Categoria: Editoriali

Tirocini e rischio abusi, come rendere più forti i giovani sul mercato del lavoro? L'audizione di Eleonora Voltolina al Senato

Questo il testo dell'audizione di ieri, giovedì 10 marzo, di fronte alla 11ª Commissione permanente (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato della Repubblica nell'ambito della Indagine conoscitiva sui canali di ingresso nel mondo del lavoro e sulla formazione professionale dei giovani: stage, tirocinio e apprendistatoRingrazio molto per l'invito. Il mercato del lavoro è molto ostico per i giovani italiani – qui non dico niente che voi non sappiate già, altrimenti la vostra Commissione non avrebbe avviato questa indagine conoscitiva. Porto quindi alla vostra attenzione alcuni fatti e dati in modo che possiate avere un quadro il quanto più possibile accurato delle urgenze.Io dirigo una testata giornalistica online, che ho fondato ormai una quindicina di anni fa proprio per aiutare i giovani nel delicato momento di passaggio dalla formazione al lavoro. La testata si chiama Repubblicadeglistagisti.it, un gioco di parole con l’articolo 1 della nostra Costituzione. Quando ho aperto la testata ho pensato che fosse molto efficace questo titolo, perché lo stage si stava stagliando sempre più come una sorta di passaggio obbligato per entrare nel mondo del lavoro. In effetti il numero dei tirocini extracurriculari in meno di un decennio è praticamente raddoppiato. Nel 2012 erano stati attivati 185mila tirocini extracurriculari, nel 2019 – ultimo anno prima del Covid – le attivazioni sono state 356mila. Peraltro questo enorme incremento nel numero dei tirocini è avvenuto proprio negli stessi anni in cui, anche grazie al lavoro della mia testata Repubblica degli Stagisti e all’attenzione di alcuni politici sia a livello regionale sia a livello nazionale, si è ottenuto finalmente un quadro normativo più tutelante e oggi abbiamo normative regionali che offrono un quadro di diritti e doveri abbastanza chiaro per i tirocinanti extracurriculari. Fortunatamente per questo tipo di tirocini è stata debellata la gratuità perché appunto la Regioni hanno introdotto delle indennità mensili obbligatorie minime – il che è stato sicuramente molto importante per i giovani tirocinanti. Dico questo en passant per sottolineare che prevedere una indennità minima per i tirocini non vuol dire assolutamente diminuire il numero delle opportunità di tirocinio!Sarebbe però da parte mia spericolato dire che la situazione dei tirocini è oggi buona.Innanzitutto perché i tirocini sono ancora troppi. La loro crescita è stata sproporzionata, soprattutto perché in molti casi sono usati per sostituire lavoro dipendente, per mansioni troppo semplici per giustificare lunghi periodi di formazione. Ci troviamo di fronte spesso a tirocini di 3 o addirittura 6 mesi – talvolta finanziati addirittura con soldi pubblici, per esempio attraverso Garanzia Giovani! – per imparare a fare i cassieri al supermercato, i commessi nei negozi, i baristi: tutte competenze che potrebbero essere acquisite in tempi molto brevi, e per le quali sarebbe più corretto assumere del personale con contratto di lavoro subordinato. Quindi il tirocinio in Italia oggi ha questo grande primo problema di essere una scorciatoia molto vantaggiosa per chi vuole qualcuno che lavori ma senza essere disponibile a fargli un contratto di lavoro serio e a dargli una retribuzione adeguata e versare i contributi previdenziali. Ed è vero che è un concorrente sleale degli altri contratti di lavoro, primo tra tutti l'apprendistato. Per questo è anche grave che, dopo aver messo nel 2018 e nel 2019 i tirocini tra gli “ambiti principali di intervento per l’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro”, il ministero del Lavoro a partire dal 2020 li abbia fatti scomparire da tali ambiti principali di intervento. C'è davvero bisogno di più controlli per assicurarci che gli stage non vengano utilizzati per sfruttare i giovani.Però c'è anche il rischio di passare da un estremo all'altro. Ora nella legge di Bilancio il governo ha tracciato una linea quasi “estrema”, che le Regioni saranno chiamate a seguire... o che potrebbero anche ignorare, a dire il vero. L'articolo 721 della legge di Bilancio ha indicato come primo tra i criteri sulla base dei quali dovrebbero basarsi le Regioni per ridurre il raggio d'azione dei tirocini (cioè, in sostanza, diminuirne il numero) quello di limitare i tirocini ai soli «soggetti con difficoltà di inclusione sociale». Ma se davvero si restringesse l'utilizzo dello strumento dello stage a queste categorie, il numero di tirocini extracurricolari si ridurrebbe drasticamente: a spanne oltre il 90% sparirebbe, perché a oggi solo una piccolissima percentuale di stage extracurricolari riguarda appunto quei soggetti svantaggiati lì – che sono soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, condannati ammessi a misure alternative di detenzione, ex detenuti, rifugiati, richiedenti asilo. Diverso sarebbe il caso se si includessero tra i soggetti in difficoltà anche i disoccupati di lungo periodo: ma questa sarebbe una interpretazione molto molto “larga” della definizione. Oppure chiaramente le Regioni potrebbero accordarsi per ridurre in altre maniere il raggio d'azione dei tirocini. Il punto è non solo se sia utile oppure estremo – e dunque controproducente – farlo. È anche capire se le Regioni vogliono veramente farlo. Vi sono Regioni che hanno impostato praticamente tutte le loro politiche attive del lavoro sullo strumento del tirocinio, anche se a ben guardare esso non ha una efficacia elevatissima in termini di inserimento nel mondo del lavoro: solo più o meno il 30% di chi fa tirocini extracurricolari, secondo i pochi e tardivi dati resi pubblici dal ministero, si trasforma in assunzione. Peraltro questo strumento viene usato molto anche per persone adulte o addirittura quasi anziane: basti pensare che in otto anni, tra il 2012 e il 2019, il numero di  persone tra 35 e 54 anni coinvolte in esperienze di tirocinio extracurricolare è quasi raddoppiato, passando da poco meno di 26mila a poco meno di 49mila. E il numero di persone di oltre 55 anni è più che triplicato, da poco più di 3mila a quasi 10mila all'anno.Teoricamente la decisione andrebbe presa al tavolo della Conferenza Stato-Regioni entro giugno: staremo a vedere se la Conferenza agirà in maniera tempestiva... o anche proprio solo se agirà, e con quale aderenza alle “richieste” del governo.Il secondo grande problema che riguarda i tirocini è che solo una parte di essi ad oggi può godere di una buona normativa tutelante e aggiornata. Sono quelli di cui ho parlato finora, i tirocini “extracurriculari”, cioè quelli svolti quando una persona non è impegnata in un percorso formativo. Questi tirocini hanno una competenza normativa regionale, quindi ad oggi esistono 21 normative diverse. C’è però un altro enorme sottoinsieme di tirocini: si tratta di quelli “curriculari”, quelli svolti mentre si studia – il caso più frequente è quello dei tirocini fatti da studenti universitari o da studenti di master o di corsi professionalizzanti. In questo caso siamo siamo di fronte ad un problema molto grave: la normativa di riferimento per questo tipo di tirocini, di competenza statale, ha un quarto di secolo, ed è totalmente inadeguata a normare la situazione dei tirocinanti di oggi.Questa normativa, che risale appunto al 1998, non prevede l’obbligo di erogare un’indennità per i tirocinanti, il che crea ovviamente una situazione di iniquità e molto spesso si trasforma in una barriera che impedisce ai giovani meno abbienti di poter accedere alle opportunità formative prive di compenso. Per fortuna ho anche delle buone notizie: i vostri colleghi delle commissioni Lavoro e Cultura-Istruzione della Camera hanno finalmente cominciato proprio poche settimane fa l’esame di una proposta di legge che già era stata presentata tre anni fa e che però era rimasta purtroppo in un cassetto per tutto questo tempo, però meno male – è stata appena ritirata fuori dal cassetto. Si tratta della proposta di legge AC1063, a prima firma Massimo Ungaro, che si propone di riordinare il quadro normativo dei tirocini curricolari dando finalmente anche a questi tirocinanti dei diritti, a cominciare da un minimo di indennità. Questa proposta presto arriverà anche qui in esame da voi, e – mi raccomando! – mi auguro che diventerà legge dello Stato prima della fine della legislatura.Il problema principale dei tirocini curricolari è anche che sono un buco nero: non se ne conosce il numero, non se ne conoscono gli esiti, non se ne conosce nulla perché sventatamente il ministero del Lavoro qualche anno fa fece la scelta di esonerare questo tipo di tirocini dall’obbligo della comunicazione obbligatoria. Motivo per il quale sia la proposta di legge Ungaro sia un’altra proposta di legge sui tirocini curricolari che è attualmente in esame propongono di ripristinare l’obbligo di comunicazione obbligatoria anche per i curricolari. Cosa che sarebbe fondamentale per avere dei dati certi sul numero e i dettagli dei tirocini curricolari che ogni anno vengono attivati in Italia. Noi come Repubblica degli Stagisti stimiamo che siano all’incirca 150-200mila, ma si tratta veramente solamente di una stima.Non posso non menzionare, e mi avvio alla conclusione, il grande problema dei Neet. Noi in Italia abbiamo il tasso più alto di giovani che non studiano e non lavorano, i cosiddetti “not in education nor in employment or training”. In Italia alla fine del 2020 nella fascia tra i 15 e i 34 anni erano oltre 3 milioni, di cui 1,7 donne: abbiamo il più alto numero di Neet di tutti i Paesi dell'UE. Una situazione ovviamente aggravata dalla pandemia, che secondo i dati del Rapporto Giovani ha fatto aumentare gli inattivi di altri due punti percentuali. E' una enormità.Un grande tema a monte di tutto quello che è stato detto finora sta nel mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Qui il grande tema è quello dell’orientamento. Per questo, quando l’anno scorso sono stata chiamata a formulare un parere sulla bozza di PNRR, ho tenuto a specificare quanto fosse importante che ingenti fondi venissero finalmente messi sulla attività di orientamento a scuola – negli ultimi due anni delle scuole superiori ma anche all’ultimo anno delle scuole medie – e che questi fondi venissero utilizzati per portare delle persone qualificate a fare l’orientamento a scuola.Perché il rischio è quello che infatti purtroppo si sta anche verificando, che a fare orientamento siano chiamati i docenti delle scuole superiori o i professori universitari, questi ultimi nell’idea che vadano a far conoscere le facoltà in cui insegnano e possano quindi attirare nuovi iscrizioni.In realtà l’orientamento va fatto in tutt’altra maniera: va fatto da professionisti che conoscano a fondo il mercato del lavoro di oggi – e possibilmente anche di domani. Che possano fare i bilanci di competenze, che possano capire le attitudini e i talenti di ciascun giovane, le aspettative, in modo da poter delineare per ciascuno un percorso ad hoc. Che possano anche indicare quali sono le altre strade oltre all’università. Queste attività di orientamento a scuola sono molto frequenti in altri Paesi, specialmente nei paesi dove l’occupazione giovanile ha i dati migliori, e invece in Italia stentano a decollare. Per questo penso che una grande attenzione andrebbe posta proprio alla costruzione e al finanziamento di attività di questo tipo.C'è davvero bisogno di un cambio di passo rispetto alle politiche che riguardano i giovani. Le nuove generazioni hanno bisogno di avere ponti verso il mondo del lavoro, poter acquisire il prima possibile competenze di qualità, e poter avviare il proprio cammino verso il lavoro attraverso strumenti che rispettino dei principi base di equità, quindi qualità formativa, sostenibilità economica, e non strumenti che li mettano alla mercé di chi vuole risparmiare sul costo del lavoro. Rendere più forti i nostri giovani nel mercato del lavoro, permettere che abbiano accesso a condizioni contrattuali e retributive dignitose, è l'unica strategia per riportare il Paese a crescere, a essere attrattivo, a fermare l'emorragia di fughe verso l'estero, e dare la possibilità che le giovani generazioni possano esprimere appieno il loro potenziale.

Urgente e indispensabile la nuova legge sui curricolari, l'audizione di Eleonora Voltolina alla Camera dei deputati

Questo il testo dell'audizione di ieri, martedì 11 gennaio, di fronte alle Commissioni riunite VII (Cultura) e XI (Lavoro) della Camera dei deputati nell'ambito dell'esame delle proposte di legge  C. 1063 Ungaro e C. 2202 De Lorenzo (disposizioni in materia di tirocinio curricolare).Vi ringrazio per l'invito, ringrazio in particolare l'on. Massimo Ungaro, e sono lieta di poter venire a dare il mio contributo. Comincio dicendo che è ora e tempo che un nuovo quadro normativo sui tirocini curricolari venga delineato, perché quello attualmente vigente è vecchio di un quarto di secolo: il decreto ministeriale 142/1998, ormai incapace di rispondere alle contingenze degli stagisti curricolari di oggi.Una normativa che per giunta era stata pensata per normare extracurricolari e curricolari insieme! Perché all'epoca non esisteva la differenza. E dunque, quando le Regioni hanno visto riconosciuta dalla Corte costituzionale la loro competenza esclusiva in materia di stage extracurricolari, e hanno cominciato a legiferare di conseguenza, hanno sostituito le loro leggi al decreto 142/1998... senza che però esso sia stato mai abrogato. È rimasto lì, svuotato di metà del suo senso, valido ormai solo per i curricolari, e con alcune disposizioni (come per esempio la proporzione 1 a 10 tra numero di stagisti e numero di dipendenti) oggettivamente non più applicabili.Dunque il mio primo messaggio oggi è: sì, una nuova legge serve urgentemente, per due ragioni principali. La prima è che gli stagisti curricolari sono tanti. E non sappiamo neanche quanti, con precisione, perché per una decisione avventata nel 2007 il ministero del lavoro decise di esonerare questo tipo di tirocini dall'incombenza delle comunicazioni obbligatorie, e dunque da allora non sappiamo nemmeno il numero preciso, non possiamo monitorarli.Io calcolo che siano un numero intorno ai 150mila, 200mila forse. Come emerso da un lavoro di mappatura che la Repubblica degli Stagisti ha realizzato su incarico di Cristina Tajani quando era assessora al Lavoro del Comune di Milano, solo l'università Cattolica di Milano nel 2017 ne aveva attivati 7mila, il Politecnico 5.500. E talvolta ci si imbatte in qualche altro dato; per esempio nel 2019 l'Alma Mater di Bologna dichiarava di aver attivato l'anno prima, dunque nel 2018, oltre 20mila tirocini curricolari. Ma la verità è che, appunto, a livello nazionale nemmeno sappiamo il numero preciso. E quel che non si può contare resta invisibile. Gli stagisti curricolari oggi sono letteralmente invisibili.Ed ecco una seconda ragione per cui vi sprono ad approvare questa nuova normativa. I tirocinanti curricolari non sono solo invisibili, sono anche senza diritti. Possono essere mandati a fare stage per tre, sei, perfino dodici mesi. Possono fare questi stage senza ricevere un euro, perché a differenza di quelli extracurricolari, per i quali ormai nove anni fa siamo riusciti a vincere la battaglia, i tirocini curricolari possono ancora essere completamente gratuiti. Legalmente. Possono essere mandati a fare stage in aziende in crisi, in cassa integrazione. Possono essere tanti, troppi, altro che la proporzione 1 a 10 che citavo prima, senza che vi siano sostanzialmente conseguenze.Gli stagisti curricolari italiani hanno bisogno di una legge che li tuteli. Che garantisca anche un riconoscimento economico per il tempo e l'impegno che dedicano allo stage, se tale stage supera una certa durata, “scavallando” quel tempo medio in cui lo stagista è effettivamente un peso, perché va addestrato e gli va spiegato tutto. E' dunque sacrosanto che questa proposta di legge Ungaro introduca finalmente una indennità obbligatoria per tutti gli stage di durata superiore a un mese. C'è bisogno di contrastare la brutta abitudine, diffusa per i curricolari così come lo era per gli extracurricolari, che prendendo uno stagista si possa disporre di manodopera o “cervellodopera” gratuita.La proposta di legge dice tante altre cose giuste, ne cito una. Dato che i tirocini curricolari sono svolti prevalentemente da studenti universitari, che mentre fanno il tirocinio devono comunque anche studiare, magari sostenere esami o scrivere la tesi. Quindi ha molto senso che una formula “part-time” possa essere richiesta dallo studente-stagista, e che non possa essere rifiutata .Ora, la prima cosa che vi diranno è che se si mettono troppi paletti, e in particolare il paletto dell'indennità obbligatoria, nessuno prenderà più stagisti. Le aziende, in particolare, chiuderanno le porte. Una decina di anni fa, quando attraverso le pagine della Repubblica degli Stagisti combattevamo – quasi da soli – la battaglia contro la gratuità dei tirocini, chi voleva contrastarci agitava questo stesso spauracchio. La primissima normativa che introdusse l'obbligo di indennità per i tirocinanti extracurricolari fu approvata dalla Regione Toscana nel 2012. L'anno successivo, nel 2013, la Conferenza Stato-Regioni emanò le prime Linee guida in materia di tirocini extracurricolari, includendo anche l'obbligo di indennità, e in base a queste linee guida tra il 2013 e il 2014 le Regioni promulgarono le proprie normative. Oggi per fortuna la possibilità di offrire tirocini extracurricolari senza compenso è illegale. L'importo minimo delle indennità fissato da ciascuna Regione varia dai 300 euro della Sicilia agli 800 del Lazio.Ora, nel 2012 erano stati attivati 185mila tirocini extracurricolari. Nel 2019, ultimo anno prima del Covid, le attivazioni sono state 356mila. Negli otto anni da che sono entrate in vigore le nuove normative, con più tutele per gli stagisti, i tirocini extracurricolari sono praticamente raddoppiati. 185mila, 356mila. Sono dati ufficiali del ministero del Lavoro.Un'altra cosa che vi diranno è che senza questi tirocini gli studenti non possono conseguire il titolo di studio. Ma molti dei tirocini curricolari possono già, in effetti, essere sostituiti da un esame del valore dello stesso numero di cfu. La pressione, l'angoscia di dover ottenere dei cfu, e di doverli ottenere per forza con uno stage, mette gli studenti e le stesse università in una malsana condizione di debolezza nei confronti dei potenziali soggetti ospitanti. Spingendoli, appunto, ad accettare qualsiasi condizione. Ebbene: anche no. Se necessario, che le università prevedano sempre una alternativa di esame in caso non si trovi un posto di tirocinio! Così lo studente non avrà rallentamenti sul corso dei suoi studi, né situazioni di “ricattabilità”. Senza per questo danneggiare le prospettive degli studenti: secondo l'ultima “Indagine sulla condizione occupazionale dei laureati” di Almalaurea chi ha svolto un curricolare ha solo il 12% di probabilità in più di essere occupato a un anno dal conseguimento del titolo rispetto a chi non l'ha fatto.Peraltro c'è una grande quantità di tirocini curricolari che dura precisamente 120 ore, cioè tre settimane, oppure 150 ore, tre settimane e mezzo. Secondo un vecchio Rapporto Almalaurea (“Profilo Laureati 2009”), il 26% dei tirocini curricolari ha una durata  “fino a 150 ore”.  È verosimile che ancora una quantità simile, dunque un quarto, dei tirocini curricolari duri intorno a 3 settimane. Secondo la proposta di legge in esame, per tirocini così brevi non ci sarebbe obbligo di indennità! Un altro dei cavalli di battaglia di chi non vuole dare diritti agli stagisti, in particolare un compenso monetario, è: “ma il guadagno è nella formazione”! Un discorso intriso di ipocrisia, perché non sta scritto da nessuna parte che non si possa avere formazione E contemporaneamente anche una indennità dignitosa. Un discorso miope e classista, che rifiuta di riconoscere che gli stage gratuiti sono sostenibili solo per chi ha famiglie abbienti alle spalle, e sono di fatto un blocco all'ascensore sociale.Una cosa che invece forse non vi diranno, e che vi dico io, è che le università sono drammaticamente sotto organico rispetto ai loro uffici tirocini. La stessa ricerca che citavo prima, effettuata dalla Repubblica degli Stagisti per il Comune di Milano, ha evidenziato che i principali career service universitari hanno un rapporto tra mole di lavoro relativa all’attivazione di tirocini e personale assunto decisamente sproporzionato. All'interno del Cosp, il Centro di servizio di ateneo per l'orientamento allo studio e alle professioni dell’università Statale di Milano, nel 2017 lavoravano solo cinque persone e quell'anno vennero attivati oltre 4mila stage: per ogni addetto, mediamente 850 tirocini. Se vogliamo aiutare le università a gestire al meglio i tirocini, non scegliamo la via più facile dove “semplificare” viene declinato come “non dare diritti agli stagisti, perché ogni diritto è più lavoro per noi”. Scegliamo la via giusta, destinando risorse alle università specificamente vincolate al personale degli uffici stage, perché possano assumere nuove risorse qualificate.In ultimo, vi chiedo di chiedervi: “cui prodest”? A chi giova che i tirocini curricolari continuino ad avere pochissime tutele e vincoli? A chi giova che gli studenti possano continuare a fare stage gratis? Se la risposta non è “i giovani”, allora vuol dire che qualcosa non va. E che quelle obiezioni che state sentendo servono solo a mantenere uno status quo che giova a qualcun altro. Non alle giovani generazioni.Eleonora Voltolina

Recovery Fund, agevolare i mutui non è la priorità per i giovani

Se si vogliono aiutare i giovani con i soldi del Recovery Fund sarà bene scegliere bene dove metterli, perché vadano a finanziare misure utili. Agevolare i mutui non è una misura utile.La casa di proprietà non è una priorità. Si tratta di una fissazione tutta italiana – in quasi tutti gli altri Paesi economicamente avanzati la quota di persone che vivono in affitto (anche per tutta la vita!) è molto più alta. E si tratta di una fissazione che fa più male che bene. Quale sarebbe il risultato di una misura per aiutare i giovani a farsi concedere un mutuo da un istituto di credito? Li incentiveremmo a indebitarsi per venti, trenta o addirittura quarant’anni per comprare una casa. Li bloccheremmo in un luogo da dove potrebbero volersi o doversi spostare, disincentivando la mobilità geografica (che non sempre, ma spesso va di pari passo anche con quella sociale). Li obbligheremmo a mendicare l’aiuto dei genitori per ogni spesa imprevista – perché quando sei proprietario, e non affittuario, se si rompe un tubo o c’è da rifare il tetto o bisogna cambiare l’ascensore sei tenuto a pagare, e a volte sono migliaia e migliaia di euro tutti insieme. E i salari – e i risparmi – degli under 30 non sono propriamente alti, in Italia, giusto?La parola “giovani” ricorre 109 volte nel PNRR, il Piano nazionale di resilienza e ripresa. Ma cosa ci sia davvero per loro è ancora tutto da vedere. L’analisi del Sole 24 Ore di qualche giorno fa, nell’articolo “Dagli asili alla formazione sul lavoro, dal Recovery almeno 50 miliardi per i giovani”, conteggiava che appunto un quinto dei miliardi del Fondo sarà (sarebbe) investito per misure direttamente a vantaggio di chi è nato, indicativamente, dal 1985 in poi. Oggi però i titoli dei giornali sono tutti sulla misura “per i giovani” che a dire il vero nel PNRR non viene neanche citata: le agevolazioni per i mutui. Mario Draghi nel suo discorso ha infatti annunciato che «I giovani beneficiano dalle misure per le infrastrutture sociali e le case popolari. E in un prossimo decreto, di imminente approvazione, sono previsti altre risorse per aiutare i giovani a contrarre un mutuo per acquistare una casa. Sarà possibile non pagare un anticipo, grazie all'introduzione di una garanzia statale». E dunque via con la sarabanda: “Arriva la garanzia: Giovani, casa senza anticipo” riassume Avvenire; “Piano di Draghi da 248 miliardi, Aiuti ai giovani per la prima casa” (Enzo Marro, Corriere della Sera), “Mutuo senza anticipo per l’acquisto della casa la mossa per i giovani” (Luca Cifoni su Il Messaggero).Musica per le orecchie degli italiani? Stando al documento dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico “OECD Affordable Housing Database” redatto dalla divisione Social Policy del direttorato Occupazione, Lavoro e Affari sociali e aggiornato al 2019, «il Cile, il Messico e molti Paesi dell’Europa meridionale hanno tassi relativamente alti di case di proprietà, che vanno dal 42% del Portogallo al 61% dell’Italia. In questi Paesi il mercato degli affitti ha cominciato a svilupparsi solo recentemente e le famiglie tradizionalmente hanno un forte ruolo nel facilitare l’acquisto di una casa, per esempio attraverso l’eredità o il supporto economico». Il tasso di cittadini proprietari di case in Italia è simile a quello di Grecia, Estonia e Slovenia; più Repubblica Ceca, Malta, Irlanda, Spagna e Portogallo, anche se in questi Paesi la percentuale di proprietari con mutuo ancora in essere è molto più alta della nostra. Norvegia e Danimarca, pur avendo una quota di cittadini proprietari simile a quella dell'Italia, hanno però una stragrande maggioranza di proprietari con mutuo (owner with mortgage, la barretta grigio chiaro nel grafico) rispetto a chi è già proprietario (own outright, la barretta blu).Appare drammaticamente chiaro come puntare sulla casa di proprietà non abbia alcun senso dall’ottica del miglioramento della qualità della vita e del rafforzamento dell’economia italiana. Praticamente tutti i Paesi con tassi simili o più alti dei nostri – Polonia, Lettonia, Ungheria, Slovacchia, Lituania, Bulgaria, Croazia e Romania – sono economicamente meno forti e sviluppati. Sono, in molti casi, Paesi dove la qualità della vita è così bassa – con buona pace del dato sulle case di proprietà – che le persone emigrano per cercare fortuna altrove. Paesi dove i tassi di occupazione e di occupazione giovanile sono bassi, dove i salari sono bassi.Nei Paesi più benestanti, con mercati del lavoro forti, con retribuzioni alte e buone opportunità per i giovani, con benessere e buone prospettive di realizzazione personale e professionale, non c’è quest’ansia di comprar casa: si va a vivere in affitto. Il Paese in cui ci sono meno proprietari di case è la Svizzera: che è anche il Paese con il tasso di disoccupazione più basso d’Europa e con i salari più alti. Un caso?Non è che i giovani non vadano a vivere da soli perché la banca non concede loro il mutuo per comprarsi casa. Non è che per mettere su famiglia e fare figli sia strettamente necessario avere una casa di proprietà. Non è che mettere la firma sotto un atto di compravendita immobiliare in uno studio notarile farà improvvisamente impennare i tassi di natalità. Comprare una casa è certamente un momento importante nella vita di molte persone. Ma non fa la differenza.Il premier Draghi ha dedicato parole accorate alla presentazione del PNRR di fronte alla Camera dei deputati ieri: «Sbaglieremmo tutti a pensare che il PNRR, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti, di numeri, obiettivi e scadenze. Leggetelo anche da un'altra angolatura: metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne e dei cittadini che verranno». Parole che è facile, quasi naturale condividere.Ma, ecco, presidente Draghi: i mutui no. Finirebbero per essere solo un regalo – l'ennesimo – alle banche e alle agenzie immobiliari. Prima di arrivare ai mutui, prima che la possibilità di acquistare una casa a condizioni agevolate diventi una priorità per i giovani italiani, c’è tanto altro da fare con i soldi del Recovery Fund.Alcuni interventi urgenti li avevo elencati, un paio di mesi fa, nella memoria che mi era stata sollecitata dalla XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati, in quanto fondatrice della Repubblica degli Stagisti, nell’ambito dell’esame del Piano nazionale riforma e resilienza. In quella memoria auspicavo un massiccio investimento in orientamento scolastico, sia all’ultimo anno di scuola media sia all’ultimo biennio di superiori, con l’utilizzo di personale qualificato ed esperto di mercato del lavoro; un potenziamento di risorse e personale negli uffici stage/placement universitari; un aumento delle retribuzioni di assegnisti di ricerca e ricercatori, in modo da rendere il mondo accademico italiano più appetibile; incentivi per l’iscrizione di giovani donne a percorsi di formazione in materie tecnico-scientifiche; e investimenti nel potenziamento dell'apprendistato duale “di alta formazione e ricerca”, detto “di terzo livello” – che riguarda giovani che stanno effettuando un percorso di alta formazione (universitaria o post- diploma) – e non solo di quello dedicato ai minorenni. E ovviamente, a costo zero, una revisione della normativa sui tirocini, per incentivarne l'utilizzo virtuoso ed evitare lo sfruttamento, dando più diritti agli stagisti.Prima del mutuo per comprare la casa, c’è tutto questo (e molto altro). Una qualsiasi di queste azioni è più urgente dei mutui. Una qualsiasi produrrà più effetti positivi per le nuove generazioni. I giovani italiani possono continuare a vivere in affitto ancora per un po'. Cambiamo il mondo del lavoro in cui si trovano ad arrancare, diamo loro più servizi, più sostegno: e la casa, se vorranno, potranno comprarsela senza bisogno di garanzie statali.Eleonora Voltolina

Coronavirus e mercato del lavoro, la scellerata scelta delle Regioni di vietare gli stage

Un’azienda, cento aziende, mille aziende nonostante l’improvvisa emergenza Coronavirus stanno andando avanti. Meno male. Per fortuna. Grazie a loro sopravviveremo. Grazie a loro, quando il confinamento sarà finito, l’economia potrà ripartire. Si spera.Queste aziende continuano la propria attività. Perlopiù grazie al lavoro da remoto. Meno male. Per fortuna. I loro dipendenti non subiscono sospensioni, non si trovano in cassa integrazione. Non oggi, non domani. Speriamo nemmeno tra un mese, tra un anno. I loro dipendenti mantengono intatti i loro salari. Meno male. Saranno persone in grado di badare a sé stesse in questa crisi. Non peseranno sullo Stato, già fortemente provato dagli ingenti stanziamenti inevitabili per sostenere tutte le persone e le aziende in difficoltà. Saranno addirittura in grado di aiutare altri, in alcuni casi.Queste aziende continuano ad accogliere stagisti. Offrono occasioni di formazione di qualità e sopratutto offrono una indennità mensile. A volte buona. A volte ottima. A volte talmente alta da avvicinarsi a uno stipendio: mille euro al mese, perfino di più. Lo abbiamo documentato, abbiamo raccontato le storie delle aziende virtuose del network della Repubblica degli Stagisti, prima – nel mondo “normale” – e adesso, nel pieno dell’emergenza Coronavirus. Sono aziende che provvedono generosamente al benessere dei propri stagisti. Meno male. Per fortuna. Danno in questi tempi bui delle opportunità a qualche giovane. Permettono che si possa proficuamente usare questo tempo di lockdown. E anche in questo caso, questi stagisti sono in grado di badare a se stessi, economicamente. Non avranno bisogno di sussidi.Queste aziende sono abbastanza tecnologiche da essere state in grado di trasformare in pochissimo tempo le proprie policy e modalità di formazione e lavoro. Per permettere ai loro dipendenti e ai loro stagisti di svolgere le attività da casa. Strumenti tecnologici, nuove modalità di interazione online, mille innovazioni sono state messe in campo per diventare “smart” e permettere lo “smart working” e anche lo “smart internshipping”. Meno male. Per fortuna. In questo modo il lavoro non si ferma, l’economia non si ferma.Oppure sì. Si ferma, a volte. Perché il legislatore è ottuso. E dice: no. Fermi tutti. Dice: no, gli stagisti mica possono fare lo stage da casa. No. Gli stage vanno sospesi. Fino a quando? Fino a nuovo ordine. Ma i ragazzi restano senza far niente! Non importa.Ma i ragazzi restano senza entrate economiche!E che ci dobbiamo fare.Ci sarà un sussidio per gli stagisti?Per ora no. Poi vedremo.E nel tempo che passa tra ora e poi?Si arrangeranno.Ma davvero non si può pensare che uno stage si possa fare da casa? Alcune Regioni hanno detto di sì. Meno male. Per fortuna. La prima è stata la Lombardia, già a fine febbraio. Altre ne sono seguite. Alcune addirittura stanno cambiando idea, e dopo aver inizialmente detto di no, ora stanno cominciando a dire di sì, che effettivamente si può. Ovviamente non tutti gli stage possono essere trasformati in senso “smart”. Se uno faceva uno stage in una biblioteca, e quella biblioteca deve restare chiusa, è ben difficile che la sua attività possa proseguire online. Lo stesso vale per lo stage in un negozio. O in una fabbrica di qualcosa che non rientra nell’elenco delle attività essenziali. Per quegli stage purtroppo non c’è soluzione: la loro sorte è la sospensione.Ma tutti gli altri? Quelli che oggettivamente possono essere svolti da casa? A marzo l’Italia si è divisa in due: da una parte le Regioni che permettevano la prosecuzione degli stage da remoto. Dall’altra le Regioni che la vietavano.Ora siamo ad aprile, e un altro passo è stato fatto. Ora la Regione Lombardia ha detto nero su bianco: per gli stage già in corso va bene la modalità da remoto. Per quelli ancora da attivare, invece, no. Stop alle nuove attivazioni. Stop ai nuovi stage.Aspetta. Perché? Che senso ha? Se gli stage da remoto sono ammessi, autorizzati per quelli che già erano partiti, perché mai vietare di attivarne ex novo?Eh ma per quelli già partiti c’era stato un minimo di formazione di persona. Certo, i burocrati diranno questo. E’ l’unica giustificazione che abbia una – pur debolissima – parvenza di logica.Ma il tempo è eccezionale, e richiede misure eccezionali. Adesso vanno salvaguardate le cose più importanti. Tre elementi prima di tutto. Dal punto di vista delle persone la possibilità di essere attivi anche dentro casa e la possibilità di guadagnare qualcosa. Poter avere qualcosa di concreto da fare nelle lunghe giornate a casa. Poter avere il supporto economico rappresentato dall'indennità mensile. Dal punto di vista dello Stato, aiutare il più possibile il sistema produttivo che sta in piedi da solo, agevolarlo, non ostacolarlo. Perché ogni posto di stage o di lavoro, ogni stipendio o indennità mensile erogati da un’azienda privata, significano per lo Stato un cittadino – a volte un’intera famiglia – in meno per cui provvedere. Una richiesta in meno di sussidio. E’ davvero incredibile che le Regioni non si rendano conto del danno incalcolabile che stanno producendo ai singoli cittadini e allo Stato con questa decisione improvvida di vietare l’attivazione di stage in questo periodo. Spero davvero che qualcuno ragioni e cambi idea. Che le disposizioni cambino alla svelta. Ogni giorno di ritardo è un giorno perduto.Eleonora Voltolina[L'immagine a corredo di questo articolo è di Chiot's Run tratta da Flickr in modalità CreativeCommons]

Lavoro agile e tirocini da casa: perché prima no e adesso, col Coronavirus, sì

In tempi di Coronavirus, gli stagisti ce l’hanno particolarmente dura. In Italia per esempio negli ultimi giorni molti tirocini sono stati interrotti d’ufficio, a causa di provvedimenti delle singole università oppure delle amministrazioni regionali. Tutto ruota intorno a una domanda: posto che gli stagisti non sono lavoratori, è possibile per loro una modalità di prosecuzione dell’attività da remoto, con il cosiddetto “lavoro agile”?[Spoiler: quando è possibile, dovrebbe essere fatto. Per tutte quelle attività che sono disponibili a far proseguire il tirocinio anche da casa, o che addirittura lo desiderano, noi auspichiamo che ciò venga esplicitamente consentito: va salvaguardata ad ogni costo la possibilità per le persone di rimanere attive e di mantenere un minimo di reddito, anche da casa]Se qualcuno mi avesse chiesto anche solo un mese fa se proporre a un giovane di fare uno stage da casa propria fosse opportuno, la mia risposta sarebbe stata scontata: assolutamente no. Lo stage è infatti un’attività formativa prima di tutto, e la formazione avviene proprio “on the job”, stando dentro un posto di lavoro – un ufficio, un negozio, una fabbrica. Lo stagista impara guardando gli altri lavorare, sentendo le spiegazioni e gli insegnamenti di chi ha più esperienza, sotto l'ala protettrice di un tutor: impara simulando le attività e poi magari – quando è pronto – anche svolgendole, sempre ovviamente sotto la supervisione di qualcuno. Se si elimina il rapporto face to face, l’interazione diretta, si taglia una grande parte del senso formativo di uno stage. In una situazione normale.Ma questa, ormai l’abbiamo capito, non è una situazione normale. Qui bisogna fare i conti con decine di migliaia di persone, giovani e meno giovani, che fino a pochi giorni fa erano impegnate in un tirocinio, per il quale percepivano un’indennità mensile, e che ora a seconda di dove vivono si ritrovano nelle situazioni più disparate.In Lombardia è stata chiaramente prevista dalla Regione la possibilità di svolgere il tirocinio in quello che noi della Repubblica degli Stagisti abbiamo definito “smart internshipping”: l’ultimo provvedimento, datato 12 marzo, conferma come sia possibile «far svolgere l’esperienza presso il domicilio del tirocinante in modalità assimilabili allo smart working», ovviamente per tirocini «con obiettivi formativi riconducibili a profili professionali che consentono uno svolgimento dell’esperienza con questa modalità» e a patto che il soggetto ospitante assicuri «la costante disponibilità del tutor aziendale all’assistenza per il tramite di adeguata tecnologia». Altrove invece i tirocini sono stati sospesi d’ufficio. Il Lazio per esempio in una circolare firmata dalla responsabile della Direzione regionale Istruzione, Formazione, Ricerca e Lavoro Elisabetta Longo indica che «è disposta la sospensione di tutte le attività di tirocinio attualmente in corso, per causa di forza maggiore, sino alla data del 3 aprile 2020» specificando che «in qualità di istituto formativo, il tirocinio non configura un rapporto di lavoro. Pertanto, allo stato attuale, non è prevista la possibilità di condurre il tirocinio in remoto (es. FAD) o in modalità “agile”, ossia tramite la configurazione organizzativa tipica del telelavoro e dello smartworking”)».La Toscana ha una situazione particolare: forse la prima Regione a sospendere d’ufficio tutti i tirocini, il 10 marzo, con una comunicazione della Direzione Istruzione e Formazione della Giunta regionale che recitava come tutte «le attività didattiche individuali, compresi gli stage e i tirocini extracurricolari» dovessero essere sospese, proprio ieri – sei giorni dopo – ha fatto dietrofront. Una «Nota esplicativa in merito alla sospensione dei tirocini non curriculari in attuazione delle "Misure per il contrasto e il contenimento sull’intero territorio nazionale del diffondersi del virus Covid-2019”» indirizzata ai soggetti promotori di tirocini sul territorio toscano ha riaperto alla possibilità di riprendere i tirocini in smart working: «il tirocinio può essere svolto a distanza attraverso l’utilizzo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) messe a disposizione dal soggetto ospitante, previo accordo con il Soggetto Promotore e il Tirocinante e conseguente modifica del Progetto Formativo» si legge nel documento. «Il tirocinante deve essere dotato di adeguati strumenti tecnologici idonei a salvaguardare il raggiungimento degli obiettivi formativi del tirocinio» viene specificato, e al tutor aziendale è attribuito il dovere di «adottare idonee modalità di monitoraggio dell’attuazione del progetto formativo e garantire adeguato supporto al tirocinante attraverso le modalità ICT identificate».In linea generale il punto focale, qui, è il bilanciamento dei tanti elementi in gioco. E allora è vero che è un tirocinio da casa propria è certamente meno efficace della possibilità di andare in un ufficio, confrontarsi con i colleghi, vivere l’ambiente di lavoro in maniera diretta. Ma questo non è più possibile: e non solo non è più possibile per gli stagisti, ma per nessuno, perché i più recenti provvedimenti invitano – laddove possibile – tutte le attività produttive a mettere i propri dipendenti a lavorare da casa.E allora piuttosto che lasciare gli stagisti senza fare niente, piuttosto che “abbandonarli” imponendo la sospensione dei tirocini, togliendo loro anche quel minimo di sostegno economico rappresentato dall’indennità mensile, è meglio autorizzare apertamente e chiaramente, come subito ha fatto la regione Lombardia, la possibilità di far proseguire i tirocini anche da remoto.Ovviamente nessun obbligo per i soggetti ospitanti: se qualcuno considerasse che il tirocinio non ha senso se svolto da casa, o se le circostanze oggettive lo rendessero evidente – si pensi semplicemente ad un negozio che ha chiuso: certamente uno stagista commesso non può svolgere la sua attività da casa! – l’opzione di sospendere il tirocinio deve certo essere garantita.Ma per tutte quelle attività che sono disponibili a far proseguire il tirocinio anche da casa, o che addirittura lo desiderano, il consiglio della Repubblica degli Stagisti agli amministratori pubblici e alla politica è quello di consentire il più possibile questa via: perché nel bilanciamento va salvaguardata ad ogni costo la possibilità per le persone di rimanere attive e di mantenere un minimo di reddito anche da casa.Per questo speriamo che già nel prossimo decreto in cui si definiranno i nuovi confini e parametri del “lavoro agile” sia prevista la possibilità di far figurare anche i tirocinanti nel computo delle persone che possono essere lasciate in attività da casa propria. Quanto più riusciremo a mantenere viva l’attività produttiva italiana in questo momento di forte pausa, anche coinvolgendo gli stagisti, quanto più avremo una chance di riprenderci più velocemente e meglio, quando la situazione migliorerà.

Aziende, non dimenticate i vostri stagisti: appello ai tempi del Coronavirus

Gli stagisti stanno all’ultimo, ultimissimo gradino del mercato del lavoro. Sono l’ultima, ultimissima categoria. Quella che proprio non ha tutele. Non ha garanzie di reddito. Non ha garanzie di mantenimento del posto. Non ha garanzie di niente. Non è nemmeno una categoria di lavoratori, tecnicamente.Già in una situazione normale questa estrema debolezza pesa: se così non fosse, una realtà come la nostra, una “Repubblica degli Stagisti” non esisterebbe. Ma in una situazione di emergenza, questa debolezza diventa ancor più un macigno.Oggi l’appello della Repubblica degli Stagisti alle aziende – e per quanto possibile anche agli enti pubblici, e a tutti i “soggetti ospitanti” – è quello di non dimenticare gli stagisti. L’emergenza Coronavirus sta chiudendo (quasi) tutti in casa, e da oggi anche una larga porzione di esercizi commerciali – negozi, bar, ristoranti – dovrà restare chiusa, unendosi alle attività che comportavano grandi assemblamenti di persone – cinema, teatri, palestre, musei, luoghi di culto – già chiusi da giorni. Contemporaneamente molte aziende stanno proseguendo la propria attività lavorando in smart-working, ma non dappertutto lo smart-working può essere declinato anche come smart-internshipping: vi sono casi in cui gli stage sono stati sospesi “di default” da provvedimenti universitari (alcune università hanno sospeso d’ufficio tutti i tirocini curricolari) oppure da ordinanze regionali (la Regione Toscana ha fatto lo stesso con tutti i tirocini anche extracurricolari).Ma gli stagisti che non possono proseguire la propria attività da remoto, che faranno? Come affronteranno le spese? Dovranno come al solito andare a bussare (virtualmente, s’intende, dato che di questi tempi ognuno se ne resta a casa sua) alla porta dei propri genitori o nonni chiedendo un sostegno economico?Noi chiediamo alle aziende di non dimenticare gli stagisti e le loro esigenze. In queste settimane – che potranno essere tre o forse anche di più – in cui molti stage sono sospesi, la vita continua a scorrere. Chi oggi è stagista ed è chiuso in casa e forzatamente inattivo non smette, per il fatto che esiste il Coronavirus, di avere bisogno di denaro per l’affitto, per mangiare, per tutte le spese quotidiane non sopprimibili. Se non l’importo pieno dell’indennità di tirocinio, le aziende – almeno quelle con le spalle più larghe, quelle con i conti più solidi – potrebbero prevedere di continuare a erogare almeno una parte dell’indennità. Un importo ridotto, certo, ma che comunque aiuterebbe gli stagisti a tirare avanti, non li lascerebbe dall’oggi al domani completamente privi di entrate.Aziende, se potete permettervelo, pensateci. Ci potrebbe essere bisogno di qualche aggiustamento creativo a livello burocratico, per poter erogare una somma a uno stagista tecnicamente “sospeso”. Ma siamo ragionevolmente certi che in qualche modo si potrebbe fare. E sarebbe un grande gesto di responsabilità e di cura verso i vostri stagisti, un grande segnale di solidarietà all’esterno.Eleonora Voltolina

Mamme 5 mesi, papà 7 giorni: per togliere la lettera scarlatta dalle spalle delle donne che lavorano bisogna cominciare dai congedi

A lungo le donne sono state tenute fuori dal mercato del lavoro da specifiche condizioni. Erano ignoranti, perché non era consentito loro studiare. Erano indisponibili, perché venivano fatte sposare presto, e una volta sposate, il loro lavoro diventava automaticamente prendersi cura della casa e dei figli. Erano prive di diritti civili, non potevano votare, essere elette; la legge le subordinava ai maschi della famiglia. Dove non arrivava la legge subentravano “usi e costumi”: per tradizione le donne non potevano fare questo e quello, dovevano stare al loro posto.Negli ultimi decenni, una dopo l’altra, queste condizioni sono scomparse. Grazie alle grandi battaglie per l’emancipazione, per i diritti civili, per la parità di genere, grazie alle femministe e a chi le ha sostenute. Oggi le ragazze possono studiare, vanno all’università e si laureano prima e meglio dei coetanei maschi. Si sposano più tardi, e comunque il matrimonio non è più la fine della loro attività al di fuori delle mura domestiche. I figli si pianificano. Le donne sono rappresentate, anche se non ancora paritariamente, in tutti i consessi che contano. L’unica condizione che ancora comprime le potenzialità delle donne nel mondo del lavoro è la questione della maternità. Le donne sono discriminate fin dall’inizio del proprio percorso professionale per il solo fatto di possedere un utero: presto o tardi potrebbero utilizzarlo, e la maternità è ancora vista come una iattura dalla maggior parte del mondo professionale.Da questo punto di vista gli “usi e costumi” sono duri a morire: è ancora forte la convinzione che la maternità condizioni irrevocabilmente la capacità professionale di una donna, tanto che le italiane, capita l'antifona, sono corse ai ripari – in maniera autolesionista, ma perfettamente comprensibile – e hanno spostato in avanti, anno dopo anno, il momento della maternità, tanto che oggi si fa il primo figlio in media a 31,2 anni. Nel 1978, l'anno in cui sono nata io, l'età media al primo figlio era 24,9 anni (fonte: Istat). Fino al 2008 è rimasto al di sotto dei trent'anni. Oggi siamo appunto addirittura a 31,2: una tragedia sotto molti punti di vista, che sarebbe qui troppo lungo elencare, ma sicuramente una decisione cosciente delle donne italiane, che pospongono la maternità a causa delle condizioni avverse sul mercato del lavoro.L’unico modo per contrastare questo status quo, ribaltare il tavolo e vincere la battaglia della parità di genere nel mondo del lavoro è ripensare completamente la questione della maternità, trasformandola in genitorialità e ponendo i due genitori, fatte salve le attività biologiche non trasferibili, su un piano di perfetta parità. Padre e madre sono entrambi capaci di prendersi cura dei figli, traendone peraltro gioia e soddisfazione. Ciò già accade, ovviamente, nel segmento – numericamente piccolo ma socialmente significativo – delle famiglie omogenitoriali, cioè quelle dove i genitori sono entrambi dello stesso genere: due mamme, due papà. Ma quando invece in una famiglia c'è una mamma e c'è un papà, sembra quasi “naturale” che sia lei a dover ridurre il suo impegno sul lavoro per liberare spazi da dedicare a figli e casa, piuttosto che lui.Ma non sta scritto da nessuna parte... Ah, invece sì. Da qualche parte sta scritto, già. Nella nostra Costituzione, all'articolo 37. Ma, ecco, la Costituzione ha passato la settantina, e ci sta che alcuni passaggi risultino datati. Ciò non ci deve fermare. Una soluzione c'è. E' costosa, non solo in termini monetari ma anche e sopratutto in termini sociali, perché è una vera e propria rivoluzione culturale. Mettere uomini e donne sullo stesso piano nella gestione della genitorialità, dando loro uguali diritti e doveri. A cominciare dal congedo. Quando nasce un figlio, oggi, la neomamma che lavora (parliamo di dipendenti subordinate, per le lavoratrici autonome le tutele sono molto diverse) viene messa in maternità. Il congedo obbligatorio dura cinque mesi; di solito si smette di lavorare due mesi prima del parto, e dunque si fanno due mesi di congedo prima e tre dopo; c'è chi sceglie di lavorare anche nell'ottavo mese di gravidanza, e fare poi quattro mesi dopo; ultimamente è stata aperta alle donne anche la possibilità di lavorare al nono mese e fruire tutti e cinque i mesi dopo il parto. Questi cinque mesi sono pagati all'80% dello stipendio – questa cifra può essere integrata fino al 100% dalle aziende in virtù di contratti integrativi aziendali. Dopo il quinto mese la donna lavoratrice torna al lavoro, oppure può scegliere di usufruire di ulteriori mesi di maternità, detta stavolta “facoltativa”, pagata al 30%, fino a che il bambino non ha un anno.A fronte di questa situazione, che garantisce alle madri lavoratrici subordinate una ottima tutela (la durata del congedo di maternità obbligatoria è tra le più alte, se non proprio la più alta al mondo), i papà sono pressoché inesistenti. Fino al 2012 non avevano diritto a nulla: se volevano stare qualche giorno accanto alle compagne, immediatamente dopo il parto, dovevano mettersi in ferie. Poi è stato timidissimamente introdotto il congedo retribuito anche per loro: un giorno, poi due, poi cinque. Praticamente una via di mezzo tra un contentino e un qualcosa di simbolico: niente che potesse davvero fare la differenza, all'interno di una famiglia o di un luogo di lavoro. E sempre per giunta con lo spauracchio che la misura, considerata “sperimentale”, potesse essere cancellata da un anno all'altro per mancanza di fondi o volontà politica. Adesso siamo a sette giorni. Mamme cinque mesi, papà sette giorni. E poi ci lamentiamo della discriminazione? C'è chiaramente qualcosa che non va. La situazione va riequilibrata: ai papà vanno dati gli oneri e gli onori di essere genitori, al pari delle mamme. Dunque l'unica via è un congedo di paternità paritario. Del perché serve, quanto costa, e chi lo osteggia, scrivo oggi su Linkiesta: ecco qui: Se condividete questa battaglia, sostenetela. Parlatene in pubblico, condividete questi articoli o altri che trattino il tema. C'è bisogno che salga nell' “agenda politica”. C'è bisogno di un cambio di sistema.Eleonora Voltolina

Giovani, non cadete nella trappola dell'astensione: se non andate a votare, altri decideranno per voi

Giovani, andate a votare domenica. Andateci prima di tutto perché è un diritto che ciascuno di noi ha acquisito grazie al lavoro e al sacrificio di tanti che si sono battuti per il suffragio universale, perché anche i meno abbienti e le donne avessero la possibilità di scegliere chi mandare a governare. Andateci perché è in gioco il vostro futuro, più che quello dei vostri genitori e nonni: perché ogni legge che verrà approvata nei prossimi mesi e nei prossimi anni inciderà sulla vostra vita. Sulle regole che dovrete seguire, sulle tasse che pagherete, sui servizi di cui potrete usufruire, sulla pensione che riceverete quando a vostra volta andrete in pensione (e sì, ci andrete. Ci andremo tutti. Non ascoltate i demagoghi che vi dicono di non occuparvi di questo tema, perché tanto in pensione non ci andrete mai. Ci andrete: tutto sta a capire se con importi dignitosi, oppure no). Andate a votare perché non è tutto uguale, perché c'è sicuramente un partito più degli altri che vi ispira fiducia, un candidato che quando parla vi sembra meglio degli altri, più sveglio, più capace, più preparato. Anche se non vi entusiasma proprio al 100%, ma un candidato in cui vi identificate almeno in parte, che vi sembra rappresentare meglio le vostre preoccupazioni e le vostre aspirazioni.Andate a votare perché, se non ci andate, lascerete che altri decidano al posto vostro. E non è mai, mai un bene che altri decidano per voi. Non lasciatevi abbindolare dai cattivi consiglieri: l'astensione non è mai un “segnale forte”, e non avrà alcun effetto. Nessuno coglierà un “messaggio”, nessuno modificherà la propria azione politica per rincorrere “gli astensionisti”. Semplicemente, il Parlamento verrà formato sulla base delle scelte elettorali di altri - di quelli che avranno votato, e così i consigli regionali. Voi avrete mancato l'occasione di dire la vostra, e non potrete più recuperarla, fino alla prossima tornata elettorale.Andateci magari di malavoglia, andateci arrabbiati, andateci delusi. Ma andateci. È un vostro diritto, è un vostro dovere, ma è sopratutto la cosa giusta da fare.Noi con la Repubblica degli Stagisti abbiamo contribuito a provare a riportare la mira sui contenuti, sulle proposte politiche, e in particolare sul tema dell’occupazione giovanile. Lo abbiamo fatto con una piattaforma programmatica, il Patto per lo stage, elencando ciò che si potrebbe fare a livello regionale e nazionale per assicurare ai giovani dei percorsi di transizione dalla formazione al lavoro migliori, più tutelanti,  più dignitose ed eque. Ci sono molti candidati che hanno sottoscritto il Patto: trovate l'elenco qui. Magari può essere una fonte di ispirazione dell'ultimo minuto per chi tra voi è indeciso.In ogni caso, quale che sia la vostra inclinazione politica, non restate a casa domenica 4 marzo. Fatelo per voi stessi e per il vostro futuro.Eleonora Voltolina

Nuove leggi sugli stage, 15 Regioni su 20 non hanno rispettato la scadenza

Tre giorni fa, il 25 novembre, è scaduto il termine ultimo per le nuove leggi regionali in materia di stage. Entro quel giorno tutte le Regioni italiane, cioè, avrebbero dovuto adeguare le proprie normative ai contenuti delle nuove Linee guida sui tirocini, approvate a fine maggio in Conferenza Stato-Regioni.La verità è che le Regioni sono in clamoroso ritardo. La Repubblica degli Stagisti sta svolgendo una ricognizione dalla quale emerge questo quadro: soltanto cinque Regioni hanno già completato l'iter legislativo per aggiornare le proprie normative. Si tratta di Lazio (la prima a tagliare il traguardo a inizio agosto), Basilicata, Veneto, Sicilia e Calabria. Altre due Regioni sono in dirittura d'arrivo, la Lombardia e la Valle d'Aosta: hanno il nuovo testo già pronto e manca solo qualche ultimo passaggio formale per l'approvazione. E le altre 13 Regioni? La situazione è varia. Ve ne sono alcune che non hanno ancora neppure cominciato a elaborare il nuovo testo; altre che hanno una bozza, ma la tengono strettamente riservata e talvolta nemmeno la condividono con le parti sociali (sindacati, associazioni datoriali). Altre ancora hanno avviato tavoli con le parti sociali e sono a metà o tre quarti del cammino. Fintanto che le nuove leggi non vengono approvate, in ciascuna Regione restano ovviamente in vigore quelle precedenti.Ma perché le Regioni sono così in ritardo? Al netto delle inefficienze tipiche della pubblica amministrazione e dei ritardi della burocrazia, vale la pena ricordare che il recepimento delle nuove linee guida non è un affare indolore dal punto di vista politico. Vi sono dei punti controversi, che non tutte le Regioni probabilmente vogliono recepire. In ogni caso, non sono tenute a farlo. Le linee guida non sono che una traccia, un suggerimento senza valore vincolante. Ciascuna amministrazione regionale può decidere di discostarsi anche in maniera significativa da ciò che le linee guida prescrivono.Lo ha fatto il Lazio, ignorando l'indicazione relativa all'indennità minima - 300 miseri euro al mese, dicono le Linee Guida - e innalzando tale indennità addirittura a 800 euro al mese, e ignorando la prescrizione di aumentare la durata massima dei tirocini a 12 mesi anche per i tirocini formativi e di orientamento (oltre che per quelli di inserimento o reinserimento). Cosa che già aveva fatto anche il Veneto, dove la durata massima resta infatti 6 mesi per entrambe le tipologie.Teoricamente le Regioni potrebbero discostarsi dalle linee guida solo in un'ottica di miglioramento e quindi di maggiori garanzie a favore dello stagista (come in effetti è accaduto nei casi citati sopra di Lazio e Veneto): «Le linee guida indicano taluni standard minimi di carattere disciplinate la cui definizione lascia, comunque, inalterata la facoltà per le Regioni e province autonome di fissare disposizioni di maggior tutela» si legge appunto nel testo licenziato dalla Conferenza Stato - Regioni lo scorso maggio. Ma in realtà negli anni passati si sono visti anche peggioramenti (come per esempio la legge della Campania).I punti maggiormente critici sono: la durata massima, l'ammontare dell'indennità minima, la possibilità di fare stage in aziende senza dipendenti, la proporzione massima tra numero di stagisti e numero di dipendenti (e chi si conteggia tra i dipendenti: solo chi ha contratto subordinato o anche i collaboratori? Solo chi lavora stabilmente a tempo indeterminato o anche i contratti a termine?), l'impianto sanzionatorio in caso di violazione delle prescrizioni normative...Non resta che attendere le 15 regioni ritardatarie, e analizzare caso per caso le nuove normative per capire come si propongono di tutelare le persone più o meno giovani che si trovano a fare tirocini.Eleonora Voltolina

Sciopero contro l'alternanza scuola lavoro: ragazzi, non sbagliate bersaglio

Ieri i giovani sono scesi in piazza contro l'alternanza scuola lavoro. Uno sciopero indetto dalle sigle di rappresentanza degli studenti delle scuole superiori e sostenuto da molte altre realtà. Il messaggio: non vogliono essere sfruttati. A una come me, che da quasi un decennio si batte per i diritti degli stagisti e contro lo sfruttamento, viene da piangere.Ma ragazzi, che state dicendo? Dite che non è giusto che facciate esperienze di lavoro, che alla vostra età dovreste solo studiare sui libri. Da anni però è ormai assodato che uno dei motivi per cui in Italia la disoccupazione giovanile è così alta è che non c'è un buon dialogo e coordinamento tra sistema scolastico e mondo del lavoro. Ci sono dati statistici incontrovertibili che dimostrano che in tutti i Paesi dove l'alternanza scuola-lavoro viene realizzata, come Svizzera Austria e Germania, il tasso di disoccupazione giovanile è bassissimo. Noi abbiamo quasi il 40%, uno dei tassi più alti d'Europa. Vogliamo farci qualcosa o ce lo teniamo così?Dite che non volete svolgere mansioni semplici, umili, di fatica come servire hamburger. Eppure vi è un enorme  valore formativo, a 17 anni, a imparare come si sta in un negozio. Come si serve un cliente. Come ci si rapporta con il proprio superiore, come si arriva puntuali e in ordine, come si sta sul posto di lavoro. Sì, anche per chi fa il liceo, anche per chi pensa che il cameriere non lo farà mai nella vita (e poi, chi lo sa?), un'esperienza di qualche settimana a fare un mestiere non di concetto è più che utile. È prezioso.Dite che 200 ore sono tante. Ma 200 ore sono 25 giorni. 25 giorni da diluire nell'arco di 3 anni. E quanti ce ne vogliono prima che ciascuno di voi, che nella maggior parte dei casi non ha mai messo giustamente piede prima in un luogo di lavoro, anche solo capisca dov'è e come si deve muovere? Pensate davvero che un'azienda possa usarvi per sostituire i suoi dipendenti? No. I 17enni in alternanza scuola-lavoro non sono appetibili a questi fini. Altri lo sono, e io mi batto tutti i giorni da molti anni per fermare lo sfruttamento. Ma proprio perché mi batto contro lo sfruttamento, so riconoscere lo sfruttamento. E no, fare 3 settimane in alternanza in un ristorante o un'officina meccanica o un ufficio comunale non è sfruttamento.Ancora sulla durata: per gli istituti tecnici e professionali le ore sono 400. Di nuovo, si tratta di 50 giorni. Da diluire in tre anni. Di cosa stiamo parlando?C'è tanta confusione, a partire dalla terminologia. Ho letto articoli di giornale ridicoli, che mischiavano le vostre esperienze in alternanza scuola-lavoro con i tirocini curriculari degli studenti universitari. Una confusione inaudita e pericolosissima. Forse li avete letti anche voi, forse hanno confuso anche voi. La verità è che i vostri percorsi non andrebbero chiamati stage, perché sono una cosa diversa. Perchè VOI siete diversi. Siete studenti, siete nella stragrande maggioranza dei casi ancora minorenni o neomaggiorenni, e i vostri percorsi formativi durano pochissimo, quasi sempre meno di un mese. Per questo ho già lanciato mesi fa alla ministra Fedeli la proposta di trovare una denominazione ad hoc per queste esperienze, per esempio "work experience", eliminando completamente la dicitura "tirocini" che può trarre in inganno, ed elaborando un quadro normativo ad hoc. Certo, ci sono stati brutti casi. E' vero. Ad alcuni di voi è capitato di essere messi a fare cose completamente slegate dal progetto formativo che vi era stato prospettato. Aziende sconsiderate, che non avevano capito nulla di cosa volesse dire ospitare uno studente in alternanza scuola-lavoro. Queste storture vanno denunciate. Ma bisogna anche avere la pazienza necessaria a che la cultura dell'alternanza scuola-lavoro prenda piede anche in Italia. E sopratutto non bisogna buttare il bambino con l'acqua sporca. L'alternanza scuola-lavoro è preziosa per il vostro futuro. Non per il mio. Non per quello dei vostri genitori, o dei vostri insegnanti, o del ministero dell'istruzione o del governo. Per il vostro futuro. Per darvi le basi per essere cittadini più consapevoli, lavoratori più consapevoli. La cosa migliore sarebbe offrire agli studenti, all'interno dell'alternanza, percorsi di work experience in linea con gli studi. Mandare gli studenti di liceo classico in uno studio legale, in un museo, in un'agenzia di comunicazione. Mandare quelli dello scientifico in uno studio di architettura, o presso l'ufficio di un ragioniere, o in una società informatica. Mi seguite? State annuendo? Attenzione però. Perché questo vuol dire anche mandare i ragazzi dell'alberghiero in un albergo, o un ristorante. Vuol dire mandare quelli dell'Itis in un'autofficina. Però – anzi, perciò – questa coerenza rischia anche di diventare una gabbia. E sopratutto, ci vuole tempo per trovare le aziende disponibili a ospitarvi, ragazzi. Non tutte vi vogliono. È molto impegnativo accogliervi, se vi si vuole accogliere bene. Ecco perché a volte il sistema del "match" salta, e le scuole vi mandano dove possono, presso le aziende che hanno dato la disponibilità a ospitare studenti in alternanza, senza fare particolare caso alla coerenza del settore di attività di quelle aziende con i vostri percorsi formativi.Allora c'è da gridare allo scandalo, se si viene assegnati a un fast food? La domanda vera è: si può diventare più consapevoli di come funziona il mondo servendo per qualche giorno hamburger? Certamente no, se si hanno 25 anni, magari un titolo di studio, e si ambisce a trovare un lavoro e a mantenersi. Altrettanto certamente sì, però, se si hanno 17 anni, e quell'esperienza è solo un modo per "assaggiare", per pochi giorni, il mondo del lavoro dopo aver tanto studiato sui libri, e con la prospettiva di tornare subito dopo a quei libri.E allora una domanda ve la faccio io, ragazzi che siete scesi in piazza a protestare. Voi che considerate umiliante e inappropriato passare due o tre settimane a servire hamburger o a disporre scatolette nello scaffale di un supermercato, e che sicuramente sapete che tutti i mestieri sono degni, siete consapevoli che centinaia di migliaia di persone fanno questo per vivere, tutti i giorni? Si alzano la mattina e svolgono esattamente quelle mansioni, per otto ore al giorno, per portare a casa lo stipendio con cui poi pagano i libri per mandare i loro figli – alcuni dei quali siete proprio voi, sì – a scuola. Non fate, vi prego, l’errore di denigrare questi mestieri. Di giudicarli privi di contenuto formativo. Non pensate che non vi sia formazione nell'imparare come si dispone la merce su uno scaffale, come si risponde alla lamentela di un cliente, come si rispetta la consegna di un compito assegnato dal capo, come si imparano le fasi della preparazione di un prodotto. Non sono mestieri degni solo quelli in cui non ci si sporcano le mani. Un periodo "on the job" in un supermercato è un'esperienza preziosa anche per chi nella vita punta a diventare un(a) supermanager, o un(a) grande avvocato-a, o presidente(ssa) del consiglio. Imparare, scoprire con umiltà come funziona il mondo del lavoro, anche partendo dai mestieri più semplici, consente di capire meglio il mondo.E anche se così non fosse, un'esperienza del genere comunque almeno un risvolto positivo ce l'ha di sicuro: stimola a rispettare le persone che lavorano, che ci servono al tavolo quando siamo al ristorante, che ci mostrano le magliette nei negozi, che ci accolgono nei posti dove noi siamo i clienti e loro gli inservienti. È un bel bagno di realtà. Magari non proprio piacevole, ma educativo.Lo so che è una posizione scomoda, la mia. Lo so che sarebbe più facile per me dirvi quello che vi dicono tanti altri, sobillarvi, dirvi “fate bene a protestare! Che vergogna! Uno studente non dovrebbe essere usato per queste mansioni degradanti!”. Ma se c’è una cosa che ho preferito fin qui sopra ogni altra, nel mio lavoro, è l’onestà intellettuale. E se voglio essere onesta con voi, devo dirvi che tutto questo livore verso l’alternanza scuola-lavoro non ha ragione di esistere. Che nessuno vi sta sfruttando. Che state avendo delle opportunità – più o meno ben organizzate, più o meno ben strutturate – di “assaggiare” il mondo del lavoro. Chi dice che queste opportunità non sono importanti, che sono umilianti, usa parole forti, fa la voce grossa e ottiene i titoli di giornale. Io invece voglio parlare alla vostra testa, non alla vostra pancia.Penso, ragazzi, che avreste molte cose per cui protestare. I fondi per il diritto allo studio che sono stati troppo scarsi per troppo tempo; adesso sono aumentati, finalmente, ma la verità è che non sono mai abbastanza. Il sistema didattico vetusto. Le dotazioni tecnologiche ridicole nelle scuole. La mancanza di un sistema di orientamento serio, che vi aiuti a scegliere al meglio cosa fare dopo le superiori.Avreste tante cose per cui battagliare. Non sbagliate bersaglio.Eleonora Voltolina