Tirocini, il costituzionalista: «Lo Stato potrebbe fare una legge quadro»

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 21 Mar 2012 in Interviste

Gli stage sono una materia di competenza statale o regionale? Stando alla riforma del titolo V° della Costituzione, la formazione professionale attiene alla sfera di intervento legislativo delle Regioni. Tanto che nel 2005 una sentenza della Corte costituzionale ha ordinato di sopprimere un articolo della legge Biagi, il numero 60, che normava in maniera precisa la materia dei tirocini estivi, riconoscendo che in quel caso il governo aveva sconfinato nell'area di competenza delle singole regioni. E anche sulla base di questa sentenza, nonchè dell'intervento normativo "spot" realizzato dal governo Berlusconi a Ferragosto con l'articolo 11 del decreto legge 138, alcune regioni (prima tra tutte la Toscana) si sono mosse legiferando per conto proprio. Ma in realtà gli stage sono una categoria ibrida, a cavallo tra formazione e lavoro, e non vengono svolti solo d'estate, nei periodi di vacanza dalla scuola o dall'università. Per fare chiarezza sul tema la Repubblica degli Stagisti ha intervistato Francesco Clementi, 37enne professore associato di Diritto pubblico comparato alla facoltà di Scienze politiche dell'università di Perugia e di diritto costituzionale italiano e comparato nel master dell'Istituto Alti Studi per la Difesa, nonché editorialista del Sole 24 Ore.

stageProfessore, si dice oggi che l'istruzione, la formazione e lo sbocco verso il lavoro dovrebbero essere un tutt'uno. Però a livello tecnico le competenze sono diverse, possiamo riassumerle?
La riforma del titolo V° all’art. 117 introduce un nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni. Possiamo fare la metafora di una cassettiera: nel primo cassetto troviamo la competenza legislativa esclusiva dello Stato, nel secondo cassetto la competenza concorrente tra Stato e Regioni. Nel terzo c'è tutto quello che avanza: cioè la potestà legislativa residuale. Per quanto ci riguarda, il sistema è abbastanza articolato. Infatti nel primo cassetto vi sono le norme generali relative all’istruzione, alla lettera n; mentre nel secondo cassetto, la legislazione concorrente delle Regioni, va «l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale». Il quadro quindi è particolarmente complesso e l’esigenza di delimitare le sfere di azione dei soggetti istituzionali deputati all’assolvimento della funzione è il primo punto di ogni ragionamento. Si pensi, ad esempio alla materia del lavoro che  travalica la cassettiera, e rompe l'ordine e la rigidità dei cassetti. Perché un conto è il lavoro in senso stretto, che è competenza dello Stato, un altro è l'insieme delle  materie che si intrecciano ad esso: stage, tirocini, istruzione, formazione. Un coacervo di normative che non si può ricondurre al lavoro in senso stretto, ma che non si può nemmeno separare nettamente.
È assurdo questo.
Più che altro determina a cascata un altro problema: la costante necessità che intervenga la Corte costituzionale a dipanare ogni conflitto di competenza. La giurisprudenza costituzionale, sopratutto riguardo alla formazione professionale e all'apprendistato, prevede una certa strada: di volta in volta attribuire la competenza o allo Stato o alle Regioni, a seconda del caso. Il nostro sistema da questo punto di vista è in qualche modo incerto: la certezza ce la può dare solo ogni volta la Corte quando si esaurisce il procedimento giurisdizionale.
stageInfatti è proprio sulla sentenza n. 50/2005 che si basano le Regioni per rivendicare la competenza esclusiva in materia di tirocini, perché questa sentenza ha stabilito che la disciplina sui tirocini estivi di orientamento, «dettata senza alcun collegamento con rapporti di lavoro, e non preordinata in via immediata ad eventuali assunzioni, attiene alla formazione professionale di competenza esclusiva delle Regioni».
Nel dirimere questi conflitti, cioè attribuire o alle Regioni, la Corte delimita le cose che si possono fare. E nel ginepraio delle competenze decide secondo dei principi. Un principio è la classica «leale collaborazione tra soggetti istituzionali». Un altro principio che dovrebbe essere privilegiato è il  principio di prevalenza. Che nella sentenza 50/2005 viene infatti utilizzato, facendo prevalere il diritto delle regioni a legiferare su questa materia, ma al contempo restringendolo a capi specifici e ben individuati. Perché? Perché la Corte costituzionale, in questa operazione di dipanamento dei nodi, opera un doppio intervento: da una parte attribuisce la ragione a uno dei due soggetti, dall'altro però delimita anche il campo di intervento. Dunque la situazione in questo caso è che le Regioni hanno ricevuto dalla Corte la possibilità di legiferare su una certa materia, quindi si sono sentite dare ragione, ma al tempo stesso quella possibilità è stata definita molto precisamente.
In effetti la sentenza parla solo di tirocini estivi di orientamento, anche perché si basava sul ricorso a un articolo della legge Biagi, il 60 - poi soppresso - che normava proprio esclusivamente i tirocini estivi. Ma dunque non si può effettuare un'azione "sineddotica" e considerare che la Corte volesse intendere che l'intera materia dei tirocini - e non solo quella dei tirocini svolti durante i mesi estivi slegati da ogni finalità occupazionale - sia da considerarsi di competenza esclusivamente regionale?
No. Non si può estendere la sentenza della Corte a tutti i tirocini. L’estensione a tutti non sarebbe un’interpretazione giuridicamente corretta. Per questo la Corte sta molto attenta a disciplinare il singolo aspetto che è chiamata a discutere. In questo caso nel 2005 si è espressa sui «tirocini estivi». Quindi intendeva proprio i «tirocini estivi», e nient'altro. Se avesse voluto intendere tutti i tirocini, avrebbe omesso di scrivere la parola «estivi». Nelle sentenze ogni parola viene pesata, a maggior ragione nelle tematiche, come questa, ove i confini sono incerti. In queste situazioni la Corte opera col bisturi e non con l'accetta. E il bisturi è stato proprio dire «tirocini estivi» e non altro.
Non c'è modo di sapere prima cosa è di competenza regionale e cosa è di competenza statale? Bisogna per forza scomodare ogni volta la Corte?

Si potrebbe partire da una domanda: quando parliamo di formazione che intendiamo? Qualcosa che riguarda il mercato del lavoro? Oppure l'istruzione intesa come trasferimento di competenze per permettere a una persona di svolgere un determinato mestiere? Oppure la disciplina dei rapporti di lavoro? E questa formazione è pubblica? È privata? È interna o esterna all'azienda? La tematica del lavoro e dunque della formazione al lavoro ha una serie di differenti varianti. Il problema  ricade sul legislatore solo ex post, non ex ante. Cioè una Regione o lo Stato prima fanno la legge, e poi eventualmente vanno a discuterne davanti alla Corte se qualcuno fa opposizione. Il presidente della Regione Toscana ha recentemente deciso di fare una legge su stage e tirocini, e l'ha fatta. Poi magari lo Stato dirà «Caro mio, tu ti sei allargato troppo scrivendo le norme, quella è roba mia, andiamo davanti alla Corte». E la Corte dirà chi ha ragione e chi ha torto. La differenza di base che ci permette di dire se i processi di formazione attengono alla competenza propriamente regionale oppure a quella propriamente statale non si basa sull'etichetta («formazione») o sul soggetto che la emana («legge regionale» o «legge statale») bensì sulla natura delle norme poste in essere e sull'area di intervento delle norme stesse. Quindi per sapere a chi spetta davvero e fino in fondo la disciplina di una certa cosa non ci si basa sul principio di gerarchia, ma sull'area dell'intervento normativo posto in essere da chi ha promosso la norma. È il bello e il brutto di materie vaste e articolate non delimitabili esattamente nelle competenze previste dall’articolo 117.
Si rischia di sconfinare.

Esatto. Dunque il problema vero non è il contenuto della norma, è il confine della stessa. Confine che non si trova nella Costituzione, perché la Costituzione non lo dà.
Quindi è impossibile definire la competenza.
Infatti noi le chiamiamo «materie trasversali». Come la torta marmorizzata che ha una serie di strati autonomi e a sè stanti. L'unica soluzione è la giurisprudenza: solo lei ci può dire di che stiamo parlando. Sostanzialmente quindi lo Stato e le Regioni continuano a legiferare, e poi qualora uno dei due rivendichi un'invasione di campo, si va davanti alla Corte costituzionale che di volta in volta decide chi ha ragione. Questo sistema però ha un difetto. Il giovane lettore della Repubblica degli Stagisti si sentirà nell'incertezza più totale: lo stage che sta facendo potrebbe essere messo in questione dal punto di vista giuridico. In ogni caso, per tranquillizzare gli animi, possiamo dire che tutte le decisioni della Corte non hanno valore retroattivo: dunque se un ragazzo fiorentino oggi fa uno stage secondo la nuova legge regionale toscana, e tra un anno la Corte deciderà che quella legge non può essere valida, la validità dello stage - ormai concluso, o ancora in essere - non potrà essere messa in discussione.
Il problema in realtà sorge quando le Regioni o per paura di non avere le competenze o perché rigettano la legge statale ma non ne approntano una regionale finiscono per bloccare tutto.
Ma questo non è un problema giuridico, è un problema politico.
Abbiamo fatto riferimento alla Regione Toscana, che ha pochi mesi approvato una legge regionale sugli stage, molto innovativa, che per la prima volta impone di erogare un rimborso spese agli stagisti - quantomeno in caso di tirocini extracurriculari. Altre regioni si apprestano a fare altrettanto. Tra poco allora avremo 20 regolamentazioni diverse sullo stage, una per regione? È una prospettiva realistica?
In effetti potenzialmente sì. Si potrebbe avere una disciplina patchwork. Per scongiurare quella deriva, la prospettiva che voi proponete di una legge quadro che vincoli le regioni a rispettare una serie di paletti, ma lasciandole libere di definire poi i dettagli, è non solo praticabile, ma assolutamente auspicabile. Se si vuole occupare dei giovani, il governo Monti potrebbe ben cominciare anche da qui. Perché bisogna dare certezze ai giovani che fanno stage e dare alla Corte uno strumento di garanzia - una legge quadro - che le consenta di disciplinare con certezza, avendo ben definiti i livelli essenziali delle prestazioni diritti civili e sociali cioè il 117 comma 2 lettera m. La lettera m legittima insomma, anche in una materia di competenza regionale, un intervento statale per garantire un'uniformità standard su tutto il territorio nazionale. Insomma: noi abbiamo una frammentarietà e incertezza giuridica che rischia di crescere nel tempo. Ciò può essere sanato in due modi: o ex post dalla Corte, che nei prossimi anni giudicherà tutte le cause emerse, oppure ex ante dal governo, che fa una norma quadro e dà certezza costruendo un minimo standard comune. Dando modo ai giovani che fanno stage in Puglia, nel Lazio, in Lombardia o in Sicilia, di avere le stesse garanzie. E coordinando i vari interventi legislativi regionali. Mi auguro proprio che il governo Monti abbia modo di intervenire anche in questo senso.

Intervista di Eleonora Voltolina


Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
- L'assessore al lavoro della Regione Toscana: «La Corte costituzionale confermerà che i tirocini sono competenza nostra». E sulla circolare del ministero: «Non vale quanto la legge»
- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio
- Riforma del lavoro, inutile senza quella degli stage

E anche:
- Ventenni e riforma del lavoro, parla l'ideatore della lettera a Monti
- Riforma del lavoro, il ministro Fornero: «Non andrà in vigore prima del 2013»

Community