Abolizione del valore legale dei titoli di studio, i pro e i contro

Andrea Curiat

Andrea Curiat

Scritto il 10 Apr 2012 in Interviste

Quali sarebbero gli effetti di un’abolizione del valore legale dei titoli di studi? La tematica riguarda tanto il valore dei diplomi scolastici quanto quello di lauree e master; il dibattito, però, si concentra prevalentemente sugli effetti concreti per il mondo dei laureandi e dei laureati, che siano giovani o meno giovani. Il partito dei Radicali Italiani ha lanciato un appello per procedere alla “liberazione” dell’università italiana.
stageMarco Beltrandi, deputato dei Radicali tra i promotori dell’appello, spiega: «La nostra proposta consiste di due parti. Prima di tutto, l’abolizione del valore legale del titolo di studio, che significa sostanzialmente riconoscere quello che già oggi è sempre più vero nei fatti. Il livello delle università italiane è così diseguale che una laurea presa a Bologna o a Milano non ha lo stesso valore rispetto a una conseguita in altri atenei meno validi. Attribuire lo stesso valore ai due titoli all’interno dei concorsi rappresenta una finzione priva di senso».
La seconda parte della proposta dei Radicali è strettamente legata alle conseguenze della prima: «Eliminando il valore legale dei titoli di studio, evidentemente, si crea una vera competizione tra le università per attrarre i migliori professori e studenti. Questa è una ricaduta positiva, perchè siamo convinti che sia proprio la concorrenza l’elemento chiave per il miglioramento degli istituti. Se però si introduce una vera competizione, bisogna anche far sì che le università abbiano maggiore libertà nel reperire i finanziamenti. Da un lato stabilendo con maggiore libertà l’ammontare delle quote di iscrizione; dall’altro attingendo anche ai capitali privati delle imprese per finanziare in parte la ricerca».
Beltrandi poi risponde così alle obiezioni di chi afferma che l’abolizione del valore legale causerebbe disparità nel diritto d’accesso allo studio, favorendo di fatto gli studenti ricchi che possono permettersi l’iscrizione alle università migliori: «È chiaro che le due riforme andrebbero accompagnate a un sistema più efficiente di borse di studio pubbliche per gli studenti meritevoli. I dislivelli, in realtà, ci sono già oggi. I ragazzi italiani che vanno all’estero a lavorare si sentono chiedere prima cosa hanno studiato, e poi in quale università si siano laureati. Perchè? Semplice: non tutti gli atenei offrono la stessa formazione. Certo, non mi illudo che il diritto di studio verrà garantito a tutti. Ci sarà sempre chi non potrà permettersi tale o talaltra università. Oggi però l’appiattimento è verso il basso. Paradossalmente uno studente meritevole che si laurei in un’ottima università viene valutato, nei concorsi, quanto uno che ottiene la stessa laurea in un ateneo mediocre».

stageDi tutt’altro avviso, invece, la Flc Cgil, il sindacato dei lavoratori della conoscenza. Secondo il segretario generale Mimmo Pantaleo «viviamo in un Paese in cui non ci sono pari opportunità e il diritto allo studio viene negato a migliaia di giovani. Molte ragazze e ragazzi sono costretti a frequentare l’università nei propri luoghi di residenza o di nascita, perchè le famiglie non possono permettersi di supportarne gli spostamenti fuori sede. L’abolizione del valore legale del titolo di studi porterà a una disparità tra un’università e l’altra, ma purtroppo non tutti potranno permettersi di accedere a quella migliore». Per quanto riguarda la possibilità di colmare il divario con borse di studio, Pantaleo è scettico: «Ma se oggi si sta addirittura tagliando del 60% il fondo per il diritto allo studio! Mancano le risorse ed è qui che bisognerebbe intervenire, non sul valore legale. Che senso ha creare università di serie A e di serie B proprio quando ci sono tagli fortissimi e molti atenei non riescono neanche a coprire il turnover dei docenti?».
Anche i benefici di una misura del genere, secondo il segretario generale, sarebbero inesistenti: «Nei concorsi pubblici quale sarebbe lo strumento alternativo di giudizio rispetto al titolo di studi? L’università di provenienza? Già oggi qualsiasi impresa, nel processo di selezione, non va a valutare l’ateneo dal quale provengono i ragazzi, ma le loro competenze concrete. Ecco allora che il problema da affrontare è un altro: garantire che a ogni laurea corrispondano contenuti effettivi di formazione e ricerca, basati su standard realmente condivisi. Non vogliamo introdurre la competizione tra le università, ma fare sì che tutto il sistema universitario nel suo insieme migliori i propri standard qualitativi». La discussione sul valore legale, conclude Pantaleo, «è puramente ideologica e vorrebbe spalancare le porte alla privatizzazione dell’università in Italia.


Andrea Curiat


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