Il deputato Aldo Di Biagio spiega la sua interrogazione: «Bisogna difendere chi ha lauree "deboli" dalla discriminazione nelle selezioni»

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 30 Ott 2010 in Interviste

Tre deputati di diversi schieramenti, Aldo di Biagio e Angela Napoli del Fli e la 30enne Marianna Madia del Pd, decidono di fare fronte comune per difendere i laureati (e specialmente le laureate) che hanno scelto facoltà cosiddette deboli, come quelle umanistiche, e si trovano in difficoltà perché durante i colloqui le imprese dimostrano di prediligere quasi esclusivamente chi ha fatto Economia o Ingegneria. I tre hanno presentato a metà ottobre un'interrogazione parlamentare al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, in cui esprimono preoccupazione per «i parametri stringenti a cui i profili dei candidati devono attenersi per essere in linea con quelli ricercati: per tutte le aree operative [...] dal settore amministrativo, commerciale, passando per il settore acquisti e risorse umane sembrano essere ricercati esclusivamente laureati con un età non superiore ai 26/28 anni, con un'esperienza di almeno due anni e soprattutto con una laurea in ingegneria gestionale o economia e commercio anche se talvolta per le posizioni aperte sarebbero più indicate formazioni attinenti ad altri percorsi universitari».
Per approfondire i contenuti di questa inconsueta interrogazione la Repubblica degli Stagisti intervista Di Biagio, 46 anni,
tra il 2001 e il 2005 a capo dell'ufficio Rapporti internazionali del gabinetto del ministro Alemanno al dicastero delle Politiche agricole e forestali, che nel 2008 è stato eletto deputato nella circoscrizione Estero - Europa.

L'interrogazione parte dalla presa d'atto che una larga fetta di neolaureati si trova le porte sbarrate. È colpa delle aziende che sono troppo "conformiste" e cercano sempre gli stessi profili o dei ragazzi che si iscrivono alle facoltà sbagliate?
Forse la risposta è più semplice. Vi è un allarmante scollamento tra il mondo dell’impresa e quello della formazione. Imprenditori, selezionatori e datori di lavoro in genere non conoscono il mondo dell’università, per cui tendono a rifugiarsi in profili universitari sempreverdi come Economia, ignorando tutto il resto. Non esistono percorsi formativi per così dire “sbagliati”: è il pensare comune che per sintesi tende ad inquadrare come “non corretto” ciò che non è integrato. Secondo me una laurea in Scienze politiche piuttosto che in Relazioni pubbliche o Scienze della comunicazione offre quell’eclettismo e quella trasversalità di competenze di cui le imprese hanno realmente bisogno, soprattutto per competere sui mercati internazionali. In questa tendenza tutta italica del fare selezione si colloca la filosofia del decennio, cioè quella di dare preponderanza al parere dello psicologo del lavoro che invece dovrebbe intervenire, eventualmente, solo nella fase conclusiva della selezione. Insomma: bisogna dare priorità alla competenza, non alla laurea né alla rispondenza psicologica del candidato con le discutibili pratiche adoperate del selezionatore-psicologo in fase di selezione. Al primo posto la meritocrazia, null’altro. È di qualche giorno fa un’allarmante dichiarazione dell’ad di Fiat Marchionne che ha ribadito che l'Italia è al centodiciottesimo posto su centotrentanove per efficienza del lavoro ed è al quarantottesimo posto per la competitività del sistema industriale. Negli ultimi dieci anni il nostro paese non ha saputo reggere il passo con gli altri: probabilmente anche per colpa dell’incapacità del nostro sistema industriale di individuare il profilo professionale giusto per il posto giusto.
Denunciate anche una discriminazione: i maschi sarebbero avvantaggiati nelle selezioni rispetto alle femmine. Quali fonti si possono utilizzare per avere un quadro più preciso di questa situazione? E come porvi rimedio?
Innanzitutto bisogna leggere la miriade di dati statistici che ci scorrono sotto gli occhi tutti i giorni: da Almalaurea all’Istat la percentuale di donne occupate è sempre più bassa rispetto a quella maschile, ne consegue che forse risultano essere le donne quelle maggiormente penalizzate anche nelle dinamiche di selezione. Alle osservazioni di natura matematica si aggiungono le molte testimonianze di donne che denunciano che, malgrado il fatto che gli annunci di lavoro siano rivolti ad ambosessi ai sensi della normativa vigente, spesso in realtà l’azienda vuole un uomo – ma questo i selezionatori non te lo dicono o forse te lo fanno intuire all’ultimo. Anche aziende importanti fanno muovere giovani laureate da ogni parte d’Italia per organizzare colossali selezioni, magari coinvolgendole in più step, ma poi in realtà finiscono per prendere il giovane ventiseienne con laurea in Economia. È un copione che si ripete, e la cosa più drammatica è che a questi giovani non viene nemmeno pagata la trasferta. Su questo versante – al fine di smussare le derive sessiste delle dinamiche occupazionali – sono molti i progetti in cantiere che stiamo portando avanti anche nell’ambito di Generazione Italia e Futuro e Libertà per l’Italia.
Però rispetto alla laurea e al genere del candidato le aziende private, proprio perchè sono private, possono fare un po' come gli pare... o no?
L’autonomia organizzativa, gestionale ed operativa delle nostre aziende non coincide con l’anarchia. Non si può nascondere un comportamento ai limiti della costituzionalità dietro il dito della crisi, delle esigenze interne e della rispondenza psicologica tra profilo ricercato e quello selezionato. In questo il Parlamento e i ministeri competenti, pur nei limiti del caso, possono sollevare il problema ed analizzare potenziali interventi. L’avvio di un’indagine ministeriale e parlamentare può offrire strumenti in grado di indirizzare, magari con provvedimenti specifici o direttive. E le imprese non potranno ignorarli.
Vuole lanciare un appello ai lettori della Repubblica degli Stagisti?
Ho avuto modo di leggere molti interventi sul vostro portale, le istanze e i problemi che questo “popolo” costantemente pone in evidenza restando però inascoltato. Trovo interessante la vostra iniziativa e credo che sia fondamentale che si crei un rapporto di input-feedback con le istituzioni al fine di migliorare ciò che non va nel nostro sistema, soprattutto nel mercato del lavoro. Invito i lettori della Repubblica degli Stagisti che hanno sperimentato la difficoltà di districarsi nella giungla dei colloqui di lavoro e nel percorso minato selle selezioni a raccontare le loro storie: ogni testimonianza potrà essere di supporto alle indagini che stiamo avviando. Condividete con noi le vostre esperienze!
Quali effetti concreti potrà produrre la vostra interrogazione?
In primis ha l’ambizione di sollevare il caso creando il problema, finora ignorato nelle sedi istituzionali. Soltanto dinanzi al problema si possono definire delle soluzioni. Ci tengo a chiarire che potranno essere avviate due indagini: una di carattere interno al ministero del lavoro, quindi di natura ministeriale, che coinvolgerebbe anche gli uffici territoriali del ministero. L’altra di natura parlamentare, per raccogliere informazioni, confrontare i dati in materia, ascoltare i protagonisti di questa vicenda e delineare un dossier che servirà da base per eventuali provvedimenti normativi. Non si può prevedere un riscontro a breve, ma l’attenzione è talmente elevata che provvederemo a sollecitare rapidamente i vari step in tempi non eccessivamente dilatati. Abbiamo bisogno di dare delle risposte ai nostri laureati, per far capire che ci siamo e non attendiamo inermi che facciano le valigie per raggiungere qualche paese straniero. La fuga dei talenti è una sconfitta per il nostro sistema e questo intervento parlamentare ne rappresenta una presa di coscienza.

intervista di Eleonora Voltolina

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