Indennità una-tantum per cococo e cocopro: più che un ammortizzatore, una beffa

Andrea Curiat

Andrea Curiat

Scritto il 27 Apr 2012 in Approfondimenti

Arriva l’indennità una tantum per i collaboratori coordinati continuativi (coloro che sono inquadrati come «cococo» e «cocopro») disoccupati, ed è subito polemica. maurizio del conteL’intento è anche nobile: garantire una forma di assistenza sociale a una categoria di lavoratori sostanzialmente priva di diritti e tutele. E di certo è sempre meglio aggiungere qualcosa che togliere ulteriormente. Ma i parametri sono talmente stringenti, e le cifre tanto ridotte, che il provvedimento previsto dal disegno di legge Fornero, attualmente all'esame del Senato, rischia di sembrare una vera e propria beffa per i precari.
Nella versione attuale del testo «l’indennità è pari a una somma del 5 per cento del minimale annuo di reddito» (fissato dall'Inps a 14.930 euro per il 2012), «moltiplicato per il minor numero tra le mensilità accreditate l’anno precedente e quelle non coperte da contribuzione».   Potranno accedervi i cococo e cocopro che abbiano operato in regime di monocommittenza (vale a dire, per un solo datore di lavoro nell’anno precedente); che abbiano conseguito un reddito non superiore a 20mila euro; che abbiano versato almeno quattro mensilità di contributi presso la gestione separata dell’Inps nell’anno precedente (per il primo anno di applicazione, il 2013, ne basterà una); che siano stati disoccupati per almeno due mesi ininterrotti nell'anno precedente.
L'ammontare dell'indennità, quindi, non dipende dalla retribuzione dei collaboratori, ma dalla durata del loro contratto: un cocopro che guadagnasse 1.000 euro per 4 mesi, ricorrendo le altre condizioni, otterrebbe la stessa una tantum di un cocopro che avesse percepito il triplo o il quadruplo, 3mila euro o anche 4mila, sempre per 4 mesi.
Secondo una stima elaborata da Patrizio Di Nicola, esperto di lavoro atipico, l’indennità potrebbe riguardare potenzialmente meno del 10% dei parasubordinati: circa 90mila lavoratori, quando gli iscritti alla gestione separata dell'Inps sono oltre un milione e mezzo.
Ipotizzando che nel corso del 2013 un terzo di questi parasubordinati perdesse il lavoro, stima Di Nicola, l'indennità con questi paletti potrebbe essere erogata solamente a meno 30mila persone e con importi pro capite ridottissimi - compresi tra 750 e 4.500 euro l'anno. Esborso totale: solo 72 milioni di euro, contro i 250 fruttati all'Inps dall'aumento dell'1% dell'aliquota previdenziale per la categoria, sempre secondo le stime di Di Nicola.
Non che le forme attuali di sostegno ai cococo disoccupati (un contributo pari al 30% del reddito dell’anno precedente entro un tetto massimo di 4mila euro) abbiano dato risultati migliori. Tra il 2009 e il 2010, stando a dati Inps, sono stati erogati appena 25 milioni di euro (su uno stanziamento da 100 milioni) a meno di 10mila lavoratori, con una media del 70% di domande respinte.
I calcoli di Di Nicola vengono sostanzialmente confermati anche da Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro per la Bocconi: «La formulazione del ddl è un po’ astrusa, ma basta fare un po’ di conti per accorgersi che l’importo dell’indennità sarà veramente modestissimo. In pratica, il totale sarà pari al 5% del minimale moltiplicato al massimo per sei mesi». Secondo Del Conte, «veniamo da una situazione in cui i lavoratori a progetto non hanno praticamente nessuna delle tutele garantite ai lavoratori subordinati. L’una tantum vorrebbe essere un ammortizzatore sociale, ma non permette certo ai collaboratori disoccupati di vivere con dignità tra un periodo di disoccupazione e l’altro, né di programmare serenamente il proprio futuro lavorativo. Il termine è un po’ forte, ma verrebbe quasi da definirla come una forma di elemosina».
Ma ci sono anche altre ombre sulla riforma di Fornero. Prima di tutto, la natura dell’una tantum: da intendersi per lavoratore o per periodo di disoccupazione? «La formulazione non è chiara ma si può supporre che, dopo aver percepito l’indennità, il lavoratore possa ottenerne un’altra solo dopo aver maturato daccapo i requisiti, difficilmente prima che siano passati almeno due anni», afferma Del Conte.
Ancora da chiarire, infine, il limite della “disponibilità di risorse” introdotto dal ddl, e a cui è subordinata l’erogazione dell’indennità. Spiega ancora Del Conte: «Non è l’unica norma, purtroppo, che ha questa clausola di salvaguardia. In sostanza c’è un plafond limitato di cui ancora non è chiaro l’ammontare. L’indennità verrà probabilmente erogata a chi la chiederà per primo, e poi si andrà avanti fino ad esaurimento delle risorse. È il discorso che si fa anche per gli esodati. Se il numero di richiedenti dovesse eccedere le stime del governo, a un certo punto un cococo si sentirà rispondere: mi dispiace, sono finiti i soldi». E fine anche dell'elemosina... pardon, dell'indennità.

di Andrea Curiat

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