Anna Colosio: la mia storia da stagista a (quasi) stilista, passando per agenzie di comunicazione e uffici stampa

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 30 Dic 2009 in Storie

Sono nata a Iseo nel 1983. Dopo il diploma al liceo scientifico ho capito che matematica e fisica non facevano per me: per l'università ho scelto la facoltà di Relazioni pubbliche e pubblicità dello Iulm di Milano. Sei mesi prima di laurearmi ho fatto la mia prima esperienza di stage in un'agenzia di comunicazione milanese. Lì ho imparato tanto: ho seguito le attività di comunicazione dei clienti dell’agenzia tra cui Agatha Ruiz de La Prada, Bric’s, Brema, Sergio Tacchini – ho imparato a scrivere comunicati stampa istituzionali e "di prodotto", mi sono rapportata con giornalisti e stylist per i servizi fotografici, ho svolto attività di pubbliche relazioni durante fiere, sfilate, presentazioni ed eventi speciali; ho preso parte alla gestione dello show-room… Questo stage non prevedeva un rimborso spese, ma ricevevo qualche volta dei "premi", il più delle volte abiti dei clienti dell'agenzia. Finito lo stage, mi è capitato di collaborare e in questo caso sono stata pagata. La cosa più importante di questa esperienza è che ho incontrato il pensiero di Agatha Ruiz De la Prada, designer spagnola, che mi ha conquistata con il suo stile pop, vivace e colorato. Così mi sono avvicinata ai fashion studies, studiandone l’approccio metodologico e sociologico, animata dalla passione per la moda.
A marzo 2005, appena dopo la laurea, ho fatto un corso "breve ma intenso" in Ricerca di tendenze al Polimoda di Firenze: tre mesi, con frequenza settimanale, in cui ho investito 1500 euro. Alla fine del corso sono partita per Londra e ho fatto un altro stage gratuito di tre mesi nell'ufficio marketing e merchandising della Vivienne Westwood. Anche qui ho imparato molto, scoprendo le dinamiche che muovono un’azienda di moda: ho svolto ricerche sui concorrenti, ricerche di marketing, analisi delle tendenze, report di marketing, analisi di vendita. Come nel primo stage, anche a Londra ho trovato un ambiente lavorativo molto accogliente e cordiale all’interno del quale non mi sono mai sentita «una stagista», ma una parte del team.
Nel 2006, rientrata all'ovile, mi sono messa alla ricerca di un lavoro. Purtroppo mi sono scontrata con un panorama desolato e desolante, nel quale pareva impossibile trovare qualche proposta accettabile. I profili ricercati erano quasi inumani… Della serie "cercasi persona giovane e dinamica, plurimasterizzata con anni di esperienza nel settore"! Sconsolata, ho iniziato malvolentieri una terza esperienza di stage, in un’agenzia di comunicazione bresciana che per i primi tre mesi mi ha dato un rimborso spese di 250 euro al mese, lievitati a 400 euro al mese per i successivi tre. Lo stage si è poi trasformato in un contratto a progetto più volte rinnovato: lo stipendio per il primo anno era di 700 euro al mese, poi ho avuto un "aumento" a 900 euro al mese.
Nel frattempo però sentivo un’urgenza: comunicare me stessa, le mie opinioni su temi particolari, la mia passione per la moda e per l’arte. Così a settembre del 2008 mi sono inventata “Moda tra arte e patologia dell’essere”, una performance artistica contro l’anoressia [nell'immagine, un momento dell'evento, alla stazione centrale di Milano] attraverso cui sono riuscita a esprimere il modo di pensare e di essere. Era una sfilata in cui le modelle indossavano vestiti disegnati da me.
A settembre 2009 ho continuato su questa strada partecipando a «DRESSED UP, a critical fashion show», una collettiva di giovani designer accomunati da un'idea: proporre un’alternativa alla moda tradizionale. Una rottura che si muove in direzione critica e non antagonista, mirata a veicolare un’estetica sensibile e basata sulla persona. Lì ho presentato con il nome d’arte Nina co la mia «Collezione Zero – Sperimentazioni». Quest'attività continua: penso e progetto gli abiti che realizzo con l'aiuto di piccoli laboratori artigianali. Non avendo una formazione accademica di questo tipo alle spalle, non me la sento di autodefinirmi "stilista" a tutti gli effetti: mi sto formando sul campo, cercando di specializzarmi al meglio, consapevole che il lavoro è duro e non è affatto semplice... però ci metto il massimo dell'entusiasmo e dell'impegno! Parallelamente continuo a svolgere il lavoro di addetta stampa, seguendo progetti di comunicazione in maniera autonoma con contratti da freelance. Da gennaio a luglio di quest'anno ho frequentato anche un corso serale in Fashion marketing allo Ied di Milano. Il costo di questo corso, che mi impegnava per tre sere a settimana, era di 3mila euro: ma li considero ben spesi perchè  l'offerta formativa era validissima, molto ben strutturata sia dal punto di vista teorico che pratico.
Oggi vivo a Iseo, in un appartamento che mi hanno regalato i miei e collocato esattamente tra il loro e quello di mia sorella e suo marito
quindi, praticamente, è come se abitassi ancora con loro! Una situazione infelice e frustrante da un lato, ma dall'altro lato comoda e non scontata. Faccio il possibile per cavarmela da sola, ma probabilmente senza i miei in questo momento non riuscirei a fare quello che vorrei: per raggiungere la completa autonomia sarà necessario stringere ancora per un po' i denti e fare sacrifici. Mi piacerebbe continuare a lavorare nei settori moda-arte-comunicazione, li trovo stimolanti e gratificanti. L’aspirazione è quella di riuscire a mantenermi grazie ai miei pensieri e ad un lavoro svolto in maniera autonoma e indipendente. Sono ottimista riguardo al futuro, anche se il panorama non è più così positivo rispetto a quello che speravo di incontrare uscendo dall’università. Andare all'estero? A volte sono tentata: lì ci sono più prospettive, maggiori incentivi e sostegni ai giovani, più meritocrazia.
In Italia invece abbiamo… gli stage! Che troppo spesso non offrono concrete possibilità di crescita: gli stagisti vengono usati da tante aziende come rimpiazzi temporanei di personale. In queste condizioni, come si può pensare ad un futuro stabile e concreto? E qui subentrano naturalmente frustrazione e insoddisfazione: nella moda sono davvero tanti i ragazzi che si trovano a dover affrontare questa situazione. Il mio consiglio ai più giovani che vogliono entrare in questo settore è quello di affiancare al percorso universitario qualche esperienza operativa, per capire il prima possibile il funzionamento concreto di certi ruoli
e non trovarsi poi disorientati o scontenti.

Testimonianza raccolta da Eleonora Voltolina

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