Donne e informatica, i tempi son cambiati: «Tecnologia, scienza e leadership sono anche nostre»

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 13 Mag 2025 in Storie

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Girl Power è la rubrica attraverso la quale la Repubblica degli Stagisti vuole dare voce alle testimonianze di donne - occupate nelle aziende dell’RdS network - che hanno una formazione tradizionalmente "maschile" e/o ricoprono ruoli solitamente affidati a uomini, in ambito Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ma non solo. Storie che invoglino le ragazze a non temere di scegliere percorsi considerati appannaggio degli uomini. La storia di oggi è quella di Giovanna Fazio, senior manager dell'area Information Management di Kirey

I miei genitori erano operai della Fiat. All'epoca in casa si comprava tutte le domeniche La Stampa, e un giorno comparve l'annuncio di un corso sperimentale gratuito promosso dalla mia Regione – il Piemonte – in Informatica.  Io avevo 23 anni; mi ero diplomata al liceo scientifico sperimentale, con una maggiorazione di ore di Informatica e Fisica, e poi mi ero iscritta all'università, alla facoltà di Giurisprudenza: in quel momento ero al terzo anno. 

I miei videro in quell'annuncio l'occasione per un lavoro immediato come impiegata, il classico colletto bianco. Sia alle superiori che all'università non avevo mai ricevuto la paghetta, al contrario mi ero barcamenata tra mille lavoretti. Così mi iscrissi, alternando le lezioni di Giurisprudenza con le presenze al corso. Gli altri partecipanti provenivano da tutta Italia, e sicuramente erano in maggioranza maschi. Alla fine delle ottocento ore di formazione ci fu un test, e poi mi arrivò un’offerta di lavoro a tempo indeterminato come sviluppatrice. Correvano gli anni Novanta: un'occupazione in quel campo era certamente sui generis.

La reazione dei miei fu chiarissima: “Accetta, vai!”. Mai nella vita mi è arrivato un incitamento migliore del loro.

Ed ecco un altro ricordo: alla fine della terza media, quando per mia sorella e me era arrivato il tempo delle decisioni, i genitori sostanzialmente ci dissero che se volevamo proseguire nel loro solco non dovevamo far altro che metterci la tuta blu e iniziare a lavorare. Ma io non volevo una vita in catena di montaggio! Avevo voglia di crescere e migliorarmi.

Per questo ho scelto il liceo, e poi l’università. Ero spinta dal desiderio di comprendere a fondo le dinamiche della giustizia e del diritto. Mi resi presto conto però che non rispecchiavano pienamente le mie inclinazioni più profonde. E l’università non l’ho mai finita perché quel mio primo lavoro, durato oltre un decennio, non mi consentiva di mettermi a studiare a fine giornata.

L’informatica mi ha affascinata per la sua logica e concretezza. In un momento iniziale sono partita da un ruolo tecnico come programmatrice. Con il tempo sono diventata business analyst, per poi occuparmi di demand e project management. Oggi ho cinquant'anni, e se mi guardo indietro ricordo che all'inizio del mio percorso professionale, quando si andava alle riunioni, non vedevo altro che giacche e cravatte. La situazione ha iniziato a modificarsi intorno agli anni Duemila. Le donne sono iniziate a arrivare anche in questo comparto – ma tuttora, quando si sale di grado, se ne vedono poche.

A trent’anni ho avuto l’esperienza della maternità. È stato un periodo di riorganizzazione e di riflessione su come bilanciare le priorità. Ho imparato a gestire meglio il tempo e a essere ancora più organizzata. Ma a quel punto, dopo una separazione, ho dovuto tirare le somme. Non che mi trovassi male nell’azienda, ma la situazione economica non mi consentiva di proseguire dov’ero. Poi c’è stato un atteggiamento che mi ha molto colpito, che ho percepito come dittatoriale. Volevo prolungare la mia maternità fino all’anno del bambino, ma non mi è stato concesso. Mi dissero chiaramente che avrei rischiato il ruolo che ricoprivo, e così dovetti rientrare allo scadere dei nove mesi.

Adesso le cose funzionano diversamente per fortuna: una neomamma del mio team mi ha chiesto di prolungare il congedo e l’ho concesso volentieri. Vedo anche uomini usufruire dei dieci giorni di paternità previsti dalla legge italiana. Cose impensabili in passato, anche se il divario rispetto alle donne resta incolmabile: dieci giorni di paternità contro i cinque (più eventuali sette) mesi di maternità!

Impensabile in passato anche la gestione autonoma del tempo: magari avessi potuto usufruire quindici anni fa dello smartwrking che è diffuso adesso, sarebbe stato tutto diverso! La situazione ai miei tempi era ben più complessa: ho dovuto fare i salti mortali, come moltissime mamme, barcamenandom tra tate, asili e giri tra diversi clienti. 

Avere un figlio è stato senza dubbio un momento di grande cambiamento nella mia vita, ma non l'ho vissuto come un ostacolo. Anche se a volte ci sono stati degli imprevisti, ho sempre cercato di mantenere il focus sui miei obiettivi professionali, trovando soluzioni per conciliare tutto. Ed è in quel periodo che ho iniziato a inviare cv.

Nel 2009 è avvenuto l’incontro con l'azienda presso cui oggi lavoro, Kirey Group. Hanno apprezzato la mia candidatura e ho ricevuto subito un’offerta di contratto a tempo indeterminato. Oggi sono senior manager, coordino progetti strategici nell’ambito dell’Information Management. Nello specifico ciò che faccio è governare team nell’area quality e governance affinché arrivino a determinati traguardi per clienti bancari e assicurativi.

Per questo mio ruolo è stato essenziale anche un altro tassello del mio percorso formativo. Sono infatti una coach certificata in ambito ontologico, il che mi ha permesso di acquisire un metodo che mi aiuta nella gestione della mia squadra di lavoro. Aggiungo anche due elementi: la lettura di libri di crescita personale e camminare nella natura, che è una delle mie passioni più grandi: riesco a rigenerare mente e corpo.

Ho sempre creduto che le opportunità dipendano dalla competenza, dall’impegno e dalla determinazione. Sono le scelte formative che mi hanno portato a ottenere opportunità. Dal punto di vista economico, mi sento di dire che le mie competenze sono state sempre riconosciute in base al valore che apporto nel mio lavoro, anche se sono consapevole delle disparità di genere esistenti. Non ho sperimentato il gender pay gap in modo diretto, ma il tema è presente.

Alle ragazze che oggi sono a scuola o all’università dico di credere fortemente in sé stesse, anche quando il percorso sembra incerto. Le difficoltà fanno parte del cammino. Non bisogna avere paura di scegliere strade ambiziose, anche se poco frequentate dalle donne. E soprattutto: circondarsi di persone che stimolano. Non porsi limiti. Sperimentare, fare domande, mettersi in gioco. Studiare ciò che appassiona, anche se sembra difficile o ‘non da donne’. La tecnologia, la scienza, la leadership: sono anche nostre. Puntare in alto sempre e ricordare che la competenza e la passione aprono strade. E se qualcuno dice che qualcosa non fa per voi… fatelo comunque, e meglio!

Ilaria Mariotti

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