Categoria: Interviste

Il costituzionalista sulla sentenza della Corte: «Situazione Arlecchino per i diritti degli stagisti»

«L'uniformità dei diritti dei singoli deve trovare un giusto contrappeso nella scelta del legislatore di favorire a livello regionale la autonoma e propria determinazione della normativa in tema di formazione professionale». Da un lato c'è l'articolo 3 della Costituzione, quello che sancisce la pari dignità sociale e l'uguaglianza di fronte alla legge dei cittadini, dall'altro la lettera m dell'articolo 117, per cui lo Stato può definire i livelli essenziali delle prestazioni, i diritti civili e sociali. Ma è questo stesso articolo a garantire alle regioni la potestà in tema di formazione professionale. Per questo Francesco Clementi, professore associato di Diritto pubblico comparato all'università di Perugia, e recentemente tra i più autorevoli sostenitori della candidatura di Matteo Renzi alle primarie del Partito democratico, non può che condividere la recente sentenza con cui la Consulta ha dichiarato incostituzionale l'articolo 11 della legge 148 del 2011, quello che aveva fissato in sei mesi la durata massima di uno stage. Pur rendendosi conto che con queste regole del gioco «si rischia una situazione ad Arlecchino, per cui ciascun territorio ha una legislazione autonoma».Professor Clementi, la Corte ha escluso che lo Stato possa intervenire in materia sulla base della lettera m dell'articolo 117, ovvero per definire i livelli essenziali delle prestazioni, diritti civili e sociali. Ma con questa sentenza non si apre la strada ad una leopardizzazione dei diritti, per cui ciò che viene riconosciuto, ad esempio, ad uno stagista piemontese non vale per uno pugliese?La Corte non ha una giurisprudenza univoca, tale da poterla considerare come una decisione definitiva. La famosa lettera m è in realtà una lettera cerniera, come la porticina riservata ai gatti nelle case britanniche: un pertugio che consente alla Corte di decidere se la norma che ha di fronte rispetto al parametro è lesiva o meno. Oggi la Consulta dice semplicemente che la competenza residuale è di esclusiva titolarità regionale. Questo però non esclude, un domani, un intervento che dia ragione allo Stato per esigenze di unitarietà. La Corte non ha chiuso definitivamente il dibattito, ha detto che la norma in questione è invasiva della competenza delle regioni. Ma se in futuro di fronte ad un arlecchino normativo si riscontrerà un regime che viola l'articolo 3 al punto da divenire lesivo del principio di uguaglianza dei cittadini, allora si potrà definire incostituzionale la norma.Siamo passati dalle maggioranze a geometria variabile alla Costituzione a geometria variabile?La Corte sta razionalizzando, in un tentativo di portare unitarietà. Ma in questo caso ha riconosciuto le ragioni degli enti locali. Facciamo un esempio: la vostra testata si chiama Repubblica degli Stagisti e appunto la Repubblica è un soggetto composito. L'articolo 114 parla di una Repubblica delle autonomie, un modello asimmetrico territoriale. Si tratta solo di capire quale sia il principio di unitarietà che consente questo modello composito.Ma cosa avviene per quegli enti e aziende che hanno sede in più regioni? A quale normativa dovranno rifarsi?Questo è un problema sul quale è interessante riflettere. Penso dovranno esserci regimi differenziati, conseguenti a leggi regionali differenziate. C'è una questione di unitarietà interna che però è problema del singolo ente. Credo che la direzione sia quella dei bandi regionali.E in quelle regioni che ancora non hanno ancora legiferato in materia di tirocini cosa succede?Semplicemente, vige l'ordinamento nazionale in attesa di una normativa regionale.Con questa sentenza, però, ha stabilito che la competenza di legiferare sui tirocini è tutta in capo alle regioni?Riprendo la sentenza: la Consulta dice chiaramente che «la normativa in esame costituisce un’indebita invasione dello Stato in una  materia di competenza residuale delle regioni».Per questo motivo, quindi, si è arrivati all'abolizione dell'articolo 11 della legge 148/11?Sulla base dell'articolo 117 della Costituzione, ovvero perché la norma impugnata è stata giudicata come lesiva dell’autonomia legislativa regionale.Ma come mai nel 2005 la Corte aveva detto che solo i tirocini estivi erano di competenza regionale e ora afferma invece non solo che tutti i tirocini lo sono, ma anche che già nel 2005 l'aveva detto?Il problema è questo: quando si ha di fronte la Costituzione, ci si trova di fronte a dei titoli, a delle materie che devono essere riempite da scelte normative, da contenuti concreti normativi, espressioni di scelte politiche. La Corte, come uno scultore di fronte al marmo nudo, scolpisce la materia e dice quali sono i punti critici da non oltrepassare. E oggi afferma che la formazione professionale è appannaggio delle regioni.Ci saranno conseguenze sugli stage attualmente in corso e sui bandi già pubblicati?Su quelli in corso no, ormai fanno riferimento all'ordinamento pregresso. Quelli futuri invece si dovranno conformare. Se l'ente promotore ha sede, poniamo, in Toscana e i tirocini si svolgono in questa regione, si farà riferimento alla legge toscana. Se invece si tratta di un ente con sede in più regioni, si farà un bando nazionale che si rifà alle leggi dello Stato. E se sarà in contrasto con le normative delle regioni, queste ultime lo potranno impugnare di fronte al Tar.Non ritiene che sia un meccanismo farraginoso?Può darsi che lo sia. Ma di fronte all’interpretazione costituzionale dato dalla Corte e in assenza di una normativa nazionale puntuale il quadro è questo.E naturalmente i giudici della Corte, quando deliberano, non tengono in considerazione queste conseguenze pratiche?La Corte non si pone questo tipo di problemi, che riguardano invece il legislatore, innanzitutto quello nazionale.Ma questo pronunciamento è definitivo, oppure è possibile un ulteriore ricorso da parte dello Stato?Servirebbe un nuovo ricorso perché la Corte possa tornare a pronunciarsi. Come è possibile agire per chiarire una volta per tutte le competenze?Servirebbe una riforma costituzionale che decida cosa fare del tema in sé: il legislatore può decidere che la questione venga costituzionalizzata nell'esclusiva competenza statale. Ma bisogna intervenire sulla Carta. È semplicemente una questione di volontà politica.Riccardo SaporitiHai trovato interessante questo articolo? 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STrAGE, sitcom tragicomica sulla vita dei tirocinanti italiani

Un gruppo di giovani napoletani, età compresa tra i 23 e i 28 anni. Una, o anche due lauree in tasca, e la voglia di raccontare l’ingresso nel mondo del lavoro a partire dalla tappa ormai per tutti quasi obbligata: lo stage. O meglio, lo STrAGE, neologismo coniato per una nuova sitcom in otto puntate, in onda da pochi giorni sul portale You-ng. Il documentario è nato grazie a un concorso universitario, girato in un appartamento e autoprodotto grazie a un investimento iniziale dei ragazzi grazie al lavoro volontario di circa una ventina tra tecnici, registi e attori dilettanti, con il supporto di Massimo Masiello e Gigi Savoia, professionisti del panorama teatrale partenopeo. La Repubblica degli Stagisti ha intervistato Katia Muscariello (foto in basso a sinistra), 28 anni, aiuto regista e segretaria di produzione del gruppo, per conoscere il «dietro le quinte».Come nasce l'idea di questa sitcom?STrAGE è stato presentato la prima volta a un concorso presso l’università «Suor Orsola Benincasa» di Napoli, dove veniva chiesto di proporre nuove idee per il cinema e la tv. L’obiettivo della sitcom era quello di raccontare il lungo «calvario» dei giovani neolaureati italiani, argomento di cui si discute tanto ma solo per linee generali, senza mai scendere nei dettagli. Purtroppo - o per fortuna - l’idea non ha vinto ma il progetto. Dico per fortuna perché se avesse vinto, probabilmente la sitcom non sarebbe mai nata. Il concorso prevedeva peraltro che il vincitore rinunciasse a qualunque diritto sul progetto.Quando è stata presentata STrAGE, che reazioni ha suscitato?La prima presentazione non ufficiale di STrAGE è avvenuta alla nostra università. Siamo tornati alla nuova edizione del concorso del Suor Orsola e abbiamo presentato il trailer dello script che l'anno prima non era  preso in considerazione: volevamo dimostrare che non sempre è necessario vincere e ottenere dei finanziamenti per raggiungere un obiettivo. Gli obiettivi si raggiungono con la passione e la determinazione. Pur senza prenderci troppo sul serio, e senza avere la pretesa di fare un prodotto di pura denuncia sociale - del resto sarebbe assurdo in una sitcom - ci auguriamo comunque che dal riso scaturisca una riflessione.Di chi è stata l’idea?Di Chiara Amendola: secondo me è stata una trovata geniale perché mai nessuno si è preoccupato di raccontare, con un prodotto audiovisivo,  come i ragazzi vivono ed affrontano la lunga trafila di stage post-laurea. Oltre a Chiara c'è un elenco piuttosto lungo di persone che ha permesso a STrAGE di venire alla luce. Alcuni sono esordienti, altri sono nomi già noti a Napoli. Tra questi: Daniele Scarpati, co-sceneggiatore insieme alla Amendola, Pasquale Formicola, che si occupa di montaggio e postproduzione, il regista Roberto Colasante, del cast tecnico. Passando agli attori: Claudia Ascanio, Luca Di Gennaro e Gianni Spezzano, della compagnia teatrale Theaterm, Massimo Masiello, noto attore della scena teatrale partenopea e non solo, Laura Minichini, giovane promessa del teatro napoletano, e infine, un'istituzione del teatro campano come Gigi Savoia, nei surreali panni del Jolly. La colonna sonora è firmata dal gruppo Five pieces of lemon. Credo molto nel lavoro di squadra, senza di questo non esiste confronto e non c'è crescita. Condividere le emozioni derivanti dalle nostre esperienze, ci ha permesso di sdrammatizzare le situazioni più complicate e di fare di questo handicap un punto di forza. Siete alla prima esperienza in questo tipo di produzione? La maggior parte di noi ha una laurea in tasca, o anche due. Abbiamo alle spalle più o meno lo stesso percorso di studi in scienze della comunicazione, seguito dalla laurea specialistica in scienze dello spettacolo e della produzione multimediale. Altri, dopo la laurea triennale in comunicazione, scuole di regie o recitazione. Usciti dall’università ci siamo trovati ad affrontare il lungo calvario degli stage, alcuni decisamente surreali e ai limiti della realtà. Stiamo riuscendo, con sacrifici vari, a fare cose che rientrano nella nostra area professionale, ma abbiamo dovuto alternarle ad altre poco affini per riuscire a rientrare nelle spese. Il call center, il supermercato, l’animazione sono lavoretti che ci hanno permesso di coltivare i nostri interessi. Alcuni di noi sono giornalisti, altri si occupano di produzione multimediale, poi ci sono quelli che hanno intrapreso l’arte teatrale e della scrittura creativa. STrAGE è il primo prodotto confezionato in maniera professionale, ma ci siamo già in passato destreggiati con alcune idee per la radio. Vorrei sottolineare la presenza nel progetto di una grande componente femminile, sia nell’area creativa, sia in quella più tecnica e produttiva. Siamo brave non solo a motivare il gruppo, ma anche a metterci in gioco.  Come sarà articolata e su quali canali sarà trasmessa? STrAGE verrà trasmessa sulla web tv del portale www.you-ng.it, la cui filosofia ben si sposa con il progetto. You-ng è un portale di informazione giovane che nasce dalla volontà di reagire proprio a questo sistema. Parte dal concetto di meritocrazia, i suoi fondatori hanno lasciato lavori precari e sottopagati per dedicarsi a un progetto più ambizioso, che possa creare garanzie per il futuro. Abbiamo previsto otto puntate di circa dieci minuti ciascuna per la prima stagione ma non è detto che non possano aumentare. Quasi tutti i protagonisti, cinque in totale, hanno una «doppia vita». Alternano allo stage un secondo lavoro, necessario per pagare l’affitto [a sinistra, una foto del backstage]. Qualcuno di loro potrebbe essere in procinto di mollare i propri sogni per l’indipendenza, altri faranno di necessità virtù, come Ricky che non riuscendo a emergere come organizzatore di eventi, accetterà di lavorare nell’azienda di pompe funebri di famiglia reinventandosi funeral planner: lui aiuta le anime «a lasciare questo mondo con classe!» Perché proprio il tema dello stage? Oggi si parla tanto di disoccupazione e di lavoro precario ma in pochi approfondiscono l’argomento relazionandosi con chi è direttamente coinvolto. Noi vogliamo raccontare questa realtà in maniera non convenzionale. Ottenere uno stage non sempre rappresenta un’opportunità per crescere professionalmente. Spesso si tratta di esperienze in cui c’è ben poco da apprendere, senza orari definiti, senza un minimo di rimborso spese e soprattutto alle dipendenze di personaggi a cui non interessa altro che sfruttarti per evitare di assumere personale. Situazioni al limite dell’assurdo che però viste dall’esterno sono al tempo stesso divertenti e paradossali.  Dal titolo si nota una certa accezione negativa...In realtà la nostra intenzione è quella di affrontare il problema in maniera tragicomica, senza toni polemici. STrAGE è una sitcom, il suo principale obiettivo è divertire quindi chi la guarda.E il suo punto di vista personale?La mia esperienza con gli stage è stata quasi sempre negativa, fatta salva quella con Europroduzione che mi ha realmente fruttato un lavoro, anche se precario, e quella alla radio dell’università, che mi ha permesso di conoscere il mio attuale gruppo di lavoro. Tutte le altre volte che mi hanno contattata, esaminata o impiegata in uno stage - e sono davvero innumerevoli, credetemi - mi sono purtroppo trovata sempre di fronte a realtà lavorative poco serie, per non dire addirittura «malsane». In un mondo che funzioni decentemente, un datore di lavoro dovrebbe cercare stagisti per valutare, selezionare e formare un potenziale futuro collaboratore, contrattualizzato e regolarmente retribuito, e non per infoltire una schiera di «schiavi» intercambiabili e usa e getta da poter sfruttare all'interno del proprio organico. Uno stagista dovrebbe farsi le ossa, non farsele rompere, le ossa. Imparare a mettersi in gioco, e non essere trattato come un giocattolo. Avere la possibilità di accrescere il proprio bagaglio di competenze professionali, e non essere costretto a fare i bagagli ogni tre mesi per passare a una nuova azienda.  Anche a costo di sembrare populista, dico che non si sta facendo abbastanza per gli stagisti da un punto di vista legislativo, forse non si sta facendo un bel niente. Le soluzioni da adottare si possono racchiudere nelle parole «garanzia», «tutela» e «serietà». Quando si offre uno stage, si stanno offrendo speranze e aspettative a un aspirante lavoratore.   Guarda qui la prima puntata:   Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche: - Diario di un precario sentimentale, Assunta Buonavolontà sbarca in libreria  - «Alice senza niente», in un romanzo la vita nuda e cruda dei giovani squattrinati precari italiani- Diario di una precaria (sentimentale), in scena il dramma ironico di una disoccupata  

Simoncini: «Positive le linee guida sugli stage: ora vigilate affinché ciascuna Regione le renda al più presto operative»

Gianfranco Simoncini è assessore al Lavoro della Regione Toscana. Nel 2011, in collaborazione con il gruppo di giovani dirigenti del Partito democratico fiorentino e anche grazie agli spunti e al lavoro di denuncia della Repubblica degli Stagisti, ha portato avanti i lavori per una legge regionale in materia di stage assolutamente innovativa nel panorama italiano, approvata nel gennaio del 2012, che garantisce il diritto dei tirocinanti di ricevere un compenso minimo di 500 euro al mese. Simoncini è anche responsabile del settore Lavoro della Conferenza Stato-Regioni, e in questa veste ha seguito la trattativa con il governo, al momento della definizione della riforma Fornero, per la parte riguardante la revisione dei tirocini formativi (solo quelli extracurriculari). La Repubblica degli Stagisti ha fatto il punto con lui su cosa succederà tra qualche settimana, quando la Conferenza approverà le linee guida.Assessore, è soddisfatto della bozza che voi Regioni state concordando con il governo?Mi sembra che si tratti di un testo positivo, che facendo salva la competenza delle Regioni ha definito un accordo di massima tra noi e il governo che permetterà di evitare ciò che è avvenuto in questi anni, un uso distorto dei tirocini, come sfruttamento, e di riportarli alla loro funzione che è primariamente quella formativa. Per questo noi, pur essendo sempre molto attenti alle nostre competenze costituzionali, abbiamo ritenuto che fosse giusto e opportuno definire dei limiti. Come del resto avevamo già fatto con il governo Berlusconi e il ministro Sacconi, quando firmammo l'accordo sull'apprendistato.Però le linee guida non saranno immediatamente operative e prescrittive. Ci sarà bisogno che ciascuna regione emetta suoi provvedimenti regionali ad hoc. Viene almeno definita una "deadline", una data limite entro cui tutte le Regioni dovranno aver provveduto a dar seguito ai principi contenuti nelle linee guida?No, perché esse non possono definire questi termini. E cosa succederà nelle regioni che ad oggi non hanno una legge regionale in materia, e che nei prossimi mesi non si muoveranno in questo senso? Quali norme varranno in questi casi?Quelle preesistenti.Facciamo un esempio: se il Lazio non facesse nel corso del 2013 nessuna legge regionale, i 400 euro di indennità minima obbligatoria a favore degli stagisti previsti dalle linee guida restarebbero lettera morta per tutti i 20mila* stagisti extracurriculari del Lazio?Questo vale per tutte le norme per le quali è previsto un atto regionale o statale. Ci sono norme europee che devono essere attuate, ma fino a che il governo nazionale non le attua purtroppo non possono divenire operative.Quindi le linee guida nemmeno dopo un tot di tempo assumeranno una forma di decreto legislativo, decreto legge? Rimarranno in questa forma per così dire "informale"?Esatto. Un intervento legislativo su questo tema sarebbe incostituzionale: si riproporrebbe cioè la situazione che pochi giorni fa la Corte costituzionale ha confermato che non si può porre, proprio per la questione delle competenze regionali. Però io credo che sia un fatto importante che tutte le Regioni a gennaio, in attuazione della legge Fornero, firmeranno col governo un'intesa.Certo, è importante: però poi bisogna vedere ciascuna delle 20 Regioni con che tempi porterà avanti l'attuazione dei principi sottoscritti.Però a questo punto diventa anche un fatto politicamente spendibile da parte dei sindacati, delle associazioni giovanili, da parte vostra. Potrete richiamare chi non dà seguito alle linee guida, e sottolineare il fatto che non solo non interviene per sanare una palese ingiustizia, ma anche che per certi versi viene meno a un impegno che ha assunto ufficialmente e formalmente nella sede del rapporto tra Stato e Regioni. Diventa insomma anche un'arma politica da giocare, laddove ci fossero Regioni in ritardo.Intervista di Eleonora Voltolina *[secondo Unioncamere Excelsior ogni anno in Lazio vengono attivati 28mila stage nelle imprese private, cui si devono aggiungere - secondo le stime della Repubblica degli Stagisti - tra i 12 e i 16mila negli enti pubblici e almeno 4mila nelle associazioni e organizzazioni non profit. Circa la metà di questi 42mila stage sono probabilmente inquadrabili come "extracurriculari"].Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Linee guida sugli stage, 400 euro al mese di rimborso «obbligatorio»: ma solo in teoria- La Corte costituzionale annulla l'ultima legge sugli stage: «Solo le Regioni competenti in materia» - Regioni e riforma del lavoro, è guerra al governo sull'articolo sui tirocini- Simoncini risponde: «Ecco perché noi Regioni chiediamo di eliminare l'articolo sugli stage»- L'assessore al lavoro della Regione Toscana: «La Corte costituzionale confermerà che i tirocini sono competenza nostra». E sulla circolare del ministero: «Non vale quanto la legge»- Tirocini, il costituzionalista: «Lo Stato potrebbe fare una legge quadro»E anche:- Stage, il ddl Fornero punta a introdurre rimborso spese obbligatorio e sanzioni per chi sfrutta- Stage, nuove norme regionali: sì all'obbligo di rimborso in Toscana e Abruzzo, no in Lombardia- Riforma del lavoro, inutile senza quella degli stage

Caso Controcampus, la testimonianza: «Solo spiegazioni contraddittorie sul tesserino "gratuito"»

In seguito alle segnalazioni di un lettore, Alessandro [nome di fantasia], circa le presunte irregolarità nel rapporto di collaborazione con la testata online Controcampus, la Repubblica degli Stagisti ha cercato di fare chiarezza interpellando sia il direttore del portale d'informazione per studenti, Mario Di Stasi, sia lo stesso Alessandro. Di Stasi non ha risposto a molte delle domande sostenendo di non voler creare polemiche. Di seguito, invece, sono riportate le risposte di Alessandro. Di Stasi sostiene che, in realtà, le accuse siano infondate e arrivino da collaboratori scontenti, allontanati dalla redazione perchè autori di pubblicazioni non originali o non attinenti alle regole della testata. Alessandro, come rispondi?Non è questo il caso, anzi, è il comportamento di Controcampus a essere irregolare. Spesso gli articoli pubblicati ma da loro ritenuti "non in linea con le rubriche" venivano o vengono tutt'ora commissionati direttamente dal capo redattore, Lina Scalea, o dal capo area della redazione di appartenenza. L'ufficio relazioni effettua controlli periodici sugli articoli scritti e pubblicati sulle diverse rubriche del periodico online. Poi Mds Communications, una società di comunicazione gestita dallo stesso Di Stasi, avvisa i collaboratori che gli articoli non possono ritenersi validi per la rubrica d'appartenenza, sebbene siano già stati pubblicati. E così il conteggio degli articoli validi per il conseguimento del tesserino riparte dal mese stesso del controllo.Nelle note di Controcampus, che bisogna accettare quando si invia la prima proposta di collaborazione, c'è scritto più volte che la collaborazione è assolutamente gratuita. Lo sapevi? Eri al corrente che l'Ordine dei giornalisti per conferire il tesserino da pubblicista richiede di provare che l'attività giornalistica sia stata pagata?È stato ribadito sin dall'inizio che non avremmo ricevuto alcun compenso, ma ci hanno spiegato che gli oneri sugli articoli non venivano corrisposti ai collaboratori perché trattenuti per le ritenute d'acconto valide per il conseguimento del tesserino.Come hai saputo della possibilità di ottenere, tramite Controcampus, il tesserino da pubblicista?Ne sono stato messo al corrente sin dall'inizio della mia collaborazione tramite un’informativa allegata all’accordo online di adesione come collaboratore [un form via web che Alessandro afferma di aver accettato in seconda battuta, dopo aver sottoposto la candidatura iniziale attraverso il sito, NdR]. Dopo una collaborazione continuativa della durata di due anni con Controcampus, inviando due articoli settimanali come da loro richiesto, avrei ottenuto il tesserino da pubblicista. Solo successivamente sono stato informato del fatto che la continuità dei collaboratori è valida solo a partire dal mese di dicembre successivo all’accordo di collaborazione stipulato con loro.Ti hanno mai dato spiegazioni sull'incoerenza tra la gratuità della collaborazione e la possibilità di ottenere il tesserino?Il concetto in effetti risulta contraddittorio, e le eventuali spiegazioni in merito richieste al caporedattore Lina Scalea, che attualmente è vicedirettore, non erano affatto chiare. Anzi, spesso evitava di rispondere.Le comunicazioni che hai inoltrato alla Repubblica degli Stagisti a testimonianza delle irregolarità nel rapporto di collaborazione con Controcampus sembrano confermare la tua versione. Ci assicuri che siano originali? Sì, mi sono arrivate direttamente da Controcampus e nei termini esatti in cui ve le ho inoltrate.Chi altri, nella redazione, ti ha prospettato o confermato la possibilità di diventare pubblicista, e quando?La possibilità di diventare pubblicista mi è stata prospettata e confermata da Mds Communications, che gestisce le comunicazioni di Controcampus a tutti i collaboratori tramite un gruppo di appartenenza creato appositamente su Facebook.   di Andrea CuriatPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Lo strano caso di Controcampus e dei tesserini fantasmaE anche: - Aspiranti giornalisti, attenzione agli annunci di stage a pagamento in Rete: la richiesta di help di tre lettori;- Antonio Loconte: «Cari aspiranti giornalisti, lasciate stare e fate gli idraulici»- Che fine faranno i pubblicisti? Ordine dei giornalisti in subbuglio per la riforma delle professioni

Natale, presidente Fnsi: «La legge sull'equo compenso è un pungolo per gli editori»

La legge sull’equo compenso per il lavoro giornalistico è riuscita a superare gli scogli al Senato e ora è tornata alla Camera per ricevere il sì definitivo: qui, martedì 13 novembre, la conferenza dei capigruppo ha assegnato in sede legislativa alla Commissione cultura la proposta di legge. «Da domani ogni giorno è buono», scrive Enzo Carra, Udc, su twitter il 13 novembre. Se approvata entro la fine della legislatura permetterebbe «di invertire la drammatica tendenza alla precarizzazione della categoria» e garantire delle retribuzioni eque per gli iscritti all’albo. La Repubblica degli Stagisti ha intervistato Roberto Natale, 54 anni, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, già segretario dell’Usigrai dal 1996 al 2006.  Il Senato ha approvato, anche se con alcune modifiche, le norme che prevedono l’equo compenso per il lavoro autonomo giornalistico: qual è la posizione del sindacato?Diamo un giudizio molto positivo di quello che è successo al Senato, dove il testo era fermo da mesi: ora sembra, finalmente, in dirittura d’arrivo. C’è stata ottima capacità d’ascolto da parte dei senatori della Commissione lavoro e anche ottima capacità delle rappresentanze dei giornalisti, ordine, federazione della stampa, coordinamenti dei colleghi precari di far sentire ragioni che non sono affatto corporative ma che attengono alla dignità del lavoro tutto. Il testo deve essere licenziato la prossima settimana alla Camera, alla fine per l’approvazione definitiva quante settimane utili restano?I deputati che già mesi fa avevano seguito la vicenda hanno chiesto che venga calendarizzato al più presto. Abbiamo fiducia che nel giro di pochissime settimane questo testo possa diventare legge. Ci pare, incrociando le dita come si deve, che gli scogli più difficili siano stati superati e che il chiarimento ulteriore prodottosi tra le forze politiche durante la discussione al Senato consenta adesso di procedere con la massima velocità. Il traguardo dell’equo compenso per i giornalisti è finalmente raggiunto?Bisogna essere scaramantici, dunque aspettiamo con fiducia il voto della Camera. Chiarendo però che questa legge, come spesso capita, è un primo traguardo. C’è una commissione della quale fanno parte le rappresentanze del giornalismo, dell’editoria, i ministeri più direttamente coinvolti. La legge dice, questo è uno degli elementi positivi: trovatevi e parlatene, nel giro di un tempo ristretto indicate a quali cifre corrisponda l’equo compenso. Questo è il traguardo successivo. Il sindacato dei giornalisti, poi, intende questa legge come una sorta di trampolino di lancio verso il rinnovo del contratto nazionale di lavoro giornalistico che scade, quello Fnsi-Fieg, a marzo dell’anno prossimo e dovrà avere assolutamente al suo centro una diversa e migliore valorizzazione anche contrattuale del lavoro di precari e freelance.La Commissione per la valutazione dell’equo compenso sarà composta, secondo le modifiche del Senato, anche da un rappresentante dell’Inpgi e da uno della Fieg, sebbene in un primo momento gli editori avessero detto di non essere interessati a far parte dell’organismo: questa decisione non rischia di allungare i tempi? Credo di no perché gli editori sono, piaccia o no, parte essenziale del sistema. Meglio averli dentro perché bisogna confrontarsi ed è meglio che ci sia una sede istituzionale nella quale discutere. Non ho mai esultato quando, nel primo testo, gli editori non erano presenti. Sarebbe ingenuo e velleitario pensare che se non fossero stati dentro la commissione avrebbero accettato in silenzio qualsiasi decisione presa. Chi pensa una cosa del genere non sa come funzionano le relazioni industriali. Averli dentro è un elemento di ulteriore loro responsabilizzazione. Così come è importante avere l’istituto di previdenza, perché è quello che ha il polso più preciso della crisi del settore e delle forme di caporalato, di sfruttamento quasi schiavistico, che nel lavoro giornalistico sono ancora molto presenti. Al punto 3 dell’articolo 2 si scrive che la Commissione “definisce il compenso equo dei giornalisti iscritti all’albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato” e “redige un elenco dei quotidiani, periodici etc che garantiscono il rispetto dell’equo compenso”. Sarà poi cura della Commissione provvedere al costante aggiornamento dell’elenco. Al punto 4, però, si introduce un notevole cambiamento rispetto al testo passato alla Camera: “La commissione dura in carica tre anni, alla scadenza cessa dalle proprie funzioni”. A quel punto l’equo compenso che fine farà? Chi vigilerà sulle retribuzioni?La durata triennale della commissione è stato uno degli elementi che ha consentito di superare gli scogli contro i quali si stava incagliando la legge. Ritengo che non sia un grande problema. Non dispiace affatto che rispetto al rischio di una proclamazione di principio che valga a tempo infinito ci sia invece una durata ben stabilita che dal punto di vista del sindacato intendiamo come un impegno ulteriore dell’emergenza e dell’eccezionalità con la quale deve essere intesa questa situazione. Faccio un esempio: da più di dieci anni abbiamo la legge sull’applicazione del contratto giornalistico negli uffici stampa ed è ancora incagliata. Quindi il fatto che una legge valga per l’eternità non le dà più forza. Intendiamo questo triennio come uno stimolo in più a fare adesso tutto ciò che la drammatica situazione di migliaia e migliaia di colleghi e colleghe richiede. Nel testo si parla di “equità retributiva dei giornalisti iscritti all’albo”: ma per i tanti giornalisti “di fatto” che ne sarà dell’equo compenso?I giornalisti iscritti all’albo non sono esattamente un’esigua minoranza, secondo i dati più aggiornati ci sono 110mila persone oggi, in Italia, in possesso di un tesserino. Quando si parla di giornalisti di fatto mi riesce difficile pensare che non abbiano ottenuto o non possano ottenere in questi mesi, se di fatto stanno svolgendo un lavoro giornalistico, il riconoscimento dagli ordini regionali di appartenenza. La legge in questa formulazione a mio avviso non lascia fuori nessuno. Abbiamo numeri molto cospicui, per questo quando sento parlare della necessità di liberalizzare l’accesso alla professione so per certo che il verbo rischia di essere fuorviante, perché fa pensare che ci siano ristrettezze che dobbiamo allargare. Invece no, bisogna qualificare e dare criteri diversi e più selettivi perché se no questo allagamento finirà per far annegare tutti, come già purtroppo sta rischiando di fare.Non si parla però di cifre, che saranno poi definite dalla Commissione: secondo la Fnsi a quanto ammonta un “equo compenso”?Abbiamo usato nelle campagne di questi anni un’espressione che aveva la forza dello slogan e però indica una sostanza: che un giornalista sia pagato quanto una collaboratrice domestica per ciascuna ora di lavoro. Ricordo che in uno dei momenti decisivi di questa battaglia, quando arrivammo a varare all’autunno del 2011 la carta di Firenze, era da poche settimane accaduta la tragedia di Barletta in cui morirono cinque lavoratrici in un fabbricato vecchio che si sbriciolò seppellendole. Qualcuno dei colleghi precari presenti, commentando la tragedia di queste lavoratrici pagate quattro euro all’ora, disse, al netto del dramma dell’edificio crollato: «Magari fossi pagato quattro euro all’ora, perché vorrebbe dire che alla fine della giornata ho messo insieme 30-40 euro». Nel giornalismo italiano di oggi, anno 2012, ancora molti, troppi colleghi, sono lontani da questa soglia di decenza. Ma come in ogni trattativa non si decide da soli. Noi andiamo con la più ferma ostinazione a portare questi colleghi fuori dal caporalato.Ma con quest’ultima versione del testo, i soldi pubblici dei contributi per l’editoria verranno tolti o no alle testate che non rispettano l’equo compenso? È uno scandalo al quale finalmente si pone fine, il fatto che si possa avere soldi pubblici senza impegnarsi a rispettare regole di civiltà, di dignità e soprattutto l’articolo 1 della Costituzione. Non si può prendere soldi dalla Repubblica italiana fondata sul lavoro, schiavizzando i lavoratori.Nella proposta di legge non c’è alcun riferimento ai tempi di pagamento, altro grande problema per i freelance: non si poteva fare di più?Questo è un tema che sta anche nel contratto: dovrà essere nostra cura come sindacato fare in modo che ottenga un carattere ancora più stringente. Ma il punto è avere la forza collettiva di far rispettare le norme: i contratti e le leggi non basta scriverli, perché se non c’è un movimento reale che sostiene questi principi, allora rimangono inattuati. La bella novità di questi anni è che il movimento reale dei colleghi precari e freelance e con loro del sindacato e dell’ordine c’è, è cresciuto. Ed è uno dei fattori principali che ha prodotto questa legge.Il Senato ha approvato martedì 13 novembre un emendamento della Lega sulla riforma della diffamazione che prevede il carcere fino a un anno per chi diffama con l'attribuzione di un fatto preciso o in alternativa multe da 5mila a 50mila euro. Qual è l'opinione del sindacato? Che questo voto esprime nella maniera più chiara il livore che anima tanta parte del ceto politico nei confronti dei giornalisti. Questo è un voto nel quale si esprime la voglia di vendetta, il rancore magari per le cronache di questi mesi che hanno riguardato questo o quel partito. È un motivo in più, da parte nostra, per sperare che questo pasticcio giuridico, che non merita di essere chiamato legge, finisca su un binario morto.Marianna Lepore Per saperne di più su questo argomento leggi anche:- Equo compenso per i giornalisti, sfuma l'approvazione della legge ma i freelance non demordono - Enzo Carra: «Dal 2013 equo compenso per i giornalisti freelance» - Giornalisti precari, il problema non è il posto fisso ma le retribuzioni sotto la soglia della dignità e anche:- Lo scandalo dei giornalisti pagati cinquanta centesimi a pezzo. Il presidente degli editori a Firenze: «La Fieg non dà sanzioni. E poi co'è un pezzo?»

Il precariato? Per Giuliano Cazzola è un problema «immaginario» 

Che la precarietà sia un falso problema? Che la retorica del precariato annebbi ed inquini menti, aspirazioni ed aspettative dei piu' giovani?Conduce a riflettere su queste e altre tematiche il nuovo saggio Figli miei precari immaginari di Giuliano Cazzola, deputato del PdL e vicepresidente della Commissione Lavoro Pubblico e privato. Pur avendo già 71 anni, il bolognese Cazzola non è uno dei "dinosauri" del nostro Parlamento: vi è entrato solamente nel 2008, dopo aver ha insegnato diritto della previdenza sociale all’università di Bologna e ricoperto incarichi sindacali; dirigente generale del ministero del Lavoro e in tale veste presidente del collegio dei sindaci prima dell’Inpdap, poi dell’Inps. È stato componente del Comitato delle politiche sociali della Ue in rappresentanza del governo italiano ed è autore di diversi libri in materia di lavoro e welfare, tra cui un saggio sulla vita di Marco Biagi di cui era amico.Il libro si propone di esplorare la condizione giovanile al di là dei luoghi comuni nella convinzione che i ragazzi non avranno in premio quel posto di lavoro stabile a cui agognano, perché le monete d'oro non crescono sugli alberi. È la parabola evangelica dei talenti a indicare la via giusta. Non viene premiato né chi ha consumato il suo né chi lo ha gelosamente custodito, ma colui che lo ha fatto fruttare. E il talento non è solo una moneta ma rappresenta il capitale umano che una persona deve essere in grado di investire, nell'ambito delle condizioni complessive in cui si trova a vivere e ad agire, assumendo anche su se stesso la responsabilità del proprio futuro. In pochi, oggi, sono portati a chiedersi se hanno fatto tutto il possibile per realizzare le proprie aspirazioni e quanta parte di responsabilità ciascuno di noi porta nel dare un profilo accettabile al proprio destino. «Bisogna sempre ricordare che a fronte di un 36% di disoccupati c’è anche un 64% di occupati», commenta il parlamentare e aggiunge: «Stiamo combattendo la terza guerra mondiale, la prima e la seconda erano in trincea, questa è la guerra delle situazioni difficili, in ogni campo. Sono contento di essere vecchio perché farei fatica a vivere nel mondo che ci aspetta». La Repubblica degli Stagisti gli ha posto qualche domanda.Perché, che mondo ci aspetta?Un’Europa spinta fuori dal mercato. Confusioni, movimenti populisti, odio sociale e antipolitica. Per i giovani un totale decadimento, con una scuola che non prepara al mondo del lavoro.Dunque perché descrive i giovani come precari “immaginari”?Perché si vede il problema nel precariato, quando al massimo il problema potrebbe essere la disoccupazione e il precariato la risposta ad essa. La flessibilità potrebbe salvare i giovani dalla mancanza di lavoro.Dunque considera il precariato qualcosa di positivo? Nessuna obiezione a riguardo?Quello che manca sono leggi che lo regolino. Bisognerebbe normare la flessibilità. Trovare un sistema di welfare pubblico che riconosca ed estenda la parità dei diritti ai lavoratori precari. Ed è proprio questo uno dei punti in cui ha fallito la riforma Fornero. Non pensa ai precari per un problema di assenza di risorse economiche. Quindi niente ammortizzatori sociali innovativi.E in cos’altro ha fallito?La danza macabra intorno all’articolo 18 non ha consentito di mettere adeguatamente in luce il punto debole di tutta la vicenda, che stava nello squilibrio con cui erano state poste in relazione tra loro le due grandi operazioni che la riforma avrebbe dovuto affrontare: garantire, mediante una minor rigidità in uscita dal rapporto di lavoro, l’avvio di un miglior quadro di tutele e di stabilità in entrata. È qui che la riforma auspicata, nella sua prima versione proposta dal governo ad aprile, era diventata una controriforma reale: sulle tipologie del lavoro flessibile era calato un cono d’ombra di sospetto, di illiceità. Un’aura truffaldina da contrastare con una legislazione persecutoria, anche a costo di creare problemi alle imprese, di ostacolare l’occupazione e di ampliare le dimensioni del lavoro sommerso. Per fortuna, il Senato ha trovato il coraggio di modificare nella misura possibile il provvedimento sul versante della flessibilità in entrata.Dunque lei appoggia il concetto di flessibilità: cosa c'è di sbagliato nella concezione di quest'ultimo da parte dell'opinione pubblica?È doveroso eqilibrare il concetto di precarietà: non si può prendersela solo con il contesto ma forse anche con una mancata capacità di farsi strada che si sta sempre più insinuando nei giovani. Non bisogna vedere la precarietà come un destino immodificabile ed è sbagliato prendere a modello la condizione dei padri Iniziamo a pensare che anche in Italia ci sono state generazioni di giovani in passato che stavano peggio dell'attuale. A quei tempi c'era la guerra o la fame e per uscirne si prendeva una valigia di cartone e si emigrava in cerca di fortuna.Quindi è d'accordo col ministro Fornero, i giovani sono "choosy"?Sono d'accordo ma avrei reso il concetto in altro modo. Sono certo che il ministro non volesse dire che i ragazzi d'oggi siano schizzinosi. Il suo era un consiglio per suggerire di entrare al più presto nel mondo del lavoro, anche se non con l'occupazione dei sogni. Io non avrei solamente definito tutto questo con un termine.In cosa sbagliano i giovani?A difendere le loro catene, a usare la generazione degli anni Settanta come modello. Dovrebbero avere menti più flessibili, in realtà non le hanno. Per fortuna non sono tutti così, c’è anche chi si lancia in progetti di start-up, chi si impegna e si inventa. E chi sa cogliere le innumerevoli opportunità che gli anni 2000 regalano loro.Quali?Non c’è solo offerta di risorse ma anche domanda: esiste tutta una serie di lavori manuali che nessuno vuole più fare, ma che sono remunerativi e meravigliosi. I più svegli lo capiscono. Per esempio, io ho deciso di concludere il mio libro con storie di giovani che si sono impegnati e ce l’hanno fatta.Un esempio?Silvia Balestriero ha 34 anni e attualmente lavora per una delle più note agenzie per il lavoro dove si occupa di inserimento lavorativo dei giovani neodiplomati e neolaureati. È una delle ragazze che si è raccontata alla fine del mio libro. Lei ha capito che il criterio importante è la possibilità di esprimere chi siamo attraverso ciò che facciamo, che il lavoro è un’opera che si costruisce, magari non capendone sempre nell’immediato il senso, magari perdendoci il sonno molte notti e abbattendosi per alcune battaglie perse, ma è questo l’unico modo di vivere il lavoro per non subirlo. E lei ce l’ha fatta. Giulia CimpanelliPer approfondire questo argomento, leggi anche:- Riforma del lavoro approvata. E adesso che succede?- Interinali, 226mila sono under 30: «Buona flessibilità e diritti» garantisce Assolavoro- In Italia si guadagna troppo poco: per rendere dignitose le retribuzioni dei giovani bisogna passare dal «minimo sindacale» al «salario minimo»

Katia Scannavini: «Italia Lavoro non ha tutelato la mia gravidanza»

Ha 38 anni, una laurea, un master e un dottorato di ricerca, ma dopo aver lavorato per diversi anni nel settore delle politiche del lavoro, non è stata ritenuta una risorsa valida su cui continuare a investire: Katia Scannavini è stata messa alla porta da Italia Lavoro mentre era incinta. Dopo il licenziamento è stata poi riassunta ma solo fino alla fine del contratto. «È qualcosa che ha segnato decisamente la mia esistenza» racconta «e ha rovinato un periodo così importante e delicato come quello della maternità». Oggi ha un contratto con un’organizzazione non governativa ma è in causa con Italia Lavoro per essere assunta a tempo indeterminato. «Tornare lì significherebbe riconquistare la dignità al lavoro troppo spesso dimenticata nel nostro paese».  Dal 2006 al 2011 ha lavorato per Italia Lavoro: di cosa si occupava e che tipi di contratto ha avuto?Sempre contratti a progetto: a volte durava un anno, il primo da febbraio del 2006 a febbraio del 2007, ma più avanti anche contratti di un mese, due, tre, quindi estremamente brevi che venivano di volta in volta rinnovati. I miei ruoli sono stati diversi, ma l’elemento fondamentale di quei sei anni è che intervenivo sulle politiche attive del lavoro: preparavo pacchetti formativi o possibilità per l’inserimento delle fasce deboli nel mercato del lavoro, quindi donne, neolaureati, over cinquanta. Italia Lavoro con me e attraverso tanti altri collaboratori a progetto, interni alla propria azienda, lavorava e metteva in atto politiche a favore dei precari esterni. Un paradosso nel paradosso.In che sede lavorava e come era stata selezionata? Lavoravo nella sede di Roma. Italia Lavoro ha cambiato nel tempo i metodi di reclutamento: io avevo fatto un colloquio con una persona delle risorse umane e con il capo del primo programma in cui ho lavorato. Sono stata presa nel 2006 in quel progetto che era appena partito. Poi sono cambiati i metodi selettivi con l'introduzione anche di prove scritte. Ho sempre dovuto fare, anche per l’ultimo contratto, una selezione, quindi test scritti e orali con cui sostanzialmente riattivavo il mio contratto. Quanti dei suoi colleghi, entrati con lei nel 2006, sono oggi fuori da Italia Lavoro?È molto difficile saperlo e questa è una delle caratteristiche di chi lavora a progetto: ha difficoltà a creare un gruppo comune. Posso dire che una percentuale considerevole è a casa e non è rientrata in Italia Lavoro. Mi dicono che basta camminare per i corridoi per rendersi conto che non c’è più nessuno. L’azienda ha tagliato sui collaboratori perché deve ridurre le spese o perché il numero era superiore alle necessità aziendali?Sicuramente l’azienda in questo momento ha necessità di avere meno spese, quindi la soluzione più rapida è lasciare a casa i lavoratori. Anche se questa è una delle scelte più semplicistiche che un addetto alla gestione di un’impresa possa applicare. Detto ciò se prendiamo in considerazione il fatto che io e altri colleghi siamo stati lasciati a casa lo scorso anno solo perché avevamo rivendicato dei diritti in modo molto semplice attraverso una lettera, questo la dice lunga sulle modalità con le quali si vogliono conservare certi tipi di collaboratori. L’azienda non vuole questioni o difficoltà nel gestire i lavoratori. Ha tagliato sicuramente per ridurre i costi ma le politiche di risparmio potrebbero essere anche altre.Come previsto dal collegato lavoro lei aveva mandato all’azienda una lettera per tutelare la sua situazione precaria, quanti dei suoi colleghi che hanno fatto lo stesso sono stati licenziati? Tutti e diciassette siamo stati lasciati a casa, poi siamo stati reintegrati dopo un incontro forzato con Sacconi. Nessuno però ha avuto i rinnovi man mano che i contratti scadevano. La maggior parte di queste persone ha attivato un procedimento legale e alcuni di questi colleghi sono tornati in azienda perché hanno patteggiato, come prevede la legge, la possibilità di rientrare con un contratto a tempo determinato per tre anni. Evidenziando anche che l’azienda sapeva che avrebbe potuto perdere molte di quelle cause altrimenti non avrebbe accettato proposte di questo tipo. Molti oggi sono in azienda ma il contratto scadrà nel 2014.E l’incontro con Sacconi?Un mese dopo, ma eravamo solo della sede del Lazio. C’eravamo sentiti con colleghi di altre sedi che non se l’erano sentita di venire a Roma: erano senza lavoro e avrebbero avuto delle spese che non potevano sostenere. Avevamo fatto volantinaggio la mattina sotto l’azienda cercando di farci ricevere, senza successo, dai responsabili. Saputo che Sacconi era a un convegno al Cnel, ci siamo andati insieme ad altri precari della pubblica amministrazione, di agenzie come sviluppo Lazio o Formez che sono in situazioni molto simili alla nostra. Una volta dentro abbiamo chiesto cortesemente di prendere la parola. Mi sono alzata proprio io (nella foto) per far vedere concretamente qual era la mia situazione, chiedendo a Sacconi di poter intervenire. L’ex ministro non è stato felice di questo nostro intervento. Disse che non avrebbe potuto fare niente su Italia Lavoro, ma alla fine intervenne perché era una situazione veramente sconveniente per il governo. Di lì a poco ci fece riassorbire dall’azienda che ci inviò un sms chiedendo di ripresentarci e di firmare una carta dove si sottolineava che il nostro contratto era di nuovo attivo fino a scadenza. Crede che il suo licenziamento sia legato al fatto che era incinta?L’azienda non ha mai detto una cosa del genere quindi a mia volta non posso affermarlo. Posso però dire che nonostante fosse a conoscenza della gravidanza non ha tutelato la situazione di maternità di una sua dipendente. Avevo mandato la richiesta di maternità chiedendo di poter lavorare, come fanno quasi tutti i collaboratori a progetto, fino all’ottavo mese e l’azienda mi ha licenziata al sesto. Anche laddove affermino che non è stata una sorta di persecuzione rispetto al mio stato, di sicuro non c’è stata tutela rispetto alla mia gravidanza. La lettera di licenziamento è arrivata quindi molto prima della scadenza del contratto, se lo aspettava?No, non credevo di poter essere lasciata senza tutele in una condizione di grande vulnerabilità come quella di una donna in stato interessante. Non mi sarei mai aspettata questa cosa anche perché non avevo diffidato l’azienda. Pensavo che il responsabile delle risorse umane mi chiamasse e avessimo possibilità di confrontarci rispetto a tutto il lavoro che avevo fatto in azienda. E poi la legge italiana sottolinea determinati tipi di tutele. Ma la risposta del braccio tecnico del ministero del lavoro è stata quella di mettere a casa una persona incinta. Per me è stata una doccia fredda. Ricorderò per sempre quel 6 aprile 2011, era un sabato mattina, arriva questa raccomandata, la apro: tre righe nere su un foglio bianco, fredde, lucide, dove si sottolineava che dal momento in cui avevo aperto quella busta veniva rescisso il mio contratto e non avevo più possibilità di andare in ufficio e di continuare la mia attività lavorativa. Ha aperto una vertenza presso il tribunale del lavoro ed è alla seconda udienza: che cosa chiede e che tempi ci vorranno per una sentenza definitiva?  Chiedo di essere reintegrata a tempo indeterminato. Perché come la maggior parte dei lavoratori a progetto di Italia Lavoro in realtà eravamo dipendenti, obbligati ad avere un orario come quello dei dipendenti, chiamati a fare molte più mansioni di quelle scritte sul contratto, soggetti a dover giustificare le nostre assenze. Quindi ho sempre vissuto, come tutti i miei colleghi, una situazione di lavoratore subordinato mascherato dietro un contratto a progetto. I tempi del tribunale del lavoro di solito sono abbastanza veloci. Tuttavia non so ancora bene quando sarà l’ultima udienza, però dopo questa ci sarà la terza definitiva.È una vertenza individuale?Per forza, perché i lavoratori a progetto non hanno possibilità di aprire vertenze collettive. C’è stato un vero e proprio smembramento della categoria: noi volevamo fare una vertenza di gruppo ma la legge non lo permette. Il lavoratore cocopro è assolutamente atomizzato e se vuol rivendicare dei diritti lo deve fare in totale autonomia. Ci siamo però organizzati per portare avanti una battaglia di ordine mediatico. Abbiamo tentato di rendere pubblica la nostra situazione. Sottolineando che in queste agenzie tecniche che spesso lavorano nella totale ombra rispetto all’opinione pubblica, negli ultimi tempi stanno uscendo fuori scandali legati alle agenzie delle regioni per Italia Lavoro o per il Formez o per Sviluppo Lazio, funziona nello stesso identico modo: c’è uno sperpero di denaro molto forte. E contemporaneamente c’è questo utilizzo scriteriato dei lavoratori. Abbiamo tentato di unirci per evidenziare le condizioni di lavoro alle quali siamo stati costretti a vivere. Detto ciò legalmente non abbiamo potuto presentarci come una collettività che denunciava un problema davanti a un giudice. Quando sono state fatte le nuove selezioni, avrebbe potuto partecipare o c’erano clausole specifiche?Teoricamente avrei potuto partecipare, in pratica non l’ho potuto fare perché avendo questo procedimento si sapeva perfettamente che l’azienda non mi avrebbe mai assunta. Del resto è capitato: altri colleghi che hanno da sempre lavorato come me per Italia Lavoro si sono candidati per delle posizioni che erano le loro fino al giorno prima e non sono stati neanche ammessi ai colloqui, dopo la prima selezione sui curricula. È un paradosso che una persona per 5-6 anni ha fatto proprio quel lavoro in quell’azienda e non riesca a superare lo scoglio della lettura del curriculum. Ha un contratto di collaborazione con un’organizzazione non governativa fino al giugno 2013, dopo spera di tornare in Italia Lavoro?Lo spero. È chiaro sono in una situazione abbastanza delicata: ho una figlia quindi non si va mai a dormire sereni la sera sapendo che a giugno scadrà il contratto e non devo badare soltanto a me stessa. C’è un’ansia di questo tipo e in cuor mio spero di tornare in Italia Lavoro, dove ho lavorato per tanto tempo avendo anche dei riconoscimenti rispetto alla qualità del mio operato. Detto ciò vorrei tornare lì per riconquistare una dignità dei lavoratori che ormai è sempre più schiacciata. L’idea che quanto mi è stato fatto possa avere una giustizia all’interno di un’aula di tribunale mi rinfrancherebbe molto proprio come cittadina, come lavoratrice e non ultimo come donna, visto quello che ho subito in un periodo così delicato della mia vita. Ha avuto una bambina, sarà una donna del domani, cosa spera per lei e per il vostro futuro?Spero che mia figlia non rimanga in Italia. Di avere in qualche modo la possibilità e l’opportunità di mandarla in un paese dove tutto quello che qui manca sia stato riconosciuto e dove sia in grado di vivere in modo più dignitoso e più sereno rispetto a quanto ha dovuto fare sua madre. Soprattutto in un Paese dove, laddove lei avesse dei meriti, le fossero riconosciuti. Perché il nostro Paese non è affatto così. Marianna Lepore Per saperne di più su questo argomento leggi anche:- Italia Lavoro aiuta i cittadini a trovare un impiego ma lascia a casa i suoi collaboratori- La Cgil: «Su oltre mille lavoratori Italia Lavoro non può averne solo 400 stabili»- Il regalo alle agenzie interinali nell'attivazione degli stage Les4 di Italia Lavoro e anche:- Tirocini Les4 di Italia Lavoro, in Puglia nessuno sembra conoscerli. A parte l'agenzia Obiettivo Lavoro- Quel pasticciaccio brutto dei due Les4 omonimi: perchè Italia Lavoro non chiarisce la posizione delle agenzie interinali nell'attivazione dei suoi tirocini?

La Cgil: «Su oltre mille lavoratori Italia Lavoro non può averne solo 400 stabili»

«Italia Lavoro applicherà ai suoi dipendenti la riforma Fornero?» si chiede Roberto D’Andrea, segretario Nidil Cgil, la categoria sindacale in rappresentanza delle forme parasubordinate, che da tempo segue le vicende dei collaboratori dell’agenzia tecnica del ministero ed è l’unico sindacato che da alcuni anni si schiera contro il regolamento aziendale. Tutto inizia nel 2008 quando Cgil, Cisl e Uil firmano con Italia Lavoro un accordo sulle condizioni dei collaboratori a progetto, che definisce, tra gli altri, i minimi salariali e la costituzione di un bacino di prelazione in caso di nuovi incarichi. In seguito alla firma, però, l’azienda inizia ad applicare queste tipologie di contratto per tutte le mansioni tanto che alcuni lavoratori decidono di aprire contenziosi per avere il riconoscimento del lavoro subordinato. Così nel 2009 la Cgil decide di ritirare la firma dall’accordo, anche in seguito agli esiti di queste vertenze favorevoli ad alcuni dipendenti ad Avellino, Benevento, Roma, e i rapporti con Italia Lavoro si interrompono. La Repubblica degli Stagisti ha intervistato Roberto D’Andrea per capire oggi qual è la situazione dei lavoratori in azienda. La rottura sindacale tra Cgil e Italia Lavoro è del 2009? Sì, ma si è acuita nel 2010 con l’uscita del collegato lavoro, la legge che fa sì che vada in prescrizione qualsiasi rapporto non impugnato entro 60 giorni dalla scadenza dello stesso. Alcuni lavoratori per non perdere i rapporti di lavoro pregressi impugnano i vecchi contratti e l’azienda a quel punto ne licenzia diciassette. Solo grazie all’impegno di questi lavoratori, con il nostro appoggio, siamo riusciti a farli rientrare anche se alcuni, come Katia Scannavini, sono ancora in causa: alcune sentenze sono previste fra qualche mese. 
Il numero preciso dei licenziati è di diciassette persone? Questi diciassette sono quelli della sede nazionale, ma da lì in poi l’azienda ha iniziato ad aumentare il turn over per cui ci sono anche una decina di cause in Puglia e altre sparse sul territorio. Alcune sono rientrate perché i lavoratori sono stati reintegrati: la loro collaborazione è stata trasformata in contratto a tempo determinato. Non conosciamo purtroppo il numero preciso ma mentre l’azienda minimizza e parla di numeri “fisiologici”, io credo che stiamo intorno a una cinquantina tra contenziosi chiusi e contenziosi in atto, però è un numero approssimativo. Tra l’altro l’azienda è stata anche attenzionata dalla Corte dei Conti proprio per le cause – perché c’è anche un’esposizione economica.Cosa è successo dopo? La vera novità arriva dal 18 luglio con l’entrata in vigore della legge n. 92, la riforma Fornero. L'azienda ci chiama dicendoci che non possiamo trattare a riguardo di come la legge si abbatte sull'organico aziendale perché non siamo più tra i firmatari dell'accordo. Replichiamo dicendo che è un'interpretazione un po' forzata perché nel 2009 abbiamo ritenuto di non dover firmare, ma siamo nel 2012, c'è una nuova legge e francamente ci sembrava un po' strumentale rifiutare il confronto sindacale.Come mai i sindacati non sono riusciti a trovare un accordo comune per agire contro il regolamento aziendale che dice «Italia Lavoro non si avvarrà dello stesso lavoratore con contratto di collaborazione per più di tre anni»? Perché solo noi abbiamo messo in discussione questo regolamento, le altre sigle dicevano che erano d’accordo. Così l’azienda avendo gioco facile ha continuato a trattare solo con chi era firmatario di accordo e si è rifiutata per anni di aprire una discussione seria su come le collaborazioni venissero usate. Noi continuiamo a dire che non possono essere utilizzate, come peraltro riconosce la legge Fornero stessa, per l’attività principale del committente. Sarebbe stato del tutto coerente quindi discutere con noi anche dell’utilizzo delle collaborazioni visto che nel 2009 avevamo ritirato la firma per le stesse ragioni per cui la legge oggi dice che non si possono usare.
Quante vertenze individuali ad oggi sono state aperte contro Italia Lavoro? Non so dire quante sono le vertenze individuali, perché non tutti passano attraverso l’ufficio legale della Cgil. Molte cause, anche di iscritti al sindacato, vengono fatte individualmente da avvocati di fiducia. 
Cosa chiedono i cocopro che hanno avviato queste vertenze? I casi sono individuali perché ci sono persone che lavoravano da otto-nove anni e altri che lavoravano solo da qualche mese. Qualcuno ha rifiutato di transare e chiede il riconoscimento del tempo indeterminato. Altri lavoratori, a fronte del fatto che hanno una famiglia e dei mutui da pagare, hanno accettato l’offerta dell’azienda di prendersi 36 mesi a tempo determinato e hanno chiuso la causa.
Oggi, quindi, si trovano in mezzo a una strada lavoratori che in questi anni hanno cercato di facilitare il ricollocamento sul mercato del lavoro di licenziati e cassintegrati …. Sì, ma la cosa proprio assurda alla base è che un'azienda che ha un organico di 1100 lavoratori non può averne solo 400 stabili e 700 collaboratori. La tematica che Italia Lavoro si rifiuta di affrontare è proprio che tipo di organico vuole utilizzare: è vero che è legata a progettazione europea con bandi triennali, però c’è un organico stabilmente impegnato per cui si dovrebbe ragionare su altre forme di lavoro. E chi fa progettazione in maniera continuativa da otto-dieci anni non può stare a collaborazione, perché non c’è nessun progetto. 
Come è andato l’incontro tra l’azienda e la Nidil Cgil di inizio settembre? Abbiamo invitato l’azienda ad aprire una discussione, ma hanno risposto che avrebbero trattato solo con le organizzazioni che in passato avevano sottoscritto accordi. Un’interpretazione secondo me forzata perché un’opzione di verifica dell’organizzazione del lavoro in un’azienda si fa con tutti i sindacati, poi chi è d’accordo firma. L’azienda invece ha detto che non avrebbe verificato con noi la liceità delle collaborazioni bensì avrebbe solo discusso, in seguito, delle condizioni che si applicavano ai collaboratori. È un modo di interpretare la norma un po’ strano. 
Italia Lavoro ha firmato un accordo con Cisl e Uil per prorogare i contratti a progetto, di cosa si tratta? Hanno firmato il 16 settembre questo accordo che utilizza la lettera g del comma 23 della legge Fornero che va a disciplinare le elevate professionalità e consente all’azienda di continuare a utilizzare i contratti a progetto. Ma è un’interpretazione che serve più all’azienda per scappare dalle assunzioni piuttosto che ai lavoratori. Cioè risolve il problema dei rinnovi immediati dei contratti ma non di come questi contratti si utilizzano. E si sono spinti in maniera un po’ avventuristica, forzando la legge. Non è possibile che ci sia gente che continua a lavorare a collaborazione proprio nel pubblico quando in realtà le stesse aziende private adesso dovranno mettersi in regola rispetto alla riforma Fornero.  
Qual è la richiesta della Cgil? Che venga fatta un’analisi seria dell’organizzazione del lavoro e che si metta bene il discrimine tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, collaborazioni, partite iva o lavoro occasionale. Il lavoro dipendente non si può fare a collaborazione, in qualche modo lo dice anche la riforma: non si può fare per mansioni ripetitive ed esecutive, non si può fare se il progetto non ha obiettivi misurabili, quindi secondo noi le 700 collaborazioni che ci sono dentro Italia Lavoro non sono in linea con la legge Fornero. Chiediamo di verificare questo e di ragionare su percorsi di stabilizzazione, sulla creazione di un bacino di prelazione che inizi con il dare contratti a tempo determinato se sono impossibilitati ad assumere a tempo indeterminato. Siamo disposti a ragionare di mille forme ma che non eludano il vero problema: lì dentro dietro le collaborazioni c’è lavoro dipendente mascherato. 
Quando c’è stato l’ultimo incontro tra la Nidil Cgil e Italia Lavoro? Lunedi 15 ottobre: noi abbiamo continuato a chiedere che l’azienda si ponga il problema della stabilizzazione dei rapporti di lavoro e che chiarisca effettivamente cosa è una collaborazione e cosa non lo è. L'azienda si è detta disponibile a ridiscutere, compatibilmente con i vincoli di spesa, quanto previsto dalla legge Fornero. Verificheremo nelle prossime settimane se, effettivamente, Italia Lavoro muterà i suoi comportamenti. Marianna Lepore Per saperne di più su questo argomento leggi anche:- Italia Lavoro aiuta i cittadini a trovare un impiego ma lascia a casa i suoi collaboratori- Il regalo alle agenzie interinali nell'attivazione degli stage Les4 di Italia Lavoro- Tirocini Les4 di Italia Lavoro, in Puglia nessuno sembra conoscerli. A parte l'agenzia Obiettivo Lavoro e anche:- Quel pasticciaccio brutto dei due Les4 omonimi: perchè Italia Lavoro non chiarisce la posizione delle agenzie interinali nell'attivazione dei suoi tirocini?

Maternità precaria: per avere un sussidio meglio essere ragazza madre

«Perché la maternità, per una lavoratrice precaria, è come una malattia», con queste parole Martina Proietti,  giovane reporter che nel 2011 ha vinto il premio Ilaria Alpi con il reportage Maternità precaria, spiega la sua scelta di approfondire questo spinoso argomento in un video. Il premio ha regalato a Martina notorietà nel mondo del giornalismo: «Ho ottenuto tanta pubblicità e l'inizio, per una sconosciuta come me, di una specie di carriera avendo avuto modo di farlo vedere a molti giornalisti».Martina Proietti ha 28 anni è romana e oggi è inviata del programma L'ultima Parola di Rai2. Maternità precaria non è il suo unico reportage: quest’anno ha infatti scritto e girato anche Emergenza Casa andato in onda su canale 118 RadioRadicale tv .«Nel 2010, nel paese del Family Day, gli sportelli Politiche della famiglia consigliano alle ragazze in dolce attesa di non far riconoscere il proprio figlio al compagno, perché solo così potranno ottenere più punti nelle graduatorie per gli asili nido e per gli aiuti economici, questo è il succo di Maternità precaria», denuncia Martina.Uno spaccato sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle donne incinte e sulla mancanza di garanzie e welfare per le mamme precarie. Un'investigazione in due puntate attraverso le esperienze di donne di età compresa tra i 25 e i 38 anni, felici per l'arrivo di un bimbo ma estremamente fragili dal punto di vista professionale, in dolce attesa ma con contratti di lavoro a progetto, in nero o vittime di licenziamenti senza preavviso. Giovani future madri alle prese con una società, quella italiana, dove la spesa a favore delle politiche del welfare sfiora appena l'1,2% del Pil, contro una media europea del 2,4% (dossier Mamme nella Crisi di Save the children, 18 settembre 2012). In Italia, infatti, a livello nazionale esiste solo il “Fondo nuovi nati”, una sorta di prestito con garanzia statale, pari a 5mila euro che lo Stato eroga alle famiglie con tasso agevolato. Soldi che devono chiaramente essere restituiti. «La prima realtà sconvolgente l’ho riscontrata parlando con Regina, una delle protagoniste della mia inchiesta. Regina ha 29 anni, lavora come assistente nel sociale, specializzata nel seguire ragazzi autistici. Per le assistenti come lei ci sono contratti a progetto o prestazioni occasionali. Quando rimane incinta il suo datore di lavoro le dice che "è troppo incinta, la sua pancia è troppo grande" e non la riconferma. E allo sportello delle politiche familiari del comune di Roma le hanno detto che era difficilissimo ottenere sussidi e le hanno consigliato vivamente di non far riconoscere il bambino dal compagno così da ottenere i fondi statali per ragazze madri».Quindi l’Inps alle precarie come Regina non assicura un sostegno economico in caso di maternità?No, in teoria l’indennità c’è anche per le precarie che abbiano versato contributi di almeno tre mesi nell’anno precedente la gravidanza. La realtà dei fatti è che poi i requisiti richiesti sono così restrittivi che sono pochissime quelle che effettivamente la ricevono.Esistono delle alternative all’Inps?Sì, bisogna rivolgersi ai comuni e capire cosa garantiscono in caso di maternità alle precarie. Qui il problema è duplice: in primis quasi tutti i comuni offrono indennità ridicole, a Roma, per esempio, nel 2010 era 300 euro al mese per cinque mesi; in secondo luogo il primo requisito per riceverla è quasi sempre essere disoccupate.Tutti i comuni le garantiscono?Non è detto, dipende se hanno i fondi e se decidono di stanziarne a questo scopo. Spesso nei comuni più piccoli si può ottenere di più che in quelli più grandi, dove la richiesta è maggiore.Esistono associazioni che assicurano forme sostitutive di indennizzo e sistemi di welfare per mamme precarie?Sì, in particolare nelle grandi città. Io per esempio ho intervistato Vita di donna. Non garantiscono soldi perché non ne hanno neanche loro ma tutela legale, appoggio e informazioni utili. Purtroppo non basta. Ma molte mamme precarie desistono sia dal cercare di ottenere qualcosa dagli enti pubblici o dall’Inps sia dal rivolgersi a loro.Perché?Chi ha una famiglia alle spalle si appoggia a quella. Ed è vergognoso che ad oggi ci siano persone di 38 anni come Sabrina, che ho intervistato, che non possono permettersi un figlio se non con l’aiuto della famiglia d’origine. Lei era curatrice d’arte: niente contratti, solo collaborazioni occasionali. Un disastro. Ha deciso di non rinunciare alla gravidanza grazie all’aiuto di genitori e suoceri: ormai i nonni sono il welfare che lo stato non garantisce.Insomma i nonni sono il welfare e la maternità una malattia, come è possibile in un Paese dell’Unione Europea, nel 2012?Negli stati moderni la maternità dovrebbe avere un ruolo sociale, invece le mamme che ho intervistato mi hanno assicurato che aspettare un bambino è come essere malati. Si rischia di perdere il lavoro o se il contratto scade di non trovarlo più. Ma la cosa sconvolgente è che la maternità è considerata una malattia anche formalmente, per legge. Nel bilancio di stato, infatti, i costi per la maternità fanno parte di quelli per malattie e disabilità.Ha intervistato anche donne che hanno effettivamente perso il lavoro a causa della gravidanza?Sì, Elena è stata licenziata all’ottavo mese di gravidanza per cessione attività. Peccato che lo studio nel quale lavorava sia ancora aperto. E lei invece il lavoro non ce l’ha più.Il suo reportage risale a due anni fa, cos’è cambiato oggi?Nulla. Nel ddl Fornero si individuano delle buone linee guida: congedo parentale, revisione dell'articolo sul fenomeno delle dimissioni in bianco. Tutte cose che comunque erano già previste dalla legge 188 del 2007, poi abrogata.  Mi aspettavo che la riforma Fornero dedicasse un capitolo a questo tema e invece non l’ha affrontato. Sicuramente le cose si stanno muovendo in una direzione di più attenzione per il lavoro e per il lavoro femminile di conciliazione e diritti.  Ma il problema serio è comunque a monte. Si tratta di regolarizzare la situazione dei contratti atipici - cococo, cocopro -  e questo vale per tutti, soprattutto per le donne perché un paese che pensa alle donne pensa anche al futuro. Tali contratti non godono di alcuna tutela. E comunque anche se andiamo in una direzione giusta con il ddl Fornero,  siamo molto lontani dalle politiche del welfare europeo.Giulia CimpanelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Indennità di maternità per le precarie, quanto danno le casse previdenziali dei professionisti- Ma le lavoratrici precarie hanno diritto all'assegno di maternità?- Inps: la dura legge dell'indennità di maternità alle lavoratrici precarie  

Rimborso spese al «netto» o al «lordo»? Come funziona la trattenuta Irpef per gli stagisti

A luglio di quest’anno il comune di Napoli ha finalmente pagato il rimborso spese agli stagisti del programma Tirocini formativi per l’occupazione 2010-2011. La Repubblica degli Stagisti da tempo seguiva la vicenda di questi 49 ex tirocinanti che, secondo bando, avrebbero dovuto ricevere 2mila euro per i cinque mesi di training on the job passati negli uffici comunali. E che per ottenere quel che gli spettava hanno dovuto pazientare oltre un anno. Tutto è bene quel che finisce bene? Non proprio. Perché è sopraggiunto un altro problema: come segnalato sul forum della RdS, il rimborso spese è stato tassato al 23% e quindi i ragazzi hanno ricevuto solo 1540 euro nonostante molti di loro fossero privi di altri redditi, e dunque pienamente nella "no tax area". La Repubblica degli Stagisti ha quindi contattato l’Agenzia delle entrate  per capire se la procedura applicata, non solo a questo tirocinio ma a molti altri, è giusta. Purtroppo non è stato possibile parlare direttamente con un funzionario: l'intervista che segue dunque è il risultato dei quesiti inviati all'ufficio stampa, che a sua volta li ha girati internamente per ottenere risposte, e della rielaborazione di queste risposte con integrazioni scaturite da successive richieste di chiarimento, sempre mediate dalla portavoce Antonella Gorret. Una modalità di approfondimento giornalistico non proprio ottimale: ma il risultato contiene comunque informazioni rilevanti per tutti coloro che fanno o faranno uno stage, percependo un emolumento, e che sono interessati a capire come esso funziona dal punto di vista fiscale.   Innanzi tutto qual è la soglia limite di reddito sotto la quale non c’è la trattenuta Irpef?In linea generale, in mancanza di altri redditi, non è dovuta l’Irpef sui redditi da lavoro dipendente e assimilato, tra cui le borse di studio, qualora non si superi la soglia di 8mila euro: quel che si dice la "no tax area". Poiché un datore di lavoro non può sapere se il contribuente ha altri redditi, il sostituto d’imposta è tenuto a operare e a versare le ritenute a titolo di acconto dell’Irpef dovuta. La ritenuta è calcolata applicando l’aliquota più bassa, il 23%, qualora la retribuzione annua non superi 15mila euro e tenendo conto delle previste detrazioni per lavoro dipendente.Partiamo da un caso specifico: alcuni ex tirocinanti del Comune di Napoli hanno ricevuto – peraltro con un anno e mezzo di ritardo – un rimborso spese decurtato del 23% per ritenute Irpef, per un tirocinio per il quale era prevista una indennità forfettaria di 2mila euro, malgrado molti di questi ex stagisti fossero neolaureati, quindi senza reddito. Il Comune si è comportato in maniera corretta? Allora: all'interno del territorio comunale indennità e rimborsi spese sono tassabili per intero . Il trattamento fiscale delle trasferte invece è il seguente: il rimborso forfettario è imponibile solo per la parte eccedente 46,48 euro, al netto delle spese di viaggio e trasporto e il limite è ridotto di un terzo o due terzi se alloggio e vitto sono forniti gratuitamente; il rimborso analitico, quindi delle spese di viaggio, trasporto, vitto e alloggio documentate, non è imponibile. Il datore di lavoro dovrebbe applicare le ritenute solo se gli emolumenti sono imponibili, mentre, in caso di “rimborso spese” non imponibili, le ritenute non andrebbero proprio fatte. In quest’ultimo caso, datore di lavoro che per errore applica le ritenute, in presenza di soli redditi esenti, per il recupero delle ritenute erroneamente subite si deve necessariamente presentare istanza cartacea di rimborso all'Agenzia delle Entrate.Ma nella terminologia ormai comunemente usata il rimborso forfettario è usato come sinonimo di “compenso”, “emolumento”, “indennità” e i commercialisti sostengono che a livello fiscale esso sia assimilabile a una borsa di studio/lavoro. Mentre dalla risposta sembrerebbe quasi che il rimborso forfettario sia un ibrido tra il rimborso a piè di lista e la borsa di studio, indicata nella riforma Fornero come "indennità". È così? Esistono quindi tre tipi di rimborsi e tre comportamenti diversi da attuare?È vero, nel linguaggio comune spesso si parla di “rimborso spese” anche in presenza di “borsa di studio/lavoro”, utilizzando le due espressioni per identificare il medesimo fenomeno. I rimborsi in senso stretto, invece, danno luogo a diversi trattamenti fiscali: per le trasferte nel territorio comunale l’indennità e i rimborsi spese sono tassabili per intero, salvo i rimborsi per le spese di trasporto documentate, come ricevute di taxi e biglietti di autobus; per le trasferte fuori dal territorio comunale è necessario operare un’altra distinzione tra il rimborso forfettario e il rimborso analitico o a piè di lista. Come si spiega la differenza tra lordo e netto, e in particolare, che molte aziende private effettuando i calcoli corrispondano ai propri stagisti un rimborso mensile forfettario netto pari al lordo, poiché già sanno con ragionevole certezza che lo stagista si terrà sotto il limite della "no tax area" rispetto al reddito, mentre le amministrazioni pubbliche decurtano anche le indennità più basse, pur sapendo che al 99,9% i beneficiari non supereranno il limite e dunque andranno a credito?Premesso che normativamente non vi sono, sul punto, diversità di trattamento tra aziende private e amministrazioni pubbliche, non è da escludere che taluni soggetti applichino erroneamente la normativa tributaria, conteggiando le ritenute anche quando non dovrebbero. Come vengono gestiti i rimborsi dell’Irpef destinati ai tirocinanti? E cosa si deve fare per ottenere il riaccredito delle somme erroneamente detratte?I rimborsi Irpef destinati ai tirocinanti non vengono, né potrebbero, essere gestiti con modalità diverse rispetto a quelle previste per la generalità dei contribuenti. Il rimborso può essere richiesto presentando il modello 730, l'Unico o con un’istanza cartacea all’Agenzia delle Entrate. Il modello 730 è il modo più semplice e veloce, ma è riservato solo a chi ha un reddito imponibile di lavoro dipendente o assimilato. Si presenta al datore di lavoro entro il 30 aprile o al CAF o a un professionista abilitato, entro il 31 maggio. Nel caso in cui non esista un datore di lavoro, in presenza di altri redditi tassabili, occorre presentare il modello Unico. Si può utilizzare il modello reso disponibile gratuitamente sul sito dell’Agenzia oppure utilizzare software e pubblicazioni in commercio. Deve essere trasmesso telematicamente all’Agenzia delle Entrate, entro il 30 settembre, direttamente dal contribuente o avvalendosi d’intermediari abilitati, professionisti o CAF. Entro l’anno successivo, l’Agenzia delle Entrate esegue il controllo automatizzato delle dichiarazioni e se le somme non eccedono un certo limite d’importo, dispone automaticamente il rimborso a favore del contribuente. Se, invece, l’importo del rimborso supera i 5mila euro, la richiesta di rimborso viene controllata dalle strutture territoriali dell’Agenzia.Per chi non abbia reddito, perché ancora in cerca di lavoro, c’è un modo per recuperare le trattenute Irpef che non erano dovute?L’unico modo è presentare una domanda cartacea all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente, in base alla propria residenza. La domanda, in carta semplice, va presentata entro 48 mesi dalla data in cui sono state subite. Non serve un modello specifico, ma è necessario spiegare con precisione i motivi della domanda e quantificare il rimborso richiesto. È utile allegare i documenti che dimostrano la bontà delle ragioni esposte nella domanda stessa. Il rimborso può essere erogato in tre modi: attraverso accredito sul conto corrente, ma il contribuente deve fornire in tempo utile all’Agenzia delle Entrate le proprie coordinate IBAN; in contanti presso gli uffici postali nel caso in cui il contribuente non fornisca le coordinate bancarie e il rimborso sia inferiore a mille euro; con un vaglia cambiario spedito dalla Banca d’Italia con una raccomandata nel caso in cui il rimborso sia pari o superiore a mille euro. Perché deve essere il richiedente a quantificare il rimborso? È danneggiato, in quanto ha subito una trattenuta maggiore del dovuto: non sarebbe corretto che fosse l’Agenzia delle Entrate, che ha i dati dei redditi di ciascuno, a quantificare la somma evitando che il richiedente sbagli i calcoli o si scoraggi e non richieda quanto gli spetta? I rimborsi tributari sono disciplinati specificamente dalle singole normative delle diverse imposte, che regolano le modalità e i termini per le procedure di rimborso. Nel nostro sistema tributario, di norma, è il creditore d’imposta-soggetto passivo a dover attivare, entro termini decadenziali, la procedura di rimborso, specificando l’importo richiesto. In tali ipotesi l’Agenzia non può procedere d’ufficio, di propria iniziativa.Quali sono in media i tempi di recupero della somma versata?Molto brevi se si usa il modello 730, se ci sono i presupposti. Le altre due modalità, modello Unico o istanza all’ufficio, richiedono tempi più lunghi, anche se negli ultimi anni siamo riusciti a ridurli: ora bisogna aspettare al massimo un anno e mezzo, necessario per verificare che effettivamente il rimborso sia dovuto. Si tratta di soldi pubblici per cui va prestata la massima attenzione. Ma per evitare a monte tutti questi problemi, un giovane che inizi uno stage non potrebbe fare un'autocertificazione al suo datore di lavoro attestando di non aver percepito altri redditi nei mesi precedenti e di non prevedere di averne fino alla fine dell'anno?No, la normativa non prevede tale possibilità.Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento leggi anche:- L'Anci giovane: «Ci occuperemo degli ex stagisti del Comune di Napoli» - Sindaco De Magistris, perché non risponde alle domande sugli stage al Comune di Napoli?- Comune di Napoli, l'assessore: «I soldi per gli stagisti dell'ano scorso non ci sono»e anche:- Stage al Comune di Napoli, ottimo per Carmine e pessimo per Assia: storie a confronto - Medici specializzandi, allarme rientrato: sparisce l'emendamento sull'Irpef per le borse di studio