Indagine DataGiovani, 80mila under 30 occupati in meno rispetto al 2007

Andrea Curiat

Andrea Curiat

Scritto il 02 Gen 2013 in Notizie

Altro che choosy: se ancora ce ne fosse bisogno, l’ultima indagine condotta dalla società di analisi DataGiovani su microdati Istat smentisce la teoria che vorrebbe i giovani di oggi troppo schizzinosi nella scelta del lavoro. Al contrario, i ragazzi under 30 al primo impiego sono più disponibili che mai. Lavorano il sabato, la domenica, la sera; accettano contratti precari senza possibilità di sbocco; ritornano alle professioni tradizionali nel campo dell’agricoltura; e sopravvivono con salari al limite del dignitoso, sicuramente inferiori rispetto alle qualifiche accademiche e al livello di studi conseguito. Il tutto per affrontare un mercato del lavoro sempre più difficile e spietato, in cui le aziende sfruttano la flessibilità non per mettere alla prova i giovani o formarli prima dell’assunzione, ma semplicemente per ridurre al minimo i costi fissi del personale.
Nel primo semestre del 2012, circa 355mila giovani italiani hanno trovato il loro primo impiego. Sono 80mila in meno rispetto ai primi sei mesi del 2007, con un calo del 18,4% nell’arco di appena sei anni. Il trend negativo è diffuso in tutta Italia, ma le differenze tra Nord e Sud si fanno ancora sentire: nelle regioni settentrionali il numero di ragazzi al primo lavoro è diminuito di 21mila unità, mentre nel meridione e nelle isole ci sono 42mila giovani occupati in meno rispetto al periodo pre-crisi.
Il titolo di studio ha la sua importanza. Il mercato del lavoro è ormai estremamente competitivo e le aziende selezionano i candidati con il curriculum migliore. Ci sono 55mila posti di lavoro in meno per i ragazzi con un livello di studi basso (-45,6% rispetto al 2007); altri 21mila tagli riguardano i giovani con un profilo accademico di medio livello (-9%); e “solo” 4mila occasioni di lavoro perdute per chi ha raggiunto il livello più alto nella ricerca universitaria (-4,9 per cento).
Diminuisce il numero di occupati, aumenta il novero dei lavoratori precari. «È in atto un deterioramento del mercato del lavoro giovanile – commenta Michele Pasqualotto, responsabile DataGiovani – soprattutto per quanto riguarda le tipologie contrattuali offerte dalle aziende per i primi impieghi. È aumentato in maniera consistente il ricorso ai contratti a termine». Sui 355mila under 30 al primo impiego, ben 222mila sono dipendenti a tempo determinato, part-time, collaboratori e partite Iva. E non per scelta, ma per necessità, alle condizioni imposte dalle aziende. Rispetto al primo semestre del 2007, il 2012 ha visto 7mila giovani precari in più, con un aumento del 3,2 per cento. Più nello specifico, tra gennaio e giugno del 2012 ben 85mila giovani hanno iniziato il loro primo lavoro con contratti part-time. Altri 196mila hanno accettato un contratto a tempo determinato. I collaboratori sono 27mila e gli autonomi altri 40mila. Solo 92mila, il 26% circa del totale (e in calo del 37% rispetto al 2007), hanno ottenuto un primo contratto direttamente a tempo indeterminato.
«Di per sé il ricorso crescente ai contratti precari non sarebbe un fattore negativo – afferma l’esperto – a patto però che la ragione sia formare o mettere alla prova i giovani prima di assumerli. Ma purtroppo sta crescendo il numero di aziende che usano i contratti precari come vera e propria strategia aziendale per contenere i costi. Si parla spesso di flexsecurity: i dati dimostrano che in Italia, ancora nel 2012, abbiamo adottato la flessibilità senza garantire la sicurezza per i giovani». E infatti in Italia un precario su tre è occupato in incarichi occasionali, discontinui, che non porteranno ad un’assunzione.
Le caratteristiche dei contratti? La durata media è breve, brevissima: appena 10 mesi, che salgono a 16,5 se si considerano anche gli apprendisti (che per legge hanno contratti più lunghi). E il salario medio mensile netto è pari a circa 850 euro al mese. Togliendo un affitto per i fuori sede e il vitto, siamo al limite della sussistenza. Anche in questo caso la situazione è peggiorativa rispetto al 2007. Prima della crisi la durata media dei contratti (al netto degli apprendistati) era più alta di 4 mesi e il salario era lievemente più alto, anche considerando gli effetti dell’inflazione.
Eppure la buona volontà non manca. I ragazzi sono disposti a prestare servizio anche in orari di disagio sociale: il 20% dei nuovi occupati lavora di sera, l’11% di notte, il 50% circa sacrifica il sabato libero e il 23% la domenica. Quasi il 50%, inoltre, è sovra-qualificato (a livello di studi) per l’incarico di riferimento. «Diverse fonti istituzionali, recentemente, hanno diffuso il luogo comune in base al quale sono i giovani stessi ad essere in gran parte responsabili delle proprie difficoltà sul mercato del lavoro. Ma i dati non confermano questa versione dei fatti, anzi, la smentiscono in pieno. I ragazzi sono sempre più disponibili ad adattarsi a lavori che provocano una difficoltà nei rapporti sociali», aggiunge ancora Pasqualotto.
La fotografia scattata dall’indagine di DataGiovani non è certo rassicurante. Ma la riforma del lavoro attuata dal ministro Fornero che effetti avrà sullo scenario futuro per i giovani italiani? «È molto difficile giudicare l’impatto di una riforma in tempi di crisi – premette Pasqualotto – e stabilire in che misura siano le difficoltà del mercato o le novità normative a determinare l’aumento del precariato e la diminuzione dell’occupazione giovanile. Inoltre, bisogna vedere in che modo la riforma verrà gestita e modificata dal governo che verrà». Detto questo, secondo il responsabile di DataGiovani c’è sicuramente un aspetto negativo nel testo elaborato dal ministro Fornero: «mi riferisco all’aumento dei tempi di pausa obbligatoria prima del rinnovo dei contratti a termine. Questo provvedimento rischia di tenere troppo a lungo i giovani fuori dal mercato del lavoro. Ma ci sono anche aspetti positivi, come l’introduzione della retribuzione obbligatoria per gli stage e la volontà di spingere molto sul contratto di apprendistato, dimostrata dal governo anche in occasione degli incontri di settembre e ottobre tra il ministro del lavoro italiano e quello tedesco per importare le buone pratiche tedesche in Italia».
Guardare all’Europa, conclude Pasqualotto, potrebbe aiutare l’Italia a invertire il preoccupante deterioramento delle condizioni di lavoro per i giovani: «A nostro avviso sarà fondamentale prendere spunto dai Paesi più avanzati come l’Austria e la Germania per avvicinare i giovani al mondo del lavoro già durante la scuola, cosicché la formazione si svolga per il 50% in aula e per il 50% in azienda, e poi ancora integrare meglio università e imprese con stage e tirocini seri. Ma bisognerebbe anche riformare il sistema di centri per l’impiego in modo che siano davvero utili: l’Italia è al penultimo posto in Europa, dopo la Turchia, per l’utilizzo di questi canali come modalità di accesso al mondo del lavoro».

 

di Andrea Curiat

 

Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
-Proud to be choosy
-Altro che choosy: un'indagine su giovani e lavoro smentisce il ministro Fornero;

 

e anche:
- I giovani sono i più colpiti dalla crisi, il Cnel: «Sempre più difficile trovare il lavoro per cui si è studiato»;
- In Italia un giovane su tre è senza lavoro. Ma è davvero così?;
- Simoncini: «Positive le linee guida sugli stage: ora vigilate affinché ciascuna Regione le renda al più presto operative»

Community