Da venerdì c'è un testo che illustra i contenuti della riforma del mercato del lavoro prossima ventura, così come immaginata dal governo Monti e proposta al Parlamento, che ora la dovrà discutere e probabilmente modificarla. Il 90% del dibattito pubblico, politico e televisivo si è incentrato nelle ultime settimane su un unico punto: la modifica dell'articolo 18, quella parte dello Statuto dei lavoratori che impone il reintegro, nelle aziende con più di 15 dipendenti, di chi contesta in Tribunale di aver subito un licenziamento illegittimo, cioè non motivato da «giusta causa o giustificato motivo». La Repubblica degli Stagisti, ben consapevole che l'articolo 18 non tocca che un'infinitesima parte dei lavoratori under 40, vuole invece focalizzare l'attenzione sulle disposizioni che toccano e riguardano davvero i giovani. E lo fa senza voli pindarici: a partire dal testo.
Contratti a tempo determinato
Sui contratti a tempo determinato (punto 2.1), innanzitutto, la prima proposta del ministro Fornero è evitare l'odiosa "pausa" di 15-20 giorni che le aziende usano per mettersi al riparo dalle cause quando fanno più contratti consecutivi alla stessa persona: «Il contrasto ad un’eccessiva reiterazione di rapporti a termine tra le stesse parti è perseguito tramite l’ampliamento dell’intervallo tra un contratto e l’altro a 60 giorni nel caso di un contratto di durata inferiore a 6 mesi, e a 90 giorni nel caso di un contratto di durata superiore (attualmente, 10 e 20 giorni)». Una misura sicuramente positiva. Inoltre «si stabilisce che ai fini della determinazione del periodo massimo di 36 mesi (comprensivo di proroghe e rinnovi) previsto per la stipulazione di contratti a termine con un medesimo dipendente vengano computati anche eventuali periodi di lavoro somministrato intercorsi tra il lavoratore e il datore/utilizzatore». Questo impedirà di saltabeccare da contratto diretto a contratto tramite agenzia interinale, eludendo la normativa, sempre con il solito obiettivo odioso di mettersi al riparo da possibili grane giudiziarie. D'altra parte però il limite dei 36 mesi apre uno squarcio poco promettente: potrebbe formarsi in breve tempo un piccolo esercito di "licenziati del 35esimo mese".
Apprendistato e lavoro intermittente
Saltando il contratto di inserimento - perché il testo dice chiaramente che le risorse qui verranno concentrate «sui lavoratori ultra cinquantenni disoccupati da almeno 12 mesi», quindi non sui giovani - si passa all'apprendistato (punto 2.3) che viene indicato come il contratto su cui puntare per inserire gli under 30 nel mercato. Il testo Monti-Fornero propone l'introduzione «di un meccanismo in base al quale l’assunzione di nuovi apprendisti è collegata alla percentuale di stabilizzazioni effettuate nell’ultimo triennio (50%)», ma nulla viene detto sulle piccole imprese, quelle che prendono solo uno o due apprendisti all'anno: anche loro dovranno assoggettarsi a questo 50%? E quelle che in tutti questi anni non ne hanno mai presi? Sempre sull'apprendistato, altre due disposizioni sono l'innalzamento «del rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall’attuale 1/1 a 3/2» e la «durata minima di sei mesi del periodo di apprendistato». Per il resto, Monti e Fornero fanno riferimento al testo unico licenziato dal precedente ministro, Maurizio Sacconi, nel 2011.
Per quanto riguarda il contratto di lavoro intermittente (punto 2.5), il deterrente all'abuso viene individuato nell’obbligo a «effettuare una comunicazione amministrativa preventiva, con modalità snelle (sms, fax o PEC), in occasione di ogni chiamata del lavoratore».
Contratto a progetto
Al punto successivo, il 2.6, c'è poi finalmente il lavoro a progetto. Per scoraggiare i datori di lavoro dall'abusare dei cocopro, il governo immagina di imporre una «definizione più stringente del “progetto”, che non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa committente». Viene proposta una limitazione, seppur solo «tendenziale», all'utilizzo di questa tipologia contrattuale per «mansioni non meramente esecutive o ripetitive così come eventualmente definite dai contratti collettivi, al fine di enfatizzarne la componente professionale». Introducendo poi «una presunzione relativa in merito al carattere subordinato della collaborazione quando l’attività del collaboratore a progetto sia analoga a quella svolta, nell’ambito dell’impresa committente, da lavoratori dipendenti fatte salve le prestazioni di elevata professionalità»: in questo modo si dovrebbe evitare che le aziende inseriscano i nuovi entranti col cocopro mentre i dipendenti più anziani, incaricati di svolgere le stesse mansioni, sono invece correttamente inquadrati con contratti di lavoro subordinato. Infine, per questa tipologia di contratti non verrebbero più consentite le «clausole individuali che consentono il recesso del committente, anteriormente alla scadenza del termine e/o al completamento del progetto». Insomma nessun lavoratore a progetto potrebbe più essere licenziato prima della fine dello contratto.
Ma la cosa forse più interessante di tutte rispetto al contratto a progetto è che Fornero si smarca dai suoi precedessori berlusconiani, e in particolare dal leghista Roberto Maroni, proponendo una interpretazione molto rigida rispetto alla sanzione da comminare ai datori di lavoro che fanno i furbi con questa tipologia: «È proposta, infine, una norma interpretativa sul regime sanzionatorio, che chiarisce, d’accordo con la giurisprudenza di gran lunga prevalente (ma superando la posizione già assunta dal Ministero del lavoro con la precedente circolare n. 1/2004), che in caso di mancanza di un progetto specifico il contratto a progetto si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato». E fine dei giochi.
Discorso a parte invece per le novità rispetto ai contributi: «un incremento dell’aliquota contributiva IVS degli iscritti alla gestione separata Inps, così da proseguire il percorso di avvicinamento alle aliquote previste per il lavoro dipendente». Ma purtroppo questo aumento graverà con tutta probabilità sulle spalle dei lavoratori.
Partite Iva
Altra modalità frequentissima di lavoro autonomo - che però spesso maschera normali rapporti di lavoro dipendente - è la partita Iva (punto 2.7). Qui Monti e Fornero propongono l'introduzione di «norme rivolte a far presumere, salvo prova contraria (ferma restando, cioè, la possibilità del committente di provare che si tratti di lavoro genuinamente autonomo), il carattere coordinato e continuativo (e non autonomo ed occasionale) della collaborazione». Ad alcune condizioni ovviamente: che «essa duri complessivamente più di sei mesi nell’arco di un anno», che «da essa il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi (anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla medesima attività imprenditoriale)» e infine che «comporti la fruizione di una postazione di lavoro presso la sede istituzionale o le sedi operative del committente». Sì ma cosa succederà, nelle intenzioni del governo, in caso venga appurato che le tre condizioni sussistono e che quindi la persona inquadrata come partita Iva è in realtà, salvo prova contraria, un collaboratore coordinato e continuativo, e sopratutto non autonomo? Qui il testo apre a un'insperata prospettiva: «Qualora l’utilizzo della partita Iva venga giudicato improprio, esso viene considerato una collaborazione coordinata e continuativa (che la normativa non ammette più in mancanza di un progetto), con la conseguente applicazione della relativa sanzione di cui all’art.69 comma 1 del Dlgs 276/03». Il comma citato, per la cronaca, prescrive che «i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso […] sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto». Insomma, una bomba: in queste poche righe il testo Monti-Fornero sembra abolire i cococo e prescrivere che tutte le collaborazioni coordinate e continuative debbano essere riqualificate come rapporti a tempo indeterminato. Forse la Repubblica degli Stagisti pecca di ottimismo? L'auspicio è che non arrivi qualcuno a smentire, sminuire, circoscrivere.
Associazione in partecipazione e lavoro accessorio
Il punto successivo (2.8) è dedicato al contratto di associazione in partecipazione: «Si prevede di preservare l’istituto solo in caso di associazioni tra familiari entro il 1° grado o coniugi», quindi finalmente di vietare che con questa tipologia i negozianti possano assumere commessi al di fuori del contratto nazionale del commercio (opzione sempre più frequente: una storia così per esempio è raccontata nel capitolo «Contratti, al potere la fantasia» nel libro Se potessi avere mille euro al mese).
Per quanto riguarda il lavoro accessorio (2.9), il governo intende «restringere il campo di operatività dell’istituto e a regolare il regime orario dei buoni (voucher)». Con una buona notizia che però più che i giovani riguarda gli immigrati di qualsiasi età: «Si intende inoltre consentire che i voucher siano computati ai fini del reddito necessario per il permesso di soggiorno».
Tirocini formativi
Infine, gli stage: come già anticipato, il punto centrale è che il governo vuole emettere delle «linee guida per la definizione di standard minimi di uniformità della disciplina sul territorio nazionale». Si va quindi verso una nuova normativa che aggiorni sia il dm 142/1998 sia il recente articolo 11 del decreto legge 138/2011, che tante polemiche ha sollevato sopratutto a causa della successiva circolare ministeriale. Resta però aperto il nodo dei contenuti di queste linee guida: il ministro ha dichiarato in più di un'occasione di avere intenzione di abolire gli stage post-formazione e quelli gratuiti, ma in questo primo testo non vi sono dettagli.
Ammortizzatori sociali
Un'altra grande parte di riforma che andrà a toccare i giovani sarà quella che riguarda gli ammortizzatori sociali e in particolare l'introduzione dell'Aspi, l'assicurazione sociale per l’impiego (punto 4.1). Però attenzione a cantare vittoria. «L’ambito di applicazione viene esteso – tra i lavoratori dipendenti - agli apprendisti e agli artisti, oggi esclusi dall’applicazione di ogni strumento di sostegno del reddito». Considerando che i contratti di apprendistato attivati annualmente sono poco più di 200mila, e che gli artisti sono più o meno lo stesso numero, significa che l'ampliamento del raggio d'azione della copertura in caso di disoccupazione viene estesa davvero pochissimo. Risulta a questo punto poco comprensibile come la Fornero in conferenza stampa, la settimana scorsa, abbia potuto parlare di un passaggio «da 3 a 12 milioni di potenziali aventi diritto»: sulla base di quali conteggi? Inoltre, poco sotto si legge anche che i requisiti per accedere all'Aspi saranno fin troppo stringenti: «2 anni di anzianità assicurativa ed almeno 52 settimane nell’ultimo biennio». A parte il fatto che per un artista lavorare "ufficialmente" per 6 mesi all'anno è molto raro, resteranno comunque fuori tutti coloro che hanno lavorato a singhiozzo - o con tipologie contrattuali differenti, per esempio alternando contratti a progetto a somministrazione a tempi determinati. Tutte queste esclusioni non permettono dunque di considerare l'Aspi un vero sistema «universalistico», anche se la sua introduzione rimane un fattore molto positivo, così come la modulazione del contributo e la limitazione nel tempo, orientata a configurarlo non come una misura assistenzialistica "eterna", ma come un sostegno temporaneo durante la ricerca di nuovo lavoro. Il governo si affretta a precisare che «con riferimento ai collaboratori coordinati e continuativi, pur esclusi dall’ambito di applicazione dell’Aspi, si rafforzerà e porterà a regime il meccanismo una tantum oggi previsto». Al punto 4.2 infatti viene illustrato il meccanismo della «MiniAspi», cioè i trattamenti brevi: «Viene del tutto modificato l’impianto dell’attuale indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, condizionandola alla presenza e permanenza dello stato di disoccupazione». Almeno Monti e Fornero si rendono conto dell'assurdità di pagare questo sussidio con un anno di ritardo: «L’indennità viene pagata nel momento dell’occorrenza del periodo di disoccupazione e non l’anno successivo». Requisito di accesso: «la presenza di almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi (mobili)».
A fronte di tutto questo, la riforma prevede un aumento della contribuzione: «Aliquota aggiuntiva del 1,4% per i lavoratori non a tempo indeterminato.
Lavoro femminile
Un ultimo aspetto rilevante per i giovani è «la disposizione volta a contrastare la pratica delle cosiddette “dimissioni in bianco”» (punto 7.1), troppo spesso richieste alle giovani donne al momento dell'assunzione per tutelarsi in caso di futura gravidanza, e il rafforzamento del «regime della convalida delle dimissioni rese dalle lavoratrici madri». Per le neomamme c'è anche «l’introduzione di voucher per la prestazione di servizi di baby-sitting»: cioè una serie di buoni erogati dall'Inps, richiedibili «dalla fine della maternità obbligatoria per gli 11 mesi successivi in alternativa all’utilizzo del periodo di congedo facoltativo per maternità», per pagare una tata. Un segnale culturale importante, ma davvero troppo debole nella sua formulazione, è il congedo di paternità obbligatorio «riconosciuto al padre lavoratore entro 5 mesi dalla nascita del figlio», ma per un periodo davvero irrisorio: «tre giorni continuativi».
Politiche attive e servizi per l'impiego
Un discorso a parte meriteranno le misure contenute nell'ultimo paragrafo del documento, quello dedicato alle politiche attive e ai servizi per l'impiego, che il governo si ripromette di riformare radicalmente. È indubbio che una maggior efficacia ed efficienza dei cpi comporterebbe un netto miglioramento della vitalità del mercato domanda-offerta di lavoro e andrebbe a tutto vantaggio dei giovani. Ma questa parte della riforma è al momento solamente abbozzata.
In sostanza la riforma Fornero contiene molti spunti interessanti dal punto di vista dei giovani: sarebbe però potuta essere più incisiva, sopratutto dal punto di vista dello sfoltimento delle tipologie contrattuali (abolendone qualcuna), dell'universalizzazione del sussidio di disoccupazione, dell'intensificazione dei controlli - come giustamente si è fatto per il contrasto all'evasione fiscale. Il timore è che anche in Parlamento tutto il dibattito si concentri sulla questione dell'articolo 18, e venga lascia da parte la discussione di modifiche che potrebbero migliorare la vita di un numero molto maggiore di cittadini lavoratori.
Eleonora Voltolina
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