Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero

Alessandro Rosina

Alessandro Rosina

Scritto il 02 Set 2010 in Editoriali

Il punto di vista di un outsider che invita i giovani a riappropriarsi del loro futuro: con questo nuovo editoriale Alessandro Rosina, 40 anni, docente di Demografia e autore insieme a Elisabetta Ambrosi del bel saggio Non è un paese per giovani (Marsilio) prosegue la sua collaborazione con la Repubblica degli Stagisti.

In termini di spazi e di opportunità per i giovani, esiste un’Italia di serie B e una di serie C. La prima è sostanzialmente collocata nel Nord, la seconda nel Sud del Paese. La serie A è, invece, l’Italia che non c’è. Ovvero quel “Paese per giovani” che ancora non siamo, pur avendo tutte le potenzialità per diventarlo.

Nell’Italia di serie C chi è bravo e si posiziona bene in classifica passa alla serie B. Ed infatti i principali flussi degli ultimi anni in uscita dal Sud sono costituiti da giovani altamente qualificati diretti prevalentemente verso il Nord
. Secondo i dati Istat, tra i laureati meridionali che a tre anni dal conseguimento del titolo hanno un lavoro, il 40% si trova al Nord. Di questi, circa quattro su dieci hanno ottenuto una votazione di 110 su 110. Un’interessante lettura a questo proposito è il recente libro di Bianchi e Provenzano dal titolo eloquente Ma il cielo è sempre più su? (editore Castelvecchi - nell'immagine a sinistra, la copertina).

Allo stesso modo, chi nell’Italia di serie B è bravo, dinamico, convinto di avere qualità da valorizzare, cerca di passare alla serie superiore. Ma la serie A qui ancora non c’è e quindi si immette nel mercato internazionale. Ed infatti, dicono i dati Eurostat, cediamo molti giovani cervelli all’estero, mentre ne attraiamo pochi. I talenti non accettano, del resto, volentieri di essere retrocessi in serie B. Tra i motivi maggiormente indicati dai giovani ricercatori e professionisti italiani della permanenza all’estero ci sono i maggiori guadagni, ma anche la maggior disponibilità di risorse e finanziamenti per svolgere al meglio il proprio lavoro, oltre che il maggior riconoscimento delle capacità dei singoli e un progresso di carriera più trasparente e meritocratico. Non che nel resto d’Europa ci sia l’Eldorado, ma complessivamente le cose vanno meglio. Essere giovane con titolo di studio elevato è in generale un vantaggio, non uno svantaggio.

Come fare per costruire condizioni di serie A anche in Italia? Se le capacità ci sono, perché non riusciamo a valorizzarle qui? Cosa serve? Maggior investimento in ricerca e sviluppo; un welfare che promuova i comportamenti virtuosi dei singoli; un mondo del lavoro meno ingessato ed inefficiente; un sistema culturalmente più aperto all’innovazione e alla formazione del capitale umano. L’attenzione alla qualità del capitale umano e alla sua valorizzazione è considerata elemento centrale per la crescita in tutti i paesi che vogliono essere competitivi nel XXI secolo. Solo noi non ce ne siamo accorti. Finché tutto questo non cambia, i contratti di serie B rimarranno il massimo che un giovane di belle speranze possa ambire qui in Italia.

Alessandro Rosina

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