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Ti assumo senza bisogno di tirocinio: l'antidoto al “Cercasi stagista con esperienza”

“Cercasi stagista con esperienza”. Questa dicitura, riportata in fin troppi annunci, fa drizzare i capelli in testa agli esperti di lavoro – e a tutti coloro che hanno a cuore l'equità nel percorso di transizione dalla formazione all'occupazione. Perché è ovviamente un controsenso: uno stage si fa per consentire a una persona inesperta di accumulare competenze professionali. Se quelle competenze la persona le ha già, perché mai dovrebbe essere inquadrata in stage, anziché con un vero contratto di lavoro?Spoiler: ovviamente la risposta è “perché costa meno”. Perché lo stage non prevede retribuzione (solo una indennità mensile, e peraltro obbligatoria solo per i tirocini extracurricolari), non prevede contribuzione (cioè il versamento dei contributi previdenziali, per la pensione), né tutto il corollario di diritti annesso a un vero contratto di lavoro – le ferie retribuite, la malattia, la maternità, i permessi, il tfr. Dunque quanto è conveniente selezionare un giovane e proporgli uno stage anziché un contratto, ignorando magari la sua esperienza lavorativa pregressa! Certo, cercare stagisti con esperienza è un malcostume. E per fortuna c'è chi si tira fuori dal mucchio, scegliendo di fare direttamente veri contratti di lavoro: anche di fronte a candidati giovani, magari freschi di studi. Anche di fronte alla possibilità di metterli in stage senza infrangere nessuna legge. Aziende che dicono: no. Tu sei già pronto per essere inquadrato come dipendente, hai già le competenze per essere immediatamente autonomo e operativo. Non hai bisogno di un tutor, o di un periodo di formazione. Voglio investire su di te da subito: ti faccio un contratto di lavoro vero, con una vera retribuzione, contributi e tutto il resto.È il best-case scenario per migliaia di giovani. Ed è quello che Bip, EY e Spindox hanno offerto nel 2021 rispettivamente a 401, 880 e 117 giovani. Aggiudicandosi per questo un premio.Da molti anni infatti la Repubblica degli Stagisti assegna durante il suo evento annuale “Best Stage” uno dei suoi “AwaRdS” alle aziende del suo network che si distinguono per il “miglior tasso di assunzione diretta dei giovani”. Questo riconoscimento premia il miglior rapporto tra organico aziendale e nuove assunzioni di under 30 senza passare per la fase del tirocinio.«Assumere un giovane direttamente è un modo per dare una possibilità a quanti sono già pronti per fare il salto ed entrare in azienda con un contratto di apprendistato o a tempo indeterminato», osserva Mariateresa Maranò, Hr recruiter di Spindox, sottolineando l’importanza di coltivare i giovani per un’azienda che vuole crescere, assumendo il ruolo di ponte tra mondo scolastico e lavorativo: «Quando diciamo che vogliamo puntare sui giovani, che è nostro interesse prenderci cura di loro, dargli una prospettiva di crescita, lo diciamo sul serio e i dati lo dimostrano. Il nostro impegno ad assumere così tanti giovani direttamente è il patto che stringiamo con chi si avvicina a Spindox: se credete in noi, noi crederemo in voi. E i giovani rispondono sempre con entusiasmo e partecipazione a questa nostra offerta di impegno reciproco».«Da sempre assumiamo principalmente neolaureati che poi inseriamo in un percorso di crescita; gli ultimi anni sono stati di grande espansione del nostro business e il numero di persone che abbiamo portato a bordo è cresciuto notevolmente», le fa eco Francesca Giraudo, Ey Europe West Business Talent Leader: «Sicuramente il trend è rafforzativo di una strategia che è sempre stata nel nostro dna e non abbiamo intenzione di abbandonare».«Vogliamo offrire ai nostri giovani un contesto di crescita meritocratico, dinamico e in continua evoluzione, in cui il singolo è libero di esprimere le proprie idee e il proprio potenziale e dove il lavoro di squadra è fondamentale per il raggiungimento di un obiettivo comune» aggiunge Elena Pozzi, Employer branding senior expert di Bip: «In più garantiamo professionalità e responsabilità sempre maggiori attraverso un programma di formazione all’avanguardia».L’assunzione diretta può essere anche l’effetto di una fase di espansione: «In EY abbiamo un trend costante negli ultimi anni. È il frutto di una crescita del business, ma rientra anche in una strategia focalizzata sull’avere un impatto sociale positivo nei confronti della società» spiega Giraudo: «In un Paese che investe molto poco nei giovani, nei neolaureati, noi vediamo in questi soggetti il bacino principale di investimento». Ed è dimostrato anche dal fatto che negli ultimi anni EY ha cominciato ad assumere da un bacino trasversale, non solo laureati in economia o materie stem ma anche lauree più umanistiche su cui poi fare «attività di reskilling» e far diventare il soggetto più interessante e spendibile per l’azienda ma anche per il mercato.Dell’importanza della contaminazione delle competenze sono convinti anche in Bip: «Per questo motivo ogni anno realizziamo, in partnership con il Polimi, il programma Bip Bootcamp: un percorso intensivo di formazione dedicato a chi ha conseguito una laurea umanistica, giuridica o linguistica e che mira ad arricchire le proprie competenze con una preparazione accademica in ambito economic & finance, marketing, management e trasformazione digitale al fine di intraprendere una carriera nel management consulting», racconta Pozzi.Assumere i giovani può essere quindi una priorità per le aziende. Ma quali sono i criteri per decidere se offrire a un candidato in fase di colloquio uno stage o direttamente un contratto di lavoro? In larga parte dipende dall’esperienza del singolo.In EY, per esempio, «offriamo gli stage, molti anche curricolari, alle persone che stanno ancora studiando, o quando hanno finito gli studi ma devono ancora laurearsi» dice Giraudo: «Moltissimi sono assunti con contratti di apprendistato, propedeutico all’inserimento. Se, invece, c’è un percorso anche breve di esperienza pregressa, allora si va sull’indeterminato. Il percorso più classico è: stage se ha senso all’interno del percorso di studi e poi un apprendistato finalizzato all’inserimento».Anche in Bip «lo stage generalmente viene offerto a chi è appena uscito dall’università e ha ancora bisogno di tempo per acquisire quelle skills tecniche e relazionali che gli permetteranno di affermarsi in una realtà diversificata come la nostra» spiega Pozzi: «Un contratto di lavoro, invece viene offerto a chi ha già maturato un’esperienza professionale e può immediatamente mettere a disposizione le proprie competenze».In Spindox, oltre alla valutazione del potenziale della risorsa e del suo percorso di studi o professionale, «è importante intravedere in sede di colloquio quelle qualità che rendono un candidato non solo adatto al lavoro, ma anche ai nostri valori aziendali. Vogliamo portare a bordo  persone amanti delle sfide, pronte a sperimentare e mettersi in gioco. Come diciamo sempre anche in fase di recruiting, il nostro candidato ideale deve essere Hungry, Easy, Fearless, Explorer». Affamato, semplice, intrepido, e avere un animo da esploratore.  Una volta selezionati, nelle tre aziende che si sono aggiudicate quest'anno l'AwaRdS per l'assunzione diretta di giovani l’offerta è quasi sempre un contratto di apprendistato o a tempo indeterminato, quasi mai un “semplice” tempo determinato. «L’apprendistato rappresenta un investimento a lungo periodo anche psicologico, nella crescita, nella formazione della persona e il rapporto che noi vogliamo avere con chi entra e diventa nostro dipendente vuole essere di una prospettiva di lungo periodo» riflette Francesca Giraudo di EY: «Poi certo sappiamo che le nostre industries hanno un turn over elevato, ma ciò è dovuto al fatto che siamo tra le poche aziende che investono in maniera talmente strutturale sui giovani che una volta formati, questi diventano molto interessanti per il mercato. Quindi creiamo employability per le nostre persone. Se più aziende facessero lo stesso, tutto il mondo del lavoro ne gioverebbe!».In un mondo sempre più precario le forme contrattuali più stabili, quelle che tecnicamente si definiscono “subordinate”, hanno certamente un appeal in più perché danno una stabilità che, di questi tempi, è raro per i giovani italiani trovare al primo impiego. «Le proposte di assunzione a tempo indeterminato sono a tutti gli effetti quelle più apprezzate dai nostri candidati e, quando le condizioni lo permettono, siamo ben felici di formalizzarle», conferma Elena Pozzi di Bip: «Ovviamente, se coerente con l’opportunità progettuale, prendiamo in considerazione anche altre formule contrattuali. Investire a lungo termine sui giovani significa scommettere sulle loro potenzialità e sulla loro voglia di mettersi in gioco. Cerchiamo di offrire ai nostri professionisti un ambiente dinamico, che permetta di continuare a sperimentarsi e di avere sempre di più un ruolo attivo e di responsabilità sui progetti».È la prova che un lavoro appassionante e in continua evoluzione non debba sempre per forza essere sinonimo di contrattini brevi e di poca sicurezza. «I contratti a tempo determinato si addicono solo ad alcune tipologie di persone: quelle che hanno progetti di vita in evoluzione, che scelgono di non legarsi da subito a una realtà lavorativa»  osserva Maranò di Spindox: «A un ragazzo che deve mettere le basi della sua esistenza, proporre un contratto a tempo determinato vuol dire farlo vivere con una sorta di spada di Damocle sopra la testa. Significa dirgli: non ci fidiamo abbastanza di te. Questo stato di tensione non fa bene a nessuno: né alla risorsa, né alla azienda». Offrire un apprendistato o un contratto a tempo indeterminato rappresenta dunque «un investimento nel medio lungo termine, sia per l’azienda sia per il giovane che sceglie di restare con noi».C'è però da considerare anche il fatto che le aziende in forte crescita, e con un alto tasso di assunti, vedono inevitabilmente con il tempo andare via molti di questi giovani. «Il turnover fa parte del gioco: quando assumi e formi qualcuno metti in conto che potrebbe andarsene per cercare fortuna altrove» scherza Mariateresa Maranò: «Non è una sconfitta, ma un fatto congenito alla natura del nostro business. Del resto se scegli persone ambiziose e capaci non c’è da stupirsi che vogliano correre verso nuovi traguardi».E questo accade in modo particolare nel settore consulenziale che «è molto dinamico; è un contesto in continuo mutamento che richiede grandi capacità di adattamento da parte dei suoi player» secondo Elena Pozzi, che elenca i tanti progetti messi in campo da Bip per andare incontro ai dipendenti: «Progetti di work-life integration, con la possibilità di lavorare fino al 100 per cento in modalità smartworking; il Sustain new colleagues, un programma realizzato per accompagnare i nuovi assunti nel loro primo anno di esperienza; ma anche convenzioni, benefit e servizi per incrementare la capacità di spesa; una serie di iniziative a favore della genitorialità e di fitness, nutrition o campagne di prevenzione per aiutare le nostre persone a prendersi cura del proprio benessere fisico e mentale».L’alta percentuale di turnover dipende anche dal fatto «che le nostre persone sono molto ricercate dal mercato» sottolinea Francesca Giraudo di EY: «Indubbiamente il lavoro di consulente è ad alta intensità, ha picchi che richiedono molto sforzo e grande flessibilità da parte delle persone. È un lavoro che dà una metodologia, una competenza e un’esperienza accelerata. Nella fase iniziale della carriera le persone sono fortemente appetibili sul mercato». Se per giunta hanno la fortuna di venire «“svezzate” da un datore di lavoro che insegna per bene come si lavora, allora è ovvio che c’è un grandissimo interesse dal mondo esterno!».Il vantaggio aggiuntivo è che di solito con le condizioni contrattuali e retributive non si torna indietro: anzi, molti studi ormai dimostrano che cominciare con lavori “atipici”, “non garantiti”, rischia poi di avere effetti negativi sull'intera vita lavorativa delle persone, diminuendo le probabilità di «transizione in un impiego garantito», (come spiega anche nel saggio Sempregiovani & Maivecchi il demografo Giuseppe A. Micheli). Cominciare al contrario con un vero contratto di lavoro e con una busta paga “seria” vuol dire partire col piede giusto: quando e se si dovesse cambiare impiego, sarà molto improbabile sentirsi proporre contrattini precari – per non parlare di stage – oppure stipendi da fame.Marianna LeporeGrafica di apertura di ShariJo da Pixabay

Olimpiadi invernali 2026 in Italia, giovani lanciano idee per l’innovazione al Cefriel Open Lab

Dal 6 al 26 febbraio 2026 sono in programma in Italia, nella doppia location Milano-Cortina, le Olimpiadi invernali. Un evento strategico dal punto di vista turistico: basti considerare che le ultime tre edizione pre-pandemia, quelle  del 2010 in Canada, del 2014 in Russia e del 2018 in Corea del Sud, hanno registrato quasi sempre un importante incremento di visitatori: in Canada si è registrato quasi un 10% in più rispetto all'anno precedente; a Sochi (Russia) l'aumento di visitatori è stato addirittura del 28%. Un giro d'affari enorme di biglietti ma sopratutto un indotto che farà lavorare alberghi, ristoranti, mezzi di trasporto pubblici e privati, e che porterà un fiotto di visitatori aggiuntivi a musei e monumenti: nelle previsioni circa due milioni di persone. Inoltre non va dimenticata l'"eredità" che ogni edizione dei Giochi lascia in termini di strutture e progetti sportivi realizzati nei paesi ospitante. Con l'occasione, trenta giovani laureati di tutta Italia sono stati chiamati a raccolta da Cefriel, centro di innovazione digitale fondato dal Politecnico di Milano che da anni fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti. I giovani provenivano dal Politecnico di Milano e dagli atenei dell’Insubria, Bologna e Perugia; si sono sfidati nel contesto del Cefriel Open Lab in una gara di idee per realizzare un’applicazione dedicata a migliorare la vita di chi arriverà in Italia per i giochi olimpici invernali 2026.Dopo la presentazione iniziale e l’introduzione sugli obiettivi della sfida i partecipanti, selezionati su cinquanta candidature complessive in base al loro curriculum vitae e alla loro motivazione rispetto all’iniziativa, sono stati divisi in cinque gruppi, ciascuno con l’obiettivo di sviluppare un’idea progettuale utilizzando la metodologia design thinking. Una metodologia che punta all’elaborazione di una soluzione in grado di essere testata e approvata in tempi brevi, utilizzando un approccio di tipo creativo.A vincere è stata l’applicazione SuggestMI, elaborata da un gruppo di cinque studenti del Politecnico di Milano provenienti da Lombardia e Sicilia: Andrea Riboni, Michele La Greca, Emanuele Paci, Lorenzo Iovine e Francesco Leone. Attraverso l’app i cittadini milanesi potrebbero offrire un servizio ai turisti che verranno a seguire i giochi olimpici invernali nel 2026 con informazioni su eventi, strutture ricettive, percorsi turistici. A fronte di questo servizio, questi stessi cittadini accumulerebbero crediti spendibili in attività convenzionate o agevolazioni sui costi dei biglietti degli eventi delle Olimpiadi.I progetti sono stati valutati in base a una serie di criteri tra cui fattibilità, potenziale di business, user experience, rilevanza e coerenza della proposta con la sfida lanciata, qualità del prototipo. A esaminare le proposte una giuria composta da giornalisti, esperti e manager legati al mondo dell’innovazione digitale.Tutti i partecipanti hanno ricevuto un attestato di partecipazione e un gadget, mentre ai vincitori sono andati un buono Amazon del valore di 50 euro e alcuni volumi su tematiche inerenti l’iniziativa.«Cefriel open lab vuole essere un'opportunità per gli studenti e le studentesse di capire cosa significhi lavorare alla costruzione di soluzioni in un contesto multidisciplinare come quello di Cefriel» ha detto Roberta Letorio, responsabile Human Capital Cefriel «e per far toccare loro con mano l’aspetto migliore del lavoro che, alla fine, è passione, coinvolgimento, divertimento, apprendimento».«I momenti di confronto con i giovani sono sempre arricchenti» ha aggiunto Alfonso Fuggetta, amministratore delegato e direttore scientifico di Cefriel: «Abbiamo voluto questa iniziativa anche per contribuire alla costruzione di una Repubblica digitale, fondata sulla educazione al digitale come strumento indispensabile di crescita sostenibile e inclusiva». Ma dal punto di vista dei partecipanti, com'è stata questa esperienza? La Repubblica degli Stagisti lo ha chiesto a uno dei vincitori, Andrea Riboni, 21enne di Gorgonzola, vicino Milano, che da poco ha conseguito la laurea triennale in Ingegneria informatica al Politecnico di Milano. Al momento frequenta un percorso formativo promosso dall’Eit, l'Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia, che raggruppa alcune università partner considerate poli di eccellenza, tra cui anche il Politecnic: «Un percorso ibrido, che unisce alla formazione teorica la possibilità di portare avanti progetti sul campo». Dell’iniziativa di Cefriel è venuto a conoscenza grazie al passaparola: «Non avevo mai collaborato prima con gli altri membri del mio team, che è stato costituito in quel momento, come gli altri quattro. Ogni gruppo è stato seguito da un tutor, un manager di Cefriel: una figura fondamentale che ci ha dato importantissimi suggerimenti in tutte le fasi del nostro progetto».Tutto si è svolto nel corso di una giornata: «Il progetto è durato poco meno di quattro ore divise su due fasce, di mattina e poi di pomeriggio. Durante la prima fascia ci è stato comunicato il nostro target, nel nostro caso, un cittadino, e abbiamo lavorato per definire le caratteristiche più demografiche del nostro end-user e un esempio di giornata tipo nel contesto olimpionico: cosa fa, come, con che finalità – definendo attività ed eventi correlati. Durante la seconda fascia abbiamo cercato effettivamente un'idea che potesse essere rilevante per l'end user identificato e abbiamo cominciato ad effettuare dapprima un lavoro di ricerca e infine la stesura vera e propria delle slide, sulle quali abbiamo prodotto un piccolo mockup di quello che potrebbe essere il sito web o app».La fattibilità dell’idea e il lavoro del team nella sua presentazione sono stati gli elementi chiave che hanno portato alla vittoria del suo gruppo di lavoro: «La possibilità di realizzazione concreta dell’idea è stato sicuramente un punto di forza, in quanto richiedeva di aggregare elementi già esistenti e il tempo a disposizione non era tantissimo. Il gruppo ha poi fatto un ottimo lavoro nel presentare il progetto in modo efficace».Per Andrea iniziative come quella di Cefriel sono fondamentali per l’acquisizione di competenze spendibili sul mercato del lavoro e in generale per l’adozione di un approccio «molto diretto, che richiede questo tipo di framework». E rispetto a un eventuale futuro di SuggestMI? «l’applicazione è molto fattibile, ma non so se ci sarà qualcuno effettivamente interessato a svilupparla». Non si sa mai!Chiara Del Priore

Quindici 60enni in stage in Tribunale da un decennio: troppo pochi per fare rumore, ma il Lazio deve trovare una soluzione

I tirocinanti della giustizia in Lazio hanno cominciato la loro avventura nella primavera del 2010: all'epoca erano circa 500 persone, di età diverse, arruolate per aiutare a smaltire l’arretrato nel distretto della Corte di appello di Roma. Per anni sono state usate per coprire il blocco del turn over e i vuoti di organico nel decennio brunettiano; il loro apporto è stato apprezzato e riconosciuto da Presidenti di tribunali e Corti di appello a tal punto che anno dopo anno, con lettere, appelli e manifestazioni, si è trovato il modo di far rinnovare i loro stage. Che però erano e sono decisamente contro legge: per la durata, per la ripetizione dei compiti, ma anche per il target: disoccupati adulti, over 40, 50 e addirittura over 60.Per questo gruppo, che a livello nazionale è arrivato a contare nel periodo massimo quasi 3.500 soggetti,  – cifra in realtà mai confermata dal ministero, apparentemente incapace di sapere chi di fatto lavorava nei suoi uffici – il momento spartiacque è stato, a fine 2015, l’istituzione dell’ufficio per il processo e il bando per selezionare gli stagisti che avrebbero potuto farne parte. La selezione era per circa 1.500 posti, la metà della platea reale.Così, terminate le selezioni, i tirocinanti che non ce l'avevano fatta, e che quindi erano rimasti esclusi dal (lungo e laborioso) “collocamento” negli uffici per il processo, sono stati presi in carico dalle singole Regioni – tra cui anche il Lazio, governato già a quel tempo dalla giunta Zingaretti. «Il primo bando è del 2016, poi ogni anno abbiamo fatto incontri presso la Commissione lavoro della Regione Lazio e con l’assessore al lavoro per cercare di individuare dei percorsi che potessero portare all’inserimento a tempo determinato nel ministero della giustizia», spiega alla Repubblica degli Stagisti Fiorella Puglia, della Funzione Pubblica della Cgil: «Abbiamo fatto un’infinità di proposte alternative per non perdere l’investimento in formazione fatto su questi tirocinanti».Proposte che non sono mai state accolte, con la conseguenza che di anno in anno si è dovuto aspettare il rinnovo, confrontandosi con i tempi lenti della politica e la continua incertezza di rimanere senza nulla. In scadenza il 31 dicembre di quest’anno è anche l’attuale ennesimo tirocinio: «Il 3 ottobre abbiamo fatto una richiesta di audizione alla Regione Lazio per individuare una soluzione per le persone del residuo bacino, in vista della conclusione dell’ulteriore anno formativo», spiega Puglia. «Dopo siamo stati contattati e ci è stata assicurata la massima disponibilità a trovare una soluzione. Ci hanno garantito la prosecuzione anche in termini economici. Noi però vogliamo l’audizione e parleremo solo in quella sede». Ad oggi, l’audizione non è stata ancora fissata; il tempo stringe visto che mancano praticamente due mesi al termine del tirocinio.Sulla carta la soluzione non dovrebbe essere complicata visto che in questo momento nel Lazio le persone in questa situazione sono solo 15. «Il bacino iniziale dei tirocinanti della giustizia nel Lazio era di circa 500 persone. Con il tempo il numero si è assottigliato, qualcuno ha trovato altri lavori, qualcuno è stato accompagnato al pensionamento, purtroppo qualcuno è anche morto. Ci sono state tre occasioni per snellire il bacino in cui, se per i tirocinanti dell’ufficio per il processo era stato garantito un titolo preferenziale per l’accesso al concorso, per quelli regionali il titolo preferenziale era garantito solo a parità di punteggio. Il primo concorso era per circa 600 operatori della giustizia attraverso il centro per l’impiego: una piccolissima parte di soggetti è entrata lì, anche se il bando che era su base regionale nel Lazio era fatto male, perché non valorizzava gli stagisti, come invece per esempio si è fatto per il bando in Abruzzo. Poi ci sono stati i due concorsi per mille unità a tempo determinato di 24 mesi e per 1.090 a tempo determinato per 12 mesi. Fuori da tutto e quindi riassorbiti nei progetti regionali c’erano circa 86 tirocinanti. Oggi, però, sono rimasti in 15: che ci vuole a trovare una soluzione per così poche persone?» si chiede Puglia.L’ulteriore difficoltà è data dall’età dei tirocinanti ancora in balìa di una stabilizzazione: sono tutti ultra 60enni, il che non stupisce visto che sono “fedelissimi” del primo bando che era aperto ai cassintegrati o lavoratori in mobilità. Un progetto che dieci anni fa sembrava l’inizio di un reinserimento e invece per questi soggetti è stato al momento solo la ripetizione continua di un programma senza sbocchi. Stagisti particolari, non solo per il tempo che hanno passato in questo inquadramento, ma anche perché timbrano un cartellino come dei veri dipendenti, ed oggettivamente sono alle prese con carte e documenti anche di una certa delicatezza. Qualcuno di loro a breve andrà in pensione, gli altri dovranno ancora aspettare qualche anno.Le varie proposte avanzate negli anni dalla Cgil per impiegarli con veri contratti, mai accolte dalla Regione, erano state per esempio «di inserirli all’interno dei propri enti locali di residenza per fare lavori di carattere amministrativo. Oppure di fare degli sportelli di servizio della pubblica amministrazione in tutti i comuni, compreso quello di Roma, collegati agli uffici giudiziari per facilitare ai cittadini l’inizio delle procedure amministrative di carattere civile. Si poteva fare un accordo tra la Regione e i comuni o tra questi e gli uffici giudiziari per prendere in carico in una sorta di front office le domande, richieste e problematiche dei cittadini e poi smistarle nei diversi uffici dei tribunali o uffici giudiziari», spiega Puglia: «Una sorta di velocizzazione e razionalizzazione del lavoro che avrebbe comportato la riduzione dell’accumulo dell’arretrato negli uffici giudiziari». In pratica si sarebbero utilizzate le competenze sviluppate da questi tirocinanti per avvicinare gli enti locali ai cittadini. Queste proposte, però, non sono state prese in considerazione, «e allora ne abbiamo fatte delle altre, per non buttare i soldi investiti fino ad oggi nella loro formazione. Avevamo pensato anche ad utilizzare questi soggetti per tenere aperti i siti archeologici o di beni culturali in Regione, anche quelli meno conosciuti, attraverso dei pacchetti turistici che avrebbero valorizzato il territorio».Invece si è preferito mettere in bilancio ogni anno le risorse per rinnovarli, «approvare puntualmente in corner a fine anno i rinnovi. Con fatica siamo passati dai 400 euro al mese ai 500, per un numero comunque molto esiguo di ore di lavoro, circa 12 alla settimana» ammette la sindacalista, ma specificando che comunque queste indennità erano e sono “nude e crude” e non prevedono «contributi, malattia, nulla».Ora si è punto e a capo, con questi stage che termineranno tra due mesi e per cui si riapre la solita trafila di incontri, promesse e probabili rinnovi. «Come Cgil faremo di tutto per ottenere un risultato. Non possiamo garantire nulla, ma essendo anche a ridosso delle elezioni c’è la speranza di ottenere qualcosa di più». Le trattative devo ancora partire, dalla Regione non è ancora arrivata alcuna risposta, e si spera di intavolare una discussione quanto prima. I tempi delle proteste in piazza sono lontani. Quindici persone sono troppo poche per far rumore. Non resta quindi che affidarsi nuovamente alla contrattazione e al buon senso: senza un eventuale rinnovo o una contrattualizzazione quanti soldi sarebbero stati buttati a vuoto dai fondi regionali?  Marianna Lepore

Madri ancora penalizzate nel mercato del lavoro, è ora di decostruire il “mito della maternità”

Cosa significa oggi essere o non essere madri in Italia? Un nuovo libro intitolato Non è un paese per madri, edito da Laterza, si interroga «su quanto bisogno ci sia di impegnarsi insieme tutte, ma anche tutti, perché la maternità sia una scelta libera, non crei ostacoli alla carriera e smetta di essere un mito che crea aspettative e pressioni sociali enormi». L'ha scritto Alessandra Minello, una ricercatrice di demografia al Dipartimento di Scienze statistiche all’università di Padova che studia le differenze di genere in Italia e in Europa negli ambiti della scuola, della famiglia e del lavoro, concentrandosi soprattutto sul tema della maternità e le differenze di genere nelle carriere accademiche.Che cosa significhi decostruire il mito della maternità? «Ci si aspetta che la donna sia madre, quando in realtà una grande fetta della popolazione femminile è uscita già fuori dall’età fertile e non ha potuto o voluto avere figli» spiega Minello alla Repubblica degli Stagisti: «E abbiamo bisogno di accogliere anche le istanze di chi figli non ne desidera. Va poi ridefinito il modo in cui si pensa alla cura, perchè se è sulle spalle delle madri che hanno questa grossa responsabilità di essere factotum nella famiglia ed essere schiacciate dalla fatica che tutta questa perfezione richiede, diventa difficile gestire la genitorialità serenamente».Anche perché i servizi che dovrebbero aiutare le famiglie e le madri in realtà, per quanto migliorati negli anni, sono ancora e sempre troppo pochi, così entrano in gioco le madri al quadrato e cioè «le nonne: nel nostro Paese si tende a vivere vicino ai genitori, a chiedere aiuto alle nonne che lasciano il lavoro prima anche per adempiere a questo ruolo. E si crea un circolo vizioso per cui uno Stato che ha questo welfare di tipo familiare non offre i servizi che poi servono per una genitorialità più semplice, come gli asili nido o una rimodulazione degli orari scolastici. Lavoro e scuola non si parlano in termini di orari. C’è una fase cruciale nella vita dei ragazzi, quella delle scuole secondarie di primo grado, con orari ridotti e famiglie molto in difficoltà: anche questo settore della scuola è pensato per donne che non lavorano».Le donne, invece, spesso lavorano. Non tanto quanto sarebbe auspicabile, dato che il tasso di occupazione femminile italiano è di una ventina di punti percentuali più basso della media europea, ma – lavorano. E negli ultimi anni molti ambiti una volta prettamente maschili, come quello medico o universitario, si sono aperti alla presenza femminile. Senza però ridefinire le regole nei confronti delle madri che troppo spesso, tornate da una maternità, vengono messe da parte. «Le regole andrebbero riscritte tenendo conto della disparità dei tempi tra maternità e paternità, partendo dai congedi genitoriali che devono assolutamente essere paritari e usufruiti in tempi non così diversi. Sposo l’idea che la maternità sia usufruibile nei primi 10 mesi di vita, ma anche la paternità secondo la mia proposta deve essere limitata nei primi 18».Nel libro si analizza anche quello che è successo alle donne durante la pandemia degli ultimi due anni, con un’esasperazione della suddivisione delle attività di cura tra le donne e gli uomini. Un’occasione persa visto che proprio in questo caso si poteva ribilanciare i compiti, o almeno così sembrava all’inizio. «Non abbiamo imparato nulla da questa esperienza e purtroppo c’è stato troppo ottimismo. A inizio pandemia l’Unione europea pubblicò un report in cui si diceva che probabilmente stando tutti insieme a casa il lavoro femminile, di solito sommerso, sarebbe emerso e ci sarebbe stato un aumento di consapevolezza da parte degli uomini. Non è successo: i dati dicono anzi che non c’è stata parità nel tempo dedicato alla cura, neanche nelle famiglie in cui lei ha continuato a lavorare fuori casa durante la pandemia».Su questo bilanciamento dei compiti, però, Minella è convinta che perfino un congedo di paternità pari a quello di maternità non basterebbe: «La qualità della cura all’interno delle case la si insegna educando cosa significa non avere stereotipi di genere legati alla cura, alla presenza con i figli che vuol dire prendersi cura di tutte le pratiche materiali ma anche del benessere emotivo. È un percorso lungo e i dati dimostrano che i bambini imparano dall’esempio: figli che hanno avuto un padre più partecipativo diventano maschi più partecipativi e questo va insegnato a mio modo di vedere in tutti i livelli di istruzione».Per quanto si parli molto oggi di partecipazione femminile nel mondo del lavoro, poi «magicamente non si discute del tempo del lavoro di cura che è una questione che invece va toccata». Avrebbe quindi senso introdurre corsi di educazione familiare già nelle scuole elementari? «Se si presentano come corsi di parità di genere si trova l’ostracismo di chi di questi temi non vuol sentir parlare. I corsi sulla condivisione dei ruoli o di educazione familiare possono essere accolti già meglio. Ma bisognerebbe puntare anche sulla formazione agli insegnanti nel non veicolare certi tipi di stereotipi nel momento in cui si rapportano con gli studenti e li indirizzano verso le carriere scolastiche o universitarie». Temi, però, che troppo spesso non sono veicolati come importanti e finiscono irrimediabilmente per scadere di livello nel dibattito quotidiano, con la conseguenza di non essere affrontati e di trovare molte barriere nella loro discussione.C'è poi il tema del fertility gap, il divario tra i figli desiderati e i figli avuti: «Abbiamo dati che mostrano come mediamente si desiderano due figli ma in Italia, per esempio, ne nascono meno di 1,3». Cosa dovrebbe fare, quindi, il nuovo governo per aiutare le donne, qualora lo vogliano, a realizzare il desiderio di maternità? Prima di tutto, lavorare sulla riduzione del precariato: la stabilità «è un aspetto molto legato alla possibilità di realizzare l’eventuale bisogno di avere dei figli. I dati lo dicono chiaramente: le famiglie in cui c’è un doppio reddito di tipo stabile o un reddito forte sono quelle in cui la fecondità è più alta o più vicina a quella desiderata». Bisogna poi investire sugli asili nido: «Su questo fronte si è già iniziato a lavorare, e il Pnrr ha cominciato a stanziare i fondi. Sarebbe importante lavorare anche sui congedi, ma purtroppo nei programmi dei partiti che andranno al governo si parla di lavorare su quello di maternità ma non su quello di paternità». Mentre proprio lì sta uno dei nodi: cinque mesi contro una settimana, al momento. L'iniquità parte da lì, e cresce poi in ogni direzione.I dati raccontano bene il problema: la partecipazione femminile al mercato del lavoro formale è ferma al cinquanta per cento in Italia, solo la Grecia fa peggio. A incidere su questi numeri è anche la scelta dei percorsi di studio dettati da forti stereotipi. Le bambine sono brave in matematica quanto e più dei loro compagni maschi, eppure crescendo finiscono per non scegliere queste discipline all’università spostandosi più verso materie umanistiche, con meno chance lavorative e stipendi più bassi.Come se non bastasse, le donne che lavorano hanno un doppio lavoro, il proprio e quello di cura: nel suo libro Minello sottolinea come l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) inserisca il lavoro di cura tra le attività economiche, ma in Italia pesi quasi esclusivamente sulle spalle delle donne. Così se il 63% delle donne senza figli tra i 25 e i 49 anni lavora, secondo dati Eurostat, il dato scende di quattro punti percentuali quando si ha un figlio e di ben venti punti, al 43%, se i figli sono due. Numeri che mostrano come la child penalty, la penalizzazione sul reddito delle donne che avviene quando entrano in maternità, incida fortemente e lo faccia solo verso le madri, mai nei confronti degli uomini.Attenzione, però, dovrebbero essere fatte politiche che appagano il desiderio di maternità qualora ci fosse, ma non che pensino di “incentivarlo”: quello o c’è o non c’è. C’è una questione profonda nel nostro Paese che riguarda la non accettazione del desiderio di non avere figli. «Dovremmo mettere nella condizione di diventare più accettante possibile anche rispetto alla posizione di chi non prevede nel suo piano di vita di avere figli. Questo aiuterebbe». Lo Stato poi dovrebbe agire per ridurre il lunghissimo tempo che passa tra l’ingresso nel mondo del lavoro e il momento in cui si arriva a una stabilità. Questo spazio temporalmente sempre più ampio «crea un’instabilità non solo lavorativa ma anche emotiva: è difficile crearsi una prospettiva di stabilità quando una grossa parte di sé, anche identitaria come quella legata al lavoro, non è definita in maniera serena».Decostruire il mito della maternità sarà sicuramente più difficile in un momento storico in cui leader del governo in fieri è una donna che per definirsi dice “sono una madre”. «I dati internazionali mostrano come lo stereotipo per cui la cura è ancora femminile è molto alto, come quello per cui siano gli uomini a doversi occupare del sostentamento economico della famiglia» osserva Alessandra Minello: «Non è una missione semplice, non è a breve termine, ma è anche vero che poi a volte la realtà supera la politica. Ci sono sempre più donne nel mercato del lavoro, sempre più a fare i conti con questo doppio ruolo e quindi sempre più richiesta di un certo tipo di cambiamento per la gestione banalmente pratica della genitorialità. E nonostante le resistenze, come anche il peso della religione che non apre a ruoli paritari, il tema è più dibattuto: è cambiato il modo di parlarne e questo mi sembra un buon segno».Marianna Lepore

Finalmente l'assunzione per chi da oltre 10 anni fa stage nei tribunali: in Lazio il cerchio si sta per chiudere

Avevano cominciato il tirocinio nel lontano 2010, una soluzione trovata all’epoca per smaltire l’arretrato negli uffici giudiziari al collasso: cassintegrati, lavoratori in mobilità, trentenni, quarantenni, addirittura cinquantenni. Adesso, 12 anni dopo, riescono a guardare al futuro con un po’ di sicurezza: sono gli ex tirocinanti della giustizia che a partire dal 2021 hanno firmato un contratto a tempo determinato – quindi finalmente con le dovute tutele per malattia, ferie, e sopratutto con il versamento dei contributi. Dal prossimo anno dovrebbero avere l’agognato tempo indeterminato. Finalmente lavoratori a tutti gli effetti, non più falsi tirocinanti.Per Daniele De Angelis – oggi alle soglie dei cinquant'anni e tra i primi a cominciare questo percorso – e per i suoi colleghi il futuro sembra più roseo: «Tanto è cambiato, dietro l’angolo mi sembra di vedere finalmente il contratto a tempo indeterminato, dopo dieci anni di tirocinio formativo aggirando il blocco del turn over e le leggi in materia di stage. Mi auguro che il nostro caso sia di insegnamento per l’amministrazione centrale che possa cambiare approccio nei metodi di inserimento nel settore pubblico». Per lui l’agognata firma l’anno venturo sarebbe «la conclusione di un pezzo di vita. Quando ho cominciato nel marzo 2010 mia figlia faceva la prima elementare, quest’anno è al quinto liceo scientifico. Ci siamo formati insieme: l’anno prossimo lei farà 18 anni e io 50, lei si diplomerà e io, forse, avrò il mio contratto a tempo indeterminato».Il primo bacino di stagisti è stato creato nel 2010 nel Lazio: circa 420 persone distribuite nel distretto della Corte di appello di Roma. «Il primo protocollo d’intesa viene firmato tra Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, e Paolo Di Fiore, presidente del tribunale di Roma e Lazio», ricostruisce De Angelis. Passa qualche mese e da maggio si arriva a novembre quando con protocolli firmati dalla Corte di appello si estendono i tirocini a tutto il Lazio e si amplia la platea di soggetti. «A quel punto il ministero della Giustizia vede che l’esperienza è positiva: sostanzialmente siamo serviti a coprire il blocco del turn over e i vuoti di organico nel decennio brunettiano».I tirocini si replicano in tutta Italia, con protocolli locali firmati dai presidenti di tribunali e Corti di appello «e nel giro di un anno diventiamo circa 3mila persone in tutta Italia. Ai soggetti iniziali se ne aggiungono altri perché qualche regione aggiunge le work experience con neo laureati in materie giuridiche in Campania, Umbria, Abruzzo e Toscana». Scelte che poi si pagheranno nel tempo, con un bacino sempre più ampio e differenziato per cui diventerà difficile trovare una soluzione omogenea per tutti.De Angelis conosce bene la vertenza: ha cominciato il suo stage extralungo a 37 anni, prima nella sezione fallimentare del Tribunale civile di Roma e poi nella Cancelleria civile della Corte di appello. È stato tra i fondatori dell’Unione precari giustizia, un collettivo informale creato per dialogare con il mondo politico; è stato il primo a trovare il numero totale dei tirocinanti della giustizia, di cui nemmeno il ministero era a conoscenza, e con il tempo è diventato anche  referente nazionale della Fp Cgil per questi stagisti. Lo spartiacque è arrivato nel 2014 con l’istituzione dell’ufficio per il processo, introdotto dall’articolo 50 del decreto legge 90/2014: una struttura di supporto al lavoro giudiziario con l'obiettivo di riorganizzare il lavoro e le incombenze dei magistrati. I tirocinanti vengono ufficialmente riconosciuti e legittimati anche dal legislatore nelle loro attività di affiancamento del personale regolarmente assunto negli uffici giudiziari. «La selezione era per 1.500 persone, la metà del bacino all’epoca in corso, anche se in realtà ne presero poco più di 1.100», spaccando il gruppo e lasciando alle Regioni con i numeri più alti dei tirocinanti la libertà di continuare – come poi avvenne – con i protocolli locali che hanno consentito per anni la prosecuzione di stage per i soggetti rimasti fuori dall’ufficio per il processo in particolare in Lazio, Campania e Calabria.«È inutile negarlo: i tribunali avevano bisogno di questo personale e, infatti, anche il nostro tirocinio nell’ufficio per il processo dai 12 mesi iniziali durò all’incirca tre anni, con “perfezionamento” e “completamento” dello stage», escamotage lessicali adottati dalla politica per proseguire contro legge i tirocini e assicurarsi, a seconda delle varie tornate elettorali, un consenso importante. Finito anche il lungo stage dell’ufficio per il processo, iniziano due anni difficili: 2019 e 2020 sono anni di blocco, questi tirocinanti sono fuori, continuano a manifestare, alzare la voce, ma per loro non arriva nulla.Nel 2019 il ministero della Giustizia indice una procedura di assunzione attraverso i centri per l’impiego di 616 operatori giudiziari, conscio della necessità di avere qualcuno che svolga questo ruolo. Anche lì tante polemiche, perché i posti non rispettano i numeri in realtà già esistenti all’interno delle Regioni e perché ai tirocinanti della giustizia viene assegnato un punteggio aggiuntivo soltanto una volta formate le graduatorie, quindi dopo ben tre prove selettive. Qualcuno comunque ce la fa, e nel marzo 2021 firma finalmente il contratto a tempo indeterminato.Tutti gli altri restano ancora ad aspettare – fino a quando nel 2020 il decreto Rilancio non introduce un concorso a tempo determinato mediante colloquio e titoli dedicato ai soli partecipanti ad attività di formazione e tirocinio presso l’amministrazione giudiziaria. Il bando è per l’assunzione per 24 mesi di mille soggetti che andranno alle dipendenze del ministero della Giustizia, che vengono assunti da marzo 2021. A questi se ne aggiungono altri mille per i quali c'è un contratto a tempo determinato ma solo di un anno.Non tutti i tirocinanti della giustizia, però, riescono a rientrare nella selezione. In aggiunta nel bando – come previsto dalla legge – è presente una riserva del trenta per cento per i militari o riservisti che quindi entrano a far parte del bacino avendo, però, requisiti diversi che incideranno sugli ulteriori passaggi. Restano fuori in tutta Italia un centinaio di persone per le quali, come sempre nell’ultimo decennio, è la politica che deve trovare una soluzione – e si spera non solo temporanea.In Lazio, con la prima selezione per 24 mesi, firmano il contratto a tempo determinato in 181, a cui si aggiungono tra giugno dello scorso anno e gennaio di questo, con tempistiche diverse di assunzione, altri 172 soggetti, per un totale assunti di circa 350 persone. In pratica quasi tutto il bacino iniziale, considerando che nel tempo qualcuno è andato in pensione, ha trovato un altro lavoro o – purtroppo ed è capitato anche questo: dodici anni sono lunghi, e alcuni dei tirocinanti iniziali erano già avanti con l'età – è deceduto.De Angelis firma il suo contratto a tempo determinato nel marzo 2021 e la sua vita cambia, non solo per la tranquillità di avere finalmente davanti due anni di lavoro con uno stipendio degno di tal nome, i contributi, le ferie, l’eventuale malattia, ma anche per la prospettiva di arrivare all’ambito tempo indeterminato. Questo perché nel decreto Pnrr 2 c'è un emendamento per la stabilizzazione degli operatori giudiziari ora a tempo determinato (in pratica gli ex tirocinanti della giustizia), utilizzando i fondi europei. Il testo prevede che il ministero della Giustizia possa fino al dicembre 2023 assumere a tempo indeterminato fino a 1.200 unità per ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare le professionalità acquisite. In pratica si mette nero su bianco quello che avevano chiesto per un decennio i tirocinanti prima e i sindacati poi. E per fare in modo che quante più persone riescano ad avere i requisiti previsti dall’emendamento, ovvero essere in carica al 30 maggio di quest’anno e avere almeno tre anni di servizio anche non continuativi negli ultimi dieci anni, contestualmente vengono prorogati tutti i contratti in corso nel 2022 fino al 31 dicembre. In pratica chi aveva firmato per 12 mesi nel marzo 2021 ha avuto la proroga del contratto fino alla fine di quest’anno, indipendentemente da cosa accadrà il prossimo.«Lo zoccolo duro dei tirocinanti storici con questo emendamento verrebbe stabilizzato», spiega De Angelis: «Resta fuori quella parte di bacino che ha meno anni alle spalle di stage, come i tirocinanti dei magistrati che hanno cominciato più tardi» e che è probabile non resteranno comunque a piedi visto che «il ministero ha tutto l’interesse a mantenerli» e potrebbe rinnovare i contratti in essere per poi procedere all’assunzione a tempo indeterminato. “Meno anni”, per capirci, può voler dire anche cinque o sei anni già con inquadramento da stagisti. Così come saranno esclusi i riservisti militari che non possono contare sugli anni di tirocinio alle spalle. Per questi soggetti continua la battaglia per riuscire a garantire a tutti, dopo un decennio di “stage” tra mille virgolette, un posto di lavoro.   Marianna Lepore

EvolvU, il progetto di ManpowerGroup per investire sul talento

Raggiungere il target della generazione Z per inserire nuovi talenti in azienda: da qui parte il progetto EvolvU che l'agenzia per il lavoro Manpower, che fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti, ha ideato per i neolaureati under 30, nativi digitali, interessati a intraprendere una carriera nel mondo delle risorse umane.Il progetto nasce quest’anno con l’ambizioso obiettivo di assumere fino a cinquanta giovani attraverso uno stage di soli tre mesi seguito poi da due anni in apprendistato con job rotation. I candidati sono venuti a conoscenza dell’iniziativa attraverso la campagna di comunicazione #GuessTheRiddle (letteralmente “risolvi il rompicapo”) lanciata sui social network e pensata proprio per la generazione Z: una challenge composta da cinque quiz con l’ulteriore funzione di fornire una prima valutazione sui giovani partecipanti. Dopo una prima fase pubblicitaria del programma, Manpower ha iniziato la promozione su stampa e territori coinvolgendo le oltre duecento filiali e le università. «Per individuare, attrarre e selezionare i giovani talenti della GenZ non si possono più utilizzare metodi di recruiting “tradizionali”» spiega Daniela Caputo, direttrice Marketing Communication and Innovation di ManpowerGroup Italia alla Repubblica degli Stagisti: «Essendo quella la generazione dei primi veri nativi digitali, abbiamo deciso di portare il processo di selezione nel contesto a loro più familiare: i social». Non è stato però solo uno spostamento su canali diversi, perché «abbiamo sperimentato anche una modalità innovativa: quella della “challenge”, che propone una sfida agli interessati prima di candidarsi. I nostri obiettivi erano raggiungere il target d’interesse e incuriosirlo verso la nostra proposta. Il futuro dell’Hr si giocherà sul saper governare le sfide di un mondo del lavoro, anzi di un mondo dei lavoratori, in forte cambiamento».Il nuovo metodo di selezione è stato costruito dopo aver analizzato il target di riferimento, ovvero i nati tra il 1995 e il 2010, la prima generazione di nativi digitali. In questa categoria quasi otto su dieci si descrivono come personalmente responsabili della propria carriera; cercano stabilità economica più dei Millennials, sono più disponibili a lavorare molto anche se preferiscono una routine e un lavoro organizzato e sono sensibili a una cultura aziendale focalizzata su green, diversity equity e inclusion.La maggior parte dei trentuno candidati arrivati in cima al percorso di selezione ha svolto prima uno stage con il consueto rimborso spese mensile di 500 euro previsto da Manpower ma una durata più breve del solito, di soli tre mesi. Ed è entrata a far parte di un'azienda già giovane, visto che l'età media è intorno ai 38 anni. Dopo la fine del percorso formativo i giovani hanno cominciato i due anni di apprendistato in tre job rotation di quattro mesi ciascuna e chiusura degli ultimi 12 mesi nella posizione di destinazione, con una retribuzione annua lorda del terzo livello del contratto collettivo del commercio, pari a oltre 25mila euro. Le assunzioni nell'ambito del progetto EvolvU hanno toccato tredici regioni italiane in cui sono presenti filiali Manpower: Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana e provincia di Trento.La parte di gioco usata per selezionare gli under 30 prevedeva alcuni quiz di matematica, cultura generale e logica per cui era necessario spesso applicare il pensiero laterale, cioè la capacità di osservare un problema da diversi punti di vista. «Questa challenge non serviva solo ad attirare i candidati», osserva Daniela Caputo, «ma era parte integrante del processo di selezione. I talenti che vogliamo inserire in azienda, infatti, devono essere dotati anche di soft skill come il pensiero laterale e il decision making. Siamo convinti che le professioni delle Risorse umane debbano sapersi aggiornare e reagire di continuo a scenari in costante trasformazione. Spesso la GenZ ha saputo sviluppare queste competenze in autonomia, magari attraverso i videogiochi, per questo sono un target per noi molto interessante».«L'obiettivo di #GuessTheRiddle non era solo di inserire giovani GenZ in azienda, quanto di conservare nel tempo l'equilibrio generazionale, che consente di avere un mix ottimale per favorire il confronto e lo scambio di idee, garantendo anche un bilanciamento corretto tra esperienza e continua innovazione», aggiunge Caputo. Ed è proprio per gli esiti positivi ottenuti che Manpower continuerà ad assumere giovani nei prossimi anni e a lanciare nuove edizioni di questo progetto o nuove iniziative simili.In più il progetto ha permesso ai candidati di far emergere durante le fasi della selezione qualità diverse dalla tradizionale modalità di recruiting: «Oltre a essere più attrattivo come modalità di ingaggio, un processo di selezione che passi anche attraverso una fase di gioco riesce a svelare molte più informazioni sulle capacità del candidato. In particolare per quanto riguarda le soft skill» riflette Caputo, «sempre più importanti e richieste dalle aziende, ma difficili da far emergere con un colloquio tradizionale». Invece con questa modalità innovativa adoperata da Manpower è possibile per il candidato svelare maggiormente i propri punti di forza e le proprie potenzialità.La risposta dei giovani è stata positiva: «Abbiamo rilevato grande entusiasmo e motivazione da parte di tutti i candidati, in particolare grazie alla modalità innovativa di contatto e selezione. I candidati dicono di essersi trovati molto più a loro agio a interagire con noi attraverso i social e il gioco rispetto alla modalità tradizionale di colloquio di lavoro di persona in filiale. Ed è proprio il risultato che volevamo ottenere». Marianna Lepore

Poco spazio in campagna elettorale per i temi che stanno a cuore ai giovani: gli appelli “Fuori Programma”

Una campagna elettorale con un programma già visto mille volte, in cui i politici promettono sempre le stesse cose e milioni di cittadini scoraggiati spengono la tv e vanno a dormire. Possibile che in un momento così cruciale per la storia italiana non ci sia altro da offrire e non si possa provare a risolvere i problemi che stanno veramente a cuore alla società civile? Parte da questa riflessione e dalla ferma convinzione di non rimanere fermi a guardare il “Fuori programma!” un elenco alternativo di obiettivi da raggiungere e condividere con tutti i candidati e i prossimi vincitori delle elezioni politiche.«La campagna è stata lanciata una decina di giorni fa» spiega Federico Anghelé direttore dell’ufficio italiano di The Good Lobby, «Ci siamo interrogati su cosa avremmo potuto fare per dare il nostro contributo per le elezioni. Avevamo visto che i temi che a noi e a moltissimi italiani stanno a cuore non venivano minimamente toccati. L’idea è stata di congiungere i punti, portare avanti la propria causa e inserirsi nelle politiche pubbliche». Così si è deciso di focalizzare l’attenzione su alcune aree tematiche che sono quelle su cui anche The Good Lobby lavora maggiormente, e sono state create le categorie a cui hanno aderito le varie organizzazioni. The Good Lobby nasce nel 2015 come organizzazione di volontari della società civile a Bruxelles e dal 2019 ha anche una sede in Italia. Tra i traguardi raggiunti dall’organizzazione c’è per esempio una legge italiana e una direttiva europea per la tutela dei whistleblower, l’introduzione nel nostro ordinamento del diritto di accesso ai dati della pubblica amministrazione, la revoca del vitalizio ai parlamentari condannati.Per le associazioni che fossero interessate ad aderire basta inviare una mail a info [chiocciola] thegoodlobby.it e sottoporre un video breve in cui spiegare la propria proposta. «La modalità adottata è quella della video presentazione» spiega Anghelé «che seppur in un tempo contingentato, un minuto e mezzo, facilita l’ascolto e la condivisione eventuale della proposta. Abbiamo superato le 40 proposte». Chi si sente vicino alle tematiche affrontate può aderire al manifesto e firmare il Fuori Programma. Al momento sono state raccolte oltre 3.600 firme, «ci auguriamo di arrivare almeno a 20mila, non c’è una scadenza per aderire. Da qualche giorno abbiamo iniziato a contattare i leader politici e i candidati con specifiche competenze sulle materie proposte nella campagna e abbiamo chiesto un impegno già ora. Sappiamo che sarà molto difficile perché abbiamo pochi giorni a disposizione» dice ancora Anghelé: «La prima cosa è far esporre i candidati su temi che sono nelle aree tematiche, in una seconda fase visto che la legislatura inizierà a ottobre inoltrato e il governo non si formerà subito continueremo a far conoscere queste istanze ai parlamentari. Ci auguriamo che nel frattempo la petizione sia cresciuta e ci sia una sensibilità da parte dell’opinione pubblica di rivendicare la necessità di un ascolto delle organizzazioni e delle proposte della società civile».Una volta formato il nuovo parlamento e governo, le proposte verranno nuovamente condivise con tutto l’arco politico. «È probabile che anche nella nuova legislatura le istanze della società civile non saranno ascoltate, quindi uno degli obiettivi è fare in modo che questo non avvenga. Lavorare in coalizione, creare delle alleanze e fare in modo che le organizzazione della società civile si abituino sempre di più».Fuori Programma raccoglie le proposte di quanti ad oggi si sono battuti per conquistare nuovi diritti, salvaguardare l’ambiente, aiutare i nuovi sfruttati del mondo del lavoro, di chi si preoccupa della condizione dei giovani sempre troppo poco discussa nei programmi elettorali. Sono una quarantina le proposte che arrivano da altrettanti organizzazioni no profit o gruppi della società civile, che hanno deciso di mettersi in gioco e spiegare le loro battaglie attraverso dei video in pillole in cui raccontano i loro traguardi raggiunti e su cosa il nuovo governo dovrebbe puntare. Anche la Repubblica degli Stagisti ha aderito con la sua direttrice Eleonora Voltolina, lanciando un appello tanto semplice quanto potente: «Non dimenticatevi degli stagisti. Questi ultimi mesi erano stati particolarmente buoni per i diritti degli stagisti» ricorda Voltolina, «perché si erano innescati dei processi che stavano migliorando le normative attualmente in vigore sia per i tirocini curricolari, di competenza statale e svolti mentre si studia, sia per i tirocini extracurriculari, che sono di competenza regionale e sono al di fuori del periodo di formazione». La cosa più importante che caratterizza entrambi i tipi di stage è la sostenibilità economica, quindi Voltolina chiede «l’introduzione anche per i curricolari di una indennità obbligatoria e la trasparenza sui dati attraverso un monitoraggio costante. Speriamo davvero che il prossimo parlamento porti avanti queste tematiche».Sull'equità intergenerazionale verte la proposta dell’associazione no profit Yezers, composta da oltre 600 attivisti under 35 «accomunati dalla voglia di disegnare un paese migliore». Chiara Manconi, membro dell’associazione, ricorda come «ogni scelta e azione compiuta in merito all’ambiente, al lavoro o al patrimonio culturale ha ripercussioni non solo nel breve ma anche nel medio lungo termine. Da un’attenta analisi dei programmi dei partiti politici candidati alle elezioni è evidente che il concetto di equità intergenerazionale non sia presente o risulti solo nominato senza una chiara strategia di implementazione». Per equità intergenerazionale si intende il prendere in considerazione le conseguenze di ogni decisione politica in un’ottica pluridecennale andando contro le politiche di debito. Yezer propone «l’introduzione di una commissione parlamentare bicamerale di indirizzo vigilanza e controllo e l’istituzione di un portavoce per le generazioni future, che possa non solo monitorare l’impatto delle nuove proposte legislative ma anche suggerire nuove soluzioni per garantire rispetto dell’equità intergenerazionale». Una proposta che mira a fermare il sentimento di sfiducia tra cittadini e istituzioni.Di diritto a vivere una vita dignitosa e a lavorare in sicurezza potendo progettare la propria vita si fa portavoce, invece, la campagna Abiti puliti per voce di Deborah Lucchetti che nella sua video pillola spiega: «Crediamo che tutti e tutte abbiano diritto a una retribuzione minima sufficiente a mangiare cibo di qualità, abitare una casa confortevole, spostarsi in sicurezza, accedere a cure mediche, pagare le bollette, garantire un’istruzione ai propri figli. Per questo crediamo che sia urgente istituire un salario minimo legale anche in Italia che protegga il potere d’acquisto dei lavoratori. Dai nostri calcoli» quantifica Lucchetti, questo salario «equivale a 11 euro netti all’ora cioè 1905 euro netti al mese», ricordando anche come il salario dignitoso sia un diritto universale già riconosciuto dall’articolo 36 della nostra Costituzione. Pone un altro problema che ha spesso trovato spazio sulle pagine della Repubblica degli Stagisti, Stefano La Barbera, Presidente del comitato Io voto fuori sede. «L’Italia è l’unico paese europeo insieme a Malta e Cipro che non ha una legge che consente il voto ai cittadini in mobilità ovvero chi per studio, lavoro o viaggio di qualsiasi genere si trovi lontano dal luogo di residenza al momento delle elezioni. Ad aprile 2022 il Governo ha pubblicato il libro bianco sull’astensionismo: qui mette nero su bianco quello che denunciamo da quattordici anni, ovvero che cinque milioni di italiani secondo dati Istat si trovano in queste condizioni e rischiano di non poter votare». Farlo significherebbe sostenere costi in termini di tempo e denaro che non possono permettersi e finiscono per diventare degli astensionisti involontari pari a un decimo degli aventi diritto al voto in Italia. L'appello: «Approvate in tempi brevissimi una legge per il voto a distanza, sanate questa ferita della democrazia».Tra le tante altre proposte val la pena ricordare anche quella di Mario Mirabile, di South working, lavorare dal sud, che chiede un futuro del lavoro da remoto più sostenibile attraverso la riduzione dei divari esistenti tra nord e sud italia, tra poli più industrializzati e aree più marginalizzate. «Il lavoro agile è un vettore assolutamente incredibile per la riduzione delle diseguaglianze e rendere più sostenibile la nostra società. Il nostro obiettivo è la creazione di una infrastruttura sociale che permetta la riduzione delle diseguaglianze, quindi spazi di aggregazione sociale per i lavoratori e le lavoratrici da remoto che tornano o si recano per la prima volta sul territorio e le comunità locali. Luoghi che devono essere pensati in funzione delle comunità locali di cui stiamo parlando per avviare processi partecipati di costruzione di una infrastruttura sociale che guardi al futuro dei nostri territori».Non resta che guardare i video, leggere le proposte, farsi qualche domanda e appoggiare Fuori Programma, cercando nel segreto dell’urna di votare chi è più vicino a queste tematiche. Per provare a costruire un futuro migliore.  Marianna Lepore

Calabria, per 4.300 adulti ancora 12 mesi di proroga: alcuni sono in tirocinio da dieci anni

Alla fine sono stati rinnovati: i Tis, “tirocini di inclusione sociale”, per 4.300 calabresi disoccupati ex percettori di mobilità in deroga continueranno per altri 12 mesi nell’attesa – ancora una volta – di trovare una soluzione.Ma anche stavolta non avverrà né la chiusura del programma abnorme di tirocini (alcune persone li stanno facendo, una proroga dopo l'altra, da oltre un decennio) né l'agognata assunzione. «Tutti questi precari li ho solo ereditati, non li ho creati io di certo!» ricorda alla Repubblica degli Stagisti il presidente della Regione Roberto Occhiuto: «Lavoro costantemente per assicurare loro per quanto possibile condizioni di lavoro e vita migliori. La contrattualizzazione di 4.300 lavoratori non è una cosa che può fare la Regione da sola. Si pensi che i dipendenti regionali sono complessivamente 1.800, credo sarebbe impraticabile contrattualizzarne altri 4.300».E dunque, nel frattempo, si fa quel che si può: e lo stage diventa ancora una volta ammortizzatore sociale. La delibera 410 della giunta regionale del 1° settembre a firma Occhiuto, pur ricordando che «la durata dei tirocini non può essere superiore a 24 mesi», evidenzia anche che «le regioni hanno la possibilità di stabilire deroghe sulla durata e ripetibilità» e che, quindi, il tirocinio può essere prorogato oltre il limite dei due anni purché «in seguito all’attestazione della sua necessità da parte del servizio pubblico che ha in carico la persona e non più di una volta per un massimo di 24 mesi». Nella delibera, quindi, vista la scadenza dei percorsi di tirocinio precedentemente avviati, si dispone che il dipartimento lavoro debba avviare le interlocuzioni necessarie con gli enti ospitanti per prorogare gli stage per ulteriori 12 mesi. Non solo, si invita anche ad avviare «ogni altro atto necessario a dare impulso alla prosecuzione dei percorsi per un’ulteriore annualità» coinvolgendo i centri per l’impiego.Questi tirocini, vale la pena ricordare, non sono “normali” stage extracurricolari e dunque non fanno riferimento alle “classiche” linee guida (le ultime sono state approvate dalla Conferenza Stato-Regioni nel 2017) sui tirocini. In questo caso il riferimento normativo sono le linee guida, sempre stabilite in sede di Conferenza Stato-Regioni, del gennaio 2015.«Si tratta di un risultato importante, che consente un ulteriore periodo di sostegno alle famiglie in una fase di crisi sociale ed economica», spiega il presidente Occhiuto. I fondi per prorogare il tirocinio per un anno ammontano a circa 32 milioni di euro, di cui 17 milioni a valere sul Programma di Azione e Coesione (PAC) Calabria 2014/2020 e circa 15 milioni sul Piano Sviluppo e Coesione (PSC) Calabria: «Risorse per garantire la prosecuzione di un’esperienza di politica attiva e allo stesso tempo fornire un aiuto in vista della costruzione di soluzioni che portino nella direzione della creazione di opportunità lavorative nel mondo delle imprese e di percorsi assunzionali legittimi nel contesto pubblico». La delibera, si diceva, prevede la proroga e, quindi, i Tis andranno in continuità senza alcuna interruzione man mano che i percorsi nei 458 enti interessati termineranno.Il provvedimento arriva dopo mesi di proteste e manifestazioni dei tirocinanti che fino all’ultimo non hanno saputo che cosa ne sarebbe stato di loro. Per capire di cosa si sta parlando bisogna riavvolgere il nastro e dare qualche elemento in più. Nell’ultimo decennio in Calabria, complice una scarsa regolamentazione dei tirocini e una crescente disoccupazione anche nelle fasce di età più avanzate, si è deciso di attivare percorsi di stage in vari enti pubblici. Sopperendo così alla mancanza cronica di personale, dovuta anche all’assenza di concorsi, e contemporaneamente consentendo a persone ormai fuori dal mercato del lavoro e senza più ammortizzatori sociali di fare dei percorsi di formazione all’interno di tribunali, comuni, province, scuola, regione.Del più famoso caso dei “tirocinanti della giustizia” la Repubblica degli Stagisti si occupa da molti anni, ma senza mai dimenticare l'esistenza di un altro tipo di stagisti, 6.700 persone in totale: di questi circa duemila erano i cosidetti tirocinanti della funzione pubblica, direttamente alle dipendenze dei ministeri, per i quali dopo alterne vicende ad aprile di quest'anno è stato pubblicato un bando di concorso per 1.956 posti che sulla carta – ma anche qui ci sono varie polemiche e accuse in circolazione – serviva per dare un definitivo contratto a questi stagisti.Restavano fuori i circa 4.300 tirocinanti di inclusione sociale, quindi «quelli che fanno servizi all’Asp, nei comuni, in Provincia, in Regione e nelle scuole ma non tramite Miur, per i quali è attivo l’altro bando, ma chiamati a suo tempo dalle scuole che chiedevano ulteriore personale», spiega alla Repubblica degli Stagisti Saverio Bartoluzzi, dell’Unione Sindacale di base. Proprio a questi tirocinanti era dedicato l’avviso pubblico seguente per una annualità di stage di 12 mesi cominciati nel 2020, con una sospensione nel periodo di chiusura causa Coronavirus. Poi a fine ottobre 2021 con un nuovo decreto è stata avviata una nuova annualità decidendo di innalzare il rimborso spese mensile, precedentemente di 500 euro mensili, a 700 euro.  Si arriva così agli ultimi mesi, e ai tirocini per l'ennesima volta in scadenza. È mancato un dialogo con i sindacati, ha denunciato l’Usb, prima della nuova proroga arrivata a inizio di questo mese. «Come Unione sindacale di base siamo contrari» dice Bartoluzzi alla Repubblica degli Stagisti, «perché i 28 milioni spesi l’anno scorso per la proroga e i 32 adesso fanno pensare che ci sono abbastanza soldi per cui si poteva arrivare a un minimo di contrattualizzazione o tramite una legge regionale, come hanno fatto per i lsu lpu, e poi cercare magari una collaborazione con il governo nazionale. Gli ultimi 12 mesi di proroga sono passati nel silenzio, aspettando gli ultimi venti giorni per un nuovo rinnovo, mentre l’onorevole Cannizzaro e il presidente Occhiuto, all’epoca deputato, avevano detto che sarebbero serviti per creare qualcosa e portare alla contrattualizzazione».Il sindacalista Usb evidenzia poi un altro problema: «Nessuno lo dice: ma se un comune si rifiuta di continuare questa proroga automaticamente tutti i tirocinanti che sono in quell’ente sono esclusi. Come Usb siamo a conoscenza del fatto che alcuni comuni per consentire il rinnovo obbligano i tirocinanti a fare tutte le 80 ore mensili previste, quando basterebbe il settanta per cento, senza mai assentarsi».Il fatto di svolgere tutte le ore previste sembra in effetti una richiesta di semplice buonsenso – perché mai dovrebbero farne di meno? Solo per sfruttare la possibilità prevista dall'accordo? – anche perché va ricordato che per questo impegno di 80 ore mensili, che equivalgono a venti ore la settimana, circa un part-time al 25%, queste persone ricevono dallo Stato 700 euro.D'altro canto, va però ricordato anche che si tratta di adulti che da anni, all'interno di questa gabbia dei tirocini, non ricevono un euro di contributi previdenziali: gli stage infatti non hanno alcun valore ai fini pensionistici, dunque tutti questi soggetti non solo sono e rimangono a rischio di esclusione sociale, ma stanno anche costruendo enormi buchi nella loro storia previdenziale che avranno effetti deleteri al momento di andare in pensione.Al sindacato, per giunta, risulta perfino che vi siano comuni che «chiedono ai tirocinanti di fare lavori senza dispositivi di protezione individuale». E questo è realmente inaccettabile, perché agli stagisti andrebbero garantiti tutti i presidi di sicurezza dati ai dipendenti che svolgono le medesime attività.Cosa succederà una volta terminato questo nuovo rinnovo? Lo si può presumere leggendo bene la delibera di inizio mese, dove si parla di 24 mesi e di un ulteriore anno terminati questi primi dodici. Frase che fa presupporre la disponibilità, eventualmente, di fare ancora un altro anno di stage in attesa di qualche altro provvedimento di regolarizzazione.«Sulla carta non hanno nessuna soluzione», conclude Bartoluzzi. «Non siamo contro il centro destra ma contro i politici che durante le elezioni corteggiano i tirocinanti e subito dopo li abbandonano. Ora cercheremo di capire che cosa succederà. Rimaniamo convinti che questa proroga sia un ulteriore sperpero di denaro. Questa sarebbe la tredicesima annualità di tirocinio, contro tutte le leggi in materia».Su un altro fronte sindacale, quello della Cisl, questa proroga viene invece definita una buona notizia. Tonino Russo e Gianni Tripoli, rispettivamente segretario generale Cisl calabrese e segretario generale FeLSA Cisl Calabria, lanciano però un monito: «Serve altro. Serve dare dignità al lavoro. Servono politiche attive del lavoro. Serve costruire un futuro per dare speranza alle persone, sedersi intorno a un tavolo e andare avanti fino a trovare soluzioni concrete».“Costruire un futuro” nel gergo sindacale ovviamente equivale ad assumere. Questi tirocinanti «in verità sono lavoratori a tutti gli effetti», ammette chiaramente il presidente della Regione Occhiuto alla Repubblica degli Stagisti: «Sono diventati indispensabili per alcune funzioni che svolgono all’interno delle varie amministrazioni».Per assumerli, come vorrebbe il sindacato, «occorrerebbe una deroga da parte del governo nazionale ai vincoli assunzionali dei Comuni» dice ancora il presidente della Regione Occhiuto: un'opzione difficile senza «un governo nella pienezza delle funzioni». Ecco quindi la soluzione-tampone della proroga «in modo da garantire una soluzione di continuità» che però non potrà verosimilmente essere ripetuta: «32 milioni all’anno, ciò che abbiamo stanziato per questo intervento, sul bilancio della Regione rappresenterebbero una massa difficile da reperire ogni anno» dice infatti Occhiuto. Senza contare che si continuerebbe a condannare 4mila persone a restare tirocinanti a vita, senza contributi previdenziali. «È necessario che il Governo faccia la sua parte» dice il governatore: «Per attuare un piano complessivo di inserimento lavorativo sarà necessario avere a disposizione interventi legislativi nazionali, per la messa a punto dei quali la Regione si farà promotrice».In pratica per ora c’è solo questa ennesima proroga, cui potrebbe forse fare seguito qualche tipo di contratto, con l’aiuto di fondi statali. Agli oltre 4mila tirocinanti decennali non resta che svolgere l’ennesimo tirocinio fittizio, confidando che la battaglia sindacale porti anche per loro l’agognata firma di un vero contratto di lavoro.Marianna Lepore

Gender Gap, il paradosso delle donne nel mondo del lavoro: webinar con Alessia Mosca, Michela Carlana ed Eleonora Voltolina

«Son stati fatti negli ultimi cinquant’anni notevoli passi avanti, che non dobbiamo negare: attualmente nelle università di tutti i Paesi OECD la maggior parte delle persone iscritte sono donne, e anche la partecipazione al mondo del lavoro è aumentata moltissimo» afferma Michela Carlana, docente di Public Policy alla Harvard Kennedy School: «Tuttavia gli stereotipi di genere sono all’interno della nostra società sin dalla prima infanzia – si pensi semplicemente ai diversi giochi che vengono proposti a bambini e bambine, o alla divisione del lavoro all’interno della famiglia, che sembra essere l’ultimo miglio per permettere alle donne di avere veramente una eguale partecipazione, al di là di tutti i progressi fatti a livello normativo. Gli stereotipi di genere si perpetuano nella scuola – “La matematica non è un ambito da ragazze!” – per arrivare al mondo del lavoro e al glass ceiling che non permette alle donne, o con molta fatica, di raggiungere le posizioni apicali. Quindi c’è moltissima strada ancora da fare».Posizione condivisa da Alessia Mosca, già parlamentare ed europarlamentare e oggi docente universitaria a Parigi, che porta «due dati molto recenti abbastanza eclatanti: l’Italia si trova al 77esimo posto su 79 paesi Ocse quanto a divario di competenze matematico scientifiche tra ragazzi e ragazze, ed è all’ultimo posto quanto a divario di competenze sull’educazione finanziaria. Questi due dati sono significativi rispetto alle competenze che oggi sono richieste e al tipo di ritardo che ancora scontiamo. Certo è importante riconoscere i passi che sono stati fatti, ma non bisogna abbassare mai la guardia: su alcuni ambiti è indispensabile fare uno sforzo enorme».Sono due delle riflessioni emerse durante il webinar “Gender Gap: il paradosso nel mondo del lavoro” promosso dalla Fondazione Roberto Franceschi: una tappa del percorso di eventi e iniziative online e offline che porterà al 23 gennaio 2023, cinquantesimo anniversario della morte di Roberto Franceschi, con lo scopo di creare momenti di riflessione e confronto sulle tante tematiche che la Fondazione ha affrontato in tutti questi anni, anche attraverso l’apporto delle ricercatrici e dei ricercatori che negli anni sono stati sostenuti attraverso i fondi di ricerca. La discussione sul Gender Gap fa parte del ciclo "Eva: il futuro della terra alle donne" che la Fondazione Franceschi ha chiesto di coordinare alla direttrice della Repubblica degli Stagisti, Eleonora Voltolina, che da diversi anni fa parte del cda della Fondazione.La puntata – che Voltolina apre con una citazione del libro “Dodici Parole” di Gabriela Jacomella, sottotitolo “Storie e pensieri di donne eccezionali per diventare ciò che vuoi essere”, pubblicato da Feltrinelli nel 2019 – ha come protagoniste Michela Carlana e Alessia Mosca, che approfondiscono le difficoltà che incontrano le donne non solo all’ingresso, ma anche in itinere, specie quando (come ancora troppo spesso succede) la maternità o potenziale maternità è considerata come una “iattura”; e poi il grande tema degli stereotipi di genere che ancora oggi tengono lontane le giovani donne da alcuni tipi di formazione e da alcuni mestieri.Michela Carlana, laureata nel 2012 a Padova e addottorata in Economia alla Bocconi di Milano, oggi insegna ad Harvard dove è affiliata al programma Women in Public Policy e al Center for International Development che si occupa di studi di genere. Lavora sui temi legati alle ineguaglianze e all’istruzione, con un focus sul genere e sull’immigrazione. Tra le sue più recenti pubblicazioni "Implicit Stereotypes: Evidence from Teachers’ Gender Bias”, "Parents and Peers: Gender Stereotypes in the Choice of the Field”, e “Hacking Gender Stereotypes: Girls’ Participation in Coding Clubs”.Alessia Mosca è stata deputata e poi fino al 2019 eurodeputata nelle fila del Partito Democratico. Nella sua attività politica politici c'è la legge 120/2011 chiamata “Golfo-Mosca”, sull'inserimento di quote di genere nei consigli di amministrazione di società quotate e a partecipazione pubblica. Attualmente è docente di politica commerciale europea a Sciences Po, a Parigi, e vicepresidente dell'associazione Il Cielo Itinerante. È anche impegnata all’interno dell’associazione Fuori Quota, un organismo no profit che riunisce donne board members di società quotate e donne in posizione apicali di impresa e di istituzioni, che si impegnano ad azioni proattive per l’empowerment del talento femminile e il superamento dell’iniquità della disparità di genere. A inizio 2021 Mosca ha fondato l’Associazione “Il cielo Itinerante” insieme, tra gli altri, a Ersilia Vaudo, Chief Diversity Officer dell'Agenzia spaziale europea, con l’obiettivo di avvicinare allo studio delle materie Stem i bambini e le bambine in situazioni di povertà educativa o di disagio sociale, sperimentando metodi formativi innovativi. «Abbiamo messo quattro telescopi su un camioncino e siamo andati nei posti dove c’è maggiore fragilità, maggior abbandono scolastico, maggiori diseguaglianze, per fare vedere le stelle ai bambini attraverso il telescopio» dice Mosca di questa nuova attività: «Perché le stelle? Perché da sempre l’osservazione dell’universo ha portato a un avanzamento dell’umanità da tutti i punti di vista – non solo matematico scientifico ma anche filosofico, religioso, artistico. L’osservazione del cielo ha sempre ispirato e fatto nascere il desiderio di migliorarsi. Quello che abbiamo cercato di fare in questi due anni è instillare in questi ragazzi delle medie il desiderio di poter e voler andare oltre la propria quotidianità, superare gli stereotipi, superare l’idea che il loro destino sia determinato, e dar loro l’idea che invece possono prendere in mano il loro destino e decidere quello che vogliono approfondire e studiare. E in questo modo cerchiamo di gettare qualche seme, che può portare alla riduzione di questi stereotipi».In chiusura dell’episodio Eleonora Voltolina ricorda anche gli importanti risultati della ricerca “Perché i giovani non studiano informatica?”, realizzata a fine 2019 dalla Repubblica degli Stagisti insieme alla società di consulenza informatica Spindox, con la collaborazione scientifica dell’Istituto Toniolo. E soprattutto il clamoroso risultato di un terzo del campione che dichiara che, se avesse saputo - prima di iniziare le superiori o l'università - quanto erano e sono richieste le competenze informatiche nel mercato del lavoro, avrebbe considerato con più attenzione questa possibilità. Nello specifico, il 36% delle ragazze e il 29% del campione, composto da duemila ragazzi tra i 20 e i 34 anni: e a tornare indietro sarebbero soprattutto le donne tra i 26 e i 34 anni. Quelle che oggi hanno spesso più difficoltà a trovare lavoro di qualità.

Come si diventa esperti nel far donare denaro per il bene comune? Un nuovo master insegna la filantropia

Cos’è la filantropia? L’enciclopedia Treccani, dopo la classica definizione «amore verso il prossimo, come disposizione d’animo e come sforzo operoso di un individuo o anche di gruppi sociali a promuovere la felicità e il benessere degli altri», spiega che in età ellenistica e poi romana la parola cominciò a indicare un atteggiamento benevolo dei sovrani nei confronti dei sudditi; mentre la filantropia moderna,  a partire dal 1800, ha portato per esempio alla creazione di ospedali e scuole e alla promozione di iniziative di lavoro o cultura, una «complessa azione di assistenza per la felicità e il benessere degli uomini»: assistenza dai più abbienti ai meno abbienti, restituzione, sostegno economico e materiale a iniziative meritevoli e orientate al bene comune. Rhodri Davies, autore nel 2016 di “Public Good by Private Means: How Philanthropy Shapes Britain” e responsabile del think tank “Giving Thought” della Fondazione inglese Charities Aid Foundation definisce la filantropia come «il perseguimento del bene comune attraverso mezzi privati» (è proprio la traduzione letterale del titolo del suo libro).Essere un filantropo, nel linguaggio di oggi, vuol dire sostenere settori meritevoli di attenzione ma poveri di mezzi. Così come il mecenate protegge e finanzia poeti e artisti, il filantropo protegge e finanzia iniziative e attività che ritiene importanti per la comunità. Oggi perfino ciascuno di noi può essere un po’ filantropo, per esempio attraverso il crowdfunding; e certamente anche il mondo aziendale non resta escluso: la cosiddetta “filantropia d’impresa” descrive proprio quelle aziende che scelgono di contribuire economicamente ad una causa benefica.La filantropia si può imparare? Sta per partire, in Piemonte, un master che scommette che si possa. Viene promosso dalla SAA, la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino, insieme all'Istituto Nazionale di Filantropia e alla Fondazione Accademica Maurizio Maggiora, nel quadro di un programma più ampio «volto a promuovere l’idea di “capitalismo cosciente” quale modello economico di cooperazione sociale per la creazione di valore condiviso e di sostenibilità». Guidato da Giampiero Giacomel, presidente dell’Istituto Nazionale di Filantropia Filantropolis e managing director di Cultural Philanthropy, una società di consulenza specializzata nella filantropia per le arti, il master è sostenuto anche da Ashoka, ONG americana che rappresenta più grande network mondiale di imprenditori sociali innovativi. L’idea degli organizzatori è quella di offrire un percorso formativo “olistico” che assicuri «un quadro completo e integrato su questi temi» presentando ogni materia «in modo prima teorico e poi pratico» e, più nello specifico, «attività di action learning con challenge finale, attraverso un project work nel quale i partecipanti lavoreranno su un progetto applicativo reale, anche proposto da loro stessi, seguiti da un team di esperti». Primo giorno di scuola venerdì 16 settembre 2022; lezioni di giovedì e venerdì pomeriggio e di sabato mattina per tre weekend al mese fino a maggio, per un totale di 300 ore di cui 200 di formazione - suddivise in quattro moduli: “Filantropia”, “Promuovere il capitalismo cosciente”, “Fondazioni: filantropia in azione” e per finire “Teorie e metodologie di analisi” - più 100 ore di Project Work in modalità blended (quindi i partecipanti potranno seguire i moduli sia online che in presenza). La didattica si basa sulla metodologia “Flipped Classroom” che prevede, si legge sul sito, «un coinvolgimento attivo con sessioni in presenza essenzialmente dedicate al confronto, ad attività di gruppo, ad esercitazioni e alla realizzazione di compiti operativi reali».Il master, di cui la Repubblica degli Stagisti ha scelto di diventare partner per la grande importanza che attribuisce alle attività di sostegno di iniziative che abbiano rilevanza sociale, è rivolto a chi già lavora o vorrebbe lavorare in organizzazioni del terzo settore o per fondazioni e aziende socialmente responsabili. I suoi ideatori propongono lo sviluppo di una professione nuova per l’Italia, il “Philanthropy Advisor”, cioè un professionista capace di operare in  realtà che si trovano a gestire importanti risorse finanziarie come fondazioni, banche, studi notarili, commercialisti, consulenti, manager. Questo percorso formativo, il cui titolo completo è “Executive master in Filantropia, CSR e Grant Making”, potrebbe interessare anche giovani laureati: le “figure d’uscita” indicate nella brochure del master, oltre al già citato Philanthropy advisor per famiglie e privati, spaziano da dirigenti e funzionari di Fondazione a dirigenti e funzionari di responsabilità sociale d’impresa, da consulenti e dirigenti per il non profit a ricercatori in studi filantropici.Chi fosse interessato può ancora candidarsi fino a venerdì 9 settembre. Il parterre di docenti e collaboratori che focalizzeranno questa “nuova filantropia” - oggi «diversificata, globale, collaborativa, più imprenditoriale» e anche orientata ai risultati, dato che «prevede la misura dei risultati sia economici che sociali» - è decisamente internazionale: da Tobias Jung, direttore del centro di studi filantropici e per il bene comune presso la University of St. Andrews e presidente dell’European Research Network on Philanthropy a Bhekintasi Moyo, direttore del Centro studi sulla filantropia africana presso l’università di Johannesburg; da Chiara Cordeli, che insegna al dipartimento di Scienze politiche dell’università of Chicago, a Luisa Levi d’Ancona, docente al dipartimento di Storia della Hebrew University di Tel Aviv, fino a Paola Pierri, fondatrice della Pierri Philanthropy Advisory, società di consulenza e formazione specializzata sui temi della filantropia e dell'economia sociale. Solo per citarne alcuni.La quota d’iscrizione è 6.200 euro + Iva; ci saranno anche alcune borse di studio a copertura totale o parziale, da richiedere al momento dell’iscrizione attraverso una lettera motivazionale e la propria certificazione Isee. In alternativa si può provare, grazie a una convenzione stipulata tra la Saa e Banca Intesa Sanpaolo, ad accedere a un prestito d’onore. Fare questo master dà diritto a un Diploma Attestato di partecipazione rilasciato dalla SAA – School of Management il e agli Digital Open Badge come validazione e certificazione delle specifiche competenze acquisite. I futuri Philanthropy advisor si facciano avanti!