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Resto al Sud, come funziona il nuovo bando che aiuta i giovani a fare impresa nel Mezzogiorno

Un miliardo e 250 milioni di euro per sostenere l’economia del centro-sud Italia attraverso le start-up. Si chiama “Resto al sud” ed è un nuovo incentivo per giovani residenti in otto Regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Promosso dal ministero per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, da quello dell’Economia e da quello dello Sviluppo economico, prevede un sostegno economico per aprire un’attività imprenditoriale.Tutto buono: la situazione dell’occupazione nelle regioni del Mezzogiorno è molto critica – se il dato medio nazionale di occupazione per la fascia di popolazione tra i 15 e i 34 anni è pari a 40,6% (Istat 2017), prendendo in considerazione solo chi risiede nel Mezzogiorno lo stesso dato è di oltre 10 punti più basso: 28,5% – e il fenomeno dell’emigrazione, verso le più dinamiche regioni del centro nord o verso l’estero, è da anni in crescita costante.La misura è aperta ai giovani tra i 18 e i 35 anni che vogliano avviare una attività imprenditoriale per la «produzione di beni nei settori industria, artigianato, trasformazione dei prodotti agricoli, pesca e acquacoltura; la fornitura di servizi alle imprese e alle persone, turismo». Restano invece escluse dal finanziamento «le attività agricole, libero professionali e il commercio».Non è chiarissimo perché sia stato deciso di investire così tanto in un progetto così simile a un altro già esistente, Selfiemployment, attivo già da settembre 2016, che fin dal primo giorno ha stentato a trovare potenziali beneficiari. E’ proprio così: Selfiemployment, la misura di Garanzia Giovani per il sostegno all’autoimprenditorialità, in un anno e mezzo è riuscita a destinare soltanto 21 milioni dei 124 che costituiscono la sua dotazione finanziaria. Motivo: non arrivano abbastanza richieste. «Le domande presentate non sono così numerose da saturare la dotazione finanziaria» ammette Vincenzo Durante, responsabile dell’area Occupazione di Invitalia, l’ente che gestisce entrambe le misure. Non a caso, proprio in queste settimane è in corso un confronto con l’Anpal che potrebbe portare alla revisione dei criteri di accesso o di implementazione di Selfiemployment, modificando «lo strumento agevolativo per renderlo più attrattivo». Ma per ora non c’è nulla di certo.  Curioso dunque che, sulla base di un risultato non certo eccezionale, si scelga di attivare una iniziativa quasi identica, con un’altra dotazione finanziaria – e molto significativa! Eppure i decisori politici sembrano convinti che “Resto al sud” avrà più successo di Selfiemployment. Forse perché l’accesso non è in questo caso limitato agli iscritti a Garanzia Giovani, e copre dunque un target di cinque anni più ampio, essendo rivolto agli under 35? Certo questo ha un suo peso – ma, di contro, a “Resto al sud” possono concorrere solo aspiranti startupper residenti nelle otto regioni del Mezzogiorno, mentre Selfiemployment è aperto a tutti, in tutte le venti regioni. In ogni caso i primi dati disponibili evidenziano che, all’8 marzo, per “Resto al sud” vi erano oltre 6mila domande in via di compilazione sul sito di Invitalia, e di queste poco meno di 1.500 già chiuse e presentate (in un anno e mezzo per Selfiemployment ne sono arrivate meno della metà, 2.200!); non c’è però ancora nessun dato su quante abbiano finora passato la selezione.Gli aspiranti startupper potranno usare i soldi ottenuti con “Resto al sud” per la «ristrutturazione o manutenzione straordinaria di beni immobili», per comprare «impianti, macchinari, attrezzature e programmi informatici» e infine, più genericamente, per «le principali voci di spesa utili all’avvio dell’attività».Il finanziamento può arrivare fino a un massimo di 50mila euro (o 200mila in caso i soggetti richiedenti siano più d’uno) a copertura del «100% delle spese ammissibili», il che è un dettaglio tecnico importante, perché molti finanziamenti invece prevedono una percentuale inferiore, e non di rado ciò rappresenta un disincentivo a candidarsi. Le somme che arrivano a chi supera la selezione consistono in un «contributo a fondo perduto pari al 35% dell’investimento complessivo» e in un «finanziamento bancario pari al 65% dell’investimento complessivo, garantito dal Fondo di Garanzia per le PMI. Gli interessi del finanziamento sono interamente coperti da un contributo in conto interessi». 35+65 = 100%. Di questi 100, il 65% andrà restituito a rate («entro otto anni dall'erogazione i primi due anni di pre-ammortamento», come specificato nel decreto attuativo), però appunto senza interessi; il restante 35% invece no.Resto al sud è un «incentivo a sportello», il che vuol dire che le domande «vengono esaminate senza graduatorie in base all’ordine cronologico di arrivo». Lo sportello è stato aperto a metà gennaio (il regolamento attuativo era stato pubblicato a novembre). Le banche che hanno aderito alla convenzione e che dovranno dunque approvare ed erogare i finanziamenti sono Intesa SanPaolo, Unicredit, la Banca del Mezzogiorno Mediocredito centrale, il Monte dei Paschi di Siena e alcuni istituti più piccoli del sud.Possono partecipare non solo gli under 35 già residenti nelle otto Regioni citate «al momento della presentazione della domanda di finanziamento», ma anche coloro che si impegnino a trasferirsi in una di esse «dopo la comunicazione di esito positivo». Conditio sine qua non è non avere «un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per tutta la durata del finanziamento» e non essere già «titolari di altra attività di impresa in esercizio».La misura è accessibile ai privati cittadini ma anche alle società, alle cooperative, alle ditte individuali «costituite successivamente alla data del 21 giugno 2017», o ancora a «team di persone che si costituiscono entro 60 giorni (o 120 se residenti all’estero) dopo l’esito positivo della valutazione». A vigilare sul buon andamento della misura è incaricata l’Agenzia per la Coesione territoriale che «nell'ambito delle proprie competenze» si legge nel decreto attuativo «garantisce il monitoraggio delle agevolazioni concesse ai soggetti beneficiari». Se “Resto al sud” avrà più fortuna di Selfiemployment e si rivelerà più efficace, solo il tempo potrà dirlo. Inevitabile, per ora, considerarle misure quasi gemelle e notarne la preoccupante ridondanza.Eleonora Voltolina

Autoimprenditorialità con Garanzia Giovani, Selfiemployment va avanti a passo di lumaca

Come sta andando Selfiemployment, l’iniziativa di Garanzia Giovani dedicata agli under 30 inattivi interessati ad avviare un’attività in proprio? Per rispondere con un eufemismo: a passo di lumaca. Quanto a passo di lumaca lo dicono purtroppo i numeri: da quando l’iniziativa è partita concretamente, a settembre 2016 – dunque più o meno un anno e mezzo fa – sono state presentate soltanto 2.283 domande. Meno di 150 al mese. Tutte queste domande sono passate al vaglio dei selezionatori e finora solo 630 sono state ritenute in linea con i requisiti richiesti e dunque meritevoli di essere approvate: sono state dunque concesse a questi 630 soggetti agevolazioni per un totale di 21,1 milioni di euro.Si tratta di un risultato davvero scarso, se si considera che la dotazione finanziaria di Selfiemployment, così come annunciata dal ministro Giuliano Poletti nel 2016, è cospicua: 124 milioni di euro. Dunque aver concesso (attenzione: non erogato – i due termini indicano fasi diverse del programma, e i finanziamenti concessi vengono erogati successivamente, e in varie rate) 21,1 milioni vuol dire aver utilizzato, per ora, meno di un quinto dei soldi a disposizione: il 17% per la precisione.«Le domande presentate non sono così numerose da saturare la dotazione finanziaria» conferma alla Repubblica degli Stagisti Vincenzo Durante, 48 anni, responsabile dell’area Occupazione di Invitalia – l’ente incaricato di gestire Selfiemployment.Eppure l’obiettivo di una misura del genere dovrebbe essere invece quello di distribuire i fondi il più in fretta possibile, per far uscire il prima possibile il maggior numero possibile di Neet dalla loro condizione di inattività, in questo caso attraverso la misura dell'autoimpiego.Selfiemployment, si diceva, è una delle misure di Garanzia Giovani. Accanto ai tirocini (la misura più utilizzata in assoluto), ai corsi di formazione, alle esperienze interregionali (pochissime: il 4% circa) o all’estero (residuali se non inesistenti, ahinoi), al servizio civile e all’incentivo alle assunzioni vere e proprie tramite contratto, infatti, Garanzia Giovani prevede anche di sostenere quei Neet che avrebbero voglia di mettersi in proprio.Ma perché quasi nessuno chiede i soldi di Selfiemployment? Gli iscritti a Garanzia Giovani sono un numero impressionante: quasi 1 milione e mezzo di under 30 si sono registrati al programma in tre anni e mezzo (l’ultimo dato Anpal è aggiornato a settembre 2017), circa un milione è stato preso in carico, e a 573mila è stata proposta una misura. È senz’altro vero che Selfiemployment è partito in ritardo rispetto alle altre misure: ma sulla carta avrebbe dovuto avere un certo appeal sui giovani, dato che prometteva un prestito da 5mila a 50mila euro a tasso zero, senza garanzie personali e con un piano di ammortamento fino a 7 anni.Il primo target di Selfiemployment era, in prima battuta, formato dai 4.200 iscritti a Garanzia Giovani che secondo le stime avrebbero potuto usufruire di un percorso di accompagnamento all'avvio di un'impresa. In realtà era già chiaro fin da subito, a chiunque avesse un minimo il polso della situazione, che la misura aveva un oggettivo problema in partenza legato ai potenziali beneficiari: a fine 2015, infatti, solamente 459 giovani avevano usufruito in tutta Italia di questa misura. Intere Regioni – tra cui Puglia, Veneto, Campania, Piemonte! – non avevano attivato nemmeno uno di questi percorsi. Tanto che Poletti era corso ai ripari chiedendo aiuto a Unioncamere per predisporre ulteriori percorsi di accompagnamento all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità, in modo da aumentare il numero di potenziali beneficiari. Ma anche questo tentativo era fallito e dunque il ministero aveva deciso, poco dopo l’avvio di Selfiemployment, di eliminare l’obbligatorietà di questi percorsi di accompagnamento propedeutici all’accesso al fondo: indicati inizialmente come un prerequisito necessario per inoltrare la domanda di partecipazione, i corsi erano dunque quasi subito diventati facoltativi.Ma a nulla è valsa anche questa semplificazione. Il numero di candidature per Selfiemployment è lì, drammaticamente basso, sotto le 2.300. Quasi tutte peraltro provenienti da una sola Regione, la Campania, che da sola rappresenta oltre la metà delle domande pervenute (1.195 su 2.283) e delle agevolazioni concesse (326 su 630).La buona notizia è che proprio in queste settimane «è in corso una riflessione con l’Anpal che potrebbe portare a modificare lo strumento agevolativo per renderlo più attrattivo» anticipa Durante. Attualmente Invitalia gestisce «la fase di valutazione delle domande, quella di erogazione e il tutoring», ma non ha nessuna voce in capitolo per quanto riguarda, per esempio, la pubblicizzazione e promozione della misura ex ante: cioè la fase in cui si vanno a scovare i potenziali beneficiari e li si invoglia a fare domanda di partecipazione. Forse questo potrebbe cambiare l’appeal della misura? Certo il fatto che contemporaneamente sia stata lanciata un’altra iniziativa simile, “Resto al sud”, non aiuta: il rischio cannibalizzazione è dietro l’angolo. Ma «sono due strumenti agevolativi non sovrapponibili, considerate le aree di intervento, la tipologia di agevolazione concedibile e il target di età dei destinatari» assicura Durante: «Ad esempio “Resto al Sud” non finanzia il commercio, che rappresenta il 37% delle attività agevolate da Selfie. E poi Selfie finanzia anche i liberi professionisti, “Resto al Sud” no; viceversa “Resto al Sud” finanzia anche società di capitali, al contrario di Selfie». Si spera che ciascuno trovi un nutrito pubblico, e che le risorse a disposizione vengano sfruttate nel migliore dei modi dai giovani cui sono destinate.Eleonora Voltolina

Stage in Campania, ecco finalmente cosa dice il testo della nuova legge regionale

È stata approvata il 20 febbraio la nuova legge sui tirocini extracurriculari della Campania, ma nessuno lo sapeva. La notizia è stata resa nota soltanto a partire dal 26 dello stesso mese, attraverso un comunicato pubblicato sul sito della Regione, e da lì silenziosamente ripresa. Tanto che il testo, di fatto, non è nemmeno ancora stato reso pubblico: all’8 di marzo non si trova su nessuno dei bollettini ufficiali emessi dopo l’emanazione del regolamento.La Repubblica degli Stagisti ha seguito da vicino la vicenda fino a questo momento, in particolare raccogliendo la denuncia dei sindacati, che nella discussione intorno ai contenuti della legge non sono minimamente stati presi in considerazione: «la Regione va avanti da sola» avevano dichiarato. «Lo ritengo un comportamentograve da parte dell’assessore. Sappiamo che stanno andando avanti anche su Garanzia Giovani, ma nemmeno lì ci hanno coinvolto. Stiamo apprendendo tutte queste novità dalla stampa, ma non ci sono comunicazioni ufficiali. Vorremmo capire la natura di questa falla» dichiara alla Repubblica degli Stagisti Elisa Laudiero della Cgil campana. Spulciando in rete, la Repubblica degli Stagisti è riuscita a recuperare il testo della legge: per la precisione sul sito di Assolavoro, associazione nazionale di categoria delle agenzie per il lavoro. A breve sarà inserita anche nella pagina “Normativa” di questo sito. Quali sono le novità introdotte e i punti critici? Tra i punti salienti della nuova delibera in primis si trova l’arrotondamento a 12 mesi di durata massima per entrambi i tirocini di formazione/orientamento e inserimento/reinserimento. Finora, i tirocini di formazione avevano avuto una durata massima di 6 mesi: come già evidenziato dalla Repubblica degli Stagisti in riferimento alle linee guida nazionali di maggio 2017, si sarebbe potuto omogeneizzare sui 6 mesi piuttosto che sui 12, ma tant’è. Contestualmente, viene adottata dal testo nazionale la durata minima non inferiore a due mesi, ad eccezione dei tirocini stagionali, che hanno durata minima di un mese, e dei tirocini estivi rivolti a studenti, che in Campania dureranno dai 14 ai 45 giorni. Un punto interessante, poi, è rappresentato dalla dicitura «per tutti i profili professionali collocati nell’ultimo livello di inquadramento di cui alla classificazione del personale del contratto collettivo in ipotesi applicabile al soggetto ospitante in ragione dell’attività da esso svolta, il tirocinio non può durare più di mesi tre». Questo significa che per le mansioni di più basso profilo, individuate all’interno dello specifico contratto collettivo del soggetto ospitante, il tirocinio avrà una durata massima minore rispetto al normale. «Ben venga abbreviarne la durata, ma io penso che sia una misura fine a se stessa» puntualizza a questo proposito Laudiero. «Visto che comunque spesso non c’è corrispondenza tra il percorso formativo e quello che il tirocinante fa in azienda, così c’è il rischio che nessuno prenda tirocinanti con un profilo basso, proprio con l'intenzione di averli a disposizione per un periodo più lungo. Quel che serve sono maggiori controlli». Per quanto riguarda i limiti numerici, la Campania consente ai soggetti ospitanti di attivare tirocini sulla base del numero di dipendenti sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato, modificando quindi l’indicazione contenuta nella precedente legge, che impediva di attivare tirocini in assenza di dipendenti a tempo indeterminato. Un punto un po’ critico, che lascia alle aziende maggiore libertà nell’attivazione dei tirocini e al tempo stesso pone di più gli stagisti a rischio sfruttamento. Inoltre, la Campania persevera nel mantenere doppi i limiti numerici di stagisti rispetto a tutte le altre regioni italiane e rispetto alle linee guida sia vecchie sia nuove: un tirocinante a fronte di un numero di dipendenti tra 0 e 5, due tirocinanti ogni 6-10 dipendenti, tre ogni 11-15, quattro ogni 16-20, e un numero di tirocinanti non superiore al 20% nelle aziende con oltre 20 dipendenti (nelle linee guida la percentuale limite è del 10%). Dal conteggio vengono esclusi gli apprendisti, ma vengono compresi i lavoratori in somministrazione, purché la data di inizio del contratto e quella di fine siano, rispettivamente, precedente e successiva rispetto a quella di avvio del tirocinio. Il criterio di premialità, che consente alle aziende di accogliere ulteriori stagisti a fronte di comprovate assunzioni di quelli degli ultimi 24 mesi, invece, viene recepito e inserito senza modifiche dalle linee guida. «Complessivamente il testo presenta dei punti di miglioramento, ma abbiamo ancora dubbi rispetto all’allargamento delle percentuali nel calcolo dei tirocinanti, dove vengono inclusi i lavoratori in somministrazione. Inoltre non capiamo la ratio del meccanismo di premialità: bisognerebbe vincolare l’inserimento di tirocinanti esclusivamente alla percentuali di precedente trasformazione dei tirocini in lavoro subordinato, piuttosto che consentire alle aziende di accoglierne in più» nota Laudiero.Per quanto riguarda il rimborso spese mensile, invece, ci sono buone notizie: la Campania ha previsto un lieve aumento rispetto alla precedente normativa, da 400 a 500 euro minimi (a dispetto delle linee guida, che confermavano il vecchio importo di 300 euro mensili). Viene specificato che l’indennità viene erogata a fronte di una partecipazione da parte del tirocinante di almeno il 70% del tempo previsto mensilmente, mentre per coloro che ricevono forme di sostegno al reddito, come da linee guida, viene specificato come l’indennità non sia dovuta, ma erogabile a discrezione del soggetto ospitante fino o anche oltre alla copertura dell’importo minimo dell’indennità, a seconda del caso (lavoratori sospesi o disoccupati). Lo stagista percettore di Naspi, quindi, non perde il suo status di disoccupato a fronte dell’avvio di un tirocinio, né il diritto a ricevere un’indennità di disoccupazione. Tra gli obblighi del tirocinante, la normativa campana definisce con maggiore precisione rispetto alle linee guida gli aspetti a cui lo stagista si deve attenere: oltre all’obbligo di svolgere le attività previste nel progetto formativo e seguire le indicazioni dei tutor, il dovere di osservare le norme in materia di igiene e sicurezza, di rispettare gli obblighi di riservatezza e il segreto d’ufficio nel caso degli enti pubblici, partecipando infine agli incontri organizzati con il tutor per monitorare l’attuazione del progetto formativo. Tra le disposizioni relative al monitoraggio viene specificato che, al termine del percorso, il tirocinante compilerà un questionario di gradimento rispetto all’esperienza svolta, ma non è dato di sapere a quali conseguenze potrebbero portare questi giudizi, se negativi. Peraltro, il testo della Campania riporta come, nell’attività di controllo, verrà dedicata particolare attenzione alla «rilevazione di eventuali elementi distorsivi presenti nell’attuazione dell’istituto, quali ad esempio: reiterazione del soggetto ospitante a copertura di una specifica mansione; cessazioni anomale; attività svolta non conforme al PFI; impiego di tirocinanti per sostituire personale sospeso o licenziato; incidenza dei tirocini non conformi attivati da uno stesso promotore; concentrazione dell’attivazione di tirocini in specifici periodi dell’anno». Inoltre vengono introdotti controlli incrociati in collaborazione con gli organi ispettivi da parte di una “cabina di regia” presieduta dall’assessore con la partecipazione delle parti sociali. A questo proposito Laudiero osserva: «visto che non c’è stato un confronto mi sembra abbastanza surreale questa cosa. Noi siamo disponibili, ma non possiamo solo assolvere al ruolo di monitoraggio, vorremmo anche assolvere il nostro ruolo principale, che è quello di contrattare con la Regione per i diritti di coloro che rappresentiamo, i tirocinanti». Infine, per quanto riguarda la disciplina sanzionatoria, il resto specifica come, nell’ipotesi di mancata corresponsione del rimborso spese allo stagista da parte del soggetto ospitante, venga applicata una sanzione amministrativa pari all’importo dell’indennità non erogata, da un minimo di 1000 euro a un massimo di 6mila euro. Inoltre, nel testo si legge che «i proventi delle sanzioni amministrative sono iscritti nel bilancio della Regione Campania con il vincolo del loro utilizzo per finalità di promozione e sostegno dei tirocini formativi». Viene mantenuta, come nelle linee guida, la distinzione tra violazioni sanabili e non, e in particolare, per le violazioni sanabili, vengono introdotte specifiche indicazioni riguardo all’ipotesi di reiterazione delle violazioni da parte di uno dei soggetti: oltre all’interdizione per dodici mesi dall’attivazione di stage, nel caso di una seconda o successiva violazione entro 24 mesi dalla prima interdizione, vengono introdotte delle ulteriori interdizioni per 18 o anche 24 mesi. Quando entrerà in vigore il provvedimento? Il testo riporta che il regolamento sarà ufficialmente adottato a partire dal giorno successivo alla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Campania: come detto all’inizio, ancora non è dato di sapere quando sarà. Contattati più volte dalla Repubblica degli Stagisti, i funzionari dell'assessorato non hanno mai risposto. Staremo a vedere dunque se la pubblicazione avvenga in tempi brevi.Irene Dominioni

Disoccupati in stage nei tribunali italiani da otto anni, l'UE non li conosce malgrado le interrogazioni

«La Commissione non è al corrente dei tirocini ai quali fa riferimento l'onorevole deputata. Per questo motivo non può valutarne la conformità al quadro di qualità per i tirocini». A parlare è Marianne Thyssen, commissaria europea per l’occupazione rispondendo il 19 febbraio a una interrogazione con richiesta di risposta scritta presentata a inizio dicembre dello scorso anno da Laura Ferrara, 34 anni, europarlamentare del Movimento 5 stelle.La questione non è nuova per la Repubblica degli Stagisti: l’esponente del M5S, infatti, nella sua interrogazione chiede conto alla Commissione dell’uso che il ministero della Giustizia italiano fa dei suoi stagisti. Il riferimento è ai tirocinanti degli uffici giudiziari di cui la RdS ha ampiamente raccontato in questi anni la sorte. Una storia cominciata nel maggio 2010 per 50 lavoratori: soggetti in cassa integrazione o mobilità appartenenti alla provincia di Roma. Per loro era previsto un rimborso spese di 400 euro lordi mensili e a loro era affidato il compito di aiutare il complesso e rallentato iter all’interno degli uffici giudiziari. Un processo che funzionava così bene da essere esteso a tutta Italia, arrivando a coinvolgere migliaia di persone.La pentastellata Ferrara non è nuova alle interrogazioni al Parlamento europeo per chiedere lumi su questo insolito sistema. Già nel dicembre 2014, infatti, aveva presentato un’interrogazione sui “precari” della giustizia, come si sono autodefiniti questi tirocinanti. L’europarlamentare ricordava che «dal 2010 in Italia risultano attivati tirocini negli uffici giudiziari tramite convenzioni con enti locali finanziati con fondi europei, poi reiterati dal ministero della giustizia» per circa 3mila stagisti e spiegava che, ad esempio, in Calabria «risultano spesi per i tirocini iniziali fondi europei Por Fse 2007-2013 mirati al reinserimento nel mondo del lavoro con Asse I». Ma visto che questi tirocini non sono mai sfociati in alcuna forma di contratto di lavoro, utilizzando in maniera non appropriata i fondi europei, Ferrara chiedeva alla Commissione se fosse al corrente di tutto questo e quali iniziative intendeva «intraprendere per accertare il corretto utilizzo dei fondi europei e indurre il governo italiano a porre rimedio alla precarietà generata dai tirocini».Già in questo caso la risposta, del gennaio 2015, arriva da Marianne Thyssen che scrive come per la Commissione «i tirocini in oggetto siano stati organizzati in linea con il programma operativo per la Calabria del Fondo sociale europeo e pertanto rispondano agli obiettivi cui erano destinati» ovvero quelli di prevenire i rischi di disoccupazioneQuindi nel 2015 per la Commissione europea era tutto nella norma (!). E non è un anno qualsiasi per i tirocinanti. Perché è nel marzo di quell’anno che il “perfezionamento del completamento” del tirocinio, stabilito con la legge 147 del 2013, si conclude e nel frattempo il ministro della giustizia Orlando istituisce l’ufficio del processo per smaltire l’arretrato degli uffici giudiziari, decidendo di inserire al suo interno – in base a quanto stabilito da una legge, la 132 del 2015 - anche un tirocinante da affiancare al cancelliere. In pratica si trova il modo per far continuare a lavorare nei tribunali i soliti stagisti che però, per errori di calcoli o volontà precisa – questo non è dato sapere – vengono ridotti da bando a 1502, superando la selezione in 1115.Per gli esclusi dall’ufficio del processo iniziano varie trattative che portano mano mano alla creazione a macchia di leopardo di nuovi bandi su base regionale, per cercare di dare un prosieguo al percorso cominciato nel 2010. Due esempi su tutti: il Lazio e la Calabria. Nel primo caso per una parte degli esclusi è partito un progetto regionale nel giugno 2016 della durata di un anno. Percorso prorogato nel giugno dell’anno scorso per altri 12 mesi per le 143 risorse rimaste. Un tema rientrato anche nella campagna elettorale del neo riconfermato presidente della Regione, Nicola Zingaretti, che nel suo programma si è assunto l’impegno a eliminare anche questa forma di precariato, al momento sostenuta con periodi formativi «nella prospettiva futura di accordi per una loro piena valorizzazione da parte dell’amministrazione statale competente».Nel caso della Calabria, invece, dopo una prima fase di stallo dovuta a una richiesta di ampliare il bacino dei tirocinanti,alla fine nel marzo dell’anno scorso è stata firmata una nuova convenzione per 650 tirocinanti, più 23 posti nella suddivisione dell’ufficio per il processo. Alla firma della convenzione è seguita, a maggio, una “manifestazione di interesse” per mille lavoratori da cui, secondo la convenzione, gli uffici giudiziari hanno potuto attingere per attribuire 650 tirocini, della durata di 12 mesi. Ma la convenzione ha validità di un anno «con possibilità di rinnovo per un ulteriore periodo di pari durata», mettendo quindi nero su bianco la possibilità di un prosieguo.La Commissione europea, però, con l’ultima risposta data sembra non essere per nulla al corrente delle infinite proroghe che con nomi simili o differenti hanno consentito agli uffici giudiziari italiani di andare avanti con lavoratori a basso costo, grazie a fondi europei e soprattutto contro tutte le normative in materia di tirocini extracurriculari che ne vietano la reiterazione.Tanto che Ferrara ha deciso di presentare lo scorso 20 febbraio, quindi il giorno dopo la risposta della Thyssen, una nuova interrogazione con richiesta di risposta scritta in cui dichiara che «da parte delle regioni è illegittimo continuare a destinare risorse del FSE per formare le stesse persone già formate negli anni», e che tali tirocini non sono mai sfociati in un contratto di lavoro, «per cui i fondi utilizzati non hanno perseguito alcuna finalità di inserimento o reinserimento lavorativo». E chiede alla Commissione se «È a conoscenza dell'uso improprio che le regioni italiane fanno delle risorse del FSE» e se intende intraprendere qualche iniziativa per porre rimedio alla precarietà generata da questi tirocini.In tutto questo, però, una nota positiva c’è e va raccontata. Ed è quella che si è ottenuta dopo la dura battaglia portata avanti in questi anni dalla Fp Cgil, sindacato che negli anni ha continuato ad avanzare le richieste dei tirocinanti, pur ricevendo spesso critiche da più parti. Già un anno fa la proposta era stata fatta: pubbliche selezioni attraverso i centri per l’impiego o riqualificazione del personale, con liberazione di posti per i tirocinanti alla base della piramide. Così a fine dicembre 2017 il ministro della giustizia, Andrea Orlando, ha annunciato di aver prolungato di un anno il tirocinio presso l’ufficio del processo, ma soprattutto di «aver inviato alla funzione pubblica la richiesta di procedere all’assunzione nel 2018 di 300 operatori giudiziari».  Un reclutamento che avverrà «mediante le liste dei centri per l’impiego, operazione che consentirà una corsia preferenziale per i tirocinanti che hanno completato il percorso presso l’ufficio per il processo negli uffici giudiziari».Una notizia ben accolta dalla Fp Cgil, perché «può aprire la strada alla regolarizzazione di questi lavoratori». Anche se il sindacato non dimentica tutti gli altri, ribadendo che «vanno cercate risposte per l’intera platea che vadano al di là del tirocinio formativo, anche nell’ambito dei percorsi regionali che devono consentire una prospettiva a tutti i tirocinanti per una futura regolarizzazione anche in altre amministrazioni».Insomma, che l’Europa ne sia a conoscenza o continui a pretendere di non esserlo, gli stagisti negli uffici giudiziari esistono. Da otto anni ormai entrano ed escono negli uffici, utilizzano password, organizzano il lavoro. Sono talmente essenziali da aver ricevuto da più presidenti di corti di appello attestati di stima, da aver attirato negli ultimi anni l’attenzione del mondo politico con interrogazioni varie, da aver scomodato regioni e ministero per cercare soluzioni, al momento quasi sempre solo tampone. L’unica a non essersi accorta di tutto è l’Europa, che proprio con i suoi fondi ha permesso il loro finanziamento.Marianna Lepore

Patto per lo stage 2018, ecco l'elenco di chi lo ha sottoscritto

Qui l'elenco di chi ha sottoscritto finora il Patto per lo stage con la Repubblica degli Stagisti       → Cos'è il patto per lo stage - punto per punto                     Giorgio Goricandidato alla presidenza della regione LombardiaCoalizione di centrosinistra (Partito Democratico, Gori Presidente, Obiettivo Lombardia, Lombardia per le Autonomie, Lombardia Progressista - a sinistra per Gori, Insieme, +Europa, Civica Popolare)Qui il suo sito e la sua biografiaQui la dichiarazione rilasciata alla Repubblica degli Stagisti per spiegare le motivazioni dell'adesione al Patto: «Aderisco con piacere al “Patto per lo Stage 2018” promosso dalla Repubblica degli Stagisti. Lavoro e formazione, apprendistato e tirocinio sono stati fin dall’inizio temi prioritari della mia campagna elettorale e lo sono del mio programma. Occorrono giuste regole per i veri tirocini, ponte importantissimo tra istruzione e mondo del lavoro; occorre promuovere l’apprendistato, che è un vero contratto di lavoro; e dobbiamo al tempo stesso reprimere l’abuso dei lavori malpagati mascherati da tirocini, che umiliano i nostri giovani. A questo mira il Patto per lo Stage e questo realizzerò io da Presidente della Regione».Lia Quartapellecandidata alla Cameracollegio uninominale Milano estPartito DemocraticoChi è: Nata nel 1982, è economista e ricercatrice. L’interesse per la politica internazionale e per le tematiche connesse alla cooperazione allo sviluppo ha caratterizzato dal principio il suo percorso formativo e lavorativo. A 17 anni si è trasferita in Galles per studiare presso lo United World College of Atlantic. Dopo avere conseguito un Master in Economia alla School of Oriental and African Studies di Londra ha voluto vivere un'esperienza sul campo, in Mozambico, dove ha lavorato con il governo come economista dello sviluppo. Concluso un dottorato presso l’Università di Pavia, ha lavorato presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano (ISPI) e ha insegnato presso il corso di Politiche per lo sviluppo all’Università di Pavia. La sua esperienza politica inizia nel 2007, quando fonda e viene eletta segretario del circolo 02PD nel quartiere Porta Venezia dov'è cresciuta.  Nel 2013, dopo essere stata la più votata alle primarie del Partito Democratico a Milano, è stata eletta deputata e ha ricoperto il ruolo di capogruppo PD nella Commissione Affari esteri e comunitari della Camera dei Deputati.Perché ha sottoscritto il Patto: «Sono questi degli impegni anzitutto per la dignità di una generazione che deve potere mettersi in gioco e costruirsi delle valide opportunità. Nella scorsa legislatura, mi sono impegnata per la riattivazione dei tirocini Maeci-Crui, gli stage nelle Ambasciate all'estero. Ho dovuto condurre una battaglia di principio per garantire un seppur piccolo rimborso anche nei casi in cui la legge non lo rendeva necessario. Servono ora regole e tutele minime. È una questione di eguaglianza, perché nella giungla attuale degli stage, sono i fortunati e i privilegiati ad avere la vita più facile. Ripartiamo da qui per garantire un ingresso nel mercato del lavoro guidato dal merito e dalle competenze».Valerio FedericoCandidato capolista al Senato collegio Lombardia 1e al consiglio regionale della Lombardia, circoscrizione di Milanoper la lista +EuropaChi è: 51 anni, membro della Direzione di Radicali Italiani, è stato Tesoriere nazionale dal 2013 al 2016, autore di approfondimenti e iniziative politiche su federalismo, diritti civili, società partecipate, enti locali, misurazione della qualità dei servizi pubblici, capitalismo relazionale italiano. Coautore della proposta di legge popolare “Più democrazia, più sovranità al cittadino” (2017), della pdl popolare regionale “Aborto al sicuro” in Lombardia (2017) e di una indagine sull'applicazione della legge 194 negli ospedali lombardi. Autore nel 2011 dello studio “La Peste lombarda - Un movimento ecclesiale integralista ha in mano una regione”, ha collaborato nel 2010 al volume “La lobby di Dio”, la prima inchiesta su Comunione e Liberazione e la Compagnia delle Opere.Perché ha sottoscritto il Patto: «Conosco la fondatrice della Repubblica degli Stagisti da molti anni e penso che le battaglie per i diritti degli stagisti vadano sostenute. Le aziende dovrebbero cogliere il momento dell'incontro con i giovani come un'opportunità di crescita e di innovazione. Ritengo che il tema dell’occupazione giovanile sia centrale quando si parla di lavoro e che si debbano prendere impegni chiari per garantire ai giovani percorsi di transizione dalla formazione al lavoro di qualità».Elisa GambardellaCandidata alla Camera dei Deputati, collegio Liguria 2 capolista per la lista "Insieme"Chi è: «Genovese, 26 anni. Da 10 anni nutro la mia passione per la politica, in Italia e in Europa. Oggi presiedo il network Future of Europe dei giovani socialisti europei e faccio parte della segreteria nazionale del PSI. Laureata in Studi europei, ho lavorato per tre anni al tema della disoccupazione giovanile presso il Ministero del Lavoro e oggi mi occupo di relazioni istituzionali presso un centro studi».Perché ha sottoscritto il Patto: «Aderisco al patto per lo stage con forte convinzione. Lo faccio perché incarna i motivi profondi per la mia candidatura, nata per dare voce e rappresentare da sinistra la mia generazione, con le sue ragioni di avvilimento e frustrazione, alla quale offro proposte ferme per il lavoro, un modello di sviluppo economico sostenibile e pari opportunità per tutte e tutti. Questa campagna mi sta particolarmente a cuore,  perché il lavoro come veicolo di realizzazione personale e la fine della precarizzazione dei percorsi professionali sono temi a cui ho lavorato con dedizione per anni e che oggi sono il primo punto del mio programma. Inoltre, avendo vissuto sulla mia pelle l'utilizzo degenerato e denigratorio del tirocinio, sono ben felice di mettermi a disposizione per trattare con dignità e rispetto tutti i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. E restituire al tirocinio la funzione che gli è propria»Pietro BussolatiCandidato al consiglio regionale della Lombardia, circoscrizione di Milanolista del Partito Democratico - Giorgio Gori PresidenteChi è:  «Ho 35 anni, sono nato e cresciuto a Milano. Dopo una laurea in Economia ed un master in Gestione dei servizi pubblici locali alla Bocconi, ho lavorato prima all'Autorità per l'energia elettrica, poi all’Enel e infine all’Eni. La passione per la politica nasce dall’impegno nel sociale, coltivato prima nel quartiere dove sono nato e poi all’estero, attraverso esperienze di volontariato in Sud America. Il desiderio di impegnarmi per la mia città mi ha portato ad essere eletto, nel 2013, segretario metropolitano del Partito Democratico di Milano. Mi sono impegnato per farne uno strumento democratico e trasparente di partecipazione alla vita politica. Dal volontariato intergenerazionale delle magliette gialle di Bella Ciao Milano alle elezioni Primarie e amministrative che hanno portato a vincere Beppe Sala, abbiamo messo insieme idee e forze virtuose, coniugato innovazione e tradizione. Per ottenere questo risultato ho lavorato perché ogni persona si trovasse nella condizione di mettere in circolo le proprie competenze e il proprio valore.  Adesso la Lombardia è il mio impegno!».Perché ha sottoscritto il Patto: «Promuovere una piena occupazione e un lavoro dignitoso per tutti è la nostra priorità. Accompagnare i giovani nel mondo del lavoro con un percorso professionalizzante e rispettoso dei diritti della persona è ciò che faremo. Per questo sottoscrivo il Patto per lo stage». Massimo UngaroCandidato alla Camera dei Deputati, circoscrizione Estero-Europa capolista per il Partito democraticoChi é: «Sono il capolista nonché più giovane candidato alla Camera del PD per la circoscrizione Estero Europa. Ho 30 anni e, dopo aver vissuto in 4 città diverse dell’UE, abito a Londra dal 2005. Dal 2009 lavoro nel settore privato dove mi occupo di investimenti in paesi in via di sviluppo. Nel 2007, insieme ad altri amici, ho fondato il PD Londra & UK e nel 2017 ne sono stato eletto Segretario. Nel 2016 ho coordinato Basta Un Si UK  a favore della  riforma costituzionale. Credo che gli italiani all’estero possano contribuire alla prosperità del nostro Paese e per questo motivo vorrei mettermi al servizio del nostro futuro».Perché ha sottoscritto il patto: «Il tema centrale della mia candidatura é il lavoro giovanile, ovvero come ridare opportunità e dignità ai giovani italiani. L'assenza di opportunità, lavoro, meritocrazia spinge ogni anno molti italiani a lasciare l'Italia una generazione esodo molto visibile qui a Londra con oltre 2mila arrivi al mese. Su questo fronte il problema degli stage senza compenso assume una rilevanza di primo piano. Non solo perché sono fondamentalmente regressivi in quanto veicolo di immobilismo sociale, ma anche perché impediscono o rallentano l'emancipazione dei giovani dai loro genitori».Carlo CastiglioniCandidato al consiglio regionale della Lombardia, circoscrizione di Vareselista Lombardia ProgressistaChi è:  «Sono nato a Busto Arsizio nel 1986, sono laureato in mediazione linguistica e culturale presso la scuola per interpreti e traduttori “Altiero Spinelli” di Milano. Dopo la laurea mi sono dedicato al volontariato presso alcune associazioni per l’inserimento lavorativo di ragazzi con “abilità diverse”, per l’integrazione di persone straniere nel nostro territorio e presso l’Arcigay di Varese. Ritengo che la politica debba essere al servizio dei cittadini e non viceversa».Perché ha sottoscritto il Patto: «Ho deciso di aderire al patto per lo stage perché lo condivido a pieno. Lo strumento dello stage è un ottimo mezzo per aiutare giovani e meno giovani a qualificarsi in un lavoro ma purtroppo è ormai fuori controllo e abusato dalle aziende che lo usano soprattutto per sottopagare la manodopera e spesso per fare lavori poco qualificanti. Ritengo che ci debbano essere maggiori controlli da parte delle istituzioni sui lavori che vengono svolti sotto forma di stage, inoltre un’azienda che decide di assumere uno stagista alla fine del percorso di stage, deve ricevere degli sgravi fiscali in modo da disincentivare il licenziamento a fine stage per assumere nuovi stagisti continuando così un circolo vizioso». Andrea De FeliceCandidato al consiglio regionale della Lombardia, circoscrizione di Vareselista Lombardia ProgressistaChi è:  «Sono nato a Salerno nel 1994. A 5 anni mi sono trasferito a Ferno con la mia famiglia, e mi sono poi diplomato in Ragioneria a Gallarate. Sto per laurearmi in Scienze Politiche (politico-sociale) a Milano. Sin dalle superiori una delle mie più grandi passioni è stata la politica, tant'è che mi sono diplomato con una tesina sulla relazione tra stato e mafia. Anche per la tesi di laurea ho scelto un tema che viene scarsamente considerato: gli stereotipi e pregiudizi in fase di colloquio e come essi poi influenzano il mercato del lavoro. Sono entrambi temi importanti che hanno in comune una cosa: la cultura. Una società senza cultura è una società che permette alla mafia di infiltrarsi tra le istituzioni e ai pregiudizi e agli stereotipi di condizionare il pensiero verso chi è "diverso". Senza trascurare la mia passione per la politica, il mio futuro sarà in ricerca e selezione: è il lavoro che desidero fare e  mi piace aiutare le persone, in questo caso a trovare il lavoro per loro».Perché ha sottoscritto il Patto: «Essendo giovane anche io, ho avuto modo di assistere in questi anni all’evoluzione degli stage e tirocini. Anche se rispetto a un po’ di anni fa le cose sono decisamente migliorate, occorre osare di più e questo patto va certamente nella direzione giusta. I giovani soffrono davvero molto l’ingresso nel mondo del lavoro. Questo è uno dei motivi per cui la disoccupazione giovanile è alta. Se per alcune aziende i giovani rappresentano davvero un’opportunità per le aziende stesse, per altre invece sono soltanto dei soggetti per avere manovalanza a basso costo. In particolare vi è una distanza abissale, tra aziende piccole e grandi, nel modo di vedere il “giovane ragazzo”. Occorre che le istituzioni facciano il loro dovere affinché si dia davvero occasione al giovane di imparare e terminare lo stage/tirocinio con delle competenze acquisite e questo lo si può fare solo valorizzando questi strumenti e vigilare su chi ne fa uso». Francesca Ulivicandidata al consiglio regionale della Lombardia, circoscrizione di Milano e di MantovaLista Gori PresidenteChi è: 46 anni, giornalista e attivista per i diritti dei malati. Dirige i telegiornali di alcune tv nazionali, è manager di una importante multinazionale media. Malata di diabete di tipo 1 e altre malattie autoimmuni e croniche, si batte per la conoscenza della sua malattia presso l'opinione pubblica, per i diritti dei malati e per favorire la ricerca scientifica in campo biomedico.Perché ha sottoscritto il Patto: «Aderisco perché i temi della formazione e dell'ingresso nel mondo del lavoro sono per me fondamentali. In quanto candidata alle elezioni regionali sostengo ovviamente l'obiettivo principale di Giorgio Gori che è buona e piena occupazione. La mia candidatura è legata specificamente alla tutela dei diritti dei malati cronici attivi nella società ed è a tutela anche delle migliaia di bambini, ragazzi e giovani malati cronici cui è necessario assicurare prime occupazioni "buone" e che tengano conto e rispettino le diversità. Per questo aderisco al "Patto per lo Stage 2018"».Chiara CremonesiCandidata alle elezioni regionali in Lombardia, circoscrizione di Milanolista Lombardia Progressista - Sinistra per GoriChi è: «Nata negli anni 70 a Milano, vivo ora nel quartiere Niguarda. Sono innamorata di questa città, come canta Fortis: “Mi piacciono i tuoi quadri grigi, le luci gialle e i tuoi cortei”. Mi sono diplomata al liceo linguistico di Pavia e poi laureata in scienze della comunicazione a Torino. Ho iniziato a far politica proprio a scuola; di quegli anni ricorderò sempre la strage di Capaci e via d’Amelio e le grandi manifestazioni di Piazza Tienanmen. Sull’onda di questo impegno ho contribuito a fondare l’Unione degli Studenti. Sono stata consigliere comunale in un piccolo comune alle porte di Milano e ho iniziato a partecipare alle attività del PDS prima e dei DS poi, occupandomi in particolare delle relazioni internazionali. Nel 2009 ho partecipato alla nascita di Sinistra Ecologia Libertà, comunità nella quale ho tanto investito e creduto. Sono stata consigliere regionale dal 2010 al 2013 e poi dal novembre 2016 ad ora. Oltre a Milano, alla sinistra e alla politica, la mia grande passione sono gli animali».Perché ha sottoscritto il Patto: «Credo che il lavoro buono e dignitoso debba essere una priorità per la politica. Riguarda un numero alto di persone. Sono convinta che lo stage, se ben regolamentato, possa rappresentare uno strumento di crescita e formazione. Ciò che abbiamo visto in questi anni è stato prevalentemente lo sfruttamento del lavoro e delle capacità di tante ragazze e ragazzi. E questo non deve più accadere».Davide Fracassocandidato alle elezioni regionali in Lombardia, circoscrizione di Milano lista Lombardia Progressista - Sinistra per GoriChi è: «36 anni, neopapà di Linda. Laurea e lavoro in comunicazione. Fondatore di Lenius.it e volontario del Naga, dove provo a dare una mano a rifugiati politici e vittime di tortura. Amo giocare di squadra e l’F.C.»Perché ha sottoscritto il Patto: «Aderisco in modo convinto perché penso che la Regione possa fare molto per gli stage e tirocini, e più in generale per promuovere l'occupazione di qualità.  La Lombardia è la prima regione per numero di stage. Deve diventarlo anche per la qualità di quelli che offre».Paola Boccicandidata alle elezioni regionali in Lombardia, circoscrizione di MilanoPartito democratico - Giorgio Gori presidenteChi è: «Nata e cresciuta a Milano, laureata al Politecnico, mi sono occupata di ricerca sugli spazi pubblici, ho poi insegnato alla Facoltà di Design e lavorato nel campo dell’audiovisivo. Vivo con mio marito e i miei due figli in un quartiere vivace e aperto. Il mio impegno civico è iniziato nei Consigli di Scuola e proseguito nel 2006 come Consigliera di Zona: sono stata poi eletta nel 2011 in Consiglio Comunale a Milano per il Partito Democratico e riconfermata nelle elezioni amministrative del 2016, cui si è aggiunta la nomina di Consigliera in Città Metropolitana. mi sono occupata in particolare della valorizzazione e diffusione della cultura e dello sport, di qualità dell’ambiente, di scuole, di servizi, del trasporto pubblico, della tutela dei diritti e delle pari opportunità».Perché ha sottoscritto il Patto: «Sottoscrivo il Patto con convinzione, ritenendo che lo stage sia un importante strumento di apprendimento e di prima reale esperienza lavorativa che deve essere soggetto a regole trasparenti e non avere alcun carattere di sfruttamento. Le giovani generazioni hanno il diritto di misurarsi con il mondo professionale esigendo il pieno rispetto del loro ruolo, che significa indennità economica  certa e dignitosa e un percorso di qualità, chiaramente identificato prima del suo inizio  e soggetto a verifiche e valutazioni. Condivido la necessità di un tavolo permanente in Regione, per orientare le politiche regionali alla più efficace e corretta applicazione di questo strumento».Alfredo Zinicandidato al Consiglio regionale della Lombardia, circoscrizione di MilanoPartito Democratico - Giorgio Gori Presidente Chi sono: «Ho 50 anni, sono nato e cresciuto a Milano. Ristoratore di lunga tradizione a Milano nell’impresa familiare, mi occupo da sempre di commercio e innovazione,ciclismo e sport, turismo e formazione. Sono Cavaliere della Repubblica Italiana dal 2 giugno 2009, coordinatore del Club Imprese Storiche di Confcommercio, consigliere del Comitato Lombardo della Federazione Ciclistica Italiana, della Fondazione Fiera Milano, della Camera di Commercio di Milano e del Museo Bagatti Valsecchi. Sono stato anche vicepresidente di Isnart, l’Istituto di ricerche turistiche di Unioncamere, e presidente dell’ente bilaterale del Turismo. Componente del Comitato Expo 2015 di Confcommercio; del tavolo del Turismo e Sport presso il dipartimento del Turismo; collaboratore di Rcs Sport per i grandi eventi (come il Giro d’Italia), e di importanti organizzatori di corse ciclistiche. Sono anche stato arbitro di Calcio e ho ricoperto diversi incarichi nella pubblica amministrazione e nei consigli di amminisreazione di numerose società. ».Perché ha sottoscritto il Patto: «Apprezzo l’iniziativa di Repubblica degli Stagisti, e le battaglie condotte da anni per i diritti dei giovani stagisti. Aderisco con convinzione al Patto perché lavoro, formazione, apprendistato e tirocinio sono temi per me prioritari non soltanto in campagna elettorale, ma nell’agenda quotidiana di istituzioni e imprese. Con il Patto ci impegniamo a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro con un percorso di formazione e professionalizzante autentico, non svilito e strumentalizzato, rispettoso della dignità e dei diritti delle persone. È la strada giusta per promuovere lavoro e occupazione di qualità».  Giacomo Negricandidato alle elezioni regionali in Lombardia, circoscrizione di MilanoLiberi e UgualiChi é: «29 anni, dopo la laurea in matematica ho lavorato come consulente aziendale. Mi sono licenziato e da quattro anni insegno con passione alle superiori. Ho svolto numerose attività di volontariato, dalla Sicilia all'Albania, dal Ghana alla Grecia e oggi sono uno dei portavoce di Possibile a Milano».Perché ha sottoscritto il Patto: «Sottoscrivo perché la precarietà lavorativa delle giovani generazioni è un danno per tutto il paese, perché sono convinto che il lavoro va pagato, altrimenti si chiama sfruttamento, perché - l'ho vissuto sulla mia pelle - gli uffici di job placement delle università funzionano e devono essere dei punti di riferimento per chi, dopo gli studi, cerca lavoro. Per ridare credito alla politica bisogna prendersi impegni concreti e rendere conto del proprio operato. Dimostrare insomma che è possibile impegnarsi per migliorare la vita delle persone».Franco D'Alfonso candidato al Senato nel collegio uninominale Milano 2 Coalizione di centro-sinistraChi é: «Ho 62 anni e sono nato a Milano dove vivo e lavoro come consulente e manager internazionale. Sono sposato da 27 anni con Micaela e ho tre figli. Mi sono laureato in giurisprudenza alla Statale di Milano, Master in Business Administration, Mba alla Scuola di direzione aziendale dell'università Bocconi, ho lavorato con Alfa Romeo, Italtel e Mediaset. Assessore al commercio e al turismo nel 2011, ho coordinato e organizzato la Lista Civica per Pisapia. Socialista municipalista, conto di portare a Roma quanto di buono c'è a Milano, il mio motto in campagna infatti è "Come Milano": il nostro pragmatismo, il nostro "coeur in man", la nostra competenza».Perché ha sottoscritto il Patto: «Lo sottoscrivo con convinzione perché ritengo che sia di fondamentale importanza che la politica apra gli occhi e torni ad interrogarsi sui problemi del futuro e non solo su quelli pensionistici. Mai così tanto come in questa campagna la generazione degli stagisti, dei lavoratori a progetto, dei contratti a scadenza e delle partite IVA è stata ignorata. Sottoscrivo il patto perché penso sia necessario che la società ribalti il paradigma che vede le giovani generazioni come le proprietarie del futuro e per questo come le ultime file del presente. Oggi bisogna garantire un percorso professionale di qualità, una retribuzione economica dignitosa e il rispetto del ruolo; è qualcosa che nel presente va fatto per dare una stabilità alle giovani generazioni e per costruire insieme un futuro». Anna AscaniCandidata capolista alla Camera in Umbria.Partito DemocraticoChi è: «Sono nata nel 1987, laureata in Filosofia e studente di dottorato presso la Luiss in Politiche: Storia, Teoria, Scienza. La mia esperienza politica nasce insieme al Partito Democratico e sono stata eletta alla Camera dei Deputati nel 2013. Sono stata promotrice del primo Forum Europeo dei Giovani Deputati, tenutosi a Bruxelles nel dicembre 2013. Nel gennaio 2016 sono stata indicata da Forbes tra i trenta personaggi under 30 più influenti della politica europea. Da luglio 2017 sono parte dell’esecutivo nazionale del PD come responsabile del Dipartimento Cultura. Garantire migliori opportunità ai giovani che si affacciano al lavoro è uno dei miei principi guida: la mia attività legislativa, infatti, è stata incentrata su educazione, formazione, cultura, in particolare dal punto di vista dell’innovazione e dello sviluppo».Perché ha sottoscritto il Patto: «La mancanza di equità generazionale è sempre più un problema di tutte le democrazie occidentali, ma specialmente lo è nel nostro paese.  Si tratta di una battaglia da combattere su più fronti: per una formazione sempre più spendibile nel mercato del lavoro, per politiche attive del lavoro, per il giusto riconoscimento economico al lavoro come diritto universale, per condizioni che incentivino lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile. Per tutti questi motivi, è importante battersi per la qualità dell’ingresso nel mondo del lavoro e quindi aderisco convintamente al “Patto per lo Stage 2018».Claudio Consonnicandidato al Senato nel collegio plurinominale Lombardia 5Lista 'civica popolare Lorenzin' Chi è: Docente di scuola secondaria, di ruolo dal 2004, ha una esperienza trentennale dalla secondaria di primo grado (scuola media) all'Istituto d'Arte, al Ginnasio dehoniano, all'Istituto tecnico industriale sia statale che salesiano, nonchè nei licei scientifici statali di Milano, Desio e Monza. È consigliere comunale della Margherita nel comune di Monza.Perché ha sottoscritto il Patto: «Giovani, lavoro, scuola e formazione, apprendistato e tirocinio sono stati temi prioritari della mia candidatura e sono nel programma della "Civica Popolare con Lorenzin". Occorrono regole corrette per tirocini significativi a partire dall'alternanza scuola - lavoro delle secondarie superiori dove ho fatto molta esperienza di tutoraggio di classi liceali. Essi sono infatti i ponti importantissimi tra l'istruzione e mondo del lavoro. Dobbiamo anche fare in modo che gli stage possano essere utilizzati non solo nelle università (dove ho fatto epserienza di tutoraggio on-line) ma anche durante tutto il corso dell'aggiornamento e della educazione continua degli adulti, senza con ciò ledere i diritti dei lavoratori. Dobbiamo anche smascherare e reprimere i vari abusi nei "lavori" mascherati da tirocini».Maria Rita Liviocandidata al Consiglio regionale della Lombardia nella circoscrizione di ComoPartito democraticoChi è: insegnante di Lettere e Latino al liceo, già sindaca di Olgiate Premasco, dal 2014 è presidente della Provincia di Como.Perché ha sottoscritto il Patto: «Perché ha sottoscritto il Patto: «Credo che il tema delle politiche del lavoro e quello dei tirocini sia centrale per la promozione di “buona occupazione” e viste le competenze della Regione su questi temi la futura giunta che auspico di centro sinistra dovrà impegnarsi molto per “invertire la rotta”. Penso sia assolutamente necessaria una revisione dell’organizzazione degli stage, soprattutto per quelli che coinvolgono i giovani all’entrata nel mercato del lavoro. Il tirocinio dovrebbe essere sempre una esperienza finalizzata all’inserimento nel lavoro, un periodo di prova e di conoscenza reciproca. Vanno quindi aboliti tutti i tirocini “non finalizzati”, oggi proposti ed utilizzati anche da grandi aziende, che in molti casi sono delle vere e proprie offese per i giovani diplomati e laureati. Vanno tuttavia mantenute delle distinzioni chiare tra: i tirocini curriculari, che sono parte di un percorso di formazione; i tirocini extracurriculari, quali strumento per il primo inserimento nel lavoro, per giovani che hanno concluso il loro percorso formativo, a tutti i livelli; i tirocini extracurricolari, di inserimento lavorativo protetto per le categorie svantaggiate (ad esempio disabili, ex-carcerati, minori sotto tutela giudiziaria). La Regione al contempo può avere un ruolo di controllo e di verifica quindi ben venga l’istituzione di un tavolo permanente sui tirocini. Faccio un esempio su tutti:  il sistema per un possibile controllo è già presente ed andrebbe semplicemente attivato. Sono le COB gestite dai Centri per l’Impiego, i cui dati andrebbero incrociati con le attività delle direzioni territoriali del lavoro. Anche in questo ruolo la Regione può e dovrà farsi avanti. Condivido certamente la necessità di un serio intervento di riforma dello strumento dei tirocini. Questo è compito sia dello Stato, del Ministero del Lavoro e del MIUR, sia della singola Regione. Ed in Lombardia l’intervento può essere più rapido ed incisivo perché ci sono delle esperienze già positive e c’è un sistema economico diffuso che può essere ancor più coinvolto».Mina ZingarielloCandidata alla Camera dei Deputati, circoscrizione Estero-Europa Partito democraticoChi è: «Sono una cooperante umanitaria. Vivo a Londra dal 2013 ma prima ho vissuto e lavorato in Africa e in America Latina. Sono nata in provincia di Taranto e sono cresciuta in provincia di Mantova. Mi sono laureata in Servizi giuridici internazionali con Specialistica in Relazioni internazionali, profilo giuridico. Ora lavoro per l'ONG umanitaria International Rescue Committee dove mi occupo di rifugiati e migranti vulnerabili in Libia ed Europa».Perché ha sottoscritto il Patto: «Aderisco perché nel mio settore gli stage senza compenso sono molto comuni e costituiscono una barriera all'ingresso che blocca l'accesso di personale di talento e motivato che non può permettersi di lavorare senza stipendio. Io stessa ho dovuto partecipare a internship non retribuite sia in Italia che nel Regno Unito, e per potermi mantenere ho dovuto trovare lavori part-time o durante il fine settimana da fare in aggiunta al lavoro che già svolgevo come una intern. Avere percorsi di accesso al mondo del lavoro sani e rispettosi della dignità dei lavoratori e dei datori di lavoro e' di importanza fondamentale, ed é per questo che l'area dei tirocini deve essere normata e monitorata in modo più rigoroso e senza lasciare spazio ad ambiguità. Per questo sono felice di aderire al "Patto per lo stage 2018" e ringrazio la Repubblica degli Stagisti per il lavoro che svolge». 

Elezioni, dieci nuovi candidati sottoscrivono il Patto per lo stage 2018

In questa campagna elettorale che prosegue a suon di slogan, frasi fatte e promesse che spesso non è chiaro come si potrebbero mantenere, la Repubblica degli Stagisti prova a riportare la mira sui contenuti, sulle proposte politiche, e in particolare sul tema dell’occupazione giovanile. Lo fa con una sua piattaforma programmatica, il Patto per lo stage, che racchiude in alcuni punti ciò che si potrebbe fare a livello regionale e nazionale per assicurare ai giovani dei percorsi di transizione dalla formazione al lavoro migliori, più tutelanti,  più dignitose ed eque. Ai primissimi sei candidati che hanno scelto di aderire al Patto (Giorgio Gori, candidato alla presidenza della regione Lombardia per la coalizione di centrosinistra; Lia Quartapelle, parlamentare uscente e ri-candidata alla Camera nel collegio uninominale Milano est per il Partito Democratico; Valerio Federico, capolista al Senato collegio Lombardia 1 e al consiglio regionale della Lombardia, circoscrizione di Milano per la lista +Europa; Elisa Gambardella, capolista alla Camera dei Deputati nel collegio Liguria 2 per la lista "Insieme”; Pietro Bussolati, candidato PD al consiglio regionale della Lombardia nella circoscrizione di Milano; e Massimo Ungaro, candidato PD alla Camera nella circoscrizione Estero-Europa) se ne sono aggiunti in questi giorni altri dieci: persone impegnate in politica, in alcuni casi già con una significativa esperienza alle spalle.Si tratta di otto candidati al consiglio regionale della Lombardia e due candidati al parlamento. Ancora nessuna sottoscrizione, purtroppo, da parte di nessun candidato alle elezioni regionali in Lazio; e inoltre nessuna sottoscrizione da parte di candidati del centrodestra e del Movimento 5 Stelle, né sul fronte nazionale né su quelli regionali, malgrado l’appello di Eleonora Voltolina ai microfoni di Radio Radicale.Nel dettaglio, ecco chi sono i dieci nuovi sottoscrittori che, se eletti, si sono impegnati a portare avanti i punti della “piattaforma programmatica” proposta dalla Repubblica degli Stagisti attraverso il Patto.Sul fronte della Regione Lombardia, due dei neosottoscrittori corrono con la lista Lombardia Progressista nella circoscrizione di Varese per un posto il consiglio regionale: si tratta di Carlo Castiglioni, mediatore linguistico e culturale e attivista dell’Arcigay, e Andrea De Felice, laureando in Scienze Politiche che sogna di lavorare nel campo della ricerca e selezione del personale.C’è poi, sempre per la Regione Lombardia, una candidata della Lista Gori presidente, Francesca Ulivi, presente nelle liste di due circoscrizioni (Milano e Mantova): giornalista e manager di una multinazionale del settore media, malata di diabete di tipo 1 e altre malattie autoimmuni e croniche, si batte per i diritti dei malati.Due dei nuovi sottoscrittori sono candidati della lista Lombardia Progressista nella circoscrizione di Milano: Chiara Cremonesi, che ha già una esperienza di consigliata regionale alle spalle con Sinistra ecologia e libertà, e Davide Fracasso, fondatore di Lenius.it e volontario a sostegno di rifugiati politici e vittime di tortura all’interno del Naga. Sempre per la Regione e sempre nella circoscrizione di Milano, ma stavolta nelle liste del PD, a sottoscrivere sono anche Paola Bocci, già consigliera comunale a Milano con Giuliano Pisapia e dal 2016 consigliera in Città metropolitana, e Alfredo Zini, imprenditore nel campo della ristorazione e coordinatore del Club Imprese Storiche di Confcommercio.Per Liberi e Uguali corre invece Giacomo Negri, candidato al consiglio regionale lombardo nella circoscrizione di Milano, insegnante alle scuole superiori e tra i portavoce di Possibile a Milano.Sul fronte nazionale, invece, la Repubblica degli Stagisti ha raccolto l’adesione al Patto da parte di Franco D’Alfonso, candidato al Senato nel collegio uninominale Milano 2 per la coalizione di centro-sinistra, socialista e già assessore al commercio e turismo del Comune di Milano nella giunta Pisapia; e di Anna Ascani, deputata uscente, responsabile del Dipartimento Cultura dell’esecutivo nazionale del PD, candidata capolista alla Camera in Umbria.Tutti i candidati che desiderino a loro volta sottoscrivere il Patto per lo stage 2018 possono farlo scrivendo una mail all'indirizzo direzione [chiocciola] repubblicadeglistagisti.it

Campania, la nuova legge sugli stage ancora non c’è e i sindacati denunciano: “La Regione va avanti da sola”

In Campania il numero di tirocinanti extracurriculari cresce ogni anno. Stando ai dati del Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, dal 2014 al 2016 gli stage sono più che raddoppiati, passando da poco più di 9mila a quasi 22mila nel 2016. Peccato, però, che a fronte di questi crescenti numeri non sia ancora disponibile una normativa aggiornata. L’amministrazione regionale, infatti, non ha ancora approvato il nuovo regolamento per i tirocini, nonostante la Conferenza Stato-Regioni avesse fissato lascadenza per il recepimento delle linee guida nazionali a fine novembre 2017. In verità non è nemmeno chiaro se i lavori siano stati avviati: da diverse settimane la Repubblica degli Stagisti tenta di mettersi in contatto con l’assessorato al Lavoro e alle risorse umane, guidato da Sonia Palmeri, per avere informazioni, ma i telefoni squillano a vuoto, alle email non risponde nessuno, e anche dalla III Commissione regionale la palla viene rimbalzata alla giunta. I sindacati non ne sanno niente, non essendo stati chiamati a partecipare ad alcuna discussione fino a questo momento. «Sui tirocini non siamo stati coinvolti» conferma Luca Barilà, segretario nazionale della Cisl Felsa (la Federazione Lavoratori somministrati autonomi atipici) alla Repubblica degli Stagisti. «Di solito prendiamo parte ai tavoli di discussione, ma stavolta non c’è stata occasione di confronto. Sono diverse le partite su cui siamo fermi, negli ultimi tempi stiamo faticando ad avere un dialogo più costruttivo. La Regione sta andando avanti da sola». Elisa Laudiero, componente della segreteria Cgil Campania e responsabile del Nidil, il sindacato dei lavoratori atipici in Regione, gli dà manforte: «Non siamo proprio stati contattati. Sono rimasta interdetta perché di solito c’è un confronto con le parti sociali, e io stessa vorrei avere qualche informazione in più. Abbiamo chiesto più volte un confronto, ma non c’è mai stato. Grosso modo sulle altre tematiche abbiamo contatti con la Regione, ma su alcune questioni, soprattutto quando si tratta di giovani e lavoro, il confronto manca. Abbiamo sollecitato e inviato richieste formali di incontro, però ogni volta la discussione viene rimandata».In Campania la normativa vigente è costituita dalla Delibera della Giunta regionale n. 243/2013 e dal regolamento regionale n. 7/2013. Secondo le disposizioni attuali i tirocini formativi e di orientamento hanno una durata massima di sei mesi, proroghe comprese; mentre quelli di inserimento e reinserimento 12 mesi. L’importo minimo dell’indennità mensile è di 400 euro lordi, che però non vengono erogati nel caso in cui il tirocinante sia un lavoratore in regime di cassa integrazione speciale o di cassa integrazione cosiddetta in deroga. Per i tirocinanti che già ricevono un sussidio di disoccupazione, invece, «la percezione dell’indennità di partecipazione non comporta la perdita dello stato di disoccupazione eventualmente posseduto dal tirocinante» riporta il testo della Dgr 243. Il punto è: questi elementi cambieranno nella nuova normativa? Rispetto alle linee guida del 2017, tra le differenze più importanti saltano all’occhio i limiti di attivabilità dei tirocini, doppi rispetto al testo nazionale: le aziende con un numero di dipendenti a tempo indeterminato compreso tra uno e quattro possono ammettere un tirocinante, due con un numero di dipendenti compreso tra cinque e otto, tre se i dipendenti sono tra 9 e 12, quattro fra 13 e 16, cinque fra 17 e 20. Per le aziende con oltre 21 dipendenti, infine, il numero di tirocinanti non può superare il 20% del totale dell’organico (a differenza del 10% indicato nelle linee guida). Nella nuova normativa questi limiti potrebbero essere cambiati, riprendendo il testo emanato dalla Conferenza Stato-Regioni, oppure riconfermati: la scelta starà alla Regione. Certo è però che dei limiti più stringenti contribuirebbero a ridurre il rischio di abuso dello strumento stage per mascherare lavoro sottopagato.Il regolamento attuale della Campania si può considerare tutto sommato abbastanza completo, però alcuni dei suoi limiti rimangono evidenti: stabilire un aumento del compenso minimo previsto e una omogeneizzazione della durata massima a sei mesi per entrambe le tipologie di tirocini, per esempio, sarebbero già dei passi avanti. Per questo una nuova normativa è necessaria, visto anche il ritardo che la giunta sta accumulando. Laudiero, poi, sottolinea un aspetto strutturale della questione (e centrale nelle rivendicazioni del sindacato): «La critica principale che muoviamo è la mancata efficienza del tirocinio ai fini di occupazione stabile: l’esigenza più grossa è che la formazione attraverso il tirocinio non resti fine a se stessa, ma che ci sia una continuità lavorativa». In più, la sindacalista nota un secondo aspetto problematico, quello dei tirocinanti della pubblica amministrazione: «Oltre a non avere continuità [non possono essere assunti, perché alle carriere nel settore pubblico si accede solo tramite concorso, ndr], i ragazzi si trovano senza riconoscimento, perché chi fa tirocini nella pubblica amministrazione non ha punteggi superiori agli altri quando viene organizzato un concorso». (Questa, in effetti, è una proposta che la Repubblica degli Stagisti porta avanti da quasi 10 anni...)Laudiero promette che, se la situazione non dovesse sbloccarsi dallo stallo attuale, le parti sociali prenderanno provvedimenti. A tre mesi dalla scadenza e a nove dall’approvazione delle linee guida, sarebbe proprio il momento che dalla giunta provvedessero perlomeno ad avviare un confronto: in fondo, ne va dello status e delle tutele di migliaia di tirocinanti. La Repubblica degli Stagisti continuerà a seguire l’iter di recepimento delle linee guida in Campania; nel frattempo, qui potete dare un’occhiata a tutti gli aggiornamenti pubblicati finora sulle varie Regioni. Sperando che quelle che ancora non hanno aggiornato la propria normativa lo facciano presto.Irene Dominioni

Paese che vai usanze che trovi, suggerimenti per colloqui all'estero

La ricerca di un lavoro all’estero non è più una novità tra i giovani italiani. A certificarlo, se mai ce ne fosse bisogno, anche l’ultimo Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, presentato a fine 2017. Lì nero su bianco si scrive che in dieci anni la mobilità italiana è aumentata del 60% e che gli italiani residenti all’estero e iscritti all’AIRE sono quasi 5milioni. A questi vanno poi aggiunti quelli che temporaneamente – per periodi che vanno dai 3 ai 12 mesi – risiedono all’estero per motivi di studio o lavoro e non sono registrati in alcun elenco.Proprio a questi italiani che ogni anno cercano in altri paesi la soddisfazione professionale che in Italia spesso non arriva, è dedicata la guida CV around the world pubblicata da Viking blog, un sito di cui è proprietario la Viking office Products srl, società che è stata acquisita nel 1998 da Office Depot, primo rivenditore in Europa, e più importante al mondo, di prodotti e servizi per l’ambiente lavorativo. Office Depot ha registrato nel 2016, ultimi dati disponibili, un fatturato annuo di circa 11miliardi di dollari, impiegando circa 38mila dipendenti. Viking, però, non si occupa solo di vendere prodotti per ufficio, ma cerca anche di creare dei messaggi più ampi, motivo per cui ha creato il blog per cui è stata realizzata la guida. Che è stata concepita su iniziativa del team inglese, in cui lavorano una ventina di persone che si occupano principalmente di comunicazione e digital marketing, e poi tradotta e messa a disposizione anche nel mercato italiano. L’obiettivo del blog è quello di «aumentare il traffico del sito, allargare i lettori e il target, ma soprattutto essere protagonista in una community di persone dove i valori sono quelli legati al mondo del lavoro. E quindi a tematiche su correttezza e onestà, su bilanciamento tra lavoro e vita personale e sull’integrazione tra colleghi e culture», spiega alla Repubblica degli Stagisti Francesco Grottola, international digital marketing executive di Viking blog.La guida CV around the world rientra quindi in questa strategia e il suo obiettivo è stato quello di indagare come funzioni il processo di candidatura nei paesi esteri per dare alcuni suggerimenti e curiosità a quanti decidono di intraprendere questa strada. Perché un lavoro o uno stage all’estero comincia per prima cosa da un’autocandidatura e poi da un processo di selezione e allora conoscere quelle che sono le differenze rispetto ai procedimenti italiani può dare una mano.«Durante i miei viaggi di lavoro mi sono imbattuto in usi e costumi piuttosto singolari, molto diversi tra loro, in vigore nei mercati del lavoro», ha dichiarato Chris Evans, Seo e Social media marketing manager di Viking per l’Europa presentando la guida. Un assaggio delle abitudini che a noi italiani potrebbero risultare stravaganti la dà proprio la guida: ad esempio raccontando che in Cina arrivando a un colloquio, dove è buona norma presentarsi almeno con 15 minuti di anticipo, non si deve stringere la mano al proprio intervistatore, al massimo si può fare un leggero inchino se la persona di fronte a sé fa lo stesso.La guida prende in esame le abitudini di 12 paesi del mondo, Italia inclusa. La scelta è andata su Germania, Austria, Francia, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito, Cina, Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita e Corea del Sud. «Perché proprio questi? Perché nel nostro team tra dipendenti e collaboratori riuscivamo a coprire questi Paesi, quindi non solo avevamo la testimonianza diretta di chi essendoci passato aveva già le informazioni sull’argomento, ma poi per questi dipendenti era più facile la ricerca in lingua», spiega alla Repubblica degli Stagisti Francesco Grottola.Così combinando l’esperienza personale con fonti locali, e queste informazioni con nuove ricerche sui singoli paesi e con i dati ricevuti dai siti di recruiting, lavoro e risorse umane, si è arrivati a costituire questo documento.Una guida che ha un doppio target di riferimento. Da una parte i giovani tra i 25 e i 30 anni che stanno finendo di studiare o stanno già cercando attivamente lavoro. E che «possono usare le informazioni presenti per candidarsi, perché non avendo ancora molta esperienza su curriculum e colloqui o magari non essendosi mai spostati per lavoro, conosceranno poco le usanze e prassi in altri paesi. Quindi parliamo a una platea di giovani professionisti e stagisti», spiega Grottola. Dall’altra parte i professionisti nella fascia 40 – 45 anni, «un pubblico con una maggiore esperienza nel mondo del lavoro che però potrebbe essere interessato a consultare l’infografica per avere degli spunti e scoprire qualcosa che ancora non sapeva».Per entrambi i target di riferimento, la buona conoscenza della lingua inglese è data per scontata per trovare un lavoro e per alcuni dei paesi esaminati, come Russia, Cina e Corea un grande vantaggio è dato dalla conoscenza della lingua di destinazione.Essendo una infografica e dovendo privilegiare alcune info su altre, si è deciso di adottare un criterio abbastanza schematico, rispondendo per tutti i Paesi a due domande base: cosa devi inserire nel cv e come funziona il processo di selezione. Poi per ognuno è stato inserito uno schema con le cose da fare e quelle da non fare. Per esempio in Francia e nei Paesi Bassi è preferibile avere un curriculum di una sola pagina, per la Corea del Sud è consigliabile una lettera di presentazione in cui includere informazioni sul proprio passato, anche sulla propria infanzia, mentre nel Regno Unito è meglio non dare troppo risalto al titolo della laurea, tranne per i neo laureati, ed è preferibile focalizzarsi sull’esperienza lavorativa. La guida ha preferito focalizzarsi più sui consigli legati alla fase del colloquio e del primo impatto con il datore di lavoro che alla fase della scrittura del curriculum. Motivo per cui, pur essendoci indicazioni generiche su cosa scrivere o no, non c’è alcun riferimento per esempio alle normative in vigore nei 12 paesi presi in esame in materia di recruiting. Anche perché, spiega Grottola, «una disamina degli aspetti legali sul recruiting in generale non rientrava negli obiettivi dell’iniziativa», che invece mira a dare qualche consiglio in più per scrivere un cv efficace e conoscere qualche trucco in fase dei colloqui. Tanto che è lo stesso Grottola a dire che «io stesso non pubblicherei mai questa infografica su una rivista scientifica o di settore». E per quanto l’obiettivo non sia quello di riferirsi alle normative in vigore, ma solo di dare un consiglio in più, bisogna certo apprezzare il suggerimento dato per gli Stati Uniti, – dove soprattutto per alcune figure professionali è preferibile usare il resumé invece del cv - di includere brevi dichiarazioni personali o frasi descrittive evidenziando le azioni portate a termine nei ruoli precedenti. Però in questo caso una lacuna nella guida è il non aver fatto alcuna menzione al divieto di inserire foto o informazioni come età, sesso e razza: informazioni che in base alle leggi contro le discriminazioni presenti nei vari stati non è possibile richiedere in fase di recruiting. Anche se proprio negli Stati Uniti alcuni osservatori hanno fatto notare come divieti di questo tipo siano oggi anacronistici, visto che qualsiasi candidato inserisce i suoi contatti Linkedin, dove ognuno ha anche la foto.Tra le informazioni inserite nella guida, molto utile lo spazio alle curiosità, dove si svelano particolari a cui un italiano non penserebbe mai per un colloquio. Per esempio che in Corea del Sud bisogna essere preparati ad affrontare anche un check fisico, che in Russia è meglio non sorridere troppo durante il colloquio, mentre in Cina, ma questo in linea di massima vale per tutti, conviene non mentire in nessuna parte del curriculum perché le aziende fanno verifiche dettagliate sui candidati.Insomma un’utile infografica, a cui non si esclude di far seguire un secondo appuntamento focalizzato sugli altri Paesi al momento esclusi nella prima tornata, che può aiutare tanti giovani curiosi che hanno in progetto di cercare fortuna e lavoro all’estero.  Marianna Lepore

#MaiPiùSenza (donne), un piano contro le disuguaglianze di genere nell’economia

Secondo il Global Gender Gap Report redatto dal World Economic Forum, nel 2017 l’Italia è scivolata  dalla 50esima all’82esima posizione relativamente all’indice generale di partecipazione delle donne all’economia. Dietro il nostro Paese ci sono solo Malta e Ungheria. L'eurodeputata Alessia Mosca  e le docenti universitarie Paola Profeta e Paola Subacchi si sono interrogate su cosa possa essere successo e su come sia possibile provare a cambiare concretamente le cose, e hanno deciso di lanciare un’iniziativa al quale è stato l’hashtag #MaiPiùSenza e una petizione su change.org, sottoscritta a oggi da oltre 2.300 persone, per chiedere a tutti un impegno concreto a favore della partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, della parità salariale e di un’organizzazione del lavoro basata sulla condivisione tra uomini e donne. «L’iniziativa nasce dopo numerosi momenti di scambi di idee, in primo luogo con le altre due promotrici, Paola Profeta e Paola Subacchi, poi con le tante donne e i tanti uomini impegnati da anni nel cercare di raggiungere risultati concreti e, soprattutto, stabili in merito agli argomenti trattati nel Piano d’azione che abbiamo pubblicato su Change.org» racconta Alessia Mosca: «Da qualche anno il dibattito pubblico ha assorbito sempre più la questione della parità di genere ma, è evidente, è stato fatto troppo poco, troppo lentamente. Ci siamo interrogate su cosa sia successo e pensiamo manchi un piano organico, una visione di sistema che parta dal presupposto che ogni politica pubblica ha una dimensione e un impatto di genere. Se la si ignora, inevitabilmente si finisce per esacerbare le disuguaglianze già esistenti». Quale è la situazione nel resto dell’Europa? «Secondo la classificazione del WEF, solo Malta e Ungheria seguono l’Italia, nell’indice generale. Per quanto questo tipo di studi varino molto a seconda degli indicatori presi in considerazione e delle metodologie di rilevamento utilizzate, il dato secondo me rimane significativo. Ovviamente i paesi scandinavi sono estremamente avanzati in termini di welfare, servizi alla famiglia e occupazione femminile, ma anche la Francia, per esempio, si sta muovendo molto su questo.  Al riguardo, ci tengo a segnalare il grande lavoro svolto dall’Eige, l’agenzia europea per la Gender Equality, in particolare nella raccolta delle buone prassi, una attività che consiglio sempre di consultare e che offre importanti spunti di riflessione sulle azioni attuabili sia a livello nazionale sia a livello locale».L’iniziativa #MaiPiùSenza tocca ovviamente diversi temi, ma uno dei più sensibili è quello del congedo parentale. Sull’astensione obbligatoria dal lavoro per i papà sono stati fatti passi in avanti in Italia, con l’aumento a partire da quest’anno da due a quattro giorni obbligatori più uno facoltativo: «Si tratta di un tema centrale perché tocca diversi punti importanti: lo squilibrio nella suddivisione dei lavori di cura all’interno della famiglia, la maternità vista come ostacolo alla professione invece che come suo arricchimento, gli stereotipi sui ruoli di genere ancora estremamente radicati nella nostra società» dice Mosca: «Tutto questo rappresenta un enorme ostacolo al lavoro femminile e si basa su un assunto fondamentale: le donne sono deputate a occuparsi dei figli, gli uomini a portare lo stipendio a casa. Un pensiero ancora esistente, in diverse forme e con diverse intensità, certo, nella mentalità della stragrande maggioranza degli italiani. Questo porta con sé una serie di conseguenze, a partire dalla difficoltà maggiore per le donne di accedere al mercato del lavoro che si intensifica quando si parla di avanzamento di carriera. Assumere una donna, secondo molti datori di lavoro, significa mettere in conto cinque mesi di congedo di maternità obbligatorio più, probabilmente, sei di congedo facoltativo, a cui si aggiungono i giorni di malattia presi quando si ammala il bambino, ad esempio, o il fatto che si suppone che sia la donna a correre a prendere il bambino a nuoto o a preparargli la cena, il che significa che difficilmente si fermerà sul posto di lavoro più di quanto strettamente richiesto dal contratto. È ancora largamente diffusa la convinzione che, quando si assume una persona, se ne stia acquistando il tempo. E il tempo degli uomini è, sempre e solo per ragioni culturali, molto meno vincolato di quello delle donne».Ma dove nasce questa disuguaglianza, e perché non si riesce a sradicarla? «Questa è una domanda estremamente interessante, e non sono ancora riuscita a trovare una risposta razionale» risponde l'eurodeputata, «... forse perché non esiste. L’eliminazione delle disuguaglianze di genere è, oltre che una questione di giustizia sociale, un tema di crescita economica. Sono molti ormai gli studi che quantificano il beneficio economico di una maggiore occupazione femminile e dell’eliminazione delle barriere fondate sugli stereotipi di genere. A livello internazionale il dibattito è molto sviluppato; tuttavia si fa ancora fatica nel passare dalle parole ad azioni concrete, soprattutto nel nostro Paese.  Credo che le motivazioni siano tutte culturali, profondamente radicate nella nostra mentalità, nell’organizzazione della nostra società, che ancora oggi si basa su ruoli di genere piuttosto definiti». Per questo, se davvero si vuole incidere su questo tema e avviare un cambiamento profondo e destinato a durare, è necessario «abbandonare la logica degli interventi “spot”» dice Mosca «e comprendere la necessità di una visione sistemica, di un piano organico, che affronti il grande tema della disparità di genere da ogni prospettiva, agendo in maniera coordinata». L'eurodeputata cita il gender mainstreaming,  ossia l’inserimento di una prospettiva di genere all’interno delle politiche pubbliche, da tempo adottato nelle istituzioni europee - «anche se non ovunque con lo stesso impegno e la medesima costanza. Questa decisione tuttavia» aggiunge «si fonda sulla consapevolezza che ogni politica pubblica ha un suo impatto di genere: se si ignora questo, si finisce per perpetuare lo stato delle cose o persino per peggiorarlo, intensificando le disuguaglianze. Chiediamo che questa prospettiva venga attuata anche in Italia, a cominciare dall’implementazione sistematica, a tutti i livelli di amministrazione, del bilancio di genere».Cosa si può fare allora? Innanzitutto iniziare a parlare di genitorialità e non solo di maternità: «Cioè affermare che entrambi i genitori hanno il diritto e il dovere di prendersi cura dei propri figli. È importante che parliamo anche di diritti perché i ragazzi che oggi hanno trent’anni sentono questa come una necessità forte. Forse per la prima volta nella storia recente. Per questa ragione, adesso è il momento di cogliere questo bisogno maschile e utilizzarlo come leva per riequilibrare i ruoli e il tempo dedicato al lavoro retribuito e non retribuito, fino a questo momento completamente sbilanciato a danno delle donne».Per maturare un approccio del genere è però necessario che le aziende si impegnino per essere più flessibili nel rapporto con i dipendenti: «Per conciliare le esigenze dei lavoratori con quelle delle aziende la parola chiave è flessibilità: per questo nel nostro piano proponiamo un mese di congedo obbligatorio da fruirsi, previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore, entro il primo anno di vita del bambino. Contemporaneamente proponiamo anche una flessibilizzazione del congedo di maternità, che resta sempre di cinque mesi ma ne lega solo tre al momento del parto, permettendo alle donne di usufruire degli altri due in momenti diversi, anche spezzandoli in settimane. In modo da avere la possibilità, se si vuole, di rientrare prima a lavoro e di poter avere uno strumento da utilizzare in momenti di necessità, che non necessariamente capitano nei primi mesi di vita del bambino».Al momento un dato positivo è stata la grande mobilitazione di associazioni e cittadini a favore di questa iniziativa. «La grande ambizione è però arrivare a tutti gli altri» sottolinea Mosca: «Far capire che si tratta di un argomento che riguarda tutti, una battaglia per la quale tutti dovremmo spenderci. Cerchiamo di insistere molto sul fatto che non si tratta di una “cosa da donne, per le donne”, ma di una preoccupazione di tutti per una società migliore. Il prossimo step sarà coinvolgere i candidati alle prossime elezioni, a tutti i livelli. Per poterlo fare sarà fondamentale la partecipazione delle donne e degli uomini: contattando i candidati del proprio collegio sui social, via email, per proporre loro l’iniziativa e sollecitare l’adesione, ad esempio. Oppure organizzando incontri sui territori per discutere delle proposte avanzate e, magari, metterne sul tavolo di nuove. Mancano poco più di venti giorni al voto e, ancora oggi, questo tema rimane il grande assente del dibattito elettorale, mentre persino a Davos è stato uno dei protagonisti. Abbiamo ancora una lunga strada da fare, in Italia, sul fronte dell’inclusione delle donne nell’economia e questa è l’occasione per cominciare la marcia, insieme».Chiara Del Priore

La Fondazione Franceschi premia i giovani ricercatori che studiano il disagio sociale

La Fondazione Roberto Franceschi è da sempre attiva in ambito giovanile e nel mondo della ricerca. La sua rete di studiosi, il Network Roberto Franceschi, riunisce ricercatori impegnati nello studio del disagio sociale e ogni anno la Fondazione mette a disposizione, in collaborazione con la Fondazione Isacchi Samaja, fondi di ricerca e borse di studio per studenti, dottorandi e ricercatori che focalizzano la propria attenzione su questo tema. Dal 2012 la Fondazione ha ricevuto complessivamente all'incirca 100 candidature, suddivise tra i Fondi di ricerca Roberto Franceschi e le borse di studio “Young Professional Grant”. I primi sono destinati a studenti di laurea magistrale e di dottorato degli atenei della Lombardia e a dottorandi di qualunque altra università che  abbiano conseguito la laurea magistrale in un ateneo lombardo, per finanziare la raccolta di dati originali nell’ambito della prevenzione, diagnosi e cura di patologie sociali e forme di emarginazione sociale. Le borse di studio “Young Professional Grant”, invece, consistono nell’assegnazione di assegni di sostegno alla ricerca sugli stessi temi a giovani laureati e dottorati, in collaborazione con il Network Roberto Franceschi e con il Centro Dondena dell’università Bocconi. I beneficiari sono under 35, non già percettori di altre borse di studio o assegni di ricerca al momento dell’avvio del finanziamento.Ecco i vincitori dell’ultimo bando 2017: per i fondi di ricerca sono Marco Marinucci, dottorando in Psicologia,linguistica e neuroscienze cognitive all’università di Milano Bicocca e Giacomo Battiston, studente di Ph.D. in Economics and Finance all’università Bocconi; per i Young Professional Grant Daniela Leonardi, dottoranda in Sociologia applicata e metodologia della ricerca sociale all’università di Milano-Bicocca e Martina Lo Cascio, dottoressa di ricerca in Scienze psicologiche e sociali, laureata all’università di Palermo. I progetti premiati analizzano tematiche legate al disagio sociale, in particolare la questione dei migranti, affrontata dal punto di vista psicologico, sociologico e delle politiche di integrazione.Marco Marinucci, 25enne di Colonnella (Teramo), alle spalle ha una laurea magistrale in Psicologia clinica all’università di Milano Bicocca. Il suo progetto di dottorato, intitolato “Fattori di rischio e protezione dall’esclusione sociale cronica nei rifugiati e richiedenti asilo” studia le cause e gli effetti dell’emarginazione dei migranti a livello psicologico e comportamentale. Alla Repubblica degli Stagisti racconta: «Ho intrapreso il dottorato perché l'attività di ricerca mi stimola molto e sono interessato ad occuparmi di persone e gruppi sociali svantaggiati». Marinucci prevede di finire il dottorato a novembre 2020.Giacomo Battiston, anche lui venticinquenne, svolge invece un progetto intitolato “Border Enforcement and Rescue Policy in the Central Mediterranean: Drivers and Consequences”. Lo studio analizza l’effetto delle politiche di soccorso sul numero di sbarchi di migranti sulle coste italiane e l’impatto dei media sulle politiche di soccorso adottate dal governo. «Mi sono avvicinato al tema come tutti, per via della rilevanza mediatica e per cercare di trovare un po’ di senso nella confusione che si respira. Il campo è minato ed è utilizzato male perché non c’è abbastanza ricerca» dice Battiston, originario di Mestre. Dopo una doppia laurea in Economia e Sociologia tra l’università Ca’ Foscari e la Georgia State University di Atlanta, anche lui programma di finire i suoi studi nel 2020.Il progetto di Daniela Leonardi, vincitrice della borsa di studio “Young Professional Grant”, si intitola “La discrezionalità degli operatori sociali nel modello di accoglienza per le persone senza dimora: dilemmi, tensioni, vincoli” e studia le politiche di accoglienza per le persone senza dimora a Torino. «Sostengo che coloro che lavorano quotidianamente a contatto con le persone homeless non siano semplici esecutori, bensì policymakers a tutti gli effetti» racconta alla Repubblica degli Stagisti. La ricercatrice è torinese, ha 32 anni e alle spalle ha una laurea magistrale in Sociologia e diversi anni di lavoro nei servizi per i senzatetto. «Oggi vediamo affacciarsi ai servizi persone che solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile incontrare. Nel nostro paese nel 2018 purtroppo si muore ancora di freddo per strada e non possiamo più accettare che accada». Martina Lo Cascio, infine, è una ricercatrice di 31 anni che ha già finito il suo dottorato in Scienze psicologiche e sociali all’università di Palermo. Da sempre studia i temi del mezzogiorno, dell’agricoltura e delle migrazioni, confermando la stessa inclinazione nel progetto con cui ha vinto la borsa di studio. La ricerca, dal titolo “Inclusione dei migranti e reti alimentari alternative nelle aree fragili. Una ricerca qualitativa nel sud Italia” analizza l’inclusione dei migranti nell’agricoltura sociale in Sicilia, Calabria e Puglia, dove la marginalità delle decisioni dei migranti e/o lavoratori emerge come un potenziale limite all’efficacia di molti percorsi. In che contesto si inseriscono queste nuove borse? «La Fondazione ha sempre finanziato la ricerca, prima con premi di laurea e poi dal 2013 con fondi di ricerca» spiega alla Repubblica degli Stagisti Carlo Devillanova, docente di Economia politica alla Bocconi e presidente del comitato scientifico della Fondazione. «Il programma ha due obiettivi, il primo è di cercare di introdurre i dottorandi nel mondo della ricerca, poiché molti di loro non hanno mezzi per continuare a sostentarsi, e quindi abbandonano l’accademia, e il secondo è di creare il network».Dal 2013 sono stati assegnati 12 fondi di ricerca, di cui 6 alla Bocconi, e 16 borse Young Professional Grant, mentre dal 1990 al 2012 sono stati assegnati 49 premi di laurea a studenti bocconiani per le migliori tesi. «Noi promuoviamo ricerche non direttamente con denaro liquido, ma finanziando i dottorandi, attraverso il network, con lavoro qualificato in ambito di ricerca» prosegue Devillanova. Ogni anno il Network organizza un convegno in Bocconi con ospiti nazionali e internazionali su un tema di interesse, sempre legato ai temi della povertà e del disagio sociale. In più, i dati originali raccolti attraverso le ricerche vengono resi facilmente accessibili a tutti tramite il sito della Fondazione. Negli anni il Network ha inoltre coinvolto istituzioni diverse non strettamente nel campo della ricerca, tra cui l’Unicef e alcuni istituti finanziari. L’ammontare dei fondi varia in base alle risorse a disposizione: quest’anno Young Professional Grant ha avuto un importo di 15mila euro e i fondi di ricerca 16mila. «Sono molto soddisfatto di entrambi i programmi» dice ancora il presidente del comitato scientifico, che raduna al suo interno alcuni dei maggiori esponenti dell’accademia milanese e lombarda. «Young Professional Grant in particolare è riuscito ad introdurre i ragazzi nel mondo della ricerca. Cerchiamo di diffondere ricerca nei convegni, ma anche nelle scuole superiori, perché è lì che si creano coscienze e cittadini». E aggiunge: «I temi della disuguaglianza sono stati drammaticamente sottovalutati; ora che anche l’accademia si è “svegliata”, i policymaker dovranno fare i conti con il problema. Ogni ricercatore spera che quello che fa possa cambiare il mondo: la Fondazione ci prova concretamente e quotidianamente». Il programma di finanziamenti è a rischio per questioni economiche, ma, fortunatamente, per il 2018 la Fondazione è riuscita a trovare i fondi necessari a premiare i giovani più meritevoli: i vincitori presenteranno i risultati preliminari delle loro ricerche il prossimo autunno, al convegno annuale del Network.Irene Dominioni