Stage nei tribunali, se lo Stato illude chi ha perso il lavoro invece di aiutarlo

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 16 Gen 2015 in Editoriali

Cosa si aspetta dallo Stato una persona che perde il lavoro? La risposta è scontata: un aiuto economico e un sostegno per trovare al più presto un altro impiego. Una aspettativa semplice. Ma lo Stato italiano vacilla su entrambi i fronti.  Il sussidio, quando c'è, è magro; ma sopratutto il sostegno attivo alla ricerca di lavoro è scarsissimo. In alcuni casi si raggiunge un vero paradosso: capita che lo Stato “imprigioni” le persone a cui sta offrendo un sussidio economico, costringendole per mesi o anni a impiegare il proprio tempo non nella ricerca di un lavoro vero, ma incastrati in attività che non potranno dare sbocchi occupazionali.

Il caso che la Repubblica degli Stagisti presenta oggi attraverso la sua inchiesta fa parte di questa categoria e ha dell'incredibile. Si tratta di quasi 3mila persone, età media 40 anni; tra loro vi sono anche molti over cinquanta. Persone che fino all'inizio della crisi avevano un lavoro normale in aziende private, che a un certo punto hanno aperto procedure di cassa integrazione e mobilità. Qui ci sarebbe da aprire una parentesi su come questi strumenti vengono usati malamente, sul fatto che spesso vengono messi “in cassa” anche lavoratori di aziende decotte, pur sapendo gli amministratori pubblici che esse non si riprenderanno mai e che non avranno mai più la forza di reintegrare quelle persone; andando così contro al principio basilare della cassa, e cioè quella di accompagnare solo temporaneamente i lavoratori, non far loro perdere il posto mentre l'azienda si riprende, si riorganizza, rilancia il suo business, e torna in grado di accoglierli e di pagare nuovamente i loro stipendi. Ma questa parentesi ci porterebbe troppo lontano, dunque prendiamo solo il fatto nudo e crudo: 3mila persone lasciate a casa dal lavoro.

Queste persone cominciano a percepire il sussidio. A un certo punto viene loro proposto dai centri per l'impiego che li hanno in carico, anziché restare a casa senza far niente, di fare un tirocinio. Per incentivarli si propone anche una integrazione del sussidio: una indennità aggiuntiva di 10 euro lordi, all'inizio per ogni giorno, poi per ogni ora di tirocinio effettuata. Alla prospettiva di portare a casa qualche soldo in più quasi tutti, specialmente chi ha famiglia, difficilmente si dice di no.

È bene qui ricordare che con la Repubblica degli Stagisti da sempre affermiamo che il tirocinio non è uno strumento adatto ai senior. Esso dovrebbe essere usato, e con parsimonia, solo per quelle persone che non hanno esperienza del mondo del lavoro; i giovani e alcune categorie di soggetti deboli per i quali l'esperienza di tirocinio diventa anche occasione di socializzazione e sviluppo personale (carcerati, rifugiati, ex tossicodipendenti...). Noi sosteniamo che un 50enne che ha magari alle spalle vent'anni di esperienza lavorativa non possa essere ridotto al rango di “stagista”, magari mentre anche suo figlio fa uno stage. Ma questa è solo la nostra modesta posizione: la legge vigente non pone limiti anagrafici all'utilizzo di questo strumento, e dunque i centri per l'impiego non hanno fatto niente di illegale proponendo a queste persone il tirocinio.

Il problema è dove questi cpi vogliono piazzare queste persone in tirocinio. Qui si apre la questione: perché il luogo di destinazione, il “soggetto ospitante” come si dice in gergo tecnico, sono gli uffici giudiziari. Che notoriamente soffrono di una cronica mancanza di personale: nel panorama delle pubbliche amministrazioni, spesso piene di personale inutile con scarsa produttività, gli uffici che amministrano la nostra giustizia sono invece inspiegabilmente sempre sotto organico. Ci vorrebbe una decisa iniezione di nuovo personale: dunque assunzioni nuove, attraverso concorso, o spostamento di dipendenti pubblici già assunti, da amministrazioni dove sono in esubero agli uffici giudiziari dove ce n'è così bisogno. Ma le nuove assunzioni costano soldi e i trasferimenti obbligati costano consenso politico. Dunque i Tribunali restano sotto organico. E gli amministratori pubblici si scervellano per trovare dei tappabuchi.

Con la Repubblica degli Stagisti già anni fa avevamo denunciato l'utilizzo di giovani laureandi e neolaureati in Giurisprudenza, che in virtù di convenzioni tra università e uffici giudiziari venivano inseriti per qualche mese – completamente gratis – nei Tribunali e nelle Procure. Avevamo riportato per esempio le parole del procuratore capo di Napoli, Giovandomenico Lepore, che nel 2010 aveva annunciato un protocollo d'intesa tra gli uffici partenopei e l'università Federico II per l'attivazione di 270 stage dicendo appunto: «Un malessere comune a tutti gli uffici giudiziari è la mancanza di personale, così questo accordo è un'occasione importante sia per noi che per i ragazzi». Stagisti dunque per coprire buchi di organico della amministrazione giudiziaria. Il segreto di Pulcinella: tutti lo sanno, nessuno dice una parola.

E così si torna alla nostra storia. Correva l'anno 2010 quando primi “gerontotirocinanti” hanno accettato e sono entrati nei Tribunali: prima in Lazio, poi anche in molte altre Regioni, fino a sfiorare appunto il numero di 3mila. Come leggerete nella nostra inchiesta, dal 2010 al 2014 queste persone sono state “imprigionate” in questi stage, prorogati di anno in anno in spregio a qualsiasi normativa. Il vecchio decreto ministeriale 142/1998, che ha regolamentato la materia fino al 2013, prevedeva infatti esplicitamente all'articolo 7 che la durata massima fosse «non superiore a sei mesi nel caso in cui i soggetti  beneficiari siano lavoratori inoccupati o disoccupati ivi compresi quelli iscritti alle liste di mobilità». E il limite è stato mantenuto anche, dopo il 2013, con le nuove leggi regionali: quella del Lazio per esempio prevede esplicitamente la possibilità di effettuare «tirocini di inserimento o reinserimento, finalizzati a percorsi di inserimento o reinserimento al lavoro» individuandone i destinatari nelle «persone disoccupate, anche in mobilità, le persone inoccupate, nonché i lavoratori sospesi in regime di cassa integrazione ordinaria, straordinaria o in deroga, sulla base di specifici accordi regionali o ministeriali in attuazione delle politiche attive del lavoro per l’erogazione di ammortizzatori sociali», e per questa tipologia impone una durata massima «non superiore ai 12 mesi», specificando pure che «le durate massime previste sono comprensive delle eventuali proroghe del progetto formativo».

Già nel 2010 si partì dunque malissimo, con una durata doppia rispetto a quella consentita: un anno secco di stage. Ma ancor più grave è stato il proseguo. La proroga, anno dopo anno, arrivando anche a soluzioni grottesche per mascherare la palese illegalità: come quella un film già visto nel caso dei “superstage” per laureati calabresi di cambiare il nome ai tirocini. Un tentativo puerile di farli apparire “una cosa diversa”: e così i tirocini formativi per queste 3mila persone si sono trasformati nel tempo in “completamento del tirocinio” (2013) e “perfezionamento del tirocinio” (2014).

Ora che l'ultimo tirocinio si è concluso, e che la fantasia per i nomi si è esaurita, queste persone non ci stanno ad essere messe da parte. Ovviamente, si potrebbe dire. Rivendicano l'esperienza maturata in quattro anni, l'apporto prezioso fornito agli uffici giudiziari, esibiscono documenti e attestati. Molti sono alla soglia dei cinquant'anni e si rendono conto che le competenze maturate in questo maxitirocinio lungo anni saranno difficilmente spendibili in altre realtà lavorative, specialmente del settore privato.

Sono stati abbandonati dai centri per l'impiego: la politica ha pensato di parcheggiarli per qualche anno, dando loro il contentino dei 10 euro in più del sussidio normale e la parvenza di una "attività lavorativa", e di sfruttarli per coprire i buchi di organico. Ma adesso questi “gerontotirocinanti” sono diventati troppo ingombranti: non li si può più mascherare da stagisti, hanno ormai imparato tutto quello che c'era da imparare, e possono dimostrare di essere stati produttivi come dipendenti all'interno degli uffici in cui hanno prestato servizio in questi anni, con l'inquadramento farlocco (e l'ancor più farlocca “retribuzione”) da stagisti.

Noi come Repubblica degli Stagisti non siamo mai stati, e continuiamo a non essere, sostenitori degli stage negli enti pubblici che poi vengono “magicamente” trasformati in assunzioni. Denunciamo in questi casi l'utilizzo distorto che si fa del tirocinio, e mettiamo in guardia sulle aspettative fasulle che esso crea. In tempi di spending review è infatti quasi impossibile che questi stage possano poi trasformarsi in vere opportunità occupazionali; e dato che la nostra Costituzione prevede che al pubblico impiego si acceda tramite concorso, ogni assunzione “diretta” o “pilotata” di questo o quel gruppo di ex stagisti (di nuovo si ricordi la vicenda dei superstage per laureati calabresi) si configurerebbe non solo come inopportuna ma anche come illegale.

Ma in questo caso la frittata è ormai fatta. Queste quasi 3mila persone che avevano perso il lavoro nel 2010 sono state tenute pressoché “imprigionate” in questi uffici giudiziari per anni. Hanno imparato un mestiere, stabilito delle relazioni, si sono costruite una nuova identità professionale. Tutto questo non si può negare. E su tutto questo il ministro della Giustizia non può fare lo struzzo, mettendo la testa sotto la sabbia. Proprio l'altroieri il ministero ha annunciato un piano per smaltire gli arretrati giudiziari. Speriamo che non pensi di arruolare altri – nuovi – stagisti, magari tirandoli fuori dalle università o dalle liste di mobilità dei centri per l'impiego, senza prendersi carico di questi 3mila “gerontotirocinanti” che per responsabilità non certo loro, ma di insipienza e superficialità dei decisori delle politiche attive, sono stati piazzati per quattro anni a lavorare (sì, lavorare) nei Tribunali, e che ora si vorrebbe scomparissero di buon grado, in silenzio, cercandosi da soli un nuovo lavoro.

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