare bisogna ripartire adeguatamente la materia fra i livelli di governo statale, regionale e provinciale; delineare lo status del giovane impegnato nel servizio; rendere flessibile la durata, l’orario di servizio e la sede di realizzazione del progetto, favorendo la mobilità interregionale. Auspichiamo  che la legge venga approvata nel corso del 2011, che è l’anno europeo del volontariato proclamato dall’Ue e coincide con il decimo anniversario sia della legge istitutiva del servizio civile in forma volontaria, sia dell’anno internazionale dei volontari.Cosa intende con il cambiamento di status?La definizione del volontario: non dovrebbe essere un prestatore d'opera, ma un servitore della patria. Questo cambiamento di status avrebbe come conseguenza il non pagamento dell'Irap, perché l'attività del volontario è una attività di volontariato non incompatibile con la piccola indennità mensile, chiaramente da non tassare. E agli enti locali cosa chiedete?Dato che hanno risorse e modalità di tassazione, chiediamo loro di contribuire a questi progetti cofinanziandoli. In questo modo sarebbe possibile rilanciare il servizio civile e tornare ad aumentare il numero di posti, permettendo a più giovani di fare questo tipo di esperienza. Che è preziosa da due punti di vista: innanzitutto per la società, perché va a supplire ad alcune carenze del pubblico rispetto all'assistenza ai meno fortunati, e poi per i giovani che in quest'anno hanno la possibilità di fare un'esperienza formativa e di trasformarsi da volontari occasionali a volontari per la vita.© Riproduzione riservata: per espressa richiesta del direttore Borea, questa intervista non può essere riportata su altri media nemmeno per stralciEleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Al via il nuovo bando per il servizio civile: 20mila posti a disposizione in Italia e all'estero, 433 euro il rimborso spese mensile- Giovanni Malservigi: «Il servizio civile in una casa di riposo mi ha aperto un altro mondo»

La replica di Fulvio Mazza: «La Bottega editoriale non è un covo di imbroglioni per ragazzi sprovveduti»

La Repubblica degli Stagisti ha contattato il giornalista Fulvio Mazza per chiedergli la sua versione dei fatti rispetto alla richiesta di help della lettrice Sandra G. sui corsi-stage a pagamento organizzati dall'agenzia letteraria Bottega Editoriale, della quale è socio di maggioranza – rappresenta il 50,75% del capitale sociale – e amministratore unico. L'intervista si è svolta in quattro tempi, attraverso due telefonate e due scambi di email: Mazza ha preferito  alla fine dire la sua per iscritto, inviando alla redazione una email con alcune risposte. Eccole pubblicate qui sotto integralmente, correlate ciascuna alla rispettiva domanda. Impossibile invece, essendosi Mazza opposto alla consuetudine giornalistica della registrazione delle interviste telefoniche, riportare i contenuti – peraltro molto significativi – delle conversazioni a voce.La Bottega Editoriale  tra il novembre 2008 e il febbraio 2009 ha organizzato un corso per redattori di casa editrice a un costo di 720 euro + Iva per ciascun partecipante. Alla Repubblica degli Stagisti risulta che dagli iniziali 20 posti disponibili si salì poi a 32 iscritti,  e che alcuni corsisti però abbandonarono il corso a metà. Come stanno le cose?La Bottega editoriale è un’agenzia letteraria che, talvolta, organizza scuole di redattore di casa editrice. Quando il numero dei corsisti previsti è fisso non subisce poi mutazioni. Ben difficilmente avviene che corsisti abbandonino il corso una volta iniziato.Rispetto a quel corso, sul vostro sito si legge: «il pool organizzativo programmerà un periodo di stage al termine della Scuola da svolgere all’interno della propria struttura e/o all’esterno». I tre migliori corsisti avrebbero dovuto fare uno stage presso Bottega editoriale. Alla fine del corso lei prospettò invece a tutti corsisti la possibilità di svolgere un periodo di stage di sei mesi presso Bottega editoriale, con un'ulteriore quota di adesione di 410 euro + Iva. Come mai questo cambiamento di rotta?I corsi sono differenti di volta. Talvolta sono molto orientati al teorico; talaltra molto orientati al pratico, soprattutto se a svolgerlo sono persone che hanno precedentemente svolto i corsi teorici. Ai corsisti viene prospettata la possibilità di effettuare stage. Ma non si dà garanzia della successiva effettuazione degli stage stessi, dipende da come i corsisti andranno dal punto di vista qualitativo. Nel bando per la prossima scuola di casa editrice, pubblicato un paio di mesi fa [il termine ultimo per le iscrizioni è il 30 settembre e la prima lezione è fissata per il 4 ottobre, ndr], evidenziamo difatti che «I corsisti saranno privilegiati nella possibilità di accedere agli stages, da svolgere all’interno della struttura de la Bottega editoriale e/o all’esterno presso i partner della Scuola». Abbiamo cambiato, rispetto agli altri anni, questo aspetto per non dare l’impressione di un automatismo: in altre parole, ci siamo accorti del nostro errore e lo abbiamo rettificato. Dei trenta partecipanti al primo corso, nella primavera del 2009 ve ne furono nove che aderirono alla nuova offerta per lo «stage-corso». Ma è vero che sostanzialmente a questi stagisti-corsisti vennero assegnati compiti pratici che poi la Bottega Editoriale utilizzò per la sua attività? Da un documento in possesso della Repubblica degli Stagisti risulta che tra il febbraio e il giugno del 2009, durante appunto lo «stage-corso»,  vennero loro affidati compiti come lo sbobinamento di un master dal quale avrebbe poi dovuto essere tratto un libro, e poi la trascrizione del testo di un romanzo per seconda lettura, la stesura della scheda libri finalisti del Premio Tropea… Come lo spiega?In grandissima parte le esercitazioni dei corsisti si svolgono su testi/argomenti che poi non vengono utilizzati nella nostra attività. In qualche caso, assolutamente minoritario, può accadere il contrario. Ciò avviene anche e soprattutto perché, in tal modo, il corsista può più concretamente comprendere (sempre, ovviamente, con il nostro ausilio) la giustezza o gli errori di quel che fa. Stesso dicasi per gli stagisti.I nove stagisti-corsisti ebbero la possibilità di decidere se svolgere i compiti assegnati presso la sede della Bottega Editoriale, che si trova al piano terra della sua abitazione privata a Rende, oppure da casa propria. Alcuni venivano quindi a svolgere i loro compiti presso la vostra sede. Ma i tirocini erano stati regolarmente formalizzati con un ente promotore? Per esempio, dato che tutti i corsisti erano studenti o neolaureati, con l'università? Disponevano di una posizione Inail? Cosa sarebbe successo se uno degli stagisti-corsisti si fosse fatto male mentre stava lavorando presso la vostra sede? Gli stagisti sono ovviamente segnalati all’Inail seguendo le procedure previste dallo stesso Istituto.Per le passate edizioni e in particolare per il corso novembre 2008 - febbraio 2009, quanti crediti formativi universitari sono stati attribuiti per la frequentazione del vostro corso per redattori di casa editrice? E da quali atenei? I Cfu variano di anno in anno e da università ad università. Negli ultimi anni abbiamo avuto crediti (da un minimo di 2 ad un massimo di 10) dalle università di Cosenza, Messina e Catania.Gli articoli che appaiono sulla testata giornalistica da lei diretta, Bottega Scriptamanent, vengono retribuiti o sono scritti a titolo gratuito? In caso vengano pagati, quali sono le modalità di pagamento e a quanto ammontano i compensi? Quante persone si sono iscritte all'albo dei giornalisti pubblicisti grazie alle collaborazioni retribuite con testate giornalistiche da lei dirette?Chi, corsista o meno, scrive per le nostre riviste in modo abituale viene pagato regolarmente. Chi scrive per mero esercizio del suo diritto costituzionale no.  Una quindicina di nostri collaboratori abituali sono ora giornalisti iscritti agli ordini della Sicilia, dell’Emilia Romagna, della Calabria e forse anche di altre regioni che ora non ho presente. Tre di questi sono ora direttori di altrettante testate giornalistiche. Molti degli ex corsisti hanno avuto assegnati, dopo i rispettivi corsi, lavori (retribuiti, ovviamente) nelle nostre attività editoriali. Diversi di questi anche in ruoli apicali. Altri hanno acquisito ruoli interessanti in giornali, soprattutto in quotidiani, e altre strutture editoriali.La Bottega Editoriale ha ricevuto finanziamenti da parte della Regione Calabria, precisamente dal Sistema Bibliotecario Vibonese: per esempio, nel 2009, 8729 euro per la partecipazione alla Fiera del libro di Torino e 4618,70 euro per la partecipazione a Galassia Gutenberg. Durante lo «stage-corso» della primavera 2009 alcuni stagisti-corsisti vennero mandati a Torino e a Napoli per seguire tali eventi: i finanziamenti avrebbero dovuto coprire anche le loro trasferte? In queste occasioni, chi pagò le loro spese di viaggio e alloggio? Ai ragazzi venne chiesto di restituire i soldi per viaggi e hotel?Il Sistema bibliotecario vibonese quando ci affida l’incarico di gestire parte o tutta l’attività degli stand della Regione Calabria ci da un importo forfettario. Non paga, dunque, alcuna spesa specifica. E, particolarmente, non è stato mai successo che abbiamo chiesto – a qualcuno che ha ricevuto soldi per viaggi ed hotel (o per qualsiasi altra ragione) da enti pubblici – di restituirci tali soldi.Spero di essere riuscito a dimostrare che la Bottega editoriale non è un covo di imbroglioni per ragazzi sprovveduti.  Ma che è invece un’agenzia letteraria che, peraltro, partecipa, a livelli qualificati, alle maggiori manifestazioni librarie nazionali quali – per fare solo un esempio - il Salone del Libro di Torino. Ed anche che sa riconoscere i propri errori e porvi rimedio appena possibile. Anche, sulla scorta di segnalazioni da parte dei nostri stessi utenti/clienti, laddove si accorgessero di nostre insufficienze, errori e quant'altro. Anzi, le dirò, dovrebbe essere un elemento di comune di dimostrazione di capacità dialettica, di spirito critico, requisito e portato, allo stesso tempo, per chiunque intenda svolgere un lavoro editoriale, la professione giornalistica o comunque una professione intellettuale. Per dirla tutta e per dirla chiara: non è facile, in Calabria, fare un’agenzia letteraria (e, in verità, nemmeno fare un’impresa economia, di qualsiasi genere). Siamo un’azienda giovane che sta cercando di crescere pian piano. Talvolta facciamo errori ma cerchiamo subito di ripararli. Credo che la cosa più importante sia l’onestà intellettuale. E noi ci sforziamo di mantenerla sempre alta. All’inizio, non le nego che non sempre riuscivamo a pagare tutti e tutto. Adesso tutti sono in regola, tutti sono contrattualizzati. Pubblichiamo due riviste che, mi sembra, hanno un certo rilievo culturale e sociale. Lavorano con noi, a diverso livello (ma tutti, ovviamente, pagati) una quindicina di persone, in gran parte ex corsisti. Non mi sembrano cose da poco.Nota. Pur apprezzando la disponibilità di Fulvio Mazza, la Repubblica degli Stagisti non può non rilevare, a chiusura di questa intervista, che la modalità scelta per rispondere alle domande ha reso impossibile il contraddittorio e l'approfondimento delle risposte.Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Help dalla Calabria: «Durante un corso-stage a pagamento per redattore di casa editrice, l'agenzia ha utilizzato il mio lavoro e mi ha fatto pagare le trasferte di tasca mia»- La replica di Fulvio Mazza: «La Bottega editoriale non è un covo di imbroglioni per ragazzi sprovveduti» E anche gli altri casi di help trattati dalla Repubblica degli Stagisti:- Un'aspirante giornalista: «Una testata non voleva pagare i miei articoli: ma grazie alla Repubblica degli Stagisti e a un avvocato ho ottenuto i 165 euro che mi spettavano»- Stage gratuito ma valido per il tesserino da giornalista: i lettori della Repubblica degli Stagisti segnalano l'annuncio "impossibile" di una testata giornalistica- Normativa sugli stage, la Repubblica degli Stagisti vigila: un caso di illegalità «sventato» grazie alla segnalazione di un lettore- Nuova richiesta di help: «Ho risposto a un annuncio per uno stage, ma poi ho scoperto che avrei dovuto pagare 1600 euro: era un corso a pagamento!»- Aspiranti giornalisti, attenzione agli annunci di stage a pagamento in Rete: la richiesta di help di tre lettori- Stage al museo con volantinaggio, la richiesta di help di un lettore arrabbiato- Stage a pagamento: un lettore chiede «help» alla Repubblica degli Stagisti- Stage deludente dopo un master da 11mila euro: una lettrice chiede «help» alla Repubblica degli Stagisti

Emilie Turunen, pasionaria dei diritti degli stagisti al Parlamento europeo: «L'Italia è fra i Paesi messi peggio»

Emilie Turunen, 26enne danese del Socialistisk Folkeparti e vicepresidente del gruppo dei Verdi in Europa, è la più giovane deputata del Parlamento europeo. Nel luglio scorso ha curato un rapporto sulla disoccupazione giovanile e gli stage nell'UE che è stato approvato all’unanimità dal Parlamento europeo. L’abbiamo incontrata a Bruxelles per approfondire i temi del suo rapporto e ascoltare la voce, flebile in Italia, di una nostra coetanea in politica. Quali sono le principali conclusioni del rapporto?Penso che siano sorprendentemente chiare, nonostante siano il frutto di un compromesso tra le varie  famiglie politiche, i conservatori, i socialisti, i verdi e i liberali. Ci sono due cose che vale la pena menzionare in particolare: il rapporto richiede di elaborare una carta di qualità degli stage per definire quanto può durare lo stage e che gli stage abbiano un reale valore formativo e siano retribuiti. In secondo luogo la risoluzione chiede delle garanzie per evitare che i giovani europei restino disoccupati per più di quattro mesi e che venga quindi loro offerto un lavoro o una formazione.Quali sono i paesi più a rischio per la disoccupazione giovanile e l’abuso di stage? La disoccupazione giovanile è una questione molto seria in tutti i paesi. Siamo nella stessa situazione degli anni ’80 e siamo a rischio di perdere una generazione intera specialmente nell’Europa del sud e dell’est. La Spagna è l’esempio peggiore, con il 42% dei disoccupati tra i giovani. Sugli stage non abbiamo statistiche purtroppo. Da quanto ho capito in questi mesi di lavoro, mi sembra sia un problema particolarmente sentito in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e anche in Spagna e Portogallo.Forse è per questo che così tanti italiani vengono a Bruxelles per uno stage nelle istituzioni europee. Visto che in Italia non esiste di fatto una regolamentazione sugli stage mentre c’è a livello UE…Non sempre purtroppo. Il mio rapporto è molto chiaro anche nei confronti delle istituzioni europee perché abbiano un comportamento esemplare al proposito mentre spesso non ce l’hanno. Ci sono casi di cattivi stage anche in queste istituzioni.La risoluzione dà un’indicazione politica. Ora come si può passare alla fase legale e imporre agli stati membri di implementare le disposizioni che avete approvato?Per prima cosa, dovremmo redigere una carta di qualità degli stage. Personalmente ho già cominciato a lavorare al proposito con il Forum Europeo dei Giovani e la Commissione ci dovrebbe supportare. Per essere approvato deve passare attraverso la procedura legale standard in cui la Commissione lancia la proposta, il Consiglio e il Parlamento la approvano e poi ovviamente gli stati dovranno tradurla nella legislazione nazionale. Tuttavia, chiederei a tutti gli stati membri di definire una regolamentazione al proposito per velocizzare il processo – mentre a livello europeo ci limiteremmo a definire un minimo comun denominatore.In Italia la testata online Repubblica degli Stagisti sta portando avanti una Carta dei diritti come quella di cui parla. Da chi dovrebbe essere approvata? Dalla Commissione? Dagli stati nazionali? Dalle regioni che hanno alcune competenze per quanto riguarda la formazione?Ci sono molti attori in questo momento sul tema. Credo sia importante approvare la Carta a livello nazionale per prendere in considerazione per bene le specificità di ogni paese e mercato del lavoro. A livello europeo si tratterebbe piuttosto di indicazioni e linee guida generali. Nella sua esperienza di lavoro sul tema, trova che ci sia una sensibilità politica sul tema degli stage? Normalmente si sente parlare di precarietà o di disoccupazione, ma non tanto di stage…È un tema che sta acquisendo importanza. Probabilmente ancora per un po’ non sarà in prima pagina ma tra politici e organizzazioni giovanili si sta prendendo coscienza della sua centralità. Dovrebbe davvero essere un tema di discussione pubblica, perché si parla del futuro della nostra generazione che è stata particolarmente colpita dalla crisi. Siamo la fascia più vulnerabile e avremmo bisogno di supporto dal resto della popolazione, perché siamo noi che terremo in piedi il welfare del futuro.Lei ha 26 anni, è una ragazza ed è la più giovane eurodeputata. Guardando dall’Italia lei è un panda in estinzione. Com’è successo?In Danimarca abbiamo una cultura politica più aperta. Nel parlamento nazionale abbiamo diversi deputati della mia età: almeno due del 1984 e diversi altri under 30. E’ più raro avere un giovane a Strasburgo perché normalmente questa carica era vista come una sorta di pre-pensionamento – ma ora le cose stanno cambiando, anche per l’importanza maggiore che sta acquisendo il Parlamento Europeo. In Danimarca presiedevo l’organizzazione giovanile del mio partito, la più grande del paese. Il partito mi ha chiesto di candidarmi e gli elettori mi hanno dato il loro supporto.Com’è il lavoro al Parlamento Europeo? Esiste un approccio generazionale alle questioni, una sorta di lobby giovanile?Nonostante io sia giovane, faccio parte di un movimento di sinistra ecologista che va al di là delle divisioni di età sui temi di giustizia sociale e ambientale. Ovviamente ho una maniera di pensare un po’ diversa dagli altri, soprattutto nel modo di comunicare, l’uso dei social media. Ma non esiste una lobby giovanile al momento, forse dovremmo crearne una…Lei viene da un’esperienza di partito. Dove può formarsi un giovane leader del 2010? Dai partiti? Dai sindacati studenteschi? Da altre organizzazioni?Credo ci siano molti posti in cui lavorare per il proprio paese e l’Europa. Ho cominciato in una ONG lavorando sul traffico delle donne cambogiane, un impegno molto diverso da quello formalmente politico, sono stata in un’organizzazione studentesca. Poi sono entrata nella politica partitica, ma comunque ci sono molti altri attori. Credo che, anche se non si riconoscono in un partito, i giovani possano trovare un posto in cui portare avanti le loro idee e dove sentono di poter fare la differenza. C’è molto da fare per costruire forti organizzazione studentesche, forti sindacati…Ha parlato di social media. Che uso fa dei social network? Il Parlamento Europeo ha lanciato l’iniziativa “Tweet your MEP” per mettere in contatto gli eurodeputati con i propri elettori internauti. Cosa ne pensa?Penso sia un’ottima idea. Forse sono un po’ vecchia, ma nella vita personale non uso moltissimo Facebook, però è uno strumento molto importante per comunicare con gli elettori. Sto imparando ad usarlo, e probabilmente mi viene più spontaneo per questioni anagrafiche che agli altri eurodeputati. Credo sia un’ottima cosa che il Parlamento lanci queste iniziative per aprirsi ai cittadini.Il lavoro per Emilie Turunen non finisce qua, dunque. La Commissione ha tre mesi di tempo per rispondere alla risoluzione. In seguito si dovrà passare alla fase di messa in pratica da parte delle istituzioni comunitarie e nazionali. Il percorso è lungo, ma i principi sono chiari. Continueremo a seguire Emilie Turunen e il suo importante lavoro. Andrea GarneroL'intervista è stata realizzata attraverso la collaborazione tra Lo Spazio della Politica e la Repubblica degli Stagisti. Alla Turunen è stata consegnata anche una copia, tradotta in francese, della Carta dei diritti dello stagista.Questa intervista rappresenta la prima tappa di uno speciale sul tema del lavoro dal punto di vista globale, curato dal 24enne Andrea Garnero per Lo Spazio della Politica. Dopo la Turunen, Garnero andrà in altri continenti ad ascoltare esperienze di imprenditorialità giovanile e soluzioni contro la crisi. Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Parlamento europeo, risoluzione contro i tirocini gratis e le aziende che sfruttano gli stagisti

Il Trinity College di Dublino interessato a «copiare» il Master dei Talenti: intervista ad Angelo Miglietta, segretario generale della Fondazione CRT

Dal 2003 la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino premia attraverso il progetto Master dei Talenti i più brillanti neolaureati di Piemonte e Valle d'Aosta con stage all'estero fino a dodici mesi, erogando loro rimborsi che arrivano a superare i tremila ero al mese. Dopo sette anni di attività, la Fondazione pubblica un libriccino che raccoglie le buone pratiche per il "montaggio" di un tirocinio all'estero che funzioni davvero. Poco più di trenta pagine, in italiano e in inglese, per raccontare come si costruiscono il bando e il modulo di candidatura, come si raccolgono e valutano i cv, e come si seguono "a distanza" i tirocinanti durante gli stage e dopo. Angelo Miglietta, docente di Economia aziendale alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Torino e da quattro anni segretario generale della Fondazione, fa il punto della situazione con la Repubblica degli Stagisti partendo dall'interessamento di una importante istituzione irlandese, il Trinity College di Dublino [nell'immagine a destra], verso il progetto.Professor Miglietta, è appena tornata da Dublino una piccola delegazione della Fondazione CRT. Che cosa siete andati a fare?La trasferta a Dublino e’ servita per effettuare uno scambio di buone pratiche con il Careers Advisory Service, l’equivalente nel mondo anglosassone degli uffici di Job Placement delle nostre università, del Trinity College. Il Trinity era interessato a conoscere nei dettagli il nostro programma di tirocini all’estero in quanto loro non hanno un approccio così strutturato nei confronti degli stage in azienda, e soprattutto al momento non ne attivano all’estero. I creatori e responsabili del progetto, Luigi Somenzari e Chiara Ventura, hanno trascorso una mezza giornata con il direttore del Careers Advisory Service, prendendo in analisi i vari aspetti del progetto, le diverse tecnicalità e rispondendo alle domande che emergevano.Come è nato l'interessamento del Trinity College nei confronti del Master dei Talenti?Lo staff della Fondazione che segue il progetto, in occasione della pubblicazione del «Manuale di Istruzioni di "montaggio" del Progetto Master dei Talenti», ha inviato una sorta di newsletter agli uffici di Careers Advisory Service di alcuni selezionati atenei europei. Oltre al Trinity College ha dimostrato interesse anche la prestigiosa School of Economics dell’Università Cattolica di Louvain in Belgio.Un manuale di istruzioni di "montaggio" del progetto: ce lo racconta?Sette anni di Progetto Master dei Talenti Neolaureati ci hanno insegnato che, nella creazione di buone pratiche, è importante la giusta combinazione di competenza, passione e capacità di cogliere i suggerimenti dettati dall’esperienza. Partendo da questa semplice intuizione abbiamo deciso di codificare gli insegnamenti di cui nel tempo abbiamo fatto tesoro, affinché potessero essere d’aiuto a chi desiderasse replicare questo tipo di esperienza progettuale, o anche solo trarne spunto. La pubblicazione, che si completa idealmente con il volume «Master dei Talenti Neolaureati: Indagine sugli ex borsisti del progetto», utilizza un linguaggio semplice e facilmente accessibile: è più vicina ad un “manuale di assemblaggio” che non ad un “abstract”.Viene da pensare che, dopo tanto lavoro per mettere a punto il progetto, i segreti del suo successo sarebbero stati gelosamente custoditi. E invece...Nel settore del no-profit la condivisione delle buone prassi dovrebbe costituire la norma e non l’eccezione. La Corte costituzionale ha ben inquadrato il ruolo delle fondazioni di origine bancaria quando le ha definite “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali”. Risulta di tutta evidenza che soggetti investiti di tale ruolo non possano che naturalmente condividere qualunque buona prassi che possa costituire uno strumento di crescita per la società.Al momento ci sono candidati italiani - fondazioni, associazioni, enti -che hanno manifestato interesse per emulare le "buone pratiche" contenute nel manuale?La guida è stata pubblicata e messa on-line da poco tempo; le richieste di informazioni sono giunte al momento dall’estero. Siamo comunque sicuri che non mancheranno richieste di assistenza anche da parte di soggetti italiani.Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Occupati e ben pagati: ecco l'identikit di chi ha partecipato al Master dei Talenti della Fondazione CRT- Master dei Talenti CRT, Angelo Miglietta: «Quest'anno è stato boom di candidature: ecco perché»

Ichino commenta la risposta di Brunetta all'interrogazione parlamentare sui superstage: «Ma aspetto sempre quella di Sacconi»

Dopo ben tre interrogazioni parlamentari finalmente un membro del governo, Renato Brunetta, risponde sul caso dei superstage e in particolare sulla (im)possibilità che essi si tramutino in assunzioni. Il ministro per la Pubblica Amministrazione e l’innovazione  ha voce in capitolo in quanto sia i superstage promossi alla fine del 2008 dal consiglio regionale calabrese (tuttora in corso), sia quelli ideati - ma ancora non avviati - dal consiglio regionale lucano all'inizio di quest'anno, prevedono che i tirocinanti vadano a fare esperienza all'interno di strutture pubbliche. E proprio il tallone d'Achille di queste iniziative - cioè la loro durata abnorme e contra legem: nel caso della Calabria di 24 mesi a fronte di un massimo di 12 previsto dalla normativa, nel caso della Basilicata di 12 mesi a fronte di un massimo di 6 - riguarda da vicino il ministro: periodi di stage così lunghi danno luogo ad aspettative di stabilizzazione, come ampiamente dimostrato dalle pressanti richieste dei superstagisti calabresi sia alla fine dell'anno scorso, alla giunta di centrosinistra uscente, sia all'inizio di quest'anno, alla giunta di centrodestra appena subentrata. E la stabilizzazione è una patata bollente, sia perchè si tratterebbe di ingrossare gli organici della pubblica amministrazione (quando è in corso la manovra opposta, per cercare di ridurne il numero), sia perchè sarebbe condita da incentivi economici agli enti locali (quando anche qui è in corso una manovra opposta per ridurre la spesa pubblica), sia infine perchè i superstagisti finirebbero per godere di una corsia preferenziale secondo alcuni non costituzionale.La Repubblica degli Stagisti chiede direttamente al senatore che ha presentato le interrogazioni, il giuslavorista Pietro Ichino, un commento alla risposta del ministro.Professore, rispetto alla risposta di Brunetta alla sua interrogazione parlamentare: che senso ha fare riferimento alle «eventuali leggi regionali adottate, in materia di tirocini formativi, dalla Regione Basilicata, nell’esercizio della propria autonomia legislativa» quando la Basilicata (così come la Calabria) non ha promulgato alcuna legge regionale in materia?Mi sembra che non abbia alcun senso.Non è forse vero che, in mancanza di una legge regionale, bisognerebbe attenersi al dm del 1998?Sì, e prima ancora alla legge n. 196/1997, la “legge Treu”, che contiene la disciplina della materia degli stage tuttora vigente.Con la frase «le iniziative volte alla stabilizzazione di personale tirocinante costituiscono, in ogni caso, violazione dell’articolo 97 della Costituzione» il ministro Brunetta mette uno stop definitivo alla possibilità di favorire e/o finanziare stabilizzazioni?Forse non uno stop definitivo alla possibilità di finanziare le stabilizzazioni. Ma un orientamento negativo che sicuramente peserà in questa materia.Il programma di tirocini abnormi della Basilicata, cui Brunetta si riferisce, è ancora solo sulla carta: l'impressione è che con questa risposta il ministro stia parlando a suocera affinchè nuora intenda, perchè in realtà è molto più concreto il pericolo che vengano stabilizzati i superstagisti calabresi, il cui percorso extralungo di 24 mesi si concluderà proprio a novembre. E oggi la Regione Calabria è governata dal Pdl. Lei che ne pensa?Questa lettura mi sembra molto plausibile. Certo è che, mentre in Calabria i “superstage” sono ormai molto vicini al termine finale, e quindi – per così dire - la frittata è fatta, cioè violazione della legge nazionale che disciplina la materia è ormai quasi interamente consumata, in Basilicata invece ci sarebbe il tempo per impedire la trasgressione. E’ dunque davvero molto sorprendente l’inerzia del ministro del Lavoro, cui pure l’interrogazione era indirizzata: inerzia sul piano parlamentare, poiché a tutt’oggi non si è degnato di rispondere; inerzia sul piano amministrativo, perché a tutt’oggi non mi risulta che sia stata avviata alcuna ispezione.Le parole del ministro Brunetta allontanano la possibilità che la Regione Calabria proceda a finanziare le stabilizzazioni dei 350 superstagisti? O Scopelliti e i suoi assessori hanno ancora margine per agire, destinando i famosi 10mila euro all'anno a quegli enti che decideranno di fare contratti a termine a qualche superstagista? Ho l’impressione che la nuova Giunta non abbia intenzione di dar corso agli incentivi, perché con gli ultimi tagli di Tremonti non ci sono più soldi neanche per pagare gli stipendi dei dipendenti già in forza. Ma anche perché, a fronte della mobilitazione degli stagisti, sta crescendo un diffuso malumore tra i giovani calabresi contro questa forma di job creation fuori mercato riservata ai 110 e lode. Il discorso sul “trattenere in Calabria i più bravi” non sta in piedi, se per trattenerli occorre creare dei posti in organico di cui non ci sarebbe bisogno.Intervista di Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Brunetta risponde all'interrogazione parlamentare di Ichino sui superstage lucani: «Comunque sia, i tirocinanti non potranno essere assunti»-La lettera aperta del superstagista anonimo: «Noi, alla ricerca di un politico per ottenere una stabilizzazione: e se la otterremo, diventeremo dei parassiti»E anche: - I consiglieri Giamborino e Borrello: «Niente proroghe ai superstage, i ragazzi vanno assunti: ci riduciamo lo stipendio per incentivare gli inserimenti»- Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro della Bocconi: «L'emendamento ai superstage avrà ricadute negative sulla Calabria»- Superstage calabresi, ancora nessuna risposta all'interrogazione parlamentare. Pietro Ichino: il governo non sa che pesci pigliare- Lettera aperta dei superstagisti calabresi al neogovernatore Giuseppe Scopelliti: «Chiediamo rassicurazioni sul nostro futuro»

"Ritorno al futuro", parla Mariella D'Incognito: «Ecco perchè non vogliamo e non possiamo ridare migliaia di euro alla Regione Puglia»

Continua la battaglia dei giovani partecipanti al progetto "Ritorno al Futuro", che tre mesi fa si sono sentiti chiedere migliaia di euro dalla Regione Puglia dopo una retromarcia sull'interpretazione della disciplina fiscale sulle borse di studio: sottoposto a tassazione non più il 50 per cento, come affermato all'inizio, ma la totalità dell'importo. Circa duemila gli ex borsisti ora costretti a un conguaglio fiscale: un quarto di loro aveva vinto il finanziamento da 25mila euro lordi per un master all'estero; gli altri tre quarti, rimasti in Italia ma fuori regione, quello da 15mila. In media ai primi viene ora chiesta indietro una cifra che, al netto di tutte le detrazioni fiscali applicabili, supera i 4mila euro; per i secondi la cifra si aggira invece sui 2mila euro. In totale quasi 5 milioni di euro, dei quali 4 e mezzo andrebbero nelle casse dell'erario e poco meno di 500mila in quelle della regione. Fa il punto della situazione con la Repubblica degli Stagisti la foggiana Mariella D'Incognito [in basso a destra nella foto], ingegnere edile di 27 anni capofila della protesta e fondatrice del gruppo Facebook "La beffa delle borse di studio di Ritorno al Futuro", che ad oggi sfiora quota 800 membri.   Mariella, com'è stata lla sua esperienza da borsista? Sono partita nell'autunno 2008, solo tre giorni dopo la laurea specialistica in ingegneria edile a Bari. Un master di otto mesi da 17mila euro in management internazionale, organizzato da un ente pugliese a Londra e finanziato dalla regione Puglia, la mia regione ["Ritorno al futuro" ha messo a disposizione borse di 7500, 15mila e 25mila euro lordi per la frequenza di master, rispettivamente, in Puglia, in tutta Italia e all'estero]. Sogno di lavorare nel project management e volevo completare la mia preparazione con una forte componente economica e manageriale. È andata male, lo ammetto. Ho scelto l’ente sbagliato. Ma è stata un’esperienza di vita impareggiabile: ho dovuto affrontare mille difficoltà e ho imparato a difendere le mie idee contro chi cerca di sopraffarti perché crede tu sia in minoranza. Come si è accorta che qualcosa non quadrava nella disciplina fiscale sulla borsa? A fine marzo di quest'anno, ben oltre i termini di legge, ricevo una busta contenente il CUD 2010. Mio padre, commercialista, studia il tutto per un paio di giorni. Poi la doccia fredda: 4mila euro da pagare entro il 16 giugno, a fronte di una borsa di 20mila euro lordi! [ovvero l'80 per cento di 25mila, che viene versato subito, a inizio master, rientrando quindi nei redditi 2009]. Dallo spavento al raziocinio: nasce l'idea di creare un gruppo su Facebook, con l'intento di informare velocemente e in massa, capire in quanti fossimo coinvolti e cosa avremmo potuto fare. E con la mia amica e collega Angela Perrone ci mettiamo al lavoro. Che riscontro ha avuto con la creazione del gruppo? Facebook è un social network e il valore delle persone che lo frequentano non si conosce mai veramente. A fronte dei tanti che si limitano a scrivere frasi di sdegno e finta rabbia - perché se fosse vera, credo che le bacheche non sarebbero sufficienti a manifestarla - ho trovato persone che ci mettono un impegno incredibile. Quali altre iniziative avete promosso? Abbiamo sollecitato giornali e televisioni, inizialmente senza successo: solo di recente alcune testate si sono interessate a noi. Abbiamo cercato un colloquio con l’assessore regionale al diritto allo studio, Alba Sasso, che dopo un «Vi faremo sapere» si è chiusa nel silenzio. La regione si è comportata con una noncuranza e una superficialità davvero inaccettabili. Ci stiamo mobilitando per presentare istanza di interpello all’Agenzia delle entrate: da liberi cittadini è l’unica cosa che ci resta da fare e che può tutelarci. All'inizio di giugno il «Corriere della Sera» si è interessato alla vostra vicenda. È cambiato qualcosa dopo? Sì, notevolmente, ma solo in termini di iscrizioni al gruppo, raddoppiate in un solo pomeriggio. Però grazie al clamore si è interessato alla vicenda l’avvocato tributarista Maurizio Villani, che ha pubblicato un articolo che avalla le nostre ipotesi di interpretazione della legge e ci conforta dicendo che, allo stato attuale, noi non siamo tenuti a versare nulla di più all’erario, a meno che non si sia possessori di altri redditi nell’anno 2009. Martedì 15 giugno avete deciso di presentarvi in regione per discutere di persona il vostro problema. Come è andata? Male. Non siamo nemmeno riusciti a presentarci in dieci. Giulia Campaniello, dirigente dell’area formazione professionale e firmataria della prima disciplina fiscale, ci ha ricevuti per pietà. Mi sono sentita una mendicante. Per giunta quel martedì mi è costato molte critiche feroci: ho espresso il mio sdegno in una lettera pubblicata su Facebook, e ho ricevuto dell' "arrogante" e della "stupida". Però ci sono state anche proposte concrete. Accennava a un'istanza di interpello. Di che si tratta? Siamo ancora in attesa del parere dell'Agenzia delle entrate, ma il 16 luglio scade il secondo termine per il versamento delle prima rata delle imposte [il primo è scaduto il 16 giugno]. Pagando entro metà luglio, la mora applicabile sarebbe irrisoria, dello 0,4 per cento, ma dopo il 16 salirebbe al 4 per cento. Quindi proprio in questi giorni stiamo presentando singolarmente istanza di interpello all'Agenzia delle entrate. Si tratta di un documento con cui noi stessi chiediamo un'interpretazione della norma fiscale sulle borse di studio, mettendoci anche al riparo da eventuali sanzioni. Vale la norma del silenzio-assenso, e in mancanza di una risposta l'interpretazione giusta è la nostra: è tassabile solo la metà dell'importo, come era stato inizialmente comunicato dalla regione. Dopo due mesi di battaglia, c'è qualcosa che vorrebbe dire ai suoi colleghi borsisti? Vorrei dire loro di non mollare: finché siamo in tanti e siamo agguerriti, non ci possono ignorare. Non siamo dei bamboccioni irriconoscenti. Ciò che hanno fatto non è solo ingiusto ma è anche un attentato al nostro già precarissimo futuro. Vorrei dire loro di studiare, perché è l’ignoranza che ci rende sudditi, che consente a chi sta in alto di fare il bello ed il cattivo tempo.   Annalisa Di Palo   Per saperne di più vedi anche: - La lettera di una giovane pugliese: «La Regione ha sbagliato a calcolare le tasse sulle nostre borse di studio, e ora rivuole indietro migliaia di euro» E anche: - Stage deludente dopo un master da 11mila euro: una lettrice chiede «help» alla Repubblica degli Stagisti - Testo integrale della replica degli organizzatori del master Mca Upa - Ca' Foscari

Il presidente di Laser Optronic ricorda Sergio Panizza, cui è intitolato il premio Sif per giovani ricercatori in optoelettronica e fotonica

In occasione dei bandi per i premi della Società italiana di Fisica, aperti fino a venerdì 25 giugno, la Repubblica degli Stagisti ha chiesto a Gabriele Galimberti [nella foto qui a destra], presidente di Laser Optronic, di raccontare perché la sua azienda finanzia ogni due anni un premio da 2mila euro e perché questo premio è intitolato a Sergio Panizza. Galimberti, monzese classe 1944, ha fondato Laser Optronic nel 1975 e da allora si occupa di ricerca scientifica avanzata nei campi della fisica, biologia e chimica.Presidente, quando avete cominciato a finanziare un premio per fisici che si distinguono nei settori della optoelettronica e della fotonica?Il riconoscimento, che allora si chiamava semplicemente «premio Laser Optronic», nacque alla fine degli anni Ottanta da un’idea generosa del compianto Sergio Panizza. Chi era Panizza?Un nostro collega, molto appassionato della materia che aveva studiato all’università di Milano: la fisica. Dopo aver lavorato in aziende del settore dell’elettro-ottica come CISE, dB e Valfivre, nel 1979 era approdato alla nostra società e ne era diventato consigliere di amministrazione. Il lavoro lo portava inevitabilmente a confrontarsi con costi e ricavi e, a volte, con aride questioni economiche. Ma ricordo che quando parlava con i suoi interlocutori dei prodotti o dei progetti di ricerca, scattava in lui quella scintilla che lo portava sempre un po’ oltre l’evidenza, con quel soffio di fantasia e di poesia che, in un modo o nell’altro, è dentro in tutti noi fisici e che spesso ci fa superare le difficoltà, pur di “andare oltre” con i nostri pensieri, la nostra immaginazione e la nostra creatività. Fu lui, tra l’altro, a inventarsi il premio.E come gli venne l’idea?Il suo ragionamento fu questo: se Laser Optronic trae vitalità dal rapporto con il mondo della ricerca della fisica, allora è giusto destinare una somma ogni anno a favore di  ricercatori che si distinguano nel settore dell’ottica e della fotonica. E non siamo nemmeno noi a decidere chi vince: abbiamo delegato la scelta al consiglio di presidenza della Sif, perché sia a tutti gli effetti un riconoscimento slegato dal mercato. Siamo veramente orgogliosi di questa nostra decisione: tra i vincitori del premio vi sono i più bei nomi della fisica italiana.Vuole ricordarli?Con piacere. Nel 1989 Adriano Gozzini e Fortunato Tito Arecchi, nel 1990 Emanuele Rimini, nel 1991 Rodolfo Bonifacio e Luigi Lugiato. E poi, a partire del 1993, il premio è stato intitolato a Sergio Panizza [nella foto a sinistra].Perché lui nel frattempo era mancato.Sì, nel 1992, a soli 46 anni. Da quando il premio è intitolato a lui, lo hanno vinto nel 1993 Umberto Maria Grassano, Giuseppe Baldacchini e Mauro Tonelli, nel 1995 Massimo Inguscio, Franco Strumia e Paolo Minguzzi, nel 1997 Antonino Stella, nel 1999 Orazio Svelto, nel 2001 Luigi Moi, Ennio Arimondi e Renzo Altezza, nel 2003 Alessandro Tredicucci, nel 2005 Vittorio Degiorgio, nel 2007 Paolo Mazzoldi e Adalberto Balzarotti.Tutti questi vincitori hanno in comune una cosa, sono professori.Sì. Invece a partire dal 2009 la motivazione del premio si è rivolta solo ai giovani ricercatori. E il nostro primo vincitore giovane è stato, nel 2009, Marco Anni dell’università del Salento.Ma se ora il premio è biennale, come mai quest’anno c’è un bando aperto?Perchè si festeggia il 60° anniversario della scoperta del laser da parte di Theodore H. Maiman!Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Montepremi di 20mila euro per giovani laureati in Fisica: aperti fino al 25 giugno i bandi della Sif- Fisica che passione: la testimonianza di Marco Anni, vincitore del premio Sergio Panizza nel 2009     - Eugenio Bertozzi: il fisico musicista vincitore del premio per la didattica della fisica nel 2007

L'avvocato Gianfranco Garancini: «Chi falsifica la documentazione pur di entrare nell'albo dei giornalisti pubblicisti commette reati penali»

Quali sono le conseguenze per chi falsifica i documenti fiscali necessari all'iscrizione nell'albo dei pubblicisti dell'Ordine dei giornalisti? Gianfranco Garancini, avvocato con lunga esperienza in materia di diritto giornalistico, lo spiega così ai lettori della Repubblica degli Stagisti: «Un atto del genere costituisce truffa e falso ideologico a un ente pubblico, ai sensi degli articoli 640 e seguenti e 479 e seguenti del codice penale». Avvocato, come devono procedere gli Ordini che riscontrino i casi di "falsi pubblicisti"?  Oggi il reato di truffa è perseguibile dietro querela di parte. Gli Ordini, in quanto pubblici ufficiali, hanno l’obbligo di fare esposto in tal senso. A quali conseguenze vanno incontro i ragazzi che si prestano a falsificazioni?  Gli aspiranti giornalisti sono correi e, in quanto tali, teoricamente vanno incontro a pene di tipo economico e detentivo. In pratica, poi, è difficile che si vada in prigione per reati del genere, ma si può arrivare a sanzioni pecuniarie molto elevate, a seconda della quantificazione operata dal giudice. Senza contare il fatto che la domanda da pubblicisti è destinata ad essere respinta e, così, l’aspirante giornalista vedrà vanificarsi due anni di lavoro non riconosciuto. E le testate giornalistiche?  Per le testate è molto peggio, perché traggono un interesse economico diretto, immediato e talvolta decisivo dallo sfruttamento dei ragazzi. Commettono un complesso di reati che può includere truffa ed evasione fiscale, per non parlare della gravità di un simile atteggiamento dal punto di vista etico e morale. Cosa si può fare per prevenire questi casi?  Da anni l’Ordine nazionale dei giornalisti e i singoli Ordini regionali si muovono per individuare casi simili e soprattutto per informare i giovani del fatto che nel momento in cui presentano domanda per diventare giornalisti acquisiscono non solo i diritti della categoria, ma anche dei doveri ben precisi. C’è molta sensibilità e grande capacità di comprensione nei confronti di questi ragazzi che, di fatto, vivono sotto il ricatto di chi gli dice “o fai così, o non ti riconosciamo nulla”. È difficilissimo, però, trovare le prove concrete di questo fenomeno, salvo nei rarissimi casi in cui vi sia una denuncia specifica. Sono i ragazzi stessi, quindi, a dover riferire all’Ordine il verificarsi di casi simili. Andrea Curiat Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Disposti a tutto pur di diventare giornalisti pubblicisti: anche a fingere di essere stati pagati. Ma gli Ordini non vigilano?; - La testimonianza di Franca: «Dopo una serie di stage logoranti, la scelta di pagarmi da sola i contributi da pubblicista»; E anche: - Da 250 a 600 euro: quanto costa diventare pubblicista e quali sono le altre differenze tra le varie regioni