Un giovane su tre è disoccupato. Giornali e televisioni hanno semplificato così i dati contenuti nel rapporto Istat «Occupati e disoccupati. Media 2011», diffuso all'inizio di aprile. Chi ha parlato di disoccupazione record, chi di conflitto generazionale. Ma Assolombarda, l'unione degli industriali milanesi, ha smentito seccamente questa notizia sostenendo che in realtà gli under 24 senza lavoro sono meno del 10%. Il punto è che hanno ragione entrambi: dipende solo da come si vogliono leggere i dati.
Effettivamente scorrendo i numeri forniti dall'Istituto nazionale di statistica sembrerebbe proprio che l'allarme lanciato dai media sia più che fondato. Il prospetto 9, tabella dedicata al tasso di disoccupazione nella fascia di età tra i 15 ed i 24 anni, parla di un 29,1% di disoccupati. Una percentuale che nel Mezzogiorno si attesta addirittura al 40,4% e che, per le ragazze del Sud, tocca il 44,6%. In pratica, una su due è senza lavoro. Numeri che fanno notizia e che hanno così attirato l'attenzione dei media.
Ma Assolombarda sul proprio webmagazine ha spiegato che «le persone tra i 15 ed i 24 anni che non trovano lavoro sono complessivamente 483mila». Una cifra pari «all'8% dei 6 milioni e 53mila italiani che rientrano in questa fascia di età». Fornendo anche una spiegazione tecnica: «Per calcolare il tasso di disoccupazione si considera solo la ‘popolazione attiva’, cioè quella che ha un lavoro o lo cerca attivamente. In una fascia di età in cui la grande maggioranza è impegnata nello studio, la popolazione attiva è di soli 1 milione e 660mila individui, contro i quasi 4 milioni e mezzo di ‘inattivi’ da un punto di vista lavorativo».
Ma allora chi ha ragione? I giornali che parlano di un terzo di giovani disoccupati o gli industriali che riducono questa quota a meno del 10%? «Nei nostri comunicati stampa non scriviamo mai che un terzo dei giovani è disoccupato e lo spieghiamo ai giornalisti in conferenza stampa. Proviamo anche a correggere le agenzie, ma è difficile fermare una notizia quando diventa virale», spiega alla Repubblica degli Stagisti Francesca della Ratta della divisione Formazione e lavoro di Istat. La questione, chiarisce l'analista, sta nella modalità con cui si calcola il tasso di disoccupazione.
Stando alle «definizioni statistiche internazionali», questo dato non viene rapportato all'intera popolazione di età compresa tra i 15 e i 24 anni, ma solo a quella attiva, che rappresenta il 27,4% del totale. Si tratta, in buona sostanza, di quel milione e 660mila persone cui fa riferimento Assolombarda. Per popolazione attiva si intendono quei giovani che sono entrati o cercano di entrare nel mercato del lavoro. Da un punto di vista statistico, rientrano in questa definizione coloro che, nella settimana in cui Istat ha effettuato l'intervista, hanno svolto almeno un'ora di lavoro, hanno cercato un'occupazione oppure hanno dichiarato che la inizieranno entro tre mesi. E appunto il 29,1 per cento di questi soggetti, di questi ragazzi e ragazze considerati popolazione attiva, è risultato essere disoccupato. In numeri assoluti, si tratta di quelle 483mila persone delle quali parlano gli industriali milanesi.
Istat del resto calcola i disoccupati in questo modo non solo rifacendosi agli standard internazionali, ma anche per sottolineare «la partecipazione al mercato del lavoro, perché si tratta di un indicatore economico di un certo interesse», come spiega della Ratta. Prendere in considerazione persone che rientrano nella fascia di età ma che non cercano di entrare nel mondo del lavoro, banalmente perché stanno finendo le scuole secondarie piuttosto che l'università, renderebbe meno significativo il dato. Detto brutalmente, non ha senso considerare disoccupata una persona che nemmeno sta cercando un'occupazione, nel caso specifico perché è concentrata sugli esami universitari. Quindi per chiarire una volta per tutte si potrebbe dire così: è disoccupato un terzo dei giovani italiani nella fascia d'età 15-24 anni che cercano attivamente lavoro.
Il dato rimane comunque interessante: un terzo dei giovani che tenta di entrare nel mondo del lavoro si trova di fronte a una porta sbarrata. Una situazione preoccupante, che diventa ancora più grave se si considera che oltre ai disoccupati ci sono anche tanti giovani che cercano un accesso al mondo del lavoro attraverso il tirocinio. «Quando si parla dei neet, che di solito la stampa etichetta come dei 'fannulloni', si dimentica che tra questi potrebbero esserci molte persone che non risultano essere studenti né lavoratori perché sono impegnate in uno stage», sottolinea della Ratta, anticipando alla Repubblica degli Stagisti che nel 2012 verrà introdotta anche una domanda relativa ai tirocini. Così che il prossimo anno si avrà il primo dato ufficiale relativo a quanti siano gli stagisti in Italia.
Riccardo Saporiti
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