Alessandro Rosina: io sto con gli indignati, ma l'indignazione deve essere costruttiva

Scritto il 17 Ott 2011 in Editoriali

Io sto con gli indignati. Del resto nella prima pagina del mio libro Non è un paese per giovani si parla di generazione “rapinata” e l’introduzione finisce con la frase: «Proprio da questi giovani l’Italia può ripartire. Ma solo se avranno l’arrogante audacia di lottare senza timori reverenziali, il creativo coraggio di riattivare un conflitto generatore di cambiamento; la lucida determinazione di rompere una volta per tutte la lunga tregua generazionale che blocca in un abbraccio soffocante le energie più vigorose del nostro paese».
stageIo quindi non posso che stare dalla parte degli indignati, ma non per questo condivido in toto le loro posizioni. Il movimento ha certo varie anime, ma quella che più si è distinta ha espresso le proprie idee in una lettera inviata al presidente Napolitano e a questa farò riferimento.

Vi si trova scritto che  «La questione non si risolve togliendo i diritti a chi li aveva conquistati, i genitori, ma riconoscendo diritti a chi non li ha». Si nega di fatto che esista una questione generazionale che invece c’è, soprattutto nel nostro paese. La loro attenzione è concentrata sulla crisi, le sue cause e i suoi effetti, perché il movimento italiano va a rimorchio delle iniziative e delle riflessioni sviluppate in altri paesi, dalla Spagna fino agli Stati Uniti. Ma i problemi italiani che frenano la crescita e marginalizzano i giovani sono in larga parte precedenti alla recessione. La crisi ha certo accentuato tutto. Ma noi avevamo già un debito pubblico alle stelle, avevamo già un tasso di occupazione giovanile molto basso, scarsi investimenti in ricerca e sviluppo, un welfare pubblico inadeguato.  Non si può pensare che tutto questo sia solo colpa della speculazione internazionale.

stageNegli Stati Uniti il bersaglio è Wall Street, da noi Piazza Affari e Bankitalia. Ma se l’occupazione della Borsa americana a cui mirano i giovani indignati statunitensi rappresenta simbolicamente un attacco al cuore al modello di sviluppo economico dominante, l’analoga operazione sulla Borsa italiana appare invece un’imitazione sbiadita e di scarsa efficacia, considerata anche la marginalità di quest’ultima nel sistema finanziario globale. Ha più senso, allora, ed è più originale il Dito medio di Maurizio Cattelan, opera d'arte provocatoria ormai da mesi esposta di fronte alla sede milanese della Borsa.

Forse, anche per questo, l’attenzione si è spostata su Mario Draghi. Ma anche questo bersaglio sembra poco convincente. La Banca d’Italia è diventata un punto di riferimento centrale per i dati e le analisi su quello che non funziona in questo paese e su quanto marginalizzate siano state le nuove generazioni. Da anni gli interventi di Draghi si sono incentrati sull’importanza di riforme che mettano i giovani al centro della crescita riducendo nel contempo le disuguaglianze sociali e gli squilibri generazionali. Quelle di Draghi non sono solo vaghe parole sui giovani, sono interventi puntuali e documentati. Nel caos italiano e nella caduta di credibilità del nostro paese, la Banca d’Italia e il suo Governatore, con tutti i loro limiti, sono rimasti tra i pochi solidi punti di riferimento anche per i nostri interlocutori internazionali.

Infine, la questione del debito è giusta ed è comprensibile la provocazione di rifiutarsi ad accollarselo. Certo non si può però rinnegarlo, non può farlo un paese grande e complesso come il nostro. Ma se ci fosse un governo credibile che proponesse un piano di rientro che  carica la maggior parte dei costi sulle generazioni più adulte e mature, ovvero su quelle che l’hanno creato, penso troverebbe il consenso dei più. Proprio la questione del debito pubblico, ma non solo, fa capire che c’è un patto generazionale che è saltato. Nessuna generazione ha diritto di difendere il proprio benessere scaricando i costi così pesantemente su quelle successive. Questo in Italia è successo e questo non deve più accadere, con o senza vincolo del pareggio di bilancio da mettere nella Costituzione.

Quindi, io sto con gli indignati: ma più con quelli che vogliono far tornare il paese a crescere con un modello di sviluppo che metta al centro le nuove generazioni che con quelli genericamente e ideologicamente antisistema.

Alessandro Rosina

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