Abolire la legge Biagi e dare mille euro di sussidio a tutti: grillini, fate chiarezza sul programma e sulla copertura dei costi

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 04 Mar 2013 in Editoriali

Tutti parlano del Movimento 5 Stelle. È senza dubbio la notizia del momento, la sorpresa di queste elezioni: 109 deputati e 54 senatori fino a ieri sconosciuti - senza "storia politica" anche perché, per regola specifica, per candidarsi con Grillo non potevano averne fatta precedentemente, nè essere stati iscritti a partiti - eletti prima attraverso le "parlamentarie" online dalle persone registrate al sito di Beppe Grillo, e poi grazie alla valanga di voti ottenuti dal M5S due settimane fa.
stage lavoroTutti parlano del Movimento 5 Stelle. Alcuni aspetti di quest'onda nuova sono indubbiamente positivi, a cominciare dal fatto che nella maggior parte dei casi questi nuovi parlamentari sono giovani [la Repubblica degli Stagisti poco prima delle elezioni era riuscita ad intervistarne tre], e hanno contribuito fortemente ad abbassare l'età media di Montecitorio, e in qualche misura anche di Palazzo Madama.
Tutti parlano del Movimento 5 Stelle: i riflettori sono puntati sul fondatore, Beppe Grillo, e la domanda più impellente è se l'accordo con il Partito democratico si farà, e di conseguenza se riuscirà a vedere la luce un governo Bersani appoggiato dai grillini fin dal voto di fiducia. I diretti interessati, i neodeputati e neosenatori del M5S, non si sbottonano. Sono (comprensibilmente) frastornati: tutti li cercano, tutti li vogliono. Parlano, per ora, molto poco con la stampa; e nella maggior parte dei casi alle domande rispondono «Andate a scaricarvi dal sito il nostro programma, lì ci sono tutte le risposte».
Il programma si scarica in PDF attraverso una pagina del sito di Beppe Grillo. È un documento di 15 pagine, 13 se si escludono la copertina gialla con il logo del movimento e quella con l'indice. Sette voci: «Stato e cittadini» (una pagina), «Energia» (tre pagine), «Informazione» (due pagine), «Economia» (poco più di una pagina), «Trasporti» (una pagina), «Salute» (tre pagine), «Istruzione» (una pagina scarsa).
Una notizia, a ben guardare, è che questa nuova e dirompente realtà non ha nel suo progetto politico la voce «Lavoro».  Qualche riferimento al tema si trova però nella sezione «Economia». Al quinto punto di questa pagina il programma recita: «Abolizione della legge Biagi». Nient'altro, però: non viene specificato da cosa dovrebbe essere sostituita la legge Biagi, se da un nuovo codice del lavoro o dal ritorno alla legislazione precedente - e in questo caso, a quale? Al pacchetto Treu del 1996? O ancora prima, quando le tipologie contrattuali si riducevano alla dicotomia tempo indeterminato / tempo determinato? E con quali reazioni da parte delle centinaia di migliaia di imprese che oggi utilizzano massicciamente i contratti cosiddetti flessibili?
La sezione «Economia» del programma grillino prosegue poi con punti dedicati al tetto per gli stipendi del management delle aziende quotate in Borsa, alle stock option, alle tariffe di energia e telefonia, e così via. Fino al penultimo, in cui di nuovo si parla di un tema legato al lavoro: «Sussidio di disoccupazione garantito».
In effetti uno dei grandi deficit del welfare italiano sta proprio lì, negli ammortizzatori sociali che coprono solo alcune fette di popolazione: per cui chi perde il lavoro ed era assunto a tempo indeterminato ha una serie di garanzie - che si chiamano indennità di disoccupazione, mobilità, cassa integrazione. E chi invece perde il lavoro ma era precario, magari con un cococo o un cocopro, è cornuto e mazziato: non ha più lo stipendio e lo Stato non lo aiuta. In realtà nemmeno questo è completamente vero: ci sono anche per i precari delle blande forme di sussidio, peraltro riorganizzate e implementate di recente dalla riforma Fornero e ribattezzate MiniAspi e una tantum. Certo queste misure sono ancora scarsamente finanziate e perciò largamente insufficienti, e non bastano a poter definire il nostro welfare davvero «universalistico», cioè capace di sostenere chiunque abbia bisogno. La gran parte dei parlamentari delle ultime legislature che si sono concentrati sul tema del lavoro - Pietro Ichino, Benedetto Della Vedova, Marianna Madia, Tiziano Treu, Cesare Damiano, Maurizio Castro solo per citarne alcuni - ha insistito sulla necessità di riformare gli ammortizzatori sociali.
Nel programma del M5S si scopre che anche i grillini la pensano così. Ma che intendono, nel dettaglio, con «sussidio di disoccupazione garantito»? La frase del programma è iper-sintetica e non consente di capire a fondo in quale direzione vogliano spingere i neoparlamentari a 5 stelle. Bisogna allora rifarsi alle parole di Beppe Grillo, che nei comizi elettorali ha giocato molto spesso questa carta, riassumibile nello slogan «Mille euro a tutti». O meglio: «Il lavoro non c'è più. Io voglio fare solo una cosa: mettere la possibilità di sopravvivere senza un lavoro. Fare un reddito di cittadinanza: allora hai tre anni di tempo per cercarti un lavoro che ti compete un po' di più, perché accettare qualsiasi lavoro non è lavoro» - questa la trascrizione letterale di un passaggio di uno dei comizi dello Tsunami tour: «Abbiamo bisogno di soldi, dove li prendiamo i soldi per fare il reddito di cittadinanza? Immediatamente: le pensioni. Basterebbero le pensioni. Ci sono 125mila persone in Italia che percepiscono una pensione che va da 10mila a 90mila euro al mese. Si va lì e si dice: "scusate, siamo in emergenza, vi diamo 4mila euro al mese, potete vivere". Sono 7 miliardi, questi 7 miliardi recuperati con una circolare, non ci vuole nulla». E ancora: «Non devi mortificare la gente per il lavoro. Perché andare a cavare carbone al Sulcis a 1000 metri non è lavoro a 1.200 euro al mese. Non è lavoro vedere mio figlio laureato, i vostri figli laureati, che vanno in un call center a 400 euro al mese. Che ci vadano i figli della Fornero lì. Noi vogliamo che uno abbia un tempo di tre anni con mille euro al mese, non muori perlomeno. Poi ti offriamo tre lavori, se non li accetti perdi il sussidio, come in tutte le parti del mondo civile. Ma per lo meno hai un momento per sceglierti qualcosa adatto a te, e non diventi un frustrato».
Tra le altre voci di spesa che Grillo individua per reperire fondi («I soldi li troviamo, li prendiamo») ci sono l'abolizione dei finanziamenti ai partiti (quantificata in «3 miliardi» da mettere «in un conto nella banca di Stato»), poi «1 miliardo che paghiamo con le nostre tasse ai giornali, per prenderci per il culo», «le province: 11 miliardi», «2,2 miliardi per fare la Tav che non serve a niente». E fin qui siamo a 24,2 miliardi di euro. E poi «via il doppio incarico, via i vitalizi, via la pensione dopo 35 mesi, via segretari, via macchine blu, via le scorte», e ancora «accorpiamo i comuni sotto i 5mila abitanti»: ma questi tagli non sono quantificati. È peraltro ragionevole pensare che ciascuno di questi comporterebbe anche perdita di lavoro per migliaia di addetti. Ma non divaghiamo.
In sostanza, analizzando la proposta del «sussidio di disoccupazione garantito» attraverso le parole di Grillo, si capisce che essa è un ibrido tra un reddito di inserimento e una indennità di inoccupazione-disoccupazione. Chiamarlo «reddito di cittadinanza» è abbastanza improprio, perché dalla spiegazione della proposta si evince che questo sussidio avrebbe un tempo limitato e soprattutto che verrebbe erogato solo a condizione che il beneficiario si impegni a cercare attivamente lavoro - anche se non è chiaro a chi spetterebbe di offrire le tre opportunità di lavoro, dopo averne valutata la congruità con il profilo professionale, e a sanzionare con la sospensione del sussidio chi rifiuta troppe volte. I centri per l'impiego pubblici? Le agenzie per il lavoro private? O un nuovo sistema che gestisca l'incontro domanda-offerta?
Resta il fatto che dare mille euro al mese per tre anni anche solo ai 2,2 milioni di neet under 29 italiani costerebbe oltre 26 miliardi di euro all'anno. 80 miliardi di euro sui tre anni. Garantire questi mille euro, in aggiunta, a tutti i 300mila giovani che si laureano ogni anno nelle università italiane, e che dunque si affacciano al mercato del lavoro cercando qualcosa di coerente con ciò che hanno studiato, costerebbe altri 3 miliardi e 600 milioni di euro all'anno, dunque oltre 10 miliardi di euro complessivi per il triennio.
Questi numeri sono calcolati per difetto, perché escludono tutti i giovani "anzianotti" (over 29) disoccupati e sottoccupati, e in generale tutti gli adulti senza impiego. Volendo dunque tagliare la testa al toro facendo un calcolo più aderente alla realtà, e ipotizzare una platea di 5 milioni di italiani per questa misura, il budget complessivo necessario schizza a 60 miliardi di euro all'anno.
È davvero un costo sostenibile per le casse dello Stato? Con i tagli alle spese inutili o ingiuste Grillo promette di trovare una trentina di miliardi di euro all'anno: meno della metà della cifra necessaria ad attuare quel punto programmatico. Inoltre altre parti del programma dei 5 stelle, sia scritte sia enunciate a voce nei comizi, prevedono da una parte nuove spese a carico dello Stato (per «impedire lo smantellamento delle industrie alimentari e manifatturiere con un prevalente mercato interno», «favorire le produzioni locali», «sostenere le società no profit», sviluppare «tratte ferroviarie legate al pendolarismo», coprire «l’intero Paese con la banda larga», incentivare «i mercati locali con produzioni provenienti dal territorio», «investire sui consultori familiari» - solo per fare alcuni esempi - servirebbero necessariamente aiuti e/o investimenti statali) e dall'altra l'abbassamento delle tasse e dunque minori introiti per le casse pubbliche: l'abolizione dell'Irap, gli sgravi contributivi alle imprese che assumono under 35, l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di pagare i propri creditori entro 60 giorni, e le altre misure - peraltro largamente condivisibili - proposte dai 5 stelle sembrano dimostrare quantomeno una scarsa dimestichezza con la questione del bilancio dello Stato. Senza contare che realizzare altri punti del programma - specialmente il «blocco immediato del Ponte sullo Stretto» e il «blocco immediato della Tav in Val di Susa» - comporterà il dovere da parte dello Stato di pagare penali milionarie alle aziende aggiudicatarie.
La politica è certamente l'arte di immaginare un futuro migliore. Ciascun partito ha le sue idee, ed è giusto che proponga una ripartizione della spesa pubblica mirata a sostenere le azioni e le misure che il suo programma e il suo elettorato ritengono prioritarie.
Il problema, però, è quando si promette ai cittadini qualcosa che - salvo miracoli - sarà impossibile mantenere. Come fece Berlusconi nel 2001, quando promise «un milione di posti di lavoro». Lo ha fatto sempre Berlusconi anche in questa campagna elettorale, giurando ai cittadini che avrebbe rimborsato integralmente e immediatamente le quote pagate per l'Imu: una misura che sarebbe costata 8,6 miliardi a Stato e Comuni per il solo 2013 (il calcolo è del Sole 24 Ore), promessa che quasi sicuramente, se avesse vinto, il PdL non sarebbe riuscito ad onorare - quantomeno nei tempi prospettati in tv. Lo ha fatto la Lega nelle ultime regionali in Lombardia, promettendo di trattenere il 75% delle tasse dei suoi cittadini in Regione, cosa che difficilmente riuscirà a realizzare senza il completo accordo (scarsamente probabile) di governo e parlamento. Lo hanno fatto tanti altri, sempre, a tutte le tornate elettorali perché promettere non costa niente.
In fondo, insomma, il problema è sempre quello. Studiare bene, fare proposte dettagliate, spiegare chi e quanto e come. E sopratutto con quali soldi. Altrimenti le promesse dei programmi finiscono per risultare luccicanti involucri senza contenuto, irrealizzabili per mancanza di fondi.
Gli ammortizzatori sociali universalistici e il reddito minimo garantito, in particolare, c'è chi li studia da anni, avendone definito con esattezza platea e costi. Così come le riforme del diritto del lavoro, la loro aderenza con il mercato di oggi e di domani e con le esigenze delle imprese, per trovare una quadra tra il necessario grado di flessibilità in entrata e in uscita e le giuste garanzie da assicurare ai lavoratori. Sono temi complessi, che non possono e non devono essere banalizzati. Neanche con la miglior buona fede del mondo.

Eleonora Voltolina

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