Categoria: Storie

Tre mesi di congedo paternità in Nestlé, un “tempo regalato” prezioso per tutti: il racconto di Edoardo Cavalcabò

«Il mio primo mese di congedo di paternità è stato focalizzato sul nuovo arrivo, e moltissimo sul supportare mia moglie; il secondo, sull'essere papà; e il terzo sulla famiglia, per goderci tutti e tre al massimo questo tempo regalato». È il racconto di Edoardo che l'anno scorso, a 33 anni, è diventato papà per la prima volta: «Essere a casa in due ha voluto dire poterci supportare reciprocamente, parlare, condividere. Ci sono anche degli studi che dicono che la presenza attiva dei papà nei primi mesi riduce la possibilità di depressione postpartum e di baby blues nelle mamme! E adesso mi capita di incontrare amici con figli che mi dicono: si vede che sei stato a casa tre mesi, hai imparato a gestirti questo pupo con la mano sinistra!».In Italia il congedo di paternità esiste da quattordici anni. Quando diventano padri, gli uomini che hanno un impiego subordinato (cioè che non sono autonomi, indipendenti, imprenditori, liberi professionisti…) possono oggi godere di dieci giorni di astensione dal lavoro pagati dall'Inps al 100%, usandoli a piacimento, anche spezzettati, nei cinque mesi successivi alla nascita – e anche nei due mesi precedenti, volendo. Il ministero della Famiglia spiega sul suo sito che l'obiettivo «è ottenere una più equa ripartizione delle responsabilità di assistenza tra uomini e donne e permettere una precoce instaurazione del legame tra padre e figlio».In realtà l'equa ripartizione delle responsabilità in famiglia è ancora un miraggio: dieci giorni di paternità contro cinque mesi (circa 150 giorni) di maternità sono, oggettivamente, quasi uno scherzo. Inoltre il congedo di paternità italiano ha una storia travagliata: introdotto con ritardo rispetto a tanti altri Paesi avanzati, a lungo è rimasto «sperimentale», con la spada di Damocle dei fondi che ogni anno dovevano essere reperiti per non far cancellare la misura (per fortuna dal 2022 il finanziamento è diventato strutturale).Soprattutto, la durata di questo congedo aumenta a passo di lumaca. Ci sono voluti undici anni, dal 2012 al 2022, per passare da uno a dieci giorni. Che sono ancora, ovviamente, troppo pochi. E lì poi ci siamo fermati: pur dichiarando di voler supportare le famiglie e la natalità, l'attuale governo non ha mai messo risorse per allungare il congedo di paternità, malgrado le numerose proposte di legge sul tavolo (a cominciare da quella a prima firma Lia Quartapelle) e le prese di posizione pubbliche di ricercatori e attivisti che continuano a sottolineare quanto questo strumento sia centrale per favorire la parità di genere. Tra le pubblicazioni più recenti, imperdibile il saggio Genitori alla pari di Alessandra Minello e Tommaso Nannicini (ed. Laterza); il tema è caldo, e per esempio poco più di un mese fa a Rimini è andato in scena un evento pubblico espressamente dedicato alla «nuova paternità», “Parola ai padri”,  ideato dallo startupper, esperto di comunicazione e papà di gemelli Carlo Crudele.In altri Paesi – non solo al Nord Europa, ma anche in Spagna per esempio – la genitorialità condivisa è già realtà, anche grazie a leggi inclusive e congedi paritari. Per fortuna in Italia, in attesa che lo Stato si metta al passo, ci sono aziende che si muovono autonomamente.Perché altrimenti la frase riportata all'inizio dell'articolo non avrebbe senso: come potrebbe un papà raccontare di un congedo lungo tre mesi, se in Italia non dura che dieci giorni? Il mistero è presto svelato: l'Edoardo citato è Edoardo Uberto Cavalcabò, e lavora come manager nella comunicazione di Nestlé Italia. Azienda attenta ai dipendenti (e parte del network di imprese virtuose della Repubblica degli Stagisti fin dagli albori, ormai 16 anni fa!), Nestlé offre un congedo di paternità chiamato “Baby Leave” che dura effettivamente tre mesi, pagati al 100%. Tutti i padri – e anche le mamme non gestanti delle coppie LGBTQ –, in qualsiasi sede e funzione di Nestlé lavorino, sono incoraggiati a prenderlo. Nel 2024, dopo aver lavorato a lungo alla comunicazione della nuova policy, è venuto anche per Edoardo Cavalcabò il momento di usufruirne in prima persona. «Con mia moglie abbiamo avuto un'esperienza positiva al 100%... Anche perché il nostro bimbo ha sempre dormito di notte: ci è andata bene! Ci piace pensare che sia stato merito anche del fatto che fossimo in due». Sposato con un'architetta di origini partenopee, Edoardo Cavalcabò [qui accanto, col suo bambino in spiaggia proprio nel periodo di Baby Leave] si sente doppiamente fortunato. Innanzitutto perché «nel momento in cui abbiamo detto “cerchiamo” siamo stati graziati, è venuto subito. Siamo ben consapevoli che non per tutti è così». E poi perché ha potuto vivere i primi mesi di paternità appieno, in famiglia, staccando completamente dal lavoro. La Baby Leave di Nestlé, che si attesta tra le policy aziendali più generose in Italia in materia di congedo, esiste dal 2022: è stata anche premiata dalla Repubblica degli Stagisti con l'AwaRdS speciale “Gender equality & work-life balance”, e ancor più di recente raccontata in un report dal titolo "Verso una genitorialità condivisa, L'esperienza delle aziende con il congedo di paternità" pubblicato dal think tank Tortuga. Da quando è stata attivata, 220 dipendenti di Nestlé sono diventati papà – e quindi potenziali “babyleavers”. A prendere il congedo sono sono stati in 190, vale a dire oltre l’85%. Il tasso di utilizzo è in continua crescita e nel 2024 ha superato il 95%, con una durata media di due mesi. Il video di lancio dell'iniziativa all'interno di Nestlé aveva come protagonisti quattro dipendenti che al momento delle riprese erano prossimi alla paternità, più una dipendente prossima alla maternità, riuniti in una stanza davanti a una telecamera. «Avevamo chiesto loro di raccontarci che emozioni provassero per l'arrivo imminente del figlio, e a un certo punto buttavamo lì: se ti dicessimo che avrai tre mesi per stare a casa e dedicarti alla nuova famiglia? Così abbiamo svelato la nuova misura, riprendendo le loro reazioni. Il video è venuto particolarmente bene perché è proprio... vero». Alla fine si sente la dipendente col pancione dire “ed è... per i dipendenti Nestlé” – senza bisogno di altre parole, si capisce che sta realizzando (con un po' di comprensibile rimpianto) che il suo partner, lavorando da un'altra parte, non ne potrà usufruire. Quel video, racconta Cavalcabò, è stato usato moltissimo «in tavole rotonde e workshop, anche con altre aziende».L’impegno di Nestlé infatti mira a un impatto sistemico: «Dalle esperienze nascono i movimenti, e dai movimenti nascono i cambiamenti culturali e legislativi. Attraverso il nostro esempio vogliamo spingere a un cambiamento sul congedo di paternità, che speriamo prima o poi possa avvenire». Anche perché una maggiore condivisione dei lavori di cura e parità nei congedi è l'unico antidoto contro la discriminazione che le donne in età fertile ancora subiscono nel mercato del lavoro – indipendentemente da se abbiano o no già figli, indipendentemente da se ne vogliano.Nestlé è impegnata quindi in «un confronto continuo con le altre aziende: da quelle più evolute di noi proviamo a rubare, in senso positivo, ogni idea più avanguardista». Il dialogo coinvolge anche la filiera di fornitori e clienti, che «ovviamente è fatta di anche tante aziende medio piccole, per le quali una misura come questa è più difficilmente sostenibile. Però lavoriamo anche con tanti gruppi con le spalle belle larghe». Laddove i team sono più larghi, si riesce ad assorbire meglio il contraccolpo di una persona con competenze già consolidate (dato che mediamente si diventa padri dopo i trent’anni) che si assenta per alcune settimane, trovando il modo di spartire le mansioni tra chi resta in ufficio.Ultimo dettaglio, «la Baby Leave non prevede che si prenda il congedo di paternità sul finire del congedo di maternità della mamma, per “facilitarla” nel suo rientro» puntualizza Cavalcabò. E c'è una ragione precisa: «Per come la concepiamo noi, la misura deve supportare la mamma nel momento di crollo di ogni equilibrio, e cioè l'inizio: l'arrivo del bimbo. Vuol dire dare la possibilità ai due genitori – se ci sono due genitori – di vivere insieme in maniera intensa le prime settimane di vita del bambino». Una posizione sostenuta da una robusta letteratura scientifica che comprova i benefici del congedo vissuto insieme sia a livello di consolidamento della coppia, sia a livello di costruzione del rapporto padre-figli, sia per porre le basi per una equa spartizione delle attività di cura anche post-congedo.Oggi il figlio di Edoardo Cavalcabò ha quattordici mesi; va al nido da quando ne ha dieci. La mamma architetta ha ripreso a lavorare concordando con lo studio, per ora, un part-time. Lui a fine marzo di quest'anno è stato nominato Head of Corporate Communication & Public Affairs del Gruppo Nestlé, entrando a fare parte del management board. E pensare che poco più di un anno prima sua moglie temeva che prendere il Baby Leave per intero avrebbe potuto nuocere alla sua carriera: «Era scettica rispetto a questi tre mesi, mi diceva: no dai, dopo un mese torna, se no ti penalizzano». Invece poi la scelta è stata quella di godersi il congedo «dal primo all'ultimo giorno». Le penalizzazioni professionali non si sono mai verificate – anzi. E in più, il team Comunicazione è cresciuto e si è fortificato nei tre mesi senza capo presente.Dopo la full immersion del congedo, in cui ha sperimentato il pacchetto completo – condividendo equamente pannolini da cambiare, ninnananne («le prime due volte che mi è capitato di addormentarlo da solo tremavo, mi dicevo: ne sarò capace?»), visite dal pediatra, bagnetti («alle brutte esci stanco morto e fradicio, ma divertito!») – Edoardo Cavalcabò adesso è a tutti gli effetti un papà “alla pari”. E fiero di esserlo.

Donne e informatica, i tempi son cambiati: «Tecnologia, scienza e leadership sono anche nostre»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati a uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio degli uomini. La storia di oggi è quella di Giovanna Fazio, senior manager dell'area Information Management di Kirey. I miei genitori erano operai della Fiat. All'epoca in casa si comprava tutte le domeniche La Stampa, e un giorno comparve l'annuncio di un corso sperimentale gratuito promosso dalla mia Regione – il Piemonte – in Informatica.  Io avevo 23 anni; mi ero diplomata al liceo scientifico sperimentale, con una maggiorazione di ore di Informatica e Fisica, e poi mi ero iscritta all'università, alla facoltà di Giurisprudenza: in quel momento ero al terzo anno. I miei videro in quell'annuncio l'occasione per un lavoro immediato come impiegata, il classico colletto bianco. Sia alle superiori che all'università non avevo mai ricevuto la paghetta, al contrario mi ero barcamenata tra mille lavoretti. Così mi iscrissi, alternando le lezioni di Giurisprudenza con le presenze al corso. Gli altri partecipanti provenivano da tutta Italia, e sicuramente erano in maggioranza maschi. Alla fine delle ottocento ore di formazione ci fu un test, e poi mi arrivò un’offerta di lavoro a tempo indeterminato come sviluppatrice. Correvano gli anni Novanta: un'occupazione in quel campo era certamente sui generis.La reazione dei miei fu chiarissima: “Accetta, vai!”. Mai nella vita mi è arrivato un incitamento migliore del loro.Ed ecco un altro ricordo: alla fine della terza media, quando per mia sorella e me era arrivato il tempo delle decisioni, i genitori sostanzialmente ci dissero che se volevamo proseguire nel loro solco non dovevamo far altro che metterci la tuta blu e iniziare a lavorare. Ma io non volevo una vita in catena di montaggio! Avevo voglia di crescere e migliorarmi.Per questo ho scelto il liceo, e poi l’università. Ero spinta dal desiderio di comprendere a fondo le dinamiche della giustizia e del diritto. Mi resi presto conto però che non rispecchiavano pienamente le mie inclinazioni più profonde. E l’università non l’ho mai finita perché quel mio primo lavoro in quell'azienda, durato oltre un decennio, non mi consentiva di mettermi a studiare a fine giornata.L’informatica mi ha affascinata per la sua logica e concretezza. In un momento iniziale sono partita da un ruolo tecnico come programmatrice. Con il tempo sono diventata business analyst, per poi occuparmi di demand e project management. Oggi ho cinquant'anni, e se mi guardo indietro ricordo che all'inizio del mio percorso professionale, quando si andava alle riunioni, non vedevo altro che giacche e cravatte. La situazione ha iniziato a modificarsi intorno agli anni Duemila. Le donne sono iniziate a arrivare anche in questo comparto – ma tuttora, quando si sale di grado, se ne vedono poche.A trent’anni ho avuto l’esperienza della maternità. È stato un periodo di riorganizzazione e di riflessione su come bilanciare le priorità. Ho imparato a gestire meglio il tempo e a essere ancora più organizzata. Ma a quel punto, dopo una separazione, ho dovuto tirare le somme. Non che mi trovassi male nell’azienda in cui lavorato a quell'epoca, ma la situazione economica non mi consentiva di proseguire dov’ero. Poi c’è stato un atteggiamento che mi ha molto colpito, che ho percepito come dittatoriale. Volevo prolungare la mia maternità fino all’anno del bambino, ma non mi è stato concesso. Mi dissero chiaramente che avrei rischiato il ruolo che ricoprivo, e così dovetti rientrare allo scadere dei nove mesi.Adesso le cose funzionano diversamente per fortuna. I tempi sono cambiati. Quando una neomamma del mio team mi ha chiesto di prolungare il congedo, l’ho concesso volentieri. Vedo anche uomini usufruire dei dieci giorni di paternità previsti dalla legge italiana. Cose impensabili in passato, anche se il divario rispetto alle donne resta incolmabile: dieci giorni di paternità contro i cinque (più eventuali sette) mesi di maternità!Impensabile in passato anche la gestione autonoma del tempo: magari avessi potuto usufruire quindici anni fa dello smartwrking che è diffuso adesso, sarebbe stato tutto diverso! La situazione ai miei tempi era ben più complessa: ho dovuto fare i salti mortali, come moltissime mamme, barcamenandom tra tate, asili e giri tra diversi clienti. Avere un figlio è stato senza dubbio un momento di grande cambiamento nella mia vita, ma non l'ho vissuto come un ostacolo. Anche se a volte ci sono stati degli imprevisti, ho sempre cercato di mantenere il focus sui miei obiettivi professionali, trovando soluzioni per conciliare tutto. Ed è in quel periodo che ho iniziato a inviare cv.Nel 2009 è avvenuto l’incontro con l'azienda presso cui oggi lavoro, Kirey Group. Hanno apprezzato la mia candidatura e ho ricevuto subito un’offerta di contratto a tempo indeterminato. Oggi sono senior manager, coordino progetti strategici nell’ambito dell’Information Management. Nello specifico ciò che faccio è governare team nell’area quality e governance affinché arrivino a determinati traguardi per clienti bancari e assicurativi.Per questo mio ruolo è stato essenziale anche un altro tassello del mio percorso formativo. Sono infatti una coach certificata in ambito ontologico, il che mi ha permesso di acquisire un metodo che mi aiuta nella gestione della mia squadra di lavoro. Aggiungo anche due elementi: la lettura di libri di crescita personale e camminare nella natura, che è una delle mie passioni più grandi: riesco a rigenerare mente e corpo.Ho sempre creduto che le opportunità dipendano dalla competenza, dall’impegno e dalla determinazione. Sono le scelte formative che mi hanno portato a ottenere opportunità. Dal punto di vista economico, mi sento di dire che le mie competenze sono state sempre riconosciute in base al valore che apporto nel mio lavoro, anche se sono consapevole delle disparità di genere esistenti. Non ho sperimentato il gender pay gap in modo diretto, ma il tema è presente nel mercato del lavoro.Alle ragazze che oggi sono a scuola o all’università dico di credere fortemente in sé stesse, anche quando il percorso sembra incerto. Le difficoltà fanno parte del cammino. Non bisogna avere paura di scegliere strade ambiziose, anche se poco frequentate dalle donne. E soprattutto: circondarsi di persone che stimolano. Non porsi limiti. Sperimentare, fare domande, mettersi in gioco. Studiare ciò che appassiona, anche se sembra difficile o ‘non da donne’. La tecnologia, la scienza, la leadership: sono anche nostre. Puntare in alto sempre e ricordare che la competenza e la passione aprono strade. E se qualcuno dice che qualcosa non fa per voi… fatelo comunque, e meglio!Ilaria Mariotti

Fisica, laurea tosta e insolita che ha portato ad Anastasija un lavoro in EY: ma ancora poche ragazze la scelgono

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati a uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio degli uomini. La storia di oggi è quella di Anastasija Bakmaz, 31enne manager dell'area AI&Data per EY. La pubblichiamo oggi, 11 febbraio, per festeggiare la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza.La mia vita inizia in un momento storico drammatico. Sono nata a Novi Sad, in Serbia, nel 1993, in un periodo di guerra e grande instabilità nella penisola balcanica. Eventi che hanno segnato il mio percorso. A cominciare dai trasferimenti, che erano necessari per sfuggire ai bombardamenti: crescendo ho vissuto in tre città diverse tra Serbia e Bosnia ed Herzegovina. Ho frequentato la scuola materna a Novi Sad fino al 1999, per poi trasferirmi a Trebinje – fino al 2008 – dove ho studiato alle medie. Infine a Banja Luka, dove nel 2012 mi sono diplomata al liceo classico.Già in questi anni c’è stato un passaggio cruciale. In Bosnia le superiori durano quattro anni. Al secondo anno si è presentata l’opportunità di finire gli ultimi due anni in una classe internazionale in cui tutte le lezioni erano tenute in inglese. Ogni studente poteva scegliere soltanto sei materie sulle quali concentrarsi, due delle quali a livello avanzato. La mia scelta è caduta su fisica e informatica. Ed è qui che mi è capitato per la prima volta di vedere e sentire una differenza così marcata tra i generi: nella classe di entrambe le materie eravamo pochi, sei in totale, e io ero l’unica ragazza. Che è poi ciò che si riflette nelle aziende tech, come quella in cui lavoro oggi, EY. Non c’è parità tra uomini e donne, non si è ancora al 50 e 50 di presenze non tanto per discriminazione, ma per il semplice fatto che già in partenza i profili femminili sono numericamente inferiori.I miei genitori hanno avuto un peso nelle mie decisioni. Entrambi hanno sempre creduto che matematica e inglese fossero le materie più importanti; mio padre per giunta è ingegnere, e mia madre è sempre stata brava in Economia. La loro idea era che il pensiero logico matematico aiutasse in diversi contesti. Vale anche per la musica, tant’è che ho frequentato una scuola in parallelo durante le elementari.Quando è stato il momento di iscriversi all’università hanno però mostrato titubanza. Nel 2012 ho detto che volevo iscrivermi a Fisica a Pavia. Il problema non era espatriare, ero abituata ai continui cambiamenti. Ma nessuno comprendeva l’ambito su cui stavo puntando, né loro né gli amici né il resto della mia famiglia. Consideravano la decisione non convenzionale, troppo difficile e con pochi sbocchi professionali. Stavo quasi per cedere anche io. Avevo preparato tutta la documentazione per iscrivermi a Economia… poi, un giorno prima della consegna, ho cambiato idea scegliendo definitivamente Fisica. In facoltà, ancora una volta, ho trovato una grande differenza tra i generi. Al primo anno eravamo circa in 45, di cui appena sei o sette donne. Ricordo che quando conoscevo qualche persona nuova, facevo un gioco: chiedevo di indovinare cosa studiassi. Nessuno scommetteva su Fisica. Tutti, essendo una ragazza, pensavano a Lettere, Storia e in generale indirizzi umanistici.C’è da dire poi che sono in tanti a mollare il corso dopo il primo anno, ma non per questioni di genere in questo caso. Il tasso di abbandono di queste facoltà dipende dalla complessità degli esami, che rappresentano dei veri e proprio scogli. Studiare Fisica ha richiesto dedizione e costanza. L’ostacolo era anche la lingua, il mio italiano all’epoca era ancora scolastico. In alcuni momenti ho pensato di lasciare tutto e tornare in Bosnia, pensavo di non potercela fare e di aver fatto il passo più lungo della gamba. Ma non ho ceduto: a trasmettermi forza erano i miei genitori, che stavano facendo sacrifici per permettermi di studiare in Italia senza mai smettere di credere in me.Dal secondo anno ho trovato un mio equilibrio e ho potuto dedicarmi anche ad altro. Avevo l’aiuto economico dei miei, ma oltre al volontariato presso i doposcuola per bambini con famiglie segnalate ai servizi sociali, ho anche lavorato come cameriera e come insegnante privata di fisica, matematica e inglese per i ragazzi con disturbi di apprendimento.Poi l’incontro con EY. Il contatto è avvenuto sul portale Almalaurea, ancora prima della laurea magistrale, con la proposta da parte loro di uno stage trimestrale a Milano. Concluso il tirocinio, ho iniziato un apprendistato. A Milano sono restata per quattro anni, e poi mi sono trasferita a Roma, dove sono adesso, con contratto a tempo indeterminato. Sono indipendente economicamente già dal primo contratto. Tutte le preoccupazioni relative agli sbocchi professionali di Fisica si sono insomma rivelate infondate!Sono manager all’interno del team che si occupa di disegno e sviluppo delle soluzioni di Intelligenza Artificiale. Ci rivolgiamo alle aziende farmaceutiche che hanno bisogno di capire dove indirizzare le applicazioni all’interno dei loro processi. Utilizzo la fisica come ‘forma mentis’, per l’approccio alla risoluzione dei problemi, e le abitudini ‘lavorative’ che ho conseguito durante gli studi mi hanno aiutato molto nel percorso professionale.In azienda non c’è nessun gender pay gap: esistono griglie uguali per tutti e non si scappa. Né abbiamo trattamenti differenziati di sorta. Anche perché, sarò sincera: credo che la mia generazione abbia superato certi stereotipi, quello che si avverte sono solo strascichi. Succede ovunque che magari una persona di mezza età faccia commenti inappropriati sull’aspetto esteriore. E spesso è questa generazione a essere alla guida delle aziende.Ma in EY è stato valutato solo il merito. Ed è una realtà che offre supporto anche in caso di maternità. Capisco le preoccupazioni di chi è in attesa di un bambino, perché ci si deve assentare per mesi, però il team corre in aiuto per fare in modo che non si perda il filo. Il consiglio che mi sento di dare è di seguire la propria passione, anche quando gli altri non la capiscono. Le scelte difficili richiedono coraggio, ma la determinazione e il duro lavoro ripagano sempre.Ilaria Mariotti

“A 18 anni mi sentivo persa: studiare statistica è stato decisivo”: e oggi a 30 anni Sarah è Senior consultant in EY

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Sarah Maria Marano, 29enne senior consultant per EY.Sono riuscita a trovare la fiducia in me stessa: è ciò che più mi entusiasma del mio lavoro. Sto per compiere trent’anni e ricopro il ruolo di Senior consultant nel team di AI & Data di EY, e dallo scorso maggio ho un contratto a tempo indeterminato. Mi occupo di ciò che mi piace, che è il mondo dei dati, in un team di colleghi che sono amici e con cui ci supportiamo a vicenda. Ogni giorno di lavoro è stimolante e gratificante. Quello che mi rende particolarmente soddisfatta è l’autonomia finanziaria che ho raggiunto. Questa professione mi ha permesso di diventare indipendente, un aspetto importante che mi dà un senso di realizzazione e di libertà personale. Le scelte che ho fatto mi hanno sicuramente avvantaggiata. La laurea magistrale e la specializzazione in un campo come quello della statistica, combinata con l'esperienza professionale, mi hanno dato accesso a opportunità ben remunerate – e in EY inoltre ci sono aumenti salariali ogni anno, basati anche sul raggiungimento di obiettivi. Mia madre ha molto influito in questo. Ha sempre desiderato che fossi libera, perché a lei non è stato concesso, essendo cresciuta in un contesto familiare all’antica, patriarcale. Anche mio padre mi ha trasmesso il valore dell’essere indipendente. Devo a loro gran parte di ciò che sono oggi: hanno sempre fatto sentire importanti sia me sia mio fratello, sostenendoci con tanti sacrifici. Sono la prima della mia famiglia ad aver raggiunto il traguardo di una laurea. Provengo da Battipaglia, piccola cittadina in provincia di Salerno, dove mi sono diplomata al liceo scientifico. Un percorso non semplice, in cui spesso mi sono sentita "non abbastanza". E a diciott'anni ero completamente persa, non avevo idea di cosa avrei fatto. Poi le cose sono cambiate, grazie a soli 70 chilometri. Ho infatti deciso di trasferirmi a Napoli per studiare Economia aziendale all’università Parthenope, e come materia per la tesi ho scelto Scienze statistiche. Un passaggio decisivo: il professore che mi ha seguito mi ha fatto appassionare al mondo dei dati, suggerendomi di continuare a imparare proseguendo gli studi all’Alma Mater di Bologna. All’inizio ero molto spaventata all’idea  di affrontare un percorso così specifico e impegnativo. Ma la sua fiducia nelle mie capacità e il suo supporto sono stati la chiave per farmi credere in me stessa e convincermi che quella fosse la strada giusta. Ho superato le mie paure e dopo la laurea alla triennale, a aprile 2019, ho deciso di iniziare la magistrale in Statistica, economia e impresa. Così ho aperto i miei orizzonti verso il mondo delle Stem.Già allora, ai tempi universitari, percepivo differenze legate al genere: nel corso di studi le donne erano sicuramente in minoranza. Ma questo non mi ha mai scoraggiata. Inoltre non sono mancati altri ostacoli: uno su tutti il Covid, per cui ho potuto frequentare solo i primi mesi in aula, mentre poi il percorso è proseguito a distanza. Non è stato facile neppure mantenermi durante gli studi da fuori sede. Ho lavorato come babysitter, e sono riuscita a conciliare il lavoro con le lezioni e lo studio anche grazie anche al supporto della regione Emilia Romagna, da cui ho ottenuto una borsa di studio. Il contatto con EY è avvenuto tramite il portale Almalaurea. Ho iniziato con uno stage di sei mesi, iniziato ancora prima di laurearmi. Per questo mi sono dovuta trasferire da Bologna a Roma. Un'esperienza, quella in EY, che mi ha fatto mettere in pratica le competenze acquisite durante gli studi. Conclusi i canonici sei mesi di tirocinio, terminata la magistrale a ottobre 2021, ho proseguito con un apprendistato di due anni. Se ho avuto difficoltà nel mio ambito di lavoro per il fatto di essere donna? Mai. In EY c’è molto rispetto su questi temi, la realtà in cui lavoro è meritocratica e mi ha sempre permesso di esprimermi. So bene però che non sempre è così nella vita reale. Mi è capitato di ricevere apprezzamenti sul mio aspetto fisico, rimarcando più questi che le mie capacità. Sono atteggiamenti che danno fastidio. Essere donna poi, in generale, comporta talvolta di dover dimostrare di più. In certi contesti si deve sgomitare. Ma sono stereotipi che mi spingono a lavorare con  maggiore impegno per affermare il mio valore.Ci sono donne poi che hanno lasciato una traccia in me. Sono quelle del mio team, in particolare le manager. Determinate, con leadership, dotate di intelligenza emotiva, per me fonte di ispirazione. Ammiro la loro capacità di gestire le situazioni con empatia e saggezza. Non solo le donne però; hanno inciso anche uomini e in generale chi ha saputo comprendere la mia sensibilità, accettandola e sostenendomi anche quando ho sentito il bisogno di sentirmi dire “va tutto bene”. Un posto speciale nella mia vita ce l’ha il mio compagno. È stato lui a risollevarmi nei momenti difficili, a ripetermi “sei bravissima” e a non ostacolare mai nessuna delle mie scelte anche quando comportavano cambiamenti netti, come trasferirsi in un’altra città. Non c'è fretta, non serve avere tutto definito da subito, va bene anche non sapere esattamente cosa fare. E alle giovani sento di dover dire questo: non avere mai aver paura di cambiare direzione se le cose non stanno andando bene. E, soprattutto, di parlare se si trovano in difficoltà. A volte un semplice confronto può fare la differenza. E poi è sempre bene circondarsi di persone che sostengono: avere una rete di supporto è fondamentale per raggiungere i propri obiettivi.Testo raccolto da Ilaria Mariotti

Una ragazza in carriera nell'automotive: «Ho lavorato il doppio per superare certe barriere, e mi è servito per crescere»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Anna Somma, 31enne Sales Expert per Continental Italia, nota sopratutto per gli pneumatici ma attiva nei settori Automotive, Tires e Tech.Che avessi una propensione verso le materie scientifiche si era capito già alle elementari: l’insegnante di matematica e scienze aveva subito colto in me una vera passione per queste materie. I suoi insegnamenti li ho poi coltivati nei miei anni a Peschiera del Garda, la cittadina dove i miei si sono trasferiti dalla Campania pochi mesi dopo la mia nascita. È lì che hanno preso vita i miei sogni, che adesso posso dire si siano avverati. Ricopro il ruolo di Sales Expert per Continental Italia, per l’area Nord Est del nostro mercato. Faccio quello che tecnicamente si definisce il “commerciale”, ho quindi la responsabilità dell’area clienti dal punto di vista del business: prendo in carico le negoziazioni con il fine di vendere il prodotto. Si tratta di una mansione che, tradizionalmente, non si può definire tipica per una donna. Anche se oggi le cose sono molto migliorate, la diffidenza inziale c’è stata.Più in generale, arrivare all’automotive non è stato semplice, essendo un settore uno per buona parte dominato da uomini. La presenza femminile, proprio storicamente, ha faticato ad affermarsi. Non è stato come bere un bicchier d’acqua interfacciarmi con interlocutori che non mi prendevano troppo sul serio in quanto giovane donna. Ci sono state resistenze, il contesto di riferimento e i vari attori coinvolti non accettavano, in gran parte, di avere una consulenza, anche su aspetti tecnici, da una ragazza. Ho dovuto lavorare il doppio per far capire il mio valore e la mia professionalità al di là del genere. Solo alla fine – conoscendomi – le difficoltà sono state superate. Io stessa con il tempo ho imparato a scalare queste barriere. Mi hanno permesso di crescere e utilizzare leve che mai avrei pensato di avere. Le prime avvisaglie le avevo già percepite durante la stesura della tesi. Dopo il liceo scientifico, mi sono iscritta nel 2014 a Economia all’università di Brescia. Mi sono laureata nel 2018 con una tesi sullo sviluppo della logistica e della metodologia lean applicata a un’azienda del fast fashion. Ero l’unica ragazza ad approfondire quel tema, forse perché considerato poco attrattivo per le studentesse. Già questo induce a una riflessione sulla divisione che porta a fare la società nel momento in cui pone una differenza tra donne e uomini che si affacciano al mondo del lavoro.La mia prima esperienza lavorativa risale al 2017: l’azienda su cui avevo fatto la tesi mi aveva offerto di entrare nel team del marketing del prodotto. Stavo realizzando il mio primo sogno, entrare in un contesto internazionale toccando con mano il settore della moda. Nessuno a casa mi aveva spinto verso una direzione specifica. Ma i miei hanno un’azienda in ambito hospitality, e avevo “masticato” fin da piccola il senso del business. Era lì perciò che volevo approdare. Durante l’università avevo svolto un tirocinio curriculare presso uno studio di consulenza del lavoro, ma avevo capito che non era quella la mia strada. L’anno dopo la laurea mi sono perciò iscritta alla Business School del Cuoa. Il corso era in Marketing e retail management. Le lezioni si tenevano a Milano e Vicenza, ma nel piano c'era un exchange program con New York, una metropoli d’avanguardia per il retail. Gran parte della mia formazione si deve quindi a questo, che è stato a tutti gli effetti un investimento – anche sul piano economico! –  per il futuro. Terminata quest’esperienza, ho realizzato il mio secondo sogno – cominciare a lavorare nel settore del lusso, in questo caso per una delle più importanti case automobilistiche tedesche: Porsche Italia. Tutto era iniziato con uno stage nell’ufficio marketing alla fine del master, nel 2019. L’azienda era soddisfatta e mi aveva offerto, poi, un contratto stabile. Nel 2021 ho avuto un’opportunità di crescita interna, assumendo il ruolo di Business developer per il mercato italiano. Il punto era però che volevo lavorare nelle vendite, e sapevo che non si sarebbe aperta nel breve termine questa opportunità. Ho allora provato a avanzare allora una candidatura su LinkedIn: è con questo passaggio che sono entrata in Continental poco più di un anno fa, a settembre 2023. La mia aspirazione era affermarmi e portare un valore aggiunto. Ho sempre ritenuto importante impegnarsi, mettere dedizione nelle proprie passioni. Per realizzare i sogni servono responsabilità e energia. E oggi riconosco di sentirmi orgogliosa del percorso, nonostante la strada tortuosa. Senza gli ostacoli non avrei potuto raccontare questa storia. Il mio consiglio è pertanto di non farsi abbattere dai preconcetti perché il valore di ciascuno è unico e come tale troverà spazio.  Va detto che ci sono donne che hanno fatto la differenza nel mio caso. La prima è la mia tutor di tesi, l’altra è la mia responsabile ai tempi dell’esperienza nel dipartimento Marketing di Porsche. Aver lavorato a stretto contatto con queste figure ha contribuito alla mia crescita, sia personale che professionale. In loro ho trovato un connubio di forza, competenza e empatia, e ho potuto imparare da entrambe. Quanto all’automotive, il settore sta vivendo evoluzioni positive ma la strada da percorrere è lunga. Mi auguro si possa raggiungere una vera parità, che si materializzerà quando non ci dovrà più giustificare per il proprio genere. E aggiungo che non sempre le politiche aziendali sul gender gap aiutano a colmare il divario. Il rischio nascosto è che possano emarginare le donne ancora di più. Testo raccolto da Ilaria Mariotti 

Laurea in giurisprudenza, percorso internazionale, poi il salto verso la consulenza: la storia di Lorenzo in Bip

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Lorenzo Curato, 26 anni, oggi con un contratto a tempo indeterminato in Bip.  Sono nato e cresciuto a Venezia, città che amo: vivere in un luogo in cui ogni settimana c’è un nuovo evento culturale ti trasmette un’apertura al mondo. Qui ho frequentato il liceo classico europeo, una sperimentazione che mi ha permesso di integrare le materie umanistiche con due lingue straniere, l’inglese e lo spagnolo, e vivere intense attività extracurriculari come una simulazione della sessione delle Nazioni Unite, arrivata nel 2024 alla decima edizione.  Finito il liceo, la curiosità per i fenomeni sociali e la tradizione familiare – papà avvocato e nonno magistrato – mi han fatto scegliere la laurea in Giurisprudenza con indirizzo europeo e transnazionale a Trento. Qui ho trovato un ambiente rigoroso e dinamico e una facoltà aperta all’estero. E ho sperimentato per la prima volta la vita in autonomia: Trento è una città piccola e tranquilla, con lati positivi, nessuno spaesamento da grande città, e negativi, poca vita sociale! Ho scelto di andare in uno studentato – un ambiente tranquillo a costi ragionevoli, meno di 300 euro mensili.  Durante l’università ho avuto varie esperienze internazionali. La prima è stato un Erasmus a Barcellona, al terzo anno, presso l’università Pompeu Fabra. Son partito per la Catalogna a settembre 2019 e ci sono rimasto fino a marzo del 2020, seguendo corsi in inglese e spagnolo in un’ambiente internazionale e interattivo: i docenti erano sempre interessati al nostro punto di vista durante le lezioni. L’esperienza si è interrotta causa pandemia, ma è stata estremamente arricchente.  E poi… quanto è bello vivere a Barcellona! È una città che offre sconfinate opportunità di svago. Certo ha i suoi costi, e senza il sostegno della mia famiglia sarebbe stato difficile. Avevo una borsa di studio di circa 400 euro mensili, che non coprivano nemmeno il costo dell’alloggio! È vero che gli studenti Erasmus godono di molti sconti e agevolazioni, ma le spese restano alte.  L’esperienza è stata cosìpositiva che tornato in Italia ho deciso, all’inizio del mio quarto anno, di candidarmi per un’esperienza di Doppio Titolo all’università di Glasgow, in Scozia, e ottenere anche il titolo magistrale britannico (LL.M.), molto ambito nel settore giuridico. La mia università aveva un accordo che permetteva di accedervi con uno sconto del 50 per cento sulla retta.  L’ambiente a Glasgow era ancora più variegato che a Barcellona, con un corpo docenti internazionale e colleghi da tutti i continenti: americani, indiani, cinesi... Un’esperienza utile anche perché nei Paesi anglosassoni non è enfatizzata solo la dimensione tecnica dei saperi giuridici, ma anche la loro importanza per altre decisioni, anche di business. Il mio percorso era in diritto societario e finanziario – così ho pensato che potesse essere una buona idea tentare la carriera in una multinazionale. L’unico altro stage avuto prima di entrare in Bip è stato un tirocinio estivo di tre mesi, nel 2021, nella sede padovana di una law firm internazionale. Finiti gli esami del quarto anno avevo saputo tramite passaparola che cercavano una figura junior per aiutare un praticante avvocato. Mi incuriosiva il lavoro del giurista, così mi ero candidato e dopo un colloquio mi era stato offerto uno stage curriculare. Non c’era rimborso spese, ma era molto vicino casa e senz’altro i vantaggi superavano gli svantaggi!  Sono stato di supporto nelle ricerche giurisprudenziali e dottrinali e nella redazione dei contratti e ho affinato la capacità di risolvere problemi giuridici concreti nel diritto commerciale. Sono stati mesi impegnativi ma molto positivi. Al termine dei tre mesi mi è stato chiesto se fossi interessato a fare il praticantato da avvocato, ma avrei iniziato di lì a poco l’esperienza di Doppio Titolo nel Regno Unito e non era possibile una prosecuzione. E qui arriviamo al contatto con Bip – che è stato del tutto inaspettato! Avevo una conoscenza assolutamente superficiale del mondo consulenziale ed ero alla ricerca di un’opportunità che mi permettesse di vivere in un contesto aziendale complesso. Nel Regno Unito, infatti, avevo capito di voler sperimentare il lavoro per una multinazionale. Inizialmente cercavo posizioni in ambito legal, ma ce n'erano davvero poche aperte a laureandi. Così ho vagliato percorsi per “riqualificarmi”. E ho scoperto il Master Bootcamp di Bip: quattro settimane di formazione in remoto, in collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano, e poi uno stage con rimborso spese all’interno dell’azienda. Era allettante: includeva un momento di formazione su tematiche nuove – la trasformazione digitale e l’innovazione strategica – e mi avrebbe fatto capire se quella fosse la scelta giusta per me. E poi Bip è un’azienda internazionale con molte sedi al di fuori dell’Italia, e mi avrebbe permesso di spostarmi all’estero. Così a giugno 2023, mentre ero alle prese con la scrittura della tesi di laurea, mi sono candidato.  La modalità di selezione era per me inusuale: una presentazione di gruppo su un business game. I recruiter, dopo averci illustrato i princìpi chiave dell’azienda e il programma di formazione e averci chiesto una breve presentazione personale in inglese, ci hanno diviso in due squadre e sottoposto una simulazione di un problema reale in un contesto aziendale. In circa un’ora e mezza di tempo dovevamo discutere sulle scelte da intraprendere. I recruiter ci avrebbero osservati e poi espresso le loro valutazioni. Ero abbastanza soddisfatto: pensavo di aver risposto bene a una sfida fuori dalla mia “comfort zone”. Ma mi sembrava che anche gli altri candidati avessero reagito bene! Qualche giorno dopo, fortunatamente, mi è arrivata la conferma di essere stato selezionato; e a fine agosto 2023 ho iniziato il mese di formazione. È stata un’esperienza stimolante: la classe era composta da ragazzi con studi molto diversi tra loro (lingue, filosofia, giurisprudenza...) ed effettivamente questa varietà si notava nell’approccio di ognuno! Le lezioni erano brevi introduzioni teoriche da parte dei docenti a cui seguivano lavori di “messa in pratica” da svolgere in piccoli gruppi il pomeriggio, per poi presentarli alla classe il giorno successivo. L’impressione è stata positiva: Bip mi è sembrato un ambiente in cui contava la curiosità, la voglia di mettersi in gioco e di ragionare in modo aperto.  Al termine mi è stato proposto uno stage di sei mesi in uno dei team dell’area Retail and Consumer Goods della sede di Milano, a partire da novembre 2023, con rimborso spese di oltre 900 euro netti mensili e possibilità di lavorare in full smart working. Cercando online informazioni ho scoperto la Repubblica degli Stagisti, e appreso che Bip rientra tra le migliori realtà presso cui fare uno stage, per rimborso spese e percentuale di assunzione. Mi sembra un’iniziativa molto utile: enfatizza la dimensione formativa che ogni stage dovrebbe avere e permette di sapere quali realtà garantiscono la possibilità di stabilizzarsi, e questo costituisce un aiuto non trascurabile. Inizialmente in Bip sono stato di supporto ad alcuni colleghi più senior nelle loro attività, rivedendo le presentazioni che dovevano fare ai potenziali clienti e facendo ricerche per rendere le proposte il più possibile adeguate. Nelle prime settimane molti momenti sono stati dedicati all’accoglienza e alla presentazione ai team, ed era prevista anche una giornata di confronto tra stagisti e neoassunti con il fondatore Nino Lo Bianco: un ideale passaggio di testimone tra generazioni.  Pochi mesi più tardi, ecco il mio primo progetto: verificare la compliance alle linee guida del gruppo di una controllata estera di una nota multinazionale italiana nell’ambito food. Non erano norme giuridiche ma in qualche modo ci assomigliavano, perché regole che l’impresa chiedeva ai propri dipendenti di seguire. Poi ho partecipato a un secondo progetto simile. Ho sempre avuto vicino il mio partner di riferimento e il collega più senior con cui ho collaborato: quindi ogni dubbio e richiesta trovava subito una risposta. E ho apprezzato molto la disponibilità dei nostri capi: il mio manager era sempre presente e sensibile a ogni necessità di supporto. Al termine dello stage, a maggio 2024, mi è stato proposto il contratto a tempo indeterminato con una RAL di poco superiore a 27mila euro l’anno. Sono stato molto felice e ho accettato, ma non è stato inaspettato: l’azienda mi ha dato un feedback in ogni fase dello stage.  Il lavoro in consulenza cambia di continuo. Attualmente sto collaborando a un progetto molto ampio con una multinazionale del settore tech, supportando una collega nelle attività di project management, cioè di raccolta e monitoraggio dello stato di avanzamento delle attività dei vari filoni del progetto stesso, e lavorando all’interno di un team che si occupa di fornire consulenza marketing al cliente sulla base dell’analisi delle conversazioni online che riguardano il brand. Un’altra peculiarità della consulenza è che non esiste una giornata “tipo”, anche se di norma ci sono riunioni con i team che seguono i singoli progetti o con il gruppo di marketing. Una parte del tempo viene poi dedicata alla predisposizione di presentazioni da fornire al cliente o all’analisi dei dati tramite Excel. In Bip lavoro in smart-working, tre o quattro giorni alla settimana: questo consente di conciliare la vita personale (e, nel mio caso, la scelta di non abbandonare la mia città) con quella lavorativa. Ormai tramite applicazioni come Zoom o Teams è facile mantenere un’adeguata interazione con i colleghi anche a distanza; le riunioni che includono un gran numero di persone, poi, sono più comode da fare online. L’ufficio comunque mantiene una sua utilità: in alcune occasioni, in vista della revisione di documenti importanti, può essere utile sedersi attorno a un tavolo, ma penso che il lavoro in sede abbia più vantaggi in termini relazionali che lavorativi. Se una persona è seria e volenterosa, lo sarà anche a distanza. Anch’io come tanti ho pensato di andare all’estero, perché l’Italia non è esattamente il contesto migliore per un giovane per essere valorizzato, ma sono molto legato al mio Paese e finché le opportunità lavorative lo consentiranno penso che rimarrò qui.  Certo, non mancano i problemi nel mondo dello stage e credo siano legati a due fattori: innanzitutto le aziende piccole, specie se a gestione familiare, sono poco propense a investire nella formazione dei talenti anche per le scarse capacità economiche. E poi l’università italiana è storicamente restia a cercare una connessione col mondo del lavoro. È un problema intricato, e in questo senso mi sembra meritoria l’attività della Repubblica degli Stagisti: puntare i riflettori su chi riesce a fare bene pure in questa realtà complessa. Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Laureata in Lettere e ora Knowledge Engineer: «La commistione tra materie umanistiche e informatica mi ha stregata»

Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati agli uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio pressoché esclusivo degli uomini. La storia di oggi è quella di Valentina Carriero, Knowledge Engineer nella Unit Knowledge Technologies di Cefriel, centro di innovazione digitale fondato oltre trent'anni fa dal Politecnico di Milano.Posso dire che la mia vita sia cambiata dopo un esame all’università. Al liceo – il classico, a Francavilla al Mare, dove sono cresciuta – non avevo le idee molto chiare su cosa volessi fare “da grande”: magistrato, psicologa… Non disdegnavo la matematica ma alla fine mi sono convinta a iscrivermi a Lettere classiche, con l’ipotesi di diventare archeologa. Seguendo le orme materne e scontentando mio padre, quantomeno in un primo momento: lui, ingegnere, sperava che qualcuna delle sue figlie seguisse le sue! Nel 2011, a diciannove anni, ho scelto l’università di Bologna, sia per la sua fama, sia per raggiungere mia sorella maggiore che frequentava lì Medicina. Mi sono innamorata subito sia della città (che allora era più a misura di studente), sia della vita universitaria. Amavo tutte le materie, eppure a ogni esame di greco e latino mi rendevo conto che quella non era proprio la mia strada. Tutto è cambiato quando ho incluso nel piano di studi il corso di Informatica Umanistica, focalizzato sui linguaggi di markup e l’editoria digitale. Con una paura terribile di non capirci nulla!Per l’esame ho portato un mini sito web: ancora ricordo le ore passate al computer fino a sera. È così che ho compreso di essere affascinata dalla commistione tra discipline umanistiche e informatica. E per questo mi sono laureata, con il massimo dei voti in questa materia, con la stessa docente sia alla triennale nel 2014 che alla specialistica nel 2017. Il mio percorso è stato sempre costellato da donne come punti di riferimento. Non solo la relatrice e correlatrice di tesi, ma anche la mia responsabile in Cefriel, dove lavoro oggi. E sicuramente, è stato d’ispirazione avere davanti figure di donne che avessero costruito, ognuna a suo modo, una carriera di successo.Dopo la laurea sono rimasta disoccupata per appena un paio di mesi. Avevo avuto durante gli studi una collaborazione con la casa editrice il Mulino, e svolto due tirocini curriculari; poi mi ha assunto una start-up di chatbot. Qualche tempo dopo ho deciso di virare sul mondo della ricerca. Su indicazione della mia relatrice di tesi, ho partecipato a un bando e vinto un assegno di ricerca presso il CNR sui temi del web semantico applicato ai beni culturali. Da allora lo sviluppo di ontologie è diventata la mia passione. Si tratta di schemi che permettono di associare una semantica a concetti in modo che questa sia comprensibile dalla macchina, che a sua volta vi possa costruire sopra una serie di applicazioni di intelligenza artificiale. Passati altri due anni, nel 2019, ho deciso di tentare il test per un dottorato di ricerca in Computer Science and Engineering, sempre a Bologna, con lo stesso gruppo di ricerca. Una bella sfida visto il mio background! Anche qui, non dimentico le ore passate su YouTube a capire con i tutorial cosa fosse il quantum computing, su cui dovevo fare una relazione per un corso del dottorato. Ma è lì che ho iniziato davvero a fare esperienze decisive, come presentazioni di paper a conferenze o periodi all’estero, per esempio uno di tre mesi presso l’università di Amsterdam in qualità di visiting PhD student. Avere un dottorato in materie scientifiche mi dava una marcia in più anche per affrontare il futuro. L'ho concluso nel 2023 e a quel punto ho optato per un contesto aziendale, che mi avrebbe dato ritmi e obiettivi diversi. Ed ecco che trovo Cefriel, dove oggi sono Knowledge Engineer nella Unit Knowledge Technologies. Tra gli aspetti dell'azienda che più mi sono piaciuti, soprattutto della Unit di cui faccio parte, c'era la possibilità di continuare a fare ricerca pur in un contesto diverso rispetto all’accademia. E un altro elemento fondamentale è stata la flessibilità nei confronti dei dipendenti, tanto che sono rimasta a vivere a Bologna pur lavorando a Milano, grazie alle politiche che adotta l’azienda sul lavoro da remoto.Non sento di essere stata svantaggiata per il fatto di essere donna nel mio percorso lavorativo, né ho mai sperimentato il gender pay gap. Non posso negare però che il sessismo sia ancora purtroppo ampiamente diffuso. Non a caso all’università, essendo facoltà umanistiche, eravamo più donne che uomini. Durante il dottorato era invece il contrario. Ed è un peccato che tanti giovani, che potrebbero contribuire al cambiamento molto più dei più “grandi”, cadano in considerazioni del tipo “non si può più dire nulla”. Il linguaggio è importante, influenza il nostro pensiero e le nostre azioni, quindi si dovrebbero evitare anche le classiche battutine sul posto di lavoro. Sono apparentemente innocue, ma non fanno che sminuire l’altro. In Cefriel sono in corso iniziative di sensibilizzazione in tal senso, in collaborazione con la Fondazione Libellula.E dire che da bambina sognavo di diventare scrittrice, dopo essermi innamorata del libro Momo di Michael Ende. Invece, della carriera da scrittrice per ora nemmeno l’ombra… Ma la mia aspirazione di base era fare qualcosa che mi appassionasse davvero, limitando al minimo i compromessi. Posso dire di esserci riuscita, ritagliandomi un percorso su misura e scoprendo con l’esperienza quello che mi piace davvero fare. Avere un background multidisciplinare mi ha aperto diverse strade, e credo che le aziende siano sempre più attratte da questo tipo di figure, perché iniziano a vedere il valore aggiunto che possono portare in termini di creatività e di “guardare alle cose da un punto di vista diverso”. Bisogna dare ascolto al cuore, perché, come nel mio caso, il percorso può prendere pieghe inaspettate. Siamo in continua evoluzione, il cambiamento fa parte di noi, quindi non siate spaventati dal desiderio di provare cose nuove! Non reputerò mai inutile aver speso ore e fatica per preparare esami di lingua e storia greca. Hanno comunque contribuito a rendermi quella che sono ora.Testo raccolto da Ilaria Mariotti

Master, stage e poi assunzione nel trade marketing di Continental: «Un mondo straordinario» per Ludovica

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Ludovica Frixione, 26 anni, oggi con un contratto a tempo indeterminato in Continental Italia. Ho frequentato l’università a Genova, città dove sono nata e cresciuta, conseguendo la laurea triennale in Scienze Internazionali diplomatiche. Durante gli anni universitari ho deciso di partecipare al bando Erasmus e ho avuto la fortuna di passare all’estero nove mesi, da settembre del 2017 a maggio del 2018, a Cork, in Irlanda. Ancora oggi ricordo con grande felicità il mio Erasmus: un periodo ricco di sfide personali ma anche di grandi traguardi raggiunti.  Il programma offre un contributo europeo per supportare gli studenti con le spese all’estero, sostegno economico che ho avuto anche io, ma l’Irlanda è un paese abbastanza caro quindi senza l’uso dei miei risparmi e soprattutto dell’aiuto economico dei miei genitori difficilmente sarei riuscita a coprire le spese per tutto il periodo all’estero. Il primo mese è stato complicato: non conoscevo nessuno, in più dovevo anche fare l’orecchio a un nuovo tipo di accento mai sentito prima! Dopo un po’, però, sono riuscita ad ambientarmi e ho stretto amicizia con persone con cui ancora oggi continuo a sentirmi. Terminati i nove mesi di Erasmus ho inizialmente pensato di andarmene dall’Italia per lavorare all’estero. Ma poi ho trovato altre offerte nella mia città e deciso di rimanere lì.  Il primo incontro con il mondo del lavoro è avvenuto durante il periodo universitario, quando ho iniziato a svolgere vari lavoretti da addetta vendite, continuati anche dopo essermi laureata: prima da Decathlon e poi da Ikea. Entrambe le esperienze sono state estremamente positive sia per quello che ho potuto imparare, sia per l’ambiente e il clima aziendali.  È stata in quella fase che ho capito che il percorso di relazioni internazionali, nonostante fosse molto interessante e completo, non sarebbe poi stata la mia strada. Così ho iniziato a guardarmi intorno per cercare un corso quanto più vicino ai miei interessi e soprattutto al mondo del lavoro. E mi sono iscritta, nel 2022, al master Sales & Account Management presso l’università Cattolica. È un master commerciale, improntato alle vendite, ma con una consistente base di marketing B2B. Il percorso è stato ricco di progetti, lavori di gruppo, sfide in cui uscire dalla propria zona di comfort e mettersi in gioco sia singolarmente che in gruppo.  Per seguire il master mi sono dovuta trasferire da Genova a Milano. Da studentessa è stato bello sfruttare tutto ciò che questa grande città offre: dal divertimento alle tante opportunità di conoscere nuove persone. Il master non prevedeva borse di studio, quindi ancora una volta è stata la mia famiglia a supportarmi. Arrivare da un altro percorso di studio non è stato limitante – certo, per le materie economiche all’inizio ho fatto un po’ più di fatica, ma il master ti forma sotto tanti punti di vista, che non riguardano solo la parte didattica, ma anche quella umana. Dopo sei mesi sui banchi era incluso un periodo di stage obbligatorio per conseguire il titolo. Una situazione un po’ atipica, dato che io prima di fare il master avevo già un lavoro, con un contratto subordinato! Ma la verità è che ero interessata a continuare a studiare, ed è quello che ho fatto: anche se ciò ha significato lasciare un lavoro per tornare sui banchi. L’anno precedente, nel 2021, avevo infatti fatto uno stage di sei mesi presso Ikea come addetta vendite. Avevo trovato l’annuncio su Linkedin, mi ero candidata e dopo un paio di colloqui ero stata presa. Mi occupavo della progettazione e della consulenza di camere da letto. Quell’esperienza mi ha permesso di migliorare il rapporto con il pubblico, di ascoltare le esigenze della clientela e trovare sempre una soluzione anche quando, per motivi esterni, non sempre era semplice. Ho imparato a gestire il tempo e a lavorare in un team molto eterogeneo.  Lavorando in Ikea, la mia passione per l’arredamento era cresciuta sempre di più, e ancor oggi conservo una curiosità molto forte per quel mondo. Terminati i sei mesi di tirocinio mi era stata offerta la possibilità di proseguire con un contratto a tempo determinato di sei mesi: lì per lì avevo accettato, ma poi avevo interrotto  per poter cominciare appunto il master.  È stato durante il master che ho conosciuto Continental! L'azienda, infatti, ha presentato a noi studenti un project work: ci è stato lanciato un brief e noi, divisi in gruppi, abbiamo preparato i nostri lavori. Poi Continental è tornata in Cattolica per ascoltare i nostri progetti.  L’azienda in questo frangente si è resa disponibile a effettuare dei colloqui conoscitivi a cui ho partecipato anche io. Una volta fatto il colloquio, sono stata richiamata dall’ufficio HR per capire se fossi interessata a fare uno stage presso l’ufficio Sales Administration, con un rimborso spese di 700 euro mensili più buoni pasto. Ho detto subito sì e così sono stata contattata per un colloquio, dopo il quale sono entrata in azienda. Era giusto giusto due anni fa: agosto 2022. Fin da subito sono stata coinvolta in tutte le attività. Grazie a questo stage ho iniziato a capire cosa c’è dietro ai processi e ai flussi aziendali, dato che mi occupavo di anagrafica clienti e flussi di automazione: tutti argomenti nuovi per me.  A ridosso della fine dei sei mesi, in azienda si è aperta la posizione di Trade Marketing Specialist. Fin dai tempi del master mi ero avvicinata al mondo del Trade Marketing, provando grande interesse per questa funzione aziendale che lega e unisce profondamente marketing e vendite. Così mi sono candidata per la posizione; ho affrontato due fasi di colloqui che si sono concluse entrambe positivamente. E ad aprile dello scorso anno sono stata assunta nel nuovo team, con una Ral un po’ sopra i 26mila euro lordi l’anno.  Ho scoperto un mondo straordinario, un connubio tra analisi e creatività. Tra le mie attività principali ci sono il monitoraggio del budget, la creazione di campagne di sell-in, la gestione del merchandising e la progettazione di tanti altri contenuti di marketing da portare direttamente ai nostri rivenditori. Lavoro in un team e in un’azienda che mi permettono di esprimermi e di sperimentare.  Oggi ricordo ancora il mio primo giorno di stage: ero agitata ed emozionata, ma appena sono entrata ho capito che sarei stata ben accolta. La disponibilità e la gentilezza delle persone è stata una delle prime cose che ho notato.  Pur provenendo da un percorso di studi lontano dal settore in cui lavoro, questa cosa non mi ha mai bloccata. Ho sempre pensato che potessi apprendere e appassionarmi non solo per il prodotto, ma anche per la cultura aziendale e per il modo di lavorare. Oggi sto bene in Continental e vorrei proseguire il mio percorso nel marketing o, perché no, in qualche posizione più commerciale.  La mia esperienza con il mondo dello stage è stata positiva, ma sono consapevole che in alcuni contesti il basso livello di rimborso spese mensile sia un problema. Se non si ha una famiglia che ti supporta è impossibile vivere ad esempio in un’altra città facendo uno stage. E poi l’altro problema è sicuramente la poca prospettiva: uno stage dovrebbe essere finalizzato all’assunzione, invece purtroppo spesso non è così.  Ai giovani che si apprestano a entrare nel mondo del lavoro consiglio di essere sempre curiosi, imparare a guardare chi è più bravo e più esperto. E, soprattutto, chiedersi ogni giorno come dare il proprio contributo all’azienda in cui si è, perché è così che si trae il massimo da ogni esperienza. Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

La fame di conoscenza apre opportunità, la storia di Alice: a 25 anni già tanti “mattoncini” nel suo percorso

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Alice Pomes, 25 anni, oggi con un contratto a tempo indeterminato in Merlett, gruppo Continental. Sono originaria del Sud, della mia amata Puglia, il mare e il sole di Taranto hanno accompagnato gli anni della mia crescita. Ho frequentato il liceo linguistico studiando inglese, spagnolo e francese; in quegli anni ho fatto parte della Consulta provinciale degli studenti della mia città, sfidando il mio essere timida ed imparando a interagire con istituzioni e persone più grandi di me.  Al quarto anno del liceo ho deciso di provare il test d’ingresso in università Bocconi, e l’ho passato! Così ad agosto 2017 mi sono trasferita a Milano e lì è iniziata la mia vita da fuori sede – con i pro e i contro dell’essere indipendente a soli diciott’anni.  La mia laurea triennale era in Economia e Management (CLEAM). In quei tre anni sono stata in una residenza universitaria dove pagavo circa 720 euro al mese, spese incluse, per 11 mesi l’anno. Ho scelto la residenza perché Milano era una città totalmente nuova per me, non conoscevo nessuno. L’aspetto più bello è stato entrare a contatto sempre con nuove persone, visto che ogni anno arrivavano nuovi studenti, e dal primo giorno si è creato un senso di famiglia: eravamo tutti ragazzi che intraprendevano un nuovo percorso in una nuova città, sempre pronti ad aiutarci. Senza dubbio alcune delle amicizie più belle che ho ad oggi sono nate tra i muri della Residenza di Viale Bligny 22.  In questi tre anni ho fatto parte dell’associazione TEAM, Together Everyone Achieves More, dove ho curato prima il fundraising, poi gli eventi e infine sono diventata presidente: è stata una grande soddisfazione e oggi porto con me l’idea che solo insieme si possa fare la differenza.  Al terzo anno ho fatto uno scambio in Spagna, presso l’università Carlos III. Amo la Spagna, parlo spagnolo e già durante il liceo avevo partecipato a uno scambio Erasmus Plus KA1, nella zona di Almeria, per qualche settimana, con tutto il gruppo del liceo. Quindi tornarci durante l’università è stato semplice. Sono stata a Madrid da agosto a dicembre 2019 – il mio era un Free Mover Program, pagavo una mini retta per l’università estera oltre a quella per la Bocconi. Per fortuna essendo nel gruppo Erasmus Student Network potevo utilizzare degli sconti e agevolazioni. Vivevo in un appartamento condiviso con altri italiani. Eravamo un gruppo di 35 studenti della Bocconi, quindi le classi erano praticamente solo di italiani e i corsi in inglese.  Durante quell’esperienza ho anche svolto un mini-job per la Guerini Editore, curando la piattaforma di bilancio, occupandomi di back-end e creazione modulistica: lavoravo circa quattro/cinque ore a settimana in remoto e sono stata pagata circa 600 euro per l’intera durata, da fine agosto a dicembre. Era un modo per guadagnare qualcosina. Tornata in Italia mi era stato proposto di prendere le “redini” del progetto, ma ho deciso di proseguire gli studi.  A marzo 2020 sono scesa in Puglia: era appena scoppiato il Covid e sono tornata in famiglia poco prima del completo lockdown, rimanendovi fino a fine agosto. Non è stato semplice studiare via Teams, seguire le lezioni e fare gli esami – si perdeva il senso di comunità. Però ho avuto l’occasione di tornare a casa, erano tanti anni che non eravamo tutti insieme visto che anche mia sorella, che studiava a Torino, ed era tornata giù per lo stesso motivo. È stato bellissimo: abbiamo recuperato un po’ di tempo insieme. Mi sono laureata nell’ottobre di quell’anno, in piena pandemia: niente feste, proclamazioni, – solo una mail e un video registrato.Per la magistrale ho scelto, invece, un percorso più umanistico ed internazionale, quello in Strategic Communication presso l’università Iulm, sempre a Milano. Mi ha insegnato tanto e ho apprezzato la praticità della didattica che abbinava teoria a lavori di gruppo o individuali. Questa volta ho scelto un appartamento condiviso: era il momento di vivere in una vera casa. All’inizio la vita di residenza mi è mancata, ma poi sono entrata in sintonia con la mia coinquilina e il nostro salotto – una vera fortuna averlo visto che a Milano le case per universitari raramente hanno una sala comune oltre alla cucina! – è diventato protagonista dei mega pranzi delle domeniche con i nostri amici.  Ho poi partecipato al bando Erasmus e inserito un’unica destinazione: Lisbona. Sono partita a febbraio 2022 e lì ho scoperto ancora una volta di essere un po’ cittadina del mondo – non è stato difficile ambientarsi. Avevo una borsa di studio mensile di circa 250/300 euro. Ero in un appartamento condiviso con altre sette persone – tre italiani, un francese, un olandese, un messicano e una finlandese – e mi piaceva questa multiculturalità. I corsi erano in inglese; eravamo una classe di una trentina di persone, di cui tre italiane. Lisbona è stata una grande scoperta, con una cultura molto aperta, e ancora oggi conservo delle amicizie importanti. Appena posso volo lì e ritrovo amici che continuano a viverci! In quel periodo ho scritto una tesi di laurea sperimentale in Internal Communication sul fenomeno del Whistleblowing in Italia e Portogallo; e a novembre 2022 mi sono laureata. Oggi non sarei qui se non fosse stato per i miei genitori e il loro immenso aiuto: penso che la cosa più bella che un genitore possa fare sia incoraggiare i propri figli a seguire i propri sogni e supportarli anche se lontani da casa. I miei hanno fatto tutto questo per me e penso che non sarò mai grata abbastanza. Terminati gli studi avevo due grandi passioni: le risorse umane e gli eventi. Mentre finivo di scrivere la tesi avevo iniziato uno stage di sei mesi nel settore eventi presso la AIM Group International a Milano, con un rimborso spese di 600 euro. Mi occupavo di eventi e logistica anche di viaggio: una mia grande passione, in realtà, ma sentivo che non stavo mettendo a frutto i miei studi. Ho capito che volevo intraprendere una carriera nell’ambito delle risorse umane, e quasi per caso ho trovato l’opportunità in Continental. Il mio stage è quindi terminato in anticipo a inizio febbraio 2023, per mia scelta. Mi sono imbattuta nella proposta in Continental Italia su Linkedin, a dicembre 2022. Ho letto l’annuncio: un tirocinio in hr con un focus su tematiche in employer branding e talent acquisition. Mi sono ritrovata in ogni parola... e subito candidata! Dopo poco sono stata contattata da Ioselita D’Aleo, che si occupa appunto Talent acquisition: ho fatto un primo colloquio su teams con lei e Elisa Giarratana, Org Development. Poi ho avuto un secondo colloquio in presenza con l'HR director, Luca Armand. Volevo veramente quel posto e tra colloqui e visita agli uffici ho capito subito che sarebbe stato un ambiente da cui imparare tanto. Pochi giorni dopo ecco la telefonata: ero stata selezionata. Non so spiegare la felicità e l’orgoglio provato in quel momento. Stavo aggiungendo un nuovo mattoncino al mio percorso.Lo stage durava sei mesi e sono stati subito molto trasparenti nel dirmi che non si sapeva nulla circa il dopo. Mi occupavo di Talent Acquisition e Employer Branding: colloqui per stagisti, screening cv, attività di partnership con alcune università, scrittura per la pagina LinkedIn. Ricevevo un rimborso spese di 850 euro lordi più buoni pasto da 8 euro, e seguivo la politica di smart working dei dipendenti, quindi 50 per cento mensile e 50 per cento trimestrale sui mesi estivi. Ero molto agitata il primo giorno di stage, eppure mi sono sentita subito accolta: avevano preparato per me la giornata di Onboarding  accompagnandomi nella storia di Continental e facendomi sentire a mio agio. Molto carini anche i piccoli gadget per i nuovi arrivati, che fanno sentire subito parte del gruppo. Ho avuto un ottimo rapporto con i miei tutor e penso di essere stata molto fortunata. Dopo qualche mese, ho chiesto di vedere anche le altre funzioni hr. Poi ho scoperto il mondo di organizational development e internal communications & events: ho creato un nuovo template per comunicazioni interne, abbiamo organizzato eventi mensili per i colleghi e ho seguito la parte di Talent Management. Mi sono subita sentita parte del team, probabilmente ha aiutato che ci fossero altri ragazzi coetanei in azienda, con cui confrontarsi e passare del tempo insieme. Dopo i primi sei mesi mi è stata proposta una proroga per altri sei, con un aumento al rimborso spese a 1000 euro mensili. Ho accettato subito perché sapevo di poter imparare ancora molto. Ripeterei l’esperienza in Continental Italia senza alcun dubbio! Al termine dell’anno non è stato possibile trovare una posizione per me, ma i colleghi si sono adoperati per aiutarmi a trovare un posto. Qualche settimana prima della fine dello stage è arrivata l’offerta di Paola Vanetti, HR Country Head Italy in Merlett. Ho lasciato quindi lo stage dopo 11 mesi, a gennaio. Ricordo ancora la telefonata: non ero nemmeno a conoscenza della vacancy nell’area, ero incredula e felicissima. Avevo lavorato tantissimo e mi ero messa in gioco durante lo stage, per me è stato importante ricevere questa proposta.  Sapevo che Merlett faceva parte del gruppo Continental, dato che in stage avevo avuto l’opportunità di partecipare alle riunioni trimestrali di Hr Country. Con il passaggio in questa nuova azienda è cambiata sia la città sia il settore. Milano era una sede commerciale, qui a Daverio invece siamo una sede produttiva con uffici amministrativi. È una sfida, sto imparando tante cose nuove: una grande opportunità e un bel percorso di crescita per una ragazza di 25 anni. Ho scelto di vivere a Varese, una città un po’ più grande, a pochi chilometri da Daverio. Non è semplice fare nuove amicizie, ma ce la sto mettendo tutta. Ho trovato anche una palestra/piscina vicino casa dove vado due volte a settimana. Sono fiduciosa di conoscere nuove persone: e poi sono solo a un’ora di auto da Milano, e spesso torno lì il fine settimana!Oggi ricopro il ruolo di HR TMOD & Communication Specialist, con una Ral un poco superiore ai 30mila euro l’anno. Mi occupo prima di tutto di integrazione culturale, visto che nel 2019 Merlett, azienda padronale, è stata acquisita dal Gruppo Continental, una multinazionale. Poi ho tutta la parte di Talent Management, formazione interna ed esterna, onboarding nuovi arrivati, Organizational development, comunicazione interna ed employer branding, oltre a progetti con i colleghi delle altre sedi italiane. Ogni giorno lavoro sulle mie abilità di problem solving e sto acquisendo più fiducia in me.In Merlett, così come prima in Continental Italia, lavoro spesso in smart working. Trovo che sia molto efficace se una persona lo prende seriamente: ogni tanto è utile lavorare da casa per poter portare a termine alcuni lavori che in ufficio è complesso fare. Certo, non c’è l’interazione immediata, ma grazie a strumenti come Teams anche questo ostacolo viene facilmente superato. Mi piace molto l’ambito delle risorse umane, mi appassiona trovare nuovi modi per coinvolgere le persone. Sono giovane, ma ho nel mio bagaglio personale già tante esperienze e sento di crescere ogni giorno grazie all’impegno in tutto quello che faccio. Mi piacerebbe molto in futuro essere responsabile di un team e provare a trovare nuove idee e metodologie per ingaggiare le persone.  Il problema degli stage oggi è l’assenza di veri percorsi formativi. Ho fatto tanti colloqui, e spesso l’offerta era per archiviazione di documenti... Credo sia veramente triste per chi ha studiato tanto ritrovarsi a fare solo questo. Fare gavetta è giusto, ma sempre in linea con ciò che si è studiato! Non conoscevo la Repubblica degli Stagisti prima di entrare in Continental, però insieme alla mia tutor, che mi ha fatto conoscere questa realtà, abbiamo siglato proprio mentre ero in stage lì l’accordo con cui Continental Italia è entrata a far parte dell'RdS network. Credo che la Repubblica degli Stagisti porti avanti un concetto chiave per gli stage in Italia: il potere della formazione e la sua giusta remunerazione. Per i giovani diventa un punto di riferimento per capire quali sono le aziende di valore dove intraprendere un percorso di formazione.  A chi oggi si affaccia al mondo del lavoro suggerisco di non fermarsi mai, prendere tutto di ogni esperienza: la vita in azienda, il coinvolgimento tra team, i momenti belli e brutti; di osservare chi ha esperienza e imparare, lasciandosi guidare ma senza mai appiattirsi. Siamo giovani, e abbiamo dalla nostra parte la fortuna di essere nati con una nuova tecnologia e mentalità: dobbiamo solo metterci in gioco e lasciare che la nostra “fame di conoscenza” parli per noi. Testimonianza raccolta da Marianna Lepore

Molte più opportunità di lavoro adesso in Puglia, grazie a Bip e alle altre aziende che investono sul territorio

Essere ragazzi, al sud Italia. Studiare, sognare il futuro. E sapere che molto probabilmente quel futuro sarà altrove, dovrà essere altrove – perché le opportunità buone, quelle per le carriere belle, quelle con gli stipendi generosi, raramente sono lì. Molto più spesso più sono su, nelle Regioni del centro-nord, o ancora più lontano, all'estero. E così “il Mezzogiorno” – così ancora viene chiamato il gruppo di regioni che corrispondono all'antico Regno delle Due Sicilie, e quindi Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, a cui per convenzione si aggiunge la Sardegna – si spopola (qui qualche numero). I giovani partono dopo le scuole superiori, oppure dopo l'università. Partono per fare esperienza, studiare, trovare lavoro. Partono il più delle volte con il desiderio di tornare; e questo desiderio troppo spesso, però, resta frustrato.Non che i giovani meridionali non possano essere felici altrove. Si può vivere pienamente anche lontano dalla propria terra d'origine, è chiaro. Tutto sta nella libertà di scelta. Potendo scegliere, vorresti vivere e lavorare lontano? Potendo scegliere, vorresti tornare nella tua città?Federica Ranieri Dellino risponde no alla prima domanda; Stefano Caradonna risponde sì alla seconda. Hanno entrambi meno di trent'anni, sono entrambi baresi, e sono felici di poter lavorare nella loro terra. Hanno storie diverse, e in comune il fatto di essere project manager nell’area energy & industrial in Bip, la più grande multinazionale della consulenza di matrice italiana, che da molti anni fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti. Fondata nel 2003, a lungo concentrata sull'asse Milano-Roma delle sue due sedi principali, negli ultimi anni Bip ha deciso di scommettere sulle Regioni del Sud. E l'ultima nata in ordine cronologico è la sede di Bari. Stefano Caradonna se n'è andato dalla Puglia nel 2015,  a ventun anni, con una laurea triennale in Economia e commercio conseguita all'università di Bari. Una partenza «non a cuor leggero», ricorda, in cui all'entusiasmo di andare a proseguire gli studi in «un'università molto valida a livello di preparazione» e sopratutto capace di spiccare sul curriculum, la Bocconi, si intrecciava l'amarezza di dover lasciare la famiglia e gli amici indietro. Una scelta «molto pesante dal punto di vista economico» resa possibile solo «grazie all'aiuto dei miei genitori», ricorda, ma che oggi considera come «un investimento che si è ripagato, se si guarda a dove sono arrivato dopo qualche anno: ne è valsa sicuramente la pena». A Milano Stefano si costruisce un pezzo di ecosistema pugliese lontano dalla Puglia: «Mi trovavo abbastanza bene, anche perché avevo amici di Bari e altre persone che avevo conosciuto durante il periodo universitario, la maggior parte sempre di Bari». Anche i coinquilini con cui condivide l'appartamento a Milano sono suoi conterranei: inevitabilmente «con il tempo è cresciuta quella nostalgia di dire “Voglio ritornare in Puglia”. Magari non subito, ma quando sarò pronto, mi dicevo, lo farò». Ma nel 2018, quando conclude il percorso di specialistica in Management, quel momento non è ancora arrivato. Laurea in tasca e cv arricchito da sei mesi di stage curricolare in Deloitte, altra società di consulenza, Stefano bussa allora alla porta di Bip, in piazza San Babila: «Mi interessava la consulenza strategica; ho fatto l'application, mi hanno chiamato per i colloqui e ho iniziato subito: stage di tre mesi e poi assunto direttamente». Fast forward di tre anni: arriva il periodo Covid, che Stefano trascorre prevalentemente in Puglia, lavorando da remoto prima per Bip e poi per un'altra azienda, la società di delivery Glovo («volevo fare un'esperienza diversa, un po' più commerciale»). Ma il lavoro al 100% da remoto non gli si addice, e sente che il ruolo di consulente è più giusto, per lui, rispetto a quello di commerciale. Così, quando su un giornale locale scopre che Bip sta per aprire una sede a Bari, non ci pensa due volte: «Era un'azienda dove mi ero trovato benissimo, infatti non avrei voluto andarmene. Avevo mantenuto i contatti con i miei vecchi colleghi di Milano, e così ho avviato percorso di selezione per rientrare in azienda». A novembre del 2023, a 28 anni, firma il suo secondo contratto di assunzione con Bip. Stavolta, sulla sede di lavoro che più lo rende felice: Bari.Federica Ranieri Dellino ha 25 anni e lavora nello stesso ufficio; a differenza di Stefano, però, lei non ha mai avuto bisogno di spostarsi. Una circostanza di cui è la prima a sorprendersi: «Ero affascinata dalle opportunità che offriva il Nord Italia: mai avrei immaginato invece di restare qui, e non fare un'esperienza fuori». Non che Federica ne sia scontenta – al contrario. Già mentre studiava Economia all'università di Bari era attratta dal mondo della consulenza: «Seguivo le “Big Four” e iniziai a partecipare a workshop e attività di gruppo online, da qui». Non appena scopre che EY – un'altra delle aziende virtuose dell'RdS network e una delle quattro “big four”, appunto – sta aprendo una sede in Puglia, Federica si candida e viene presa: stage e poi contratto di apprendistato in rapida sequenza. «Avere un'opportunità a Bari mi sembrava un miraggio» ricorda: «Mi sono buttata in quell'esperienza» a capofitto. Nel frattempo, nell'arco di pochi anni la situazione nel territorio cambia: le aziende che aprono sedi locali si moltiplicano. E tra queste, Bip coglie l'attenzione di Federica: «Iniziai a seguirla sui social, ritrovandomi nei valori che condividevano, e mi ricordai che... Mi avevano già contattata loro in passato!». All'epoca però il posto che le avevano offerto era su Milano, e dunque lei non l'aveva accettato. Ma la notizia di un'imminente apertura dell'ufficio a Bari cambia le carte in tavola: «Mi dissi “Bingo, è arrivato il momento di provarci!”; ripresi la loro mail di un anno prima, e facendo finta di nulla mi ricandidai per Bari». Un azzardo destinato ad avere successo: a giugno 2023 Federica firma il contratto di assunzione, cominciando a lavorare in full remote, e non appena l'ufficio di Bari è pronto, diventa la sua sede di lavoro di riferimento.Ad accomunare le esperienze di Stefano Caradonna e Federica Ranieri Dellino è la soddisfazione di poter esprimere appieno il loro potenziale nella loro terra d'origine, senza bisogno di emigrare. «Io lavoro da quando avevo sedici anni, ho iniziato prestissimo» racconta Federica: «Prima di arrivare in consulenza ho fatto lavori stagionali, poi la team leader per Yves Rocher, una società che vende prodotti di cosmesi. E la cosa che mi ha sempre salvato, in ogni circostanza, è stata la possibilità di avere accanto la mia famiglia e i miei amici». C'è «uno stile di vita» tipico e irripetibile «qui al Sud: al di là di qualsiasi difficoltà poi sai che, terminata la giornata lavorativa, ti aspetta comunque del benessere – una passeggiata al mare, attività all'aperto», la vicinanza con la famiglia e gli amici... e la focaccia!Anche per Stefano è così: a renderlo sereno è «la possibilità di stare con gli affetti, la famiglia, gli amici storici, e di conciliare lavoro e vita privata. Il lavoro è una buona parte della tua vita ma non tutto, quindi è giusto impegnarsi, dare il 120%, però al contempo anche avere delle valvole di sfogo, degli hobby, poter fare sport... Sembra un'assurdità, ma quando stavo a Milano non riuscivo a fare niente: per riuscire ad andare un'ora in palestra praticamente mi ammazzavo. Qui riesco a fare molte più cose».Stefano e Federica non sono certamente gli unici giovani con studi brillanti nel cv ad essere riusciti a trovare lavoro in una Regione del sud Italia. Ma non sono moltissimi quelli che riescono in questa impresa senza dover rinunciare all’ambizione: spesso si pensa di dover barattare il proprio sogno, accontentandosi di un percorso professionale più modesto. «Questo è quello che pensavo anch'io, prima» conferma Stefano: «Poi ho cambiato idea. Adesso penso che la mia carriera non sia in alcun modo limitata. L'investimento che stanno facendo Bip e tutte le altre aziende in Puglia è quello di dare la possibilità alle persone di avere le stesse opportunità di carriera senza dover andare in un'altra città». Come molti, anche Stefano considera che «uno dei pochi effetti positivi del Covid» sia stato lo sdoganamento dello smart working: «Alla fine il lavoro del consulente è face-to-face solo per un 20%, e l'80% si svolge in background: la maggior parte delle presentazioni e le attività si fa in call, oppure di persona ma metà dei partecipanti è collegata da remoto!». Un cambio di paradigma che ha smorzato molto il tabù del non essere fisicamente in ufficio. Le condizioni di lavoro in Bip sono peraltro molto libere: «La scelta di venire in ufficio non è condizionata da nessuno» conferma Federica: «Io lo faccio perché secondo me può essere utile: mi confronto, evito di stare a pranzo davanti al cellulare come magari succede quando sono a casa. È successo più di una volta che magari non sapessi come affrontare una problematica, mi è bastato rivolgermi a un collega accanto e in cinque minuti ho risolto; a casa avrei perso molto più tempo, e magari senza neanche arrivare alla soluzione».In questa situazione di Sud generoso di opportunità capita perfino che a 25 anni si possa entrare in banca, ottenere un mutuo e comprare una casa. Come è successo a Federica: «Appena ho firmato il contratto a tempo indeterminato, la prima cosa che ho pensato è stata quella di investire questo guadagno». Di celebrare in un certo senso «la possibilità di rimanere qui» trasformando «questo contratto in qualcosa di materiale». La casa resterà lì «al di là di quali saranno le mie scelte future», dice Federica: «Non so ancora effettivamente cosa mi aspetta, se magari a un certo punto me ne andrò; però l'idea di avere qualcosa qui che posso sia abitare, sia far diventare una rendita, mi sembrava il miglior modo per investire i miei soldi». Del suo gruppo di coetanei e amici, la sua «comitiva», è la prima a fare questo passo. L'alba di una nuova era, forse, per il Mezzogiorno? Federica Ranieri Dellino e Stefano Caradonna ne sono convinti. «Quando io mi sono laureato, nel 2018, il mercato del lavoro su Bari era completamente diverso rispetto a quello che vediamo adesso» dice lui: «Le opportunità oggi sono molto superiori, grazie a Bip e a tutte le altre aziende che hanno iniziato a investire nel territorio della Puglia. La Regione è stata anche molto brava nell'utilizzo dei fondi, riuscendo a convogliare gli investimenti di queste aziende. Tantissime di quelle che si occupano di innovazione nel mercato della consulenza sono arrivate grazie alla Regione Puglia, cambiando il mercato del lavoro su Bari e nei paraggi». «Rispetto a quando frequentavo io l'università non ci sono paragoni: finivi il percorso di studi e dovevi mandare disperatamente curriculum in giro per l'Italia per riuscire ad essere assunto, nonostante avessi una laurea» gli fa eco Federica:  «Non c'era tanta scelta: appena avevi una proposta, sembrava la cosa più bella del mondo. Oggi l'università riesce a organizzare molti più incontri con le aziende. Gli studenti possono capire cosa desiderano, possono scegliere. E c'è sempre un maggior interesse ai valori aziendali, al di là della retribuzione: si cerca a livello empatico un contatto con l’azienda, per capire se può far star bene entrare lì, se ne vale la pena, se può permettere di conciliare vita privata e vita lavorativa – che per noi al Sud è fondamentale». Il progetto di Bip prevede di portare 250 posti di lavoro in Puglia da qui alla fine dell'anno prossimo. Talenti di ritorno, come Stefano Caradonna; e talenti freschi, come Federica Ranieri Dellino. Per ridare linfa a un Sud troppo spesso bistrattato e prosciugato delle sue risorse umane, senza abbassare di un centimetro l'asticella della qualità del lavoro.