Troppi voti alti a scuola e all'università, a rimetterci è il merito

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 27 Ago 2012 in Approfondimenti

È davvero così importante nella vita avere dei buoni voti a scuola o all'università? Non tutti sono d'accordo. Una cosa però è certa: se i voti alti sono elargiti con facilità, e invece di premiare chi ottiene i risultati migliori diventano una meta alla portata un po' di tutti, perdono completamente significato. Non è la prima volta che la Repubblica degli Stagisti si occupa della questione della media crescente di punteggi di laurea (e il discorso si estende anche alla scuola superiore), per denunciare come il rischio sia quello di far scadere il valore reale delle votazioni più alte.
Il fenomeno in effetti sembra in continua crescita. Per farsi un'idea della situazione basta prendere i dati di Almalaurea degli ultimi anni e analizzare i voti medi di laurea negli atenei soggetti a rilevazione. Senza soffermarsi sulle differenti facoltà, perché è noto che ad alcuni rami di studio  –  come quelli legati alle lettere – sono associate medie più alte rispetto a facoltà scientifiche, come ingegneria, o più tecniche (benchè formalmente «umanistiche») come giurisprudenza o economia. Anno 2006, il record: dal database di Almalaurea emerge che su 61 atenei presi in considerazione il voto medio di laurea magistrale arriva a 109,3, a un soffio dal punteggio massimo. Il 2007 e il 2008 si equivalgono più o meno con rispettivamente 108,8 e 108,7 di media. Fino a poi scemare via via fino allo 'scarsissimo' 107,8 del 2011 che fa quasi pensare a un ravvedimento dei professori, forse improvvisamente consci che dei 110 assegnati con troppa leggerezza non portano molto lontano.
La media dei voti degli esami po
i non si sposta mai dal 27, quello che un tempo era considerato un voto da festeggiare. Stesso discorso per le lauree magistrali a ciclo unico, analizzate dal 2006 al 2011: qui si parte da un voto medio di 106 di sei anni fa per arrivare al 104,4 dell'anno scorso. A onor del vero fanno eccezione gli studenti del «vecchio ordinamento». A loro voti ben più miseri: per i veterani si oscilla infatti dal 99 al 102 negli ultimi sei anni. Certo, non si può tralasciare una considerazione: quelli che si laureano oggi con il vecchio ordinamento sono probabilmente studenti-lavoratori, persone magari non più giovanissime iscritte all'università da prima del 2001 (quando entrò in vigore la riforma del sistema universitario), e che presumibilmente non hanno dedicato tutto il proprio tempo agli studi. A differenza delle nuove leve uscite dalla riforma post 2001, sicuramente più giovani e impegnati nella carriera accademica: ma ciò non può giustificare un'impennata di questa portata nei punteggi finali, a meno che si voglia ipotizzare una generazione di superdotati.
La politica della 'manica larga'
colpisce trasversalmente le università italiane da nord a sud e sta creand
o un paradosso: invece di allineare gli studenti italiani agli standard europei e rendere i loro titoli di studio più competitivi, finisce col penalizzarli appiattendoli tutti su un 110 che poco dice sugli effettivi meriti e capacità. Va comunque sottolineato che le differenze tra atenei ci sono, a volte anche in una sola città: è il caso di Milano, dove allo Iulm nel 2011 la media di voto è di 97, mentre schizza di dieci punti, fino a 107, per il San Raffaele. Così come Foggia e Bari distanziano il Politecnico di Torino di ben 5 punti: la media è 100 al nord, 105 nei primi due atenei. Ma è il trend generale, dato dalla somma di tutte le università italiane, quello che va considerato e che suscita preoccupazione.
Per il voto di diploma la situazione non si discosta di molto: i dati del Miur, affiancati a quelli di Almadiploma, dimostrano però che i 100 sono infatti variati in negativo tra il 2004 e il 2008 (l'arco temporale analizzato dal Miur), passando dai 43mila di otto anni fa e ai 28mila del 2008.
Qui fa scalpore la concentrazione del punteggio massimo al Sud: se per esempio nel 2005 in Lombardia è stato il 7% dei maturandi a diplomarsi con 100, in Campania la percentuale già saliva a 9%, e in Calabria arrivava all'11%. Il che significa oltre uno studente su dieci diplomato col punteggio massimo: e i maligni pensano che spesso i prof siano di manica larga per garantire ai loro allievi quella riduzione delle tasse universitarie di cui possono usufruire le «matricole» uscite dalla scuola superiore con il massimo dei voti.
Di recente il governo Monti ha aperto la strada a una discussione in merito allo spinoso tema dell'abolizione del valore legale del titolo di studio, ipotesi che spacca a metà detrattori (che vedono in ciò un colpo infe
rto al diritto allo studio) e sostenitori a cui sembra buona l'idea di non far equivalere gli istituti universitari tra loro ma farli competere per migliorarli. Anche perché le ricadute sul mondo del lavoro non sarebbero da poco. Il 110 di un 'diplomificio' non spianerebbe la strada allo stesso modo che a un candidato laureato con il massimo in un'università prestigiosa e difficile. Così come un capo delle risorse umane saprebbe davvero chi ha davanti se gli si presentasse un soggetto  che ha ottenuto un sudatissimo 110 in una facoltà dove il punteggio massimo è dato solo a chi davvero si distingue dagli altri, e non «a pioggia». Ma la questione del merito è complessa, e chissà perché continua a far storcere il naso a molti.

Ilaria Mariotti

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