Una sentenza della Corte costituzionale boccia il famoso articolo 11 del decreto legge 138/2011 sugli stage. Quello che aveva escluso i diplomati e laureati da oltre 12 mesi dalla possibilità di fare stage, e che aveva ridotto a un massimo di 6 mesi la durata di tutti gli stage extracurriculari. Lo fa rispondendo a vari ricorsi presentati mesi fa dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria e Sardegna, rigettando la difesa della presidenza del Consiglio dei ministri che aveva affermato che la norma contestata aveva lo scopo di «fornire una disciplina uniforme dei tirocini formativi e di orientamento non curriculari, con l’obiettivo di contenere gli abusi nell’utilizzo di tale strumento e consentire la formazione e l’orientamento dei giovani a stretto contatto con il mondo del lavoro» e che di conseguenza rientrava «nella materia di competenza esclusiva statale relativa alla "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali"».
L'intento dell'articolo 11, insomma, era semplicemente quello di garantire su tutto il territorio italiano «livelli essenziali di tutela nella promozione e nella realizzazione dei tirocini formativi e di orientamento».
Niente da fare: la Corte ritiene che ci sia stata un'invasione di campo. Nella sua sentenza ricorda di essersi già pronunciata nel 2005, affermando che «la competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale "riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a ciò destinati, sia mediante strutture proprie che le singole Regioni possano approntare in relazione alle peculiarità delle realtà locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi" e che «la giurisprudenza successiva ha avuto modo di precisare, peraltro, che i due titoli di competenza non sempre appaiono "allo stato puro"» (viene citata la sentenza 176/2010 sull’apprendistato) «ed ha chiarito che il nucleo «di tale competenza, che in linea di principio non può venire sottratto al legislatore regionale […] – al di fuori del sistema scolastico secondario superiore, universitario e post-universitario – cade sull’addestramento teorico e pratico offerto o prescritto obbligatoriamente […] al lavoratore o comunque a chi aspiri al lavoro». Insomma non si deve fare confusione tra competenza legislativa regionale di carattere residuale e competenza concorrente in materia di istruzione, e neanche con quella in materia di professioni, pur «nel quadro della esclusiva potestà statale di dettare le norme generali sull’istruzione».
Dopo tutto questo ragionamento, la Corte costituzionale conclude che lo Stato - all'epoca era in carica il governo Berlusconi e il ministro del lavoro era Maurizio Sacconi - ha sbagliato a emanare una legge in materia di stage: «Alla luce del menzionato, costante orientamento di questa Corte, appare evidente che il censurato articolo 11 si pone in contrasto con l’articolo 117, quarto comma, Cost., poiché va ad invadere un territorio di competenza normativa residuale delle Regioni». Questo perché «interviene a stabilire i requisiti che devono essere posseduti dai soggetti che promuovono i tirocini formativi e di orientamento» e poi «dispone che [...] i tirocini formativi e di orientamento non curricolari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere rivolti solo ad una determinata platea di beneficiari». E in questo modo «la legge statale – pur rinviando, nella citata prima parte del comma 1, ai requisiti "preventivamente determinati dalle normative regionali" – interviene comunque in via diretta» in una materia in cui non può avere voce in capitolo.
La Corte rigetta l'interpretazione secondo cui lo Stato avrebbe facoltà di legiferare anche in materie di cosiddetta "competenza regionale", applicando l'articolo 117, secondo comma, lettera m della Costituzione. Spiega infatti che il diritto di stabilire «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» non può «essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione […], mediante la determinazione dei relativi standard strutturali e qualitativi, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione stessa». Alla Corte appare «evidente», invece, «che nel caso in esame si è fuori da simile previsione, e ciò a prescindere da ogni valutazione in merito alle finalità perseguite con l’intervento normativo statale».
Insomma la Corte costituzionale non ritiene che garantire standard minimi di qualità e tutela a tutti gli stagisti sul territorio italiano sia prioritario. E dunque dichiara l'articolo 11 del decreto legge 138/2011, poi convertito in legge 148/2011, «costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione». La decisione di questa sentenza risale all'11 dicembre ed è stata depositata in Cancelleria il 19: l'ultimo passaggio che rimane è quello della pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
Di fatto, in questo modo i giudici della Corte costituzionale aprono una porta molto pericolosa: quella che porta alla leopardizzazione delle condizioni e sopratutto dei diritti degli stagisti italiani. E le linee guida nazionali promesse dalla Fornero? Arriveranno a gennaio. Ma sembra proprio che non potranno avere la forza di vincolare le Regioni a un determinato comportamento: e questa sentenza limita ancor di più il loro raggio d'azione.
Eleonora Voltolina
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