I Neet sono quei giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano, non compiono una formazione e non lavorano. L’acronimo – not in employment, education or training – è stato coniato in Inghilterra alla fine degli anni ’80 ma si è diffuso solo negli ultimi anni, specie da quando la crisi ha aggravato la disoccupazione giovanile. In Europa rientrano nella categoria ben 7 milioni e mezzo di persone, distribuite tra tutti gli stati membri a eccezione del Lussemburgo (che però non fa molto testo, avendo una popolazione pari a meno di mezzo milione di abitanti).
L’anteprima di una recentissima ricerca dell’Eurofound – European foundation for the improvement of living and working conditions – evidenzia che i Neet non solo sono uno spreco di risorse umane ma rappresentano anche un enorme costo sociale e un pericolo politico. Essere Neet non è infatti solo un problema individuale ma un danno per tutta la società e l’economia. A livello privato, fare parte di questa fascia anche per un breve periodo equivale a un aumento dell’isolamento sociale, della possibilità di trovare solo lavori sottopagati e temporanei, di essere più portati alla criminalità e più soggetti a malattie e problemi mentali. A livello pubblico il rapporto calcola che il costo della disoccupazione dei Neet nella sola Europa sia di 2 miliardi di euro a settimana, sommando mancati guadagni e spesa per sussidi pubblici. Il fenomeno è più grave in Bulgaria, dove incide per una cifra pari al 2,6% del Pil, in Irlanda con il 2,1%, e in Italia, che con più di 1 milione di Neet perde annualmente 26 miliardi, mezzo miliardo a settimana: cioè l’1,7% del Pil. E i numeri potrebbero essere anche più alti perché il rapporto non tiene conto dei costi di giustizia e sanità, né delle tasse non pagate. Se poi si prende in considerazione la fascia d’età 15-29 anni come ha fatto poche settimane fa Bankitalia nella sua indagine sulle Economie regionali i Neet risultano essere addirittura 2,2 milioni.
Il dilagare dei Neet è anche connesso alla sfiducia nelle istituzioni, considerate incapaci di risolvere i problemi dei cittadini. Così rispetto alla media dei giovani che lavorano è molto più bassa la percentuale di Neet, specialmente se disoccupati, che votano o almeno si dicono interessati alla politica.
Quali sono le risposte al problema? La maggioranza degli Stati usa un approccio combinato per fornire ai Neet competenze professionali e creare maggiori e migliori opportunità occupazionali, specie nei confronti dei più svantaggiati, come disabili poveri e figli d’immigrati.
Anche se un alto livello di educazione non è più una garanzia di ottenere un posto, uno degli obiettivi principali dell’Unione europea rimane quello di ridurre gli abbandoni scolastici a meno del 10%. Le misure in questo senso sono diverse: aumentare e ampliare i corsi di formazione professionale, allungare l’istruzione obbligatoria e incrementare la presenza di insegnanti di sostegno per gli studenti a rischio.
Un altro modo per diminuire il numero dei Neet è facilitare il passaggio dalla scuola al lavoro. Anche qui sembra più efficace diversificare i metodi: è importante dare prima di tutto orientamento e poi informazioni e aiuto su come cercare un’occupazione. Possono essere validi gli stage e soprattutto gli apprendistati, che qualcuno riesce a svolgere anche all’estero grazie alle borse di mobilità europea come il programma Leonardo. Ma questi strumenti nascondono anche abusi, come hanno dimostrato l’europarlamentare Emilie Turunen, lo European Youth Forum e per l’Italia la Repubblica degli Stagisti promuovendo la Quality Charter of Internships and Apprenticeships: quindi certamente il loro utilizzo può contrastare il fenomeno dei Neet, ma a patto di essere ben normato e monitorato, cosa che ad oggi non sempre avviene. Inoltre molti Paesi hanno introdotto incentivi per le aziende che assumono giovani o aiuti per i ragazzi che vogliono creare un business o mettersi in proprio.
Per avere dati certi sull’efficacia concreta di queste iniziative bisognerà però attendere la metà del 2012, quando l’Eurofound renderà pubblici i risultati di una rilevazione ad hoc sulle strategie anti-Neet. Nel frattempo purtroppo l’esercito dei Neet continua ad ingrandirsi, soprattutto in Italia: probabilmente il fatto che queste persone non vadano ad aumentare le statistiche dei disoccupati determina un certo disinteresse da parte della classe politica.
La speranza è che il mezzo milione di euro di perdita a settimana calcolato da Eurofound induca i governanti ad avviare una riflessione quantomeno economica: se il problema non viene ritenuto urgente dal punto di vista sociale, forse guardarlo dal punto di vista delle casse dello Stato potrebbe innescare finalmente una reazione.
Valentina Navone
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