Stop ai cocopro per baristi e facchini: tutti i divieti della circolare del ministero del Lavoro

Veronica Ulivieri

Veronica Ulivieri

Scritto il 16 Feb 2013 in Approfondimenti

Niente più contratti a progetto per baristi e camerieri, estetisti e parrucchieri, facchini, letturisti di contatori. È questa la novità principale contenuta nella circolare 29 dell’11 dicembre 2012 del ministero del Lavoro, che fornisce una serie di indicazioni interpretative della legge Fornero (92/2012).
Il provvedimento,  firmato dal direttore generale per l’Attività ispettiva Paolo Pennesi intervistato dalla Repubblica degli Stagisti pochi giorni fasi focalizza sul divieto di applicare contratti cocopro nei casi di mansioni routinarie ed elementari. Se infatti già l’art. 61 del d. Lgs 276 del 2003 (che dava attuazione alla legge Biagi) prevedeva che «il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi», la circolare aggiunge un altro elemento, stabilendo che «è necessario che dal contenuto del contratto, ovvero dalle modalità di svolgimento della prestazione, non emergano i caratteri della “routinarietà” o “elementarietà”». Di conseguenza, un rapporto di lavoro potrà essere considerato una collaborazione a progetto se «al collaboratore siano lasciati margini di autonomia anche operativa nello svolgimento dei compiti allo stesso assegnati».  La definizione delle attività di natura meramente esecutiva o ripetitiva è attualmente assegnata alla contrattazione collettiva, anche se questo «non condiziona l’applicabilità della presunzione» di subordinazione. Il ministero prova quindi a tracciare una direzione, individuando un a lista di mansioni «a titolo meramente esemplicativo e non esaustivo, sulla base di orientamenti giurisprudenziali già esistenti, (...) difficilmente inquadrabili nell'ambito di un genuino rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, ancorché astrattamente riconducibili ad altri rapporti di natura autonoma». L’elenco comprende una ventina di attività, tra cui figurano addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici, addetti alle agenzie ippiche, letturisti di contatori, facchini, magazzinieri, ma anche manutentori, muratori e braccianti agricoli. E ancora, addetti alle pulizie, autisti e autotrasportatori, commessi e addetti alle vendite, custodi e portieri. Sono escluse dai cocopro anche quelle figure per le quali è richiesta una formazione professionale e specialistica (estetiste e parrucchieri, istruttori di autoscuola, piloti e assistenti di volo), oltre  ad addetti all'attività di segreteria e lavoratori di call center inbound (quelli cioè in cui cioè si risponde alle chiamate di utenti). E non potranno più essere assunti con contratti a progetto neanche i lavoratori del settore della ristorazione: baristi, camerieri,  addetti alla somministrazione di cibi o bevande. In tutti questi casi, garantisce il ministero, «il personale ispettivo (...) procederà a ricondurre nell'alveo della subordinazione gli eventuali rapporti posti in essere, adottando i conseguenti provvedimenti sul piano lavoristico e previdenziale».
Si ribadisce poi, sulla falsariga di quanto già stabiliva la legge 92, che i cocopro «devono essere riconducibili ad uno o
più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore», collegati «ad un determinato risultato finale» che sia «obiettivamente verificabile». Il progetto non può consistere nella «mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente» e, pur potendo rientrare nelle «attività che rappresentano il cosiddetto core business aziendale, deve essere caratterizzato da un'autonomia di contenuti e obiettivi». Per esempio, lo sviluppo di uno software preciso, e non l'attività che si limiti alla sua gestione; l'ideazione di una specifica scenografia per la rappresentazione di uno spettacolo teatrale e non il mero allestimento del palco.
Per quanto riguarda il compenso, la circolare ricorda che esso «non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività», chiarendo però che il riferimento normativo, «è
alle retribuzioni minime, ossia ai minimi tabellari determinati dai contratti collettivi di categoria e non a tutto il complesso delle voci retributive eventualmente previste da tali contratti».  La parte finale è dedicata alle sanzioni: la mancanza di un progetto specifico – sottolinea la circolare in linea con quanto stabiliva la legge Biagi e chiarisce la legge Fornero – consente di ricondurre il contratto a progetto a un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. La stessa sanzione è prevista anche nei casi in cui scatta la presunzione di subordinazione, ossia quando «il collaboratore svolga in maniera prevalente e con carattere di continuità le proprie attività con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente». Con una clausola, introdotta dall’ultima riforma e ricordata nella circolare: non vengono equiparate a lavoro subordinato e dunque riqualificate «le prestazioni di elevata professionalità meglio declinate dalla contrattazione collettiva»: il compito di individuare quali siano le attività ad alto contenuto professionale è cioè lasciato alle parti, senza alcuna indicazione per evitare abusi.
Secondo Roberto D’Andrea [a sinistra], segretario nazionale di Nidil-Cgil, la circolare «non aggiunge molto a quanto già stabilito dalla legge Fornero, perché già era noto
che il barista fosse una mansione ripetitiva. Ha però il grosso difetto di ignorare un aspetto che sta già facendo danni: il cavillo dell’elevata professionalità, lasciato alla libera interpretazione delle parti. Senza una sua definizione precisa da parte del ministero, tutto l’impianto complessivo dei paletti ai cocopro rischia di essere un puro esercizio teorico». Una vaghezza che ha reso la clausola «una scappatoia usata da alcune aziende per non regolarizzare. È stato firmato poco tempo fa, per esempio, un accordo tra sindacati e una società di recupero crediti in cui si stabilisce che i telefonisti che lavorano per l’azienda svolgono una mansione di elevata professionalità». Inoltre, nella lista delle attività elementari e routinarie, fa notare D’Andrea, «mancano gli operatori dei call center outbound, quelli cioè in cui si fanno telefonate a potenziali clienti. Per queste società, infatti, il decreto Sviluppo ha stabilito una deroga alla legge 92». La circolare, aggiunge il sindacalista, «al di là delle mansioni meramente ripetitive ed esecutive, per le quali il divieto dei cocopro è assodato, non dice niente, per esempio, di insegnanti o architetti. Casi in cui c’è un abuso di contratti a progetto».
A sorpresa il berlusconiano Silvano Moffa [a destra], presidente della commissione Lavoro della Camera, è d'accordo con D'Andrea: ma per ragioni diametralmente opposte. «La circolare, così come la riforma Fornero, fa aumentare il lavoro precario. Nella black list del ministero ci sono tutte le ma
nsioni per le quali più frequentemente si attivano contratti a progetto. Se le aziende non potranno più ricorrere ai cocopro per addetti alla distribuzione di giornali o letturisti di contatori, si rivolgeranno a forme ancora più temporanee e meno garantite di lavoro, come la collaborazione occasionale». Una tendenza che, dice Moffa, «è già fotografata dai primi osservatori, che registrano un aumento nell’ultimo trimestre del 2012 di contratti occasionali, con un reddito annuo inferiore ai 5mila euro». Se infatti, è il ragionamento del deputato, «i cocopro permettono il primo contatto con il mondo del lavoro, i paletti non fanno altro che scoraggiarlo». Ma come combattere gli abusi? «Per contrastare quello di lungo periodo serve piuttosto una stretta nei controlli, applicando la presunzione di subordinazione in tutti quei casi di precariato di lunga durata». Per quanto riguarda la discussa clausola dell’elevata professionalità, per presidente della commissione Lavoro «non è servita a molto. A Milano, negli ultimi mesi, i contratti a progetto dei neolaureati sono diminuiti del 16,5%».
Il rischio, in molti casi, è che «i contratti a progetto si trasformino in partite IVA, per adesso ancora poco regolamentate», conclude D’Andrea. «Finché la partita IVA sa
rà così conveniente, non ha senso introdurre ulteriori restrizioni sui contratti a progetto», aggiunge Laura Calderoni [a sinistra], segretaria dell’associazione di architetti e ingegneri atipici Iva sei partita, che ha provato il fenomeno sulla propria pelle: «Ho iniziato con un contratto a progetto di un anno nel 2008 e alla scadenza sono stata costretta ad aprire una partita IVA».

Veronica Ulivieri

Per saperne di più su questo argomento leggi anche:
- Contratti a progetto nei call center, un giro di vite solo annunciato
- Cocopro, partite Iva e stipendi dei precari: le proposte dell'emendamento Castro-Treu
- Indennità una-tantum per cococo e cocopro: più che un ammortizzatore, una beffa
- Riforma del lavoro, ecco punto per punto cosa riguarda i giovani

Community