Umanamente, che trecento stagisti vengano assunti al termine dello stage è una bella notizia, sopratutto per la Repubblica degli Stagisti che ogni giorno si batte proprio perché nei percorsi di tirocinio vengano garantiti qualità, rimborso spese e concrete possibilità di assunzione dopo. Politicamente, però, che ai superstagisti calabresi venga promesso «Vi assumeremo», attraverso un emendamento ad hoc, quando alla fine dello stage mancano ancora nove mesi e invece ne mancano soltanto tre alle elezioni regionali, è un po' meno bella, come notizia. A livello di finanze pubbliche, poi, che ciascuna di queste assunzioni venga a costare oltre 50mila euro alle casse della Regione Calabria (e cioè ai contribuenti) non è una gran vittoria. Anche se, come dicono i consiglieri regionali, i fondi verranno reperiti attraverso un virtuosissimo taglio dei costi della politica. E infine, nell'ottica dello snellimento della pubblica amministrazione, una prospettiva di 300 nuovi dipendenti pubblici in Calabria non è proprio entusiasmante, anche se indubbiamente si tratterebbe di dipendenti giovani e brillanti.
Ma su tutto questo si potrebbe, volendo, mettere una pietra sopra. Si potrebbe dire «Va bene, abbiamo speso tanti soldi, abbiamo aumentato il numero dei dipendenti pubblici, però guardate: abbiamo dato un lavoro a tanti giovani meritevoli, tutti laureati, tutti calabresi: e glielo abbiamo dato nella loro terra, senza costringerli ad emigrare». Si potrebbe. Se non fosse che per arrivare a questo risultato il consiglio regionale ha deciso di infischiarsene di una legge dello stato e del buonsenso.
E partiamo proprio da quest'ultimo. Il buonsenso dice che una persona di trent'anni di solito ha finito la sua formazione e vuole un lavoro. Specialmente se è brillante, e in questo caso è così: tutti i partecipanti al Programma Stages promosso dal consiglio regionale della Calabria a partire dall'autunno del 2008 sono non solo laureati col massimo dei voti ma spesso addirittura "dottorati e masterizzati", e/o già iscritti a ordini professionali. Il buonsenso dice (e la Repubblica degli Stagisti lo ha ripreso, appunto, nella Carta dei diritti dello stagista) che lo strumento del tirocinio deve essere riservato ai giovani. Invece il Programma Stages era aperto a persone fino a 37 anni di età: il che vuol dire, dato che sono ormai passati quasi due anni, che tra i superstagisti calabresi c'è oggi chi si avvia verso i quarant'anni.
Il buonsenso dice che se si vuole offrire un percorso di qualità si deve mandare la gente in strutture di qualità: e con tutto il rispetto, gli uffici pubblici calabresi non sono rinomati nel mondo per la loro efficienza né per l'alto grado di produttività e di innovazione – anzi forse è più probabile che i ragazzi abbiano in questo anno insegnato qualcosa, piuttosto che impararlo. Il buonsenso dice infine che, a prescindere dalla qualità del posto in cui si trova, se una persona adulta sta per un anno e passa in un posto, ragionevolmente svilupperà il desiderio di rimanerci, cioè di essere assunta.
E qui comincia il balletto della politica. Il balletto di dichiarazioni del presidente della regione Agazio Loiero e del presidente del consiglio regionale Giuseppe Bova, avviato non appena sono partite le critiche – sotto forma di articoli da parte della Repubblica degli Stagisti, sotto forma di interrogazione parlamentare da parte di Pietro Ichino. Tutti a dire che no, il Programma Stages era pura formazione, che non ci sarebbe stata alcuna assunzione dopo, che il progetto era trasparente e non aveva come secondo fine quello di creare un'ulteriore sacca di precariato nella pubblica amministrazione. Il balletto è continuato quando sempre i soliti han fatto notare che secondo la normativa di riferimento per i tirocini formativi, il decreto ministeriale 142/1998, gli stage possono durare al massimo 12 mesi (comprese le eventuali proroghe), salvo che per i disabili. E quindi che un ente pubblico promuovesse stage di addirittura 24 mesi, in aperto contrasto con la legge, era inaccettabile. Lì è partita la tripla piroetta: prima hanno detto che non si trattava di stage, bensì di master, e poi hanno cambiato nome all'iniziativa, che da Programma Stages si è trasformata in Programma Voucher. Come se cambiando il nome potesse cambiare la sostanza delle cose. Come se chiamare i superstagisti voucheristi mettesse il consiglio regionale al riparo dal dovere di rispettare le leggi.
Adesso i ballerini sono stanchi, vogliono sedersi. Anche le persone che partecipano a questo progetto sono stanche. Hanno fatto tre mesi di formazione in università, dal novembre del 2008 al gennaio del 2009. Poi già dodici mesi di stage, da febbraio 2009 ad oggi, e gliene restano ancora nove prima di concludere. Vogliono un lavoro: che era quello che la maggior parte di loro cercava fin dall'inizio, com'era ovvio che fosse. Il consiglio regionale glielo sta per dare, e tutti dovrebbero essere contenti. Peccato che a questo risultato, che si iscrive purtroppo nella solita logica italiana dell'assistenzialismo pre-elettorale, si sia arrivati calpestando diritto, buonsenso e trasparenza.
Eleonora Voltolina
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